In tema di furto e l’aggravante dell’esposizione a pubblica fede

Corte di Cassazione, penale, Sentenza|18 febbraio 2021| n. 6351.

In tema di furto, l’aggravante dell’esposizione a pubblica fede è esclusa solo in presenza di condizioni, da valutarsi in concreto, di sorveglianza e controllo continuativi, costanti e specificamente efficaci ad impedire la sottrazione della “res”, ostacolandone la facilità di raggiungimento. (Nella specie la Corte ha ritenuto la sussistenza dell’aggravante nel caso di furto del portafogli di un bagnante, allontanatosi momentaneamente, in una spiaggia soggetta a servizio di osservazione discontinuo e a distanza della polizia).

Sentenza|18 febbraio 2021| n. 6351

Data udienza 8 gennaio 2021

Integrale
Tag – parola chiave: Furto aggravato – Consumazione del reato in caso di impossessamento del bene anche se per poco tempo – Sottrazione di cose dei bagnanti su una spiaggia – Aggravante dell’esposizione alla pubblica fede – Sussistenza anche in caso di sorveglianza solo generica della spiaggia da parte della polizia – Inammissibilità

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PALLA Stefano – Presidente

Dott. MICHELI Paolo – Consigliere

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere

Dott. BRANCACCIO Matilde – rel. Consigliere

Dott. RICCARDI Giuseppe – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 03/02/2020 della CORTE APPELLO di TRIESTE;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere MATILDE BRANCACCIO;
lette le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale LUIGI GIORDANO che ha chiesto il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la decisione in epigrafe la Corte d’Appello di Trieste, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Gorizia emessa il 19.8.2019, concessa l’attenuante di cui all’articolo 62 c.p., comma 1, n. 4, equivalente alla recidiva e all’aggravante contestata di aver agito su cosa esposta per consuetudine alla pubblica fede, ha rideterminato la pena inflitta nei confronti di (OMISSIS) in mesi dieci di reclusione ed Euro 120 di multa, confermando la condanna per il reato di furto di un portafoglio di proprieta’ di (OMISSIS), custodito dentro la borsa di costei che si trovava sulla spiaggia di Monfalcone e si era allontanata momentaneamente per andare a fare un bagno in mare.
2. Ricorre l’imputato avverso la pronuncia d’appello tramite il difensore, avv. (OMISSIS), deducendo due motivi.
2.1. Il primo argomento di censura eccepisce violazione di legge e contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione quanto alla mancata qualificazione della condotta di reato ascritta al ricorrente come furto solo tentato, nonostante l’azione delittuosa sia stata seguita costantemente in osservazione da alcuni carabinieri, che stavano monitorando la spiaggia proprio per un servizio di prevenzione di furti commessi ai danni di bagnanti, sino al fermo dell’imputato e al ritrovamento in suo possesso della refurtiva. I militari risulta fossero sul posto proprio perche’ gia’ impegnati in un servizio investigativo sull’imputato, soggetto individuato da precedenti indagini come possibile autore di furti in condizioni analoghe, ed erano eventualmente pronti ad un intervento nei suoi confronti.
Il ricorrente rammenta che le Sezioni Unite, con la sentenza n. 52117 del 2014, hanno stabilito, sebbene nella diversa fattispecie di furto in supermercato, che, quando l’azione furtiva sia rimasta nel raggio d’azione di personale addetto alla vigilanza, si configura il delitto tentato, dal momento che, in siffatta ipotesi, il bene oggetto di sottrazione non viene perso di vista da chi vigila e non esce dalla sua sfera di controllo, sicche’ non puo’ dirsi oggetto di impossessamento da parte dell’autore del fatto (che in una tale circostanza non puo’ dirsi “compiuto”: la difesa cita anche la sentenza n. 18071 del 2015 a sostegno della propria opzione per il delitto tentato nella fattispecie in esame).
