In tema di diffamazione

Corte di Cassazione, sezione quinta penale, Sentenza 24 aprile 2020, n. 12898.

Non scatta il reato per aver posto a conoscenza del tribunale e di una spa la propria opinione contro un commissario straordinario secondo la quale questi avrebbe pretermesso lo scrivente a favore di altri creditori di dubbia onorabilità

Sentenza 24 aprile 2020, n. 12898

Data udienza 30 gennaio 2020

Tag – parola chiave: Diffamazione – Elemento psicologico – Comunicazione con almeno due persone ovvero con una sola persona, ma con modalità tali da rendere nota la notizia ad altri – Rappresentazione e volizione – Necessità

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SABEONE Gerardo – Presidente

Dott. MORELLI Franesca – Consigliere

Dott. DE GREGORIO Eduardo – Consigliere

Dott. BELMONTE Maria – rel. Consigliere

Dott. CALASELICE Barbara – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS) parte civile;
nel procedimento a carico di:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 25/01/2019 del GIUDICE DI PACE di MANTOVA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. MARIA TERESA BELMONTE;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. TASSONE KATE;
Il Proc. Gen. conclude per l’annullamento con rinvio;
udito il difensore.

RITENUTO IN FATTO

1. Il Giudice di Pace di Mantova ha assolto (OMISSIS) dal reato di diffamazione, commesso mediante l’invio di una missiva al Presidente del Tribunale di Mantova e alla societa’ (OMISSIS) s.p.a, nella quale accusava (OMISSIS), nella qualita’ di commissario straordinario della societa’ (OMISSIS) s.r.l. – il quale aveva escluso dall’ammissione al passivo fallimentare la societa’ edile di cui il (OMISSIS) era L.R., e che aveva eseguito lavori per la (OMISSIS) – di comportamenti scorretti perche’ “sta mettendo in ginocchio degli imprenditori onesti e sta aiutando degli imprenditori con un curriculum di tutto riguardo quanto a evasione fiscale e truffe”.
2. Avverso la pronuncia assolutoria ha proposto ricorso la parte civile (OMISSIS) il quale si affida, per il tramite del difensore, a due motivi.
2.1. Denuncia, in primo luogo, violazione dell’articolo 595 c.p., e correlato vizio della motivazione, lamentando che, nella sentenza impugnata, il giudizio assolutorio, con la formula perche’ il fatto non sussiste, si e’ fondata su una erronea ricostruzione della struttura e degli elementi della fattispecie. In specie, deduce che il Giudice ha ritenuto che non fosse ravvisabile il requisito dell’assenza della persona offesa per avere quest’ultima preso cognizione del contenuto della missiva. Ci si duole che, in ogni caso, ricorrerebbe un caso di concorso formale dei reati di ingiuria e diffamazione, citando orientamento giurisprudenziale di questa Sezione. Inoltre, si lamenta che il giudice gravato abbia del tutto omesso il vaglio dell’elemento soggettivo, mancando in sentenza la ricostruzione della intenzione diffamatoria dell’agente.
2.2.Con il secondo motivo si censura la formula assolutoria che, invece, premessa la riqualificazione del fatto in ingiuria – secondo l’opzione ermeneutica proposta dalla sentenza impugnata – avrebbe dovuto condurre alla assoluzione con la formula perche’ il fatto non costituisce reato. Tanto riverbera i suoi effetti anche nel giudizio civile e sulle correlate richieste risarcitorie.
3. In data 17 gennaio 2020 l’imputato ha depositato memoria, denunciando che la parte civile ricorrente ha omesso di esplicitare il riferimento agli effetti civili che intende conseguire, donde la inammissibilita’ del gravame per carenza di interesse. Lamenta altresi’ l’incompatibilita’ con i principi espressi dalle Sezioni Unite Dasgupta, in caso di annullamento con rinvio, e conclude per la inammissibilita’ del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso non e’ fondato, pur dovendosi prendere atto della erroneita’ dei motivi di diritto che sono stati posti alla base della decisione, che, vanno, quindi correttamente individuati come segue.
