In tema di diffamazione a mezzo stampa

Corte di Cassazione, sezione quinta penale, Sentenza 22 settembre 2020, n. 26509.

In tema di diffamazione a mezzo stampa, spetta al giudice di merito accertare la ricorrenza dell’eccezionale gravità della condotta diffamatoria attributiva di un fatto determinato, che, secondo un’interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata, sola giustifica l’applicazione della pena detentiva. (In motivazione la Corte ha precisato che assumono connotati di eccezionale gravità, dal punto di vista oggettivo e soggettivo, le condotte di diffamazione che implicano una istigazione alla violenza ovvero convogliano messaggi d’odio).

Sentenza 22 settembre 2020, n. 26509

Data udienza 9 luglio 2020

Tag – parola chiave: Diffamazione aggravata continuata a mezzo stampa – Responsabilità del direttore responsabile della testata – Insussistenza della scriminante del diritto di cronaca in caso di notizie non vere – Compatibilità con la CEDU della previsione di una pena detentiva – Annullamento con rinvio

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VESSICHELLI Maria – Presidente

Dott. ZAZA Carlo – Consigliere

Dott. PISTORELLI Luca – Consigliere

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – Consigliere

Dott. BORRELLI Paola – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 15/03/2019 della CORTE APPELLO di CATANZARO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere BORRELLI PAOLA;
lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale LOY MARIA FRANCESCA, che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilita’ dei ricorsi.

RITENUTO IN FATTO

1. La sentenza impugnata e’ stata emessa il 15 marzo 2019 dalla Corte di appello di Catanzaro, che ha confermato la decisione del Tribunale di Cosenza che aveva condannato (OMISSIS), direttore responsabile della testata “(OMISSIS)”, ad otto mesi di reclusione per diffamazione aggravata continuata a mezzo stampa ai danni:
– (capo A) di tre Ufficiali dei Carabinieri, il Colonnello (OMISSIS) – Comandante Provinciale di Cosenza- il Tenente Colonnello (OMISSIS) – Comandante del Reparto Operativo del Comando Provinciale di Cosenza – il maggiore (OMISSIS) – Comandante del Nucleo investigativo dell’anzidetto reparto Operativo;
– (Capo B) del Maresciallo (OMISSIS), in servizio presso il Nucleo Investigativo di cui sopra.
I reati sarebbero stati commessi in altrettanti articoli, pubblicati il (OMISSIS) sulla testata diretta da (OMISSIS), due dei quali senza firma e due firmati con un acronimo, riguardanti:
– il trasferimento, ricondotto alla volonta’ dei tre ufficiali/persone offese sopra menzionati, di alcuni sottufficiali dipendenti che, in occasione delle indagini relative alla cattura di un latitante, avevano segnalato la possibile complicita’ con quest’ultimo del loro collega (OMISSIS), – nonche’ la circostanza che i sottufficiali avessero le prove di detta complicita’, servita a rivelare al pericoloso latitante la presenza di microspie installate per catturarlo e che, nonostante ne avessero messo a parte i superiori, nulla era stato fatto e, anzi, detti superiori avevano omesso o ritardato le ulteriori informative di competenza.
2. Ricorre avverso detta sentenza l’imputato con due distinte impugnative a firma dei due difensori.
3. Il ricorso dell’Avv. (OMISSIS), si compone di due motivi.
3.1. Il primo motivo di ricorso deduce “errata imputazione e qualificazione giuridica del reato” perche’ l’imputato era stato condannato quale autore degli articoli, mentre si trattava solo del direttore della testata e gli scritti erano di un anonimo mai individuato; donde (OMISSIS) andava assolto per non aver commesso il fatto e gli atti trasmessi in Procura affinche’ si procedesse nei confronti degli autori degli articoli nonche’ nei riguardi del ricorrente per omesso controllo ex articolo 57 c.p.. A quest’ultimo proposito, nel ricorso si legge che in questa sede non e’ possibile ne’ una riqualificazione ne’ puo’ ritenersi che (OMISSIS) fosse stato chiamato a rispondere anche nella veste di direttore, perche’ la lettura del capo di imputazione evidenzia che l’imputato era stato tratto a giudizio come autore degli scritti.
3.2. Il secondo dei motivi di ricorso lamenta l’errata determinazione della pena per violazione dell’articolo 133 c.p., per avere inflitto una pena troppo severa in rapporto alla gravita’ di fatti, cioe’ la pena detentiva di otto mesi di reclusione e non quella pecuniaria, peraltro non condizionalmente sospesa. L’inflizione di una pena detentiva – assume il ricorrente – sarebbe in contrasto con l’articolo 10 CEDU.
4. Il ricorso sottoscritto dall’Avv. (OMISSIS), consta di un solo motivo, che denunzia violazione di legge e vizio di motivazione. Esordisce il ricorrente assumendo che la sentenza impugnata non avrebbe dato riscontro ai motivi di appello. La versione dei fatti delle persone offese valorizzata dal Giudice di prime cure era capziosa, non corrispondente alla realta’ e quantomeno imprecisa. A dispetto di quanto dichiarato dalle persone offese, la deposizione (di cui vengono riportati stralci) dei Marescialli (OMISSIS) e (OMISSIS) due di quelli coinvolti nel trasferimento oggetto nell’articolo – aveva chiarito che le indagini per la cattura del latitante (OMISSIS) loro affidate avevano fatto registrare grandi progressi. A dispetto di cio’, nell’aprile 2011, il tenente Colonnello (OMISSIS), in maniera del tutto autonoma, aveva istituito un altro gruppo di indagine, con a capo il Maresciallo (OMISSIS). Il nome di quest’ultimo era pero’ stato captato in una conversazione del (OMISSIS) e cio’ avrebbe reso necessario attuare un’indagine interna al Comando Provinciale al fine di comprendere se (OMISSIS) fosse coinvolto nella scoperta delle microspie a casa della compagna del latitante che intanto si era registrata. Tale inchiesta non era stata avviata e della vicenda (OMISSIS) non era stato informato il pubblico ministero della D.D.A. che si occupava delle indagini ma, anzi, il gruppo investigativo che era sulle tracce di (OMISSIS) era stato smantellato; cio’ era accaduto dopo che il Luogotenente (OMISSIS), il Maresciallo (OMISSIS), il Maresciallo (OMISSIS) e l’Appuntato (OMISSIS) avevano redatto un