In tema di esecuzione nel caso di patteggiamento della pena in appello

Corte di Cassazione, sezione prima penale, Sentenza 22 giugno 2020, n. 18874.

Massima estrapolata:

In tema di esecuzione nel caso di patteggiamento della pena in appello che abbia condotto ad una riforma della sentenza di primo grado esclusivamente “quoad poenam”, la competenza “in executivis” spetta al giudice di primo grado, mentre spetta al giudice d’appello quando, per effetto dell’accordo delle parti, siano state riconosciute circostanze attenuanti o escluse circostanze aggravanti ovvero sia stato modificato il giudizio di comparazione o sia stata applicata la continuazione tra più reati.

Sentenza 22 giugno 2020, n. 18874

Data udienza 15 giugno 2020

Tag – parola chiave: Traffico di stupefacenti – Dpr 309 del 1990 – Condanna – Sentenza della corte costituzionale 40 del 2019 – Trattamento sanzionatorio – Articoli 599 e 599 bis cpp – Concordato in appello – Articoli 132 e 133 cp – Criteri – Difetto di motivazione

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TARDIO Angela – Presidente

Dott. BIANCHI Michele – Consigliere

Dott. BINENTI Roberto – Consigliere

Dott. APRILE Stefano – rel. Consigliere

Dott. DI GIURO Gaetano – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 20/01/2020 del GIP del TRIBUNALE di ROMA;
udita la relazione svolta dal Consigliere APRILE STEFANO;
lette le conclusioni del PG EPIDENDIO Tomaso che ha concluso per l’annullamento con rinvio.