2. Occorre, dunque, preliminarmente, sgombrare il capo dall’errore in cui e’ incorso il giudice di merito, il quale erra quando esclude la diffamazione sul presupposto che, poiche’ la persona offesa era venuta a conoscenza del contenuto della missiva, perche’ inclusa tra i destinatari della stessa, non possa ravvisarsi uno dei requisiti oggettivi del reato di cui all’articolo 595 c.p., ovvero l’assenza della persona offesa.
2.1. Giova ricordare che il bene giuridico tutelato dall’articolo 595 c.p. e’ l’onore di ciascuna persona, nel suo riflesso in termini di valutazione sociale (la reputazione, intesa quale patrimonio di stima, di fiducia, di credito accumulato dal singolo nella societa’ e, in particolare, nell’ambiente in cui quotidianamente vive e opera), e l’evento e’ costituito dalla comunicazione e dalla correlata percezione o percepibilita’, da parte di almeno due consociati, di un segno parola, disegno) lesivo, che sia diretto, non in astratto, ma concretamente, a incidere sulla reputazione di uno specifico cittadino (Sez. 5 n. 5654 del 19/10/2012; Sez. 5 n. 34178 del 10/02/2015, Rv. 264982). Si tratta di evento, non fisico, ma, psicologico, consistente nella percezione sensoriale e intellettiva, da parte di terzi, dell’espressione offensiva (Sez. 5 n. 47175 del 04/07/2013, Rv. 257704).
2.2. Al fine di segnare il discrimen tra le due fattispecie, deve rimarcarsi che l’elemento di distinzione fra i reati di ingiuria e di diffamazione e’ costituito dal fatto che, nell’ingiuria, la comunicazione (verbale o scritta) e’ rivolta all’offeso, la cui presenza, infatti, e’ elemento costitutivo del reato, anche nell’ipotesi aggravata di cui all’articolo 594 c.p., comma 4 mentre, la diffamazione e’ caratterizzata dalla comunicazione con persone diverse dall’offeso, il quale non e’ presente al compimento dell’atto lesivo della sua reputazione. (Sez. 5 n. 36095 del 03/10/2006, rv. 235483) e non e’ posto in condizioni di interloquire direttamente con l’offensore (Sez. 5 – n. 10313 del 17/01/2019 Rv. 276502).
Ed e’ proprio nell’assenza, che pone il soggetto passivo nella impossibilita’ di replicare immediatamente all’offesa, che si e’ ravvisata la ratio della maggiore gravita’ della diffamazione, rispetto all’ingiuria, mentre il concetto di “presenza” implica necessariamente la presenza fisica, in unita’ di tempo e di luogo, di offeso e spettatori o almeno una situazione ad essa sostanzialmente equiparabile, realizzata con l’ausilio dei moderni sistemi tecnologici (si pensi ad esempio alla call conference, all’audioconferenza o alla videoconferenza).
Chiarisce meglio la questione, quell’orientamento di questa Corte secondo cui, nei delitti contro l’onore, quando l’offesa sia arrecata a mezzo di uno scritto e sia indirizzata all’interessato e a terzi estranei, non si esclude il concorso tra le due fattispecie, nel caso in cui la concreta vicenda comprenda elementi costitutivi delle due distinte norme incriminatrici. Si e’ affermato, gia’ in una risalente pronuncia, che “nell’ipotesi di diffamazione a mezzo di lettera indirizzata a piu’ persone, concorre il reato di ingiuria, qualora la missiva venga inviata anche alla parte offesa” (Cass. 7 luglio 1983 n. 2498; conf. Cass. 4 febbraio 2002 n. 12160). In tale orientamento, l’argomentazione in ordine alla specificita’ degli elementi caratterizzanti i due reati (presenza o meno della persona offesa) sicche’ la diffamazione escluderebbe l’ingiuria – viene superata proprio nel caso in cui l’offesa e’ arrecata a mezzo di uno scritto, in virtu’ della equiparazione, operata dall’articolo 594 c.p., comma 2, della “presenza” della persona offesa alla “comunicazione” con scritto “diretto” (cioe’ “indirizzato”) alla stessa. Anche la diffamazione avviene con “comunicazione” che puo’ assumere forma orale (in presenza di terzi ed in assenza della p.o.) o scritta, purche’ rivolta a persone diverse dalla p.o. Se, pertanto, la comunicazione