2.2. Il secondo motivo di ricorso deduce violazione di legge e contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione quanto alla ritenuta sussistenza dell’aggravante prevista dall’articolo 625 c.p., comma 1, n. 7.
La Corte d’Appello ha sostenuto l’esposizione alla pubblica fede motivando sul fatto che, in un caso come quello di specie, la vigilanza delle forze dell’ordine sul luogo degli eventi, essendo generale, non specificamente diretta ad un bene in particolare e non continua rispetto ad esso, non puo’ ritenersi idonea ad escluderla.
Tale affermazione confligge con la circostanza che invece emerge dalla piattaforma probatoria utilizzata dal giudice di merito: le forze dell’ordine avevano effettuato il servizio di polizia proprio con lo specifico intento di osservare le condotte dell’imputato e coglierlo in flagranza di reato, poiche’ dedito a furti in quel tratto di spiaggia ed in analoghi contesti.
Anche la giurisprudenza di legittimita’ – si osserva – ha escluso in passato la sussistenza dell’aggravante dell’esposizione alla pubblica fede qualora vi fosse prova di un’attivita’ di sorveglianza esercitata dalle forze dell’ordine appositamente predisposta per la repressione dei crimini (si cita la sentenza n. 12601 del 1995).
2.3. In data 30.12.2020 e’ stata depositata memoria difensiva, tramite pec, contenente le conclusioni scritte da parte della difesa del ricorrente in cui si ribadiscono le ragioni di ricorso, con ulteriori riferimenti giurisprudenziali e rafforzate argomentazioni.
3. Il Sostituto Procuratore Generale Luigi Giordano ha chiesto il rigetto del ricorso depositando conclusioni scritte in cui contrappone argomenti logico-giuridici in contrasto con le censure del ricorrente, sia quanto alla configurabilita’ dell’ipotesi di furto consumato e non tentato, sia quanto alla sussistenza dell’aggravante dell’esposizione alla pubblica fede del bene sottratto.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ inammissibile.
2. Il primo motivo e’ manifestamente infondato.
Configura, infatti, il reato di furto consumato la condotta di colui che, subito dopo essersi impossessato del bene altrui, approfittando della disattenzione della persona offesa, ne ha conseguito la disponibilita’ piena, autonoma ed effettiva, sia pur per un breve lasso di tempo e sia pur se bloccato dopo pochi minuti dalla polizia giudiziaria che lo stava controllando a distanza (Sez. 5, n. 26749 del 11/4/2016, Ouerghi, Rv. 267266; per un’ipotesi analoga cfr. anche Sez. 5, n. 48880 del 17/9/2018, S., Rv. 274016).
La sentenza n. 26479 del 2016 ha deciso una fattispecie del tutto sovrapponibile, dal punto di vista giuridico, a quella oggi all’esame del Collegio, tanto che, in motivazione, e’ stato chiarito come l’osservazione a distanza, da parte degli agenti, non aveva rilevanza ai fini della configurabilita’ del reato nella forma tentata, in quanto tale “studio” non solo non era avvenuto ad opera della persona offesa – che di nulla si era accorta, allontanandosi dal posto – ma, neppure, gli aveva impedito di far sua la borsa della vittima, prima di essere arrestato.
Allo stesso modo e’ avvenuto nel caso dell’impossessamento da parte dell’imputato del portafogli della vittima, che si era allontanata lasciandolo incustodito sulla spiaggia mentre era in mare e non si era accorta di nulla.
D’altro canto, non mutano le conclusioni poc’anzi ribadite circa la configurabilita’ del furto consumato le circostanze di azione della polizia giudiziaria, gia’ sulle tracce del ricorrente come possibile autore di furti seriali sul litorale teatro dei fatti e in servizio di osservazione sul posto proprio per cercare di coglierlo in flagranza; ne’ tantomeno la durata dell’impossessamento pieno ed autonomo del bene sottratto, essendo il furto un reato istantaneo e dovendosi ritenere corretta, in un’ipotesi come quella all’esame del Collegio, la determinazione circa l’effettiva, totale apprensione del bene, benche’ per un tempo limitato, per l’intervento dopo pochi minuti dal fatto, della polizia giudiziaria.
