In tema di estradizione ed il divieto di “bis in idem” internazionale

Corte di Cassazione, penale, Sentenza|15 marzo 2021| n. 10085.

In tema di estradizione, il divieto di “bis in idem” internazionale opera solo in presenza di una pronuncia giurisdizionale estera definitiva sulla responsabilità dello stesso individuo per il medesimo fatto di reato per il quale è stata avanzata la domanda estradizionale. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto non ostativa all’estradizione verso la Moldavia, la circostanza che l’estradando fosse già stato tratto in arresto in Francia, nell’ambito di procedura estradizionale emessa per lo stesso reato, e successivamente rimesso in libertà, in ragione del mancato inoltro da parte dello Stato richiedente della documentazione necessaria).

Sentenza|15 marzo 2021| n. 10085

Data udienza 14 gennaio 2021

Integrale

Tag – parola chiave: Arresto provvisorio – Convalida – Misura cautelare – Carcere – Finalità estradizionale – Divieto del ne bis in idem internazionale – Operatività – Esclusione – Ragioni fondanti

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETRUZZELLIS Anna – Presidente

Dott. APRILE Ercole – Consigliere

Dott. BASSI A. – Consigliere

Dott. ROSATI M. – rel. Consigliere

Dott. PATERNO’ RADDUSA Benedet – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nata in (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 23/10/2020 della Corte di appello di Bologna;
udita la relazione svolta dal Consigliere Martino Rosati;
lette le conclusioni del Procuratore generale, in persona del Sost. Giuseppe Locatelli, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
lette le conclusioni scritte presentate a norma del Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8, dal difensore del ricorrente, avv. (OMISSIS), che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con atto del proprio difensore, (OMISSIS), titolare di doppia cittadinanza, moldava e rumena, impugna l’ordinanza resa il 23 ottobre scorso dal Consigliere delegato del Presidente della Corte di appello di Bologna, che – a norma dell’articolo 716 c.p.p., comma 3, – ne ha convalidato l’arresto provvisorio a fini estradizionali e ne ha disposto la custodia cautelare in carcere, in esecuzione di mandato di arresto del 10 luglio 2019, emesso dalla Corte penale di Chisnau (Repubblica di Moldavia), perche’ indagata per i reati di sequestro di persona e furto, previsti e puniti dall’articolo 164, sez. 2, e articolo 187, sez. 4, del codice penale di quel Paese, con la pena della reclusione pari nel massimo a dodici anni.
2. Il ricorso e’ sorretto da due motivi.
2.1. Il primo denuncia la violazione del principio del ne bis in idem internazionale, di cui all’articolo 50 della Carta fondamentale dei diritti dell’Unione Europea (c.d. “Carta di Nizza”), in quanto la ricorrente si trova tutt’ora sottoposta a procedimento estradizionale, per gli stessi fatti, dinanzi all’autorita’ giudiziaria francese, essendo stata gia’ tratta in arresto in quello Stato nell’ambito di tale procedura, ma essendo stata successivamente rimessa in liberta’, in ragione del mancato inoltro, da parte dello Stato richiedente, nei termini previsti dalla Convenzione Europea di estradizione del 1957, della documentazione necessaria.
Sostiene la difesa ricorrente che l’anzidetto principio debba trovare applicazione anche in caso di c.d. “giudicato cautelare”, in relazione all’applicazione delle misure cautelari coercitive.
2.2. Con il secondo motivo si denuncia, invece, la violazione delle norme interne sull’estradizione e di quelle generali in materia cautelare personale, dalle prime richiamate, sostenendosi che non sussistano ne’ gravi indizi di colpevolezza, essendo stata la misura applicata sulla base di mere presunzioni; ne’ un concreto pericolo di fuga; ne’, comunque, la necessita’ dell’applicazione della custodia in carcere e non di altra misura meno afflittiva, su cui la sentenza non motiva.