RITENUTO IN FATTO

1. Con il provvedimento impugnato, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha rigettato la richiesta avanzata nell’interesse di (OMISSIS) volta ad ottenere la rideterminazione del trattamento sanzionatorio allo stesso inflitto con la sentenza pronunciata ai sensi dell’articolo 599-bis c.p.p. dalla Corte d’appello di Roma il 1 Febbraio 2019, irrevocabile il 19 Marzo 2019, in parziale riforma della sentenza pronunciata dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Roma in data 19 Aprile 2018 per il reato di cui all’articolo 73 TU Stup., con riguardo alla sentenza della Corte costituzionale n. 40 del 2019, ritenendo tuttora congruo il trattamento sanzionatorio in concreto applicato pari ad anni 3, mesi 6 e gg. 20 di reclusione (pena base anni 8 di reclusione).
2. Ricorre (OMISSIS), a mezzo del difensore avv. (OMISSIS), che chiede L’annullamento del provvedimento impugnato, denunciando:
– la violazione di legge con riguardo alla incompetenza del giudice dell’esecuzione, spettando la stessa alla Corte d’appello che ha riformato la sentenza di primo grado;
– la violazione di legge e il vizio della motivazione con riguardo al trattamento sanzionatorio, perche’ il giudice dell’esecuzione non ha tenuto conto che la pena base era stata individuata nel minimo edittale di anni 8 di reclusione, sicche’ si impone una effettiva riduzione della pena irrogata alla luce della citata sentenza della Corte costituzionale.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ fondato con riguardo al secondo motivo.
2. E’ infondato il primo motivo di ricorso che denuncia l’incompetenza del giudice dell’esecuzione poiche’, per stabilire la competenza nel caso previsto dall’articolo 599-bis c.p.p., deve farsi applicazione dell’orientamento della giurisprudenza di legittimita’, gia’ affermatosi sul previgente articolo 599 c.p.p., comma 4, secondo il quale “nel caso di cosiddetto patteggiamento della pena in appello, che abbia condotto a una riforma della sentenza di primo grado esclusivamente quoad poenam, la competenza in executivis spetta al giudice di primo grado” (Sez. 1, n. 45481 del 19/11/2008, Confl. comp. in proc. Orlandi, Rv. 242069; Sez. 1, n. 43535 del 12/11/2002, Conf. comp. in proc. Orofino, Rv. 223222; Sez. 1, n. 9017 del 08/01/2003, Confl. comp. in proc. Emmausso, Rv. 223979; Sez. 1, n. 5473 del 23/01/2003, Piroscia, Rv. 223594).
Non e’, infatti, pertinente il richiamo ad un precedente giurisprudenziale ormai superato (Sez. 1, n. 1824 del 04/03/1999, P.G. in proc. Pagano, Rv. 213498) e di un altro che attiene, invece, alla diversa situazione che si verifica quando il giudice di appello ha rideterminato la pena per effetto di patteggiamento non ammesso dal giudice di primo grado (Sez. 3, n. 57121 del 08/02/2017, Sorce, Rv. 271868).
Deve essere, quindi, affermato il seguente principio di diritto: “nel caso di cosiddetto patteggiamento della pena in appello ex articolo 599-bis c.p.p., che abbia condotto a una riforma della sentenza di primo grado esclusivamente quoad poenam, la competenza in executivis spetta al giudice di primo grado mentre spetta al giudice d’appello quando, per effetto dell’accordo delle parti, siano state riconosciute circostanze attenuanti o siano state escluse circostanze aggravanti ovvero sia stato modificato il giudizio di comparazione o sia stata applicata la continuazione tra piu’ reati”.
2.1. Nel caso di specie l’accordo intervenuto in appello ha avuto per oggetto esclusivamente la riduzione della pena, tanto che il giudice di secondo grado ha ridotto la pena base ad anni 8 di reclusione, rispetto agli anni 9 di reclusione individuati dal primo giudice.
Da cio’ discende la manifesta infondatezza del primo motivo di ricorso poiche’ si tratta di una riforma limitata al trattamento sanzionatorio che non determina conseguenze sulla competenza in sede esecutiva, restando la stessa attribuita al giudice di primo grado.
3. E’ invece fondato il secondo motivo di ricorso.
Va anzitutto chiarito che il giudice dell’esecuzione ha respinto la richiesta di rideterminazione della pena sotto due profili: occorreva una consensuale rideterminazione tra le parti del trattamento sanzionatorio; la pena in concreto irrogata, tenuto conto della gravita’ del fatto, risulta tuttora congrua perche’ “la elevata entita’ della pena, all’epoca minima” e’ proporzionata al disvalore del fatto.
3.1. La prima affermazione, che richiama il procedimento di cui all’articolo 188 disp. att. c.p.p., e’ errata in diritto.
La giurisprudenza di legittimita’ ha precisato che “in tema di stupefacenti, ai fini della rideterminazione in sede esecutiva della pena concordata in appello, ai sensi dell’articolo 599-bis c.p.p., per effetto della declaratoria di illegittimita’ costituzionale del Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 73, comma 1, ad opera della sentenza della Corte costituzionale n. 40 del 2019, non si applica il meccanismo di rinnovata negoziazione della pena previsto dall’articolo 188 disp. att. c.p.p.” (Sez. 1, n. 8601 del 07/02/2020, Marku, Rv. 278500).
A tale orientamento occorre fare riferimento nel caso di specie, sicche’ risulta errata sul punto la decisione del giudice dell’esecuzione che ha rigettato la richiesta sulla base del presupposto che non era stato seguito il procedimento di cui all’articolo 188 disp. att. c.p.p..
4. Anche la seconda affermazione e’ errata in diritto e manifestamente illogica.
4.1. La giurisprudenza di legittimita’ e’ costantemente orientata ad affermare che “in tema di stupefacenti, a seguito della declaratoria d’incostituzionalita’ del Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 73, comma 1, nella parte in cui fissava il minimo edittale in anni otto di reclusione, anziche’ in anni sei, intervenuta con sentenza della Corte costituzionale n. 40 del 2019, il giudice dell’esecuzione, nel rideterminare la pena inflitta con condanna anteriormente divenuta irrevocabile, e’ tenuto a rinnovare la valutazione sanzionatoria alla stregua dei criteri di cui agli articoli 132 e 133 c.p., con necessaria riduzione della pena” (Sez. 1, n. 3281 del 12/11/2019 dep. 2020, EI Khairat, Rv. 278173), essendosi del resto precisato che puo’ essere esclusa la patologica alterazione della commisurazione finale della pena, determinata in base alla forbice edittale oggetto della declaratoria di illegittimita’ costituzionale, unicamente quando la pena irrogata sia stata determinata nel massimo edittale o in misura prossima al massimo (Sez. 1, n. 2036 del 11/12/2019,dep. 2020, Selistha, Rv. 278198).
Si e’ precisato che “in tema di stupefacenti, a seguito della declaratoria d’incostituzionalita’ del Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 73, comma 1, nella parte in cui fissava il minimo edittale in anni otto di reclusione, anziche’ in anni sei, intervenuta con sentenza della Corte costituzionale n. 40 del 2019, il giudice dell’esecuzione, nel rideterminare la pena inflitta con condanna anteriormente divenuta irrevocabile, e’ tenuto a rinnovare la valutazione sanzionatoria alla stregua dei criteri di cui agli articoli 132 e 133 c.p., con necessaria riduzione della pena” (Sez. 1, n. 3281 del 12/11/2019, dep. 2020, EI Khairat, Rv. 278173).
4.2. Il giudice dell’esecuzione ha proceduto ad esaminare l’istanza di rideterminazione della pena senza tenere in considerazione i sopra richiamati principi di diritto, nonche’ apprestando una motivazione intrinsecamente errata e contraddittoria la’ dove ha affermato la congruita’ della pena in concreto irrogata, perche’ essa rientrerebbe nell’attuale forbice edittale alla luce della gravita’ dei fatti, pur essendo stata determinata dal giudice della cognizione partendo dalla pena base di anni otto di reclusione, pari al minimo edittale all’epoca vigente.
Si tratta di un percorso argomentativo che, oltre a contrastare con i sopra richiamati principi di diritto, e’ logicamente errato, perche’ confonde la pena in concreto irrogata con quella prevista dai limiti edittali della previsione incriminatrice e perche’ frustra di fatto la pronuncia del giudice delle leggi che ha dichiarato l’illegittimita’ costituzionale proprio della pena base presa a riferimento per la determinazione del trattamento sanzionatorio.
Orbene, si deve disporre l’annullamento con rinvio al giudice dell’esecuzione perche’, rivalutando gli indici di cui agli articoli 132 e 133 c.p. e facendo applicazione dei richiamati principi di diritto, proceda a nuovo giudizio, nella assoluta liberta’ delle valutazioni di merito relative alla determinazione del trattamento sanzionatorio, tenendo altresi’ in considerazione che il giudice dell’esecuzione, nel rideterminare la pena concordata in appello ex articolo 599-bis c.p.p., non e’ tenuto a riconoscere la riduzione di pena derivante da tale accordo in quanto esso non costituisce un istituto premiale (Sez. 1, n. 8559 del 11/12/2019, dep. 2020, Scarfone, Rv. 278586).

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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