La pronuncia delle Sezioni Unite citata dal ricorrente – Sez. U, n. 52117 del 17/7/2014, Prevete, Rv. 261186 – non fa che confermare le predette conclusioni.
Resa in un’ipotesi di furto in supermercato, la decisione ha affermato che il monitoraggio della azione furtiva posta in essere, esercitato mediante appositi apparati di rilevazione automatica del movimento della merce, ovvero attraverso la diretta osservazione da parte della persona offesa o dei dipendenti addetti alla sorveglianza ovvero delle forze dell’ordine presenti nel locale ed il conseguente intervento difensivo “in continenti”, impediscono la consumazione del delitto di furto che resta allo stadio del tentativo, non avendo l’agente conseguito, neppure momentaneamente, l’autonoma ed effettiva disponibilita’ della refurtiva, non ancora uscita dalla sfera di vigilanza e di controllo del soggetto passivo.
La consumazione del reato e’ esclusa, dunque, dalla “concomitante vigilanza, attuale e immanente, della persona offesa e dall’intervento esercitato in continenti a difesa della detenzione del bene materialmente appreso, ma ancora non uscito dalla sfera del controllo del soggetto passivo”, in quanto l’impossessamento del soggetto attivo del delitto di furto postula il conseguimento della signoria del bene sottratto, intesa come “piena, autonoma ed effettiva disponibilita’ della refurtiva da parte dell’agente”.
Orbene, nel caso all’esame del Collegio, numerose sono le distanze dalla fattispecie decisa dalle Sezioni Unite ed in relazione alla quale e’ stato affermato il principio: il luogo del commesso delitto e’ una spiaggia marina, ben diversa dal ristretto e piu’ controllabile ambito di un supermercato, al centro del ragionamento delle Sezioni Unite sulla possibilita’ di sorveglianza; la persona offesa aveva temporaneamente ma completamente perso qualsiasi capacita’ di vigilanza sul bene sottrattole; la polizia giudiziaria che era in servizio di osservazione non aveva certo il dominio completo sul luogo, assai ampio, teatro dei fatti, con un’indiscriminata platea di possibili vittime.
Non e’ configurabile, pertanto, nel caso di specie, un’ipotesi di furto solo tentato.
3. Anche il secondo motivo di ricorso e’ manifestamente infondato.
Anzitutto, in generale, deve ribadirsi l’attualita’ del principio, affermato piu’ volte in tempi risalenti, secondo cui sussiste l’aggravante di cui all’articolo 625 c.p., comma 1, n. 7, – sotto il profilo dell’esposizione della cosa per necessita’ o per consuetudine o per destinazione alla pubblica fede – nel caso in cui il soggetto attivo si impossessi di effetti personali sottratti ai bagnanti sulla spiaggia, in quanto rientra nelle abitudini sociali e nella pratica di fatto lasciare incustoditi tali oggetti da coloro che abbandonino temporaneamente la spiaggia per andare a fare il bagno (Sez. 5, n. 14305 del 19/3/2008, Navantieri, Rv. 239488; Sez. 2, n. 6027 del 23/1/1974, Cardini, Rv. 127988; Sez. 2, n. 1683 del 3/11/1967, dep. 1968, Pontrillo, Rv. 107452; piu’ di recente, da’ per consolidato il principio la sentenza Sez. 5, n. 36180 del 10/5/2018, n. m.).
Piu’ specificamente, tuttavia, in relazione all’azione contestata al ricorrente, la difesa obietta che dovrebbe ritenersi esclusa la sussistenza dell’aggravante dell’esposizione alla pubblica fede qualora vi sia prova di un’attivita’ di sorveglianza esercitata dalle forze dell’ordine, appositamente predisposta per la repressione dei crimini (si cita la sentenza n. 12601 del 1995).
L’eccezione non ha pregio.
Si e’ gia’ in altri contesti affermato che sussiste l’aggravante dell’esposizione alla pubblica fede in situazioni di abbandono solo temporaneo dei propri beni personali in condizioni di fatto che consentono di ritenere configurabile l’affidamento del titolare del bene sul rispetto dei terzi verso l’altrui proprieta’.