A tale proposito, la difesa deduce che la ricorrente si trova regolarmente nel territorio dello Stato; che gode di liberta’ di circolazione nel territorio della UE (in quanto cittadina – anche – di uno Stato membro, come la Romania); che non si e’ sottratta al giudizio di estradizione in Francia, ove si e’ recata a luglio per partecipare ad un’udienza; che ha denunciato ai Carabinieri lo smarrimento del proprio passaporto, di cui e’ tutt’ora priva, cosi’ mostrando di non volersi sottrarre a controlli; che in Italia dispone di una dimora e di un lavoro; che lo Stato moldavo non ha comunicato quale sia la pena minima prevista per il reato oggetto di procedimento e, dall’informativa dell’Interpol, si rileverebbe che ella sia chiamata a rispondere solo del furto di un computer, essendo invece estranea al sequestro di persona: sicche’ si rivela sostanzialmente congetturale l’assunto della Corte d’appello circa la probabilita’ di fuga, motivata in prospettiva di una possibile pena “molto severa”.
3. Ha depositato requisitoria scritta il Procuratore generale, chiedendo il rigetto del ricorso.
4. Ha depositato memoria di replica e conclusioni scritte la ricorrente, che, in particolare sulla scorta di quanto statuito dal Decreto Legislativo 15 febbraio 2016, n. 29, articolo 11, comma 1, insiste, anzitutto, per il riconoscimento dell’operativita’ del principio del ne bis in idem cautelare, avendo ella gia’ interamente sofferto, nel corso della procedura estradizionale avviata in Francia per gli stessi fatti e sulla base del medesimo mandato d’arresto, la custodia cautelare per il termine massimo consentito in relazione alla fase del procedimento in corso. Segnala, in proposito, che, in applicazione di tale regola, la Germania si e’ limitata a negarle l’ingresso nel proprio territorio, mentre l’Austria, dopo averla tratta in arresto in esecuzione del medesimo mandato, l’ha rimessa in liberta’, con divieto di soggiorno in quello Stato.
Sul versante del merito, invece, ribadisce le ragioni gia’ addotte in ricorso a sostegno dell’inesistenza di un concreto pericolo di fuga e, comunque, della possibilita’ che esso sia adeguatamente salvaguardato attraverso una misura cautelare meno incisiva di quella carceraria.
La ricorrente ha altresi’ depositato corrispondenza con il difensore da lei nominato nella procedura di estradizione francese, per dimostrare che quest’ultima sarebbe ancora pendente.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Le doglianze proposte sono prive di fondamento giuridico.
2. L’invocata operativita’ di un divieto di bis in idem internazionale nella materia cautelare, e tanto piu’ con riferimento alle procedure estradizionali, non trova sostegno normativo.
2.1. Tale non puo’ essere, anzitutto, quello individuato dalla difesa ricorrente, ovvero l’articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (c.d. “carta di Nizza”), firmata il 7 dicembre 2000 e con correzioni sottoscritte a Strasburgo il 12 dicembre 2007, recepita nel nostro ordinamento, con valore giuridico di trattato, attraverso l’articolo 6 del Trattato di Lisbona, firmato il 13 dicembre 2007 e ratificato dall’Italia con L. 2 agosto 2008, n. 130, in vigore dal 1 dicembre 2009.
Quella disposizione, sotto la rubrica “Diritto di non essere giudicato o punito due volte per lo stesso reato”, prevede, infatti, che “nessuno puo’ essere perseguito o condannato per un reato per il quale e’ gia’ stato assolto o condannato nell’Unione a seguito di una sentenza penale definitiva conformemente alla legge”, mentre non si occupa affatto delle misure cautelari.
2.2. La limitazione dell’operativita’ di tale principio all’esistenza di un accertamento definitivo, e quindi alla presenza di una pronuncia giudiziaria irrevocabile, rappresenta, peraltro, una vera e propria costante delle norme internazionali pattizie.
Essa si rinviene, infatti, pure nell’articolo 9 della Convenzione Europea di estradizione, firmata a Parigi il 13 dicembre 1957, ratificata anche dalla Moldavia il 2 ottobre 1997 ed ivi in vigore dal 31 dicembre successivo. Si legge in tale disposizione, rubricata “non bis in idem”, che “l’estradizione non sara’ accordata quando la persona richiesta e’ stata giudicata in forma definitiva dalle autorita’ competenti della Parte richiesta, per il fatto od i fatti per i quali l’estradizione e’ domandata”: di qui, pertanto, l’esclusiva rilevanza ostativa delle sentenze definitive e, per di piu’, solo di quelle pronunciate dallo Stato richiesto, non anche, invece, di quelle eventualmente rese dalle autorita’ giudiziarie di uno Stato terzo (Sez. 6, n. 3747 del 18/12/2013, Dyrmyshi, Rv. 258250).