orale implica necessariamente presenza o assenza della persona offesa, sicche’ la diffamazione non puo’ coesistere – in tale caso – con l’ingiuria, e’ configurabile, invece, il concorso dei due reati proprio allorche’ l’offesa sia indirizzata al terzo estraneo e anche alla persona interessata, con altra modalita’ di comunicazione, diversa da quella orale. La circostanza che lo scritto offensivo venga “indirizzato” sia alla persona offesa che a terzi, realizza, infatti, una duplicita’ di azioni, coincidenti quanto all’offesa in se’, ma difformi nell’elemento caratterizzante, sicche’, deve parlarsi non di concorso formale bensi’, reale, sempre che lo scritto possa – quanto alla diffamazione – essere concretamente letto da piu’ di una persona estranea.
2.3. Fatta tale premessa, e in tal senso corretta, sotto il profilo giuridico, la sentenza impugnata, deve, tuttavia, escludersi che la condotta incriminata abbia prodotto un’offesa all’onore e alla reputazione. Sicche’ non e’ ravvisabile ne’ l’ingiuria ne’ la diffamazione.
Quella inoltrata dal ricorrente ai predetti destinatari, e’ una missiva con la quale sono state formulate legittime contestazioni all’operato di un organo della procedura fallimentare da parte di un creditore che si riteneva danneggiato dalle scelte dell’amministratore giudiziario; rimostranza formulata, peraltro, attraverso l’utilizzo di un linguaggio corretto e contenuto. L’espressione utilizzata dal ricorrente – ovvero che il pubblico ufficiale “sta mettendo in ginocchio degli imprenditori onesti e-sa aiutando degli imprenditori con un curriculum di tutto riguardo quanto a evasione fiscale e truffe”, – costituisce la piena, quanto congrua, enunciazione,della situazione di fatto dal punto di vista dell’esponente, che si intendeva riferire a soggetti posti in posizione sovraordinata, per giustificare la propria doglianza in ordine alle modalita’ con cui era stata compiuta l’attivita’ contestata, e rappresentare la lesione che, dal cosi’ censurato modus operandi, era derivata agli interessi patrimoniali delle aziende escluse dalla distribuzione dell’attivo fallimentare; ne’, dagli elementi acquisiti, era possibile escludere che quanto rappresentato nella comunicazione oggetto della imputazione rispondesse a verita’. (Sez. 5, n. 9634 del 13/01/2010, Rv. 246890) Sez. 5; Sez. 5 n. 27616 del 11/02/2019 Rv. 276771).
Deve, cioe’, affermarsi che non costituisce diffamazione la esposizione di una legittima doglianza rispetto ad una situazione ritenuta ingiustamente lesiva di diritti o prerogative, (mancata ammissione al passivo fallimentare), laddove si tratti, come nel caso di specie, di una del tutto consentita interlocuzione con soggetti istituzionali, coinvolti nell’ambito di un contesto naturalmente “conflittuale”, quale e’ quello proprio di una procedura fallimentare. In tale ambito, la missiva del soggetto che si vede sottratta la possibilita’ di far valere il proprio credito dinanzi agli organi del fallimento ha avuto il chiaro obiettivo, attraverso la rappresentazione della propria versione dei fatti, di sollecitare l’intervento delle autorita’ competenti per favorire l’ampliamento del novero dei soggetti ammessi a beneficiare della par condicio creditorum, nell’ottica della maggiore equita’ distributiva. Mentre le espressioni utilizzate, pur evidenziando le personali doglianze dell’esponente, non trasmodano in alcun modo in aggressioni gratuite della altrui reputazione, essendo, invece, esclusivamente preordinate al ripristino di una situazione ritenuta compromettente per i propri interessi economici (Sez. 5, n. 23579 del 17/02/2014 Rv. 260213).
Correttamente, dunque, il giudice gravato ha assolto l’imputato con formula pienamente liberatoria, stante l’insussistenza del fatto contestato, mancando l’offensivita’ della condotta.
3. Al rigetto del ricorso segue per legge la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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