Cosi’ si e’ riconosciuta l’aggravante di cui all’articolo 625 c.p., comma 1, n. 7 nel caso in cui il soggetto attivo si impossessi di effetti personali sottratti ai clienti di una discoteca, sussistendo, in tal caso, l’abitudine di abbandonare temporaneamente i propri effetti personali per andare sulla pista a ballare; ne’ l’aggravante in questione puo’ essere esclusa da una sorveglianza meramente saltuaria o eventuale da parte del soggetto che abbia la disponibilita’ delle cose, attesa la “rado” della norma, che e’ quella di tutelare l’affidamento del presumibile rispetto dei terzi verso l’altrui proprieta’ (Sez. 5, n. 39631 del 23/9/2010, Giusti, Rv. 248656).
Cio’ perche’ l’esistenza in concreto di una qualche sfera di vigilanza da parte del titolare del bene ovvero di altri non esclude di per se’ l’aggravante della esposizione alla pubblica fede (Sez. 5, n. 11921 del 19/12/2019, dep. 2020, Gallo, n. m.).
La stessa pronuncia citata dalla difesa del ricorrente in proprio favore rammenta, infatti, che l’aggravante dell’esposizione alla pubblica fede puo’ essere esclusa non in presenza di una qualsiasi forma di sorveglianza ma soltanto se la cosa sia oggetto di una diretta e continua custodia da parte del proprietario o di persona addetta.
Non e’, pertanto, idonea a fare venire meno la sussistenza della detta aggravante una sorveglianza generica della polizia o una sorveglianza che, per sua natura, e’ necessariamente saltuaria ed eventuale, anche se specificamente esercitate dal possessore o da altri, come quella di chi deve prestare attenzione ad una pluralita’ di capanne di uno stabilimento balneare (Sez. 4, n. 12601 del 29/9/1995, Cici, Rv. 203138).
Ne’ puo’ rilevare la finalita’ che ha motivato l’azione di sorveglianza della polizia giudiziaria, gia’ consapevole della proiezione criminale del ricorrente nei luoghi oggetto dell’intervento anticrimine.
Seguendo le linee interpretative della sentenza di questa Sezione n. 11921 del 2020, il Collegio ribadisce il principio secondo cui, in tema di furto, l’aggravante dell’esposizione a pubblica fede e’ esclusa soltanto in presenza di condizioni, da valutarsi in concreto caso per caso, di sorveglianza e controllo continuativi, costanti e specificamente efficaci nell’impedire la sottrazione della res, ostacolandone quella facilita’ di raggiungimento che e’ caratteristica tipica della ratio della disposizione di cui all’articolo 625 c.p., comma 1, n. 7, (norma che non intende tutelare qualsiasi condizione di fatto di detenzione di un bene in luoghi pubblici o privati esposti al pubblico).
Viceversa, quando la sorveglianza, come accaduto nel caso di specie, non abbia tali caratteristiche, allora essa non sara’ idonea ad incidere sulla sussistenza dell’aggravante predetta.
La motivazione della sentenza richiamata ha ritrovato, in tema, due differenti filoni interpretativi, solo apparentemente distanti tra loro:
– un’opzione che esclude l’aggravante della esposizione a pubblica fede solo in presenza di condizioni di sorveglianza e controllo continuativi e costanti della res tali da non consentire quella facilita’ di raggiungimento del bene che e’ caratteristica tipica della ratio della disposizione di cui all’articolo 625 c.p., comma 1, n. 7, (Sez. 5, n. 14022 del 8/1/2014, Fusari, Rv. 259870; in senso analogo Cass. sez. 5, n. 9245 del 14/10/2014, dep. 2015, Rv. 263258; Sez. 5, n. 4036 del 26/11/2015, Craciun, Rv. 267564, quest’ultima sulla specifica questione attinente l’apposizione di un dispositivo antitaccheggio, tema sul quale vedi anche, in senso conforme, Sez. 5, n. 435 del 30/6/2015, dep. 2016, Sefer, Rv. 265586). La sorveglianza “continua” viene intesa, in tale condivisibile prospettiva, quale esercizio di un controllo permanente sul bene che elide quella sorta di affidamento necessariamente implicato dall’esposizione, escludendo, pertanto, anche l’aggravante;