Un riferimento espresso ed esclusivo alle sentenze definitive si ritrova, ancora, nella Convenzione tra gli Stati membri delle Comunita’ Europee relativa all’applicazione del principio “ne bis in idem”, sottoscritta a Bruxelles il 25 maggio 1987 e ratificata dall’Italia con la L. 16 ottobre 1989, n. 350, articoli 1, 3, 4 e 5, che prevede eccezioni solo se espressamente stabilite da disposizioni nazionali piu’ ampie; come pure nella L. 30 settembre 1993, n. 388, di ratifica ed esecuzione della convenzione di Schengen del 1990 (articolo 54).
Del resto, sull’assenza di efficacia ostativa alla consegna dell’estradando di un provvedimento insuscettibile di dar luogo a giudicato ed adottato nei suoi confronti, per i medesimi fatti, da uno Stato diverso da quello richiedente l’estradizione, anche la Corte di cassazione si e’ gia’ espressa (Sez. 6, n. 6241 del 29/01/2020, S., Rv. 278709, in riferimento specifico ad un decreto di archiviazione).
2.3. Inconferente, poi, e’ il richiamo – contenuto nel motivo aggiunto presentato dalla difesa – del Decreto Legislativo 15 febbraio 2016, n. 29, il quale prevede che il periodo di custodia cautelare sofferto all’estero sia computato ai fini della durata della custodia cautelare e della pena applicate in Italia, ma opera soltanto nell’ipotesi di procedimenti penali paralleli, instaurati all’estero e nel nostro Stato per gli stessi fatti, ma non anche nei procedimenti estradizionali: a questi ultimi, infatti, tale disciplina non contiene il benche’ minimo riferimento. Peraltro, perche’ il computo della custodia all’estero trovi applicazione, l’articolo 11 di tale decreto presuppone l’avvenuta concentrazione in Italia dei procedimenti, all’esito di una complessa procedura, che e’ del tutto estranea ai principi regolatori della materia estradizionale.
2.4. In conclusione, dunque, deve escludersi l’operativita’ del divieto di un secondo giudizio in a’mbito internazionale in assenza di una pronuncia giurisdizionale estera definitiva sulla responsabilita’ dello stesso individuo per un medesimo fatto di reato, rimanendo percio’ sempre estranei al relativo campo di applicazione i procedimenti estradizionali.
Nessuna rilevanza, pertanto, nello specifico caso in esame, puo’ accordarsi a quelle che si deducono essere state le determinazioni delle autorita’ tedesche ed austriache, le cui ragioni, peraltro, dalle produzioni difensive non si evincono.
3. Il secondo motivo di ricorso si rivela manifestamente infondato.
3.1. Per l’applicazione delle misure cautelari a fini estradizionali, non e’ richiesta la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza, secondo quanto espressamente dispone l’articolo 714 c.p.p., comma 2.
3.2. In relazione al pericolo di fuga, poi, dietro lo schermo della violazione delle norme processuali di riferimento, il ricorso in realta’ lamenta sostanzialmente un vizio di motivazione, evidenziando circostanze asseritamente deponenti in senso contrario.
Al di la’ del fatto che tale deduzione non sarebbe consentita in sede di legittimita’ (articolo 719 c.p.p.), e’ agevole comunque osservare che il provvedimento impugnato si presenta, invece, compiutamente e ragionevolmente motivato, avendo la Corte di appello evidenziato, con indiscutibile pertinenza, come la ricorrente non solo sia fuggita dalla Moldavia, ma sia altresi’ andata in giro per mezza Europa (Francia, Belgio, e poi, come indica la sua stessa difesa, anche Austria e Germania) prima di giungere nel nostro Paese: dove – ad onta di quanto addotto in ricorso – ella non risulta avere ne’ una stabile ed adeguata dimora ne’ un’occupazione lavorativa.
Quanto, poi all’ulteriore indice valorizzato da quei giudici, ovvero la severa pena prevista per i reati addebitatile, l’avversa argomentazione difensiva, secondo cui ella sarebbe imputata soltanto di furto e non anche di sequestro di persona, costituisce una mera enunciazione, non confortata dal alcun riscontro probatorio.
4. Il ricorso dev’essere, pertanto, respinto, con conseguente condanna alle spese di giudizio, a norma dell’articolo 616 c.p.p..

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’articolo 203 disp. att. cod. proc. pen..

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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