– altra opzione che, invece, valorizza maggiormente l’ineliminabile affidamento insito nella collocazione del bene protetto in un luogo accessibile al pubblico, dunque facilmente raggiungibile da un numero indeterminato di persone, quasi a sottolineare l’importanza del dato fisico della collocazione del bene, piu’ che quella dell’elemento esterno a tale dato fisico rappresentato dal grado di sorveglianza esercitato sulla res; per tale orientamento, quindi, il controllo su detta res, esposta al pubblico, mediante un sistema di videosorveglianza attenua ma non elide l’esposizione alla pubblica fede, ovvero il presupposto fattuale per il riconoscimento dell’aggravante (cosi’ Sez. 2, n. 2724 del 26/11/2015, Scalambrieri, Rv. 265808; si orientano non dissimilmente le pronunce Sez. 5, n. 10584 del 30/01/2014, Rv. 260204; Sez. 5, n. 12436 del 11/12/2013, dep. 2014, Rv. 259869). Anche tale secondo orientamento sembra propendere comunque nel senso che possa escludere l’aggravante in esame una sorveglianza specificamente efficace nell’impedire la sottrazione dell’oggetto e che la questione debba essere attentamente vagliata di volta in volta e con attenzione alle singole fattispecie, per ricercare la presenza della ragione normativa di aggravamento – e cioe’ la consuetudine e l’abitudine sociale della modalita’ di esposizione di una cosa alla fede pubblica – poiche’ la disposizione in esame non e’ rivolta a tutelare, attraverso l’aggravante, qualsiasi condizione di fatto di detenzione di un bene in luoghi pubblici o privati esposti al pubblico.
La sintesi di tali posizioni e’ che, sia a voler ritenere la sorveglianza continua come esercizio di un controllo permanente sul bene che elide quella sorta di affidamento necessariamente implicato dall’esposizione, sia a voler ritenere, invece, che il controllo sulla res esposta al pubblico mediante un sistema di sorveglianza idoneo attenui ma non elida l’esposizione alla pubblica fede, quel che appare evidente nella prospettiva di tutte le pronunce di questa Corte e’ la necessita’ di verificare in concreto la sussistenza di una sorveglianza specificamente efficace nell’impedire la sottrazione, al fine di ricercare la presenza della ragione normativa di aggravamento, e cioe’ la consuetudine e l’abitudine sociale connessa alla modalita’ di esposizione di una cosa alla fede pubblica.
Nel caso all’esame del Collegio, come si e’ gia’ chiarito, non vi e’ dubbio che la dinamica concreta di accadimento dei fatti, le condizioni dei luoghi e della sorveglianza sulla res sottratta depongano nel senso di ritrovare pienamente le ragioni del precetto aggravante. Anche in prospettiva di verifica della sussistenza dell’aggravante dell’esposizione alla pubblica fede nel caso concreto valga rammentare come stridano con il concetto di sorveglianza effettiva e specifica gia’ enucleato alcuni elementi di fatto determinanti: il luogo del commesso delitto (una spiaggia marina, di per se’ scarsamente controllabile da pochi uomini, vieppiu’ se affollata); il fatto che la persona offesa aveva temporaneamente ma completamente perso qualsiasi capacita’ di vigilanza sul bene sottrattole; la circostanza la polizia giudiziaria in servizio di osservazione non aveva certo il dominio completo sul luogo, assai ampio, teatro dei fatti, anche in ragione dell’indiscriminata platea di possibili vittime.
4. Alla declaratoria d’inammissibilita’ del ricorso segue, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente che lo ha proposto al pagamento delle spese processuali nonche’, ravvisandosi profili di colpa relativi alla causa di inammissibilita’ (cfr. sul punto Corte Cost. n. 186 del 2000), al versamento, a favore della Cassa delle Ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 3.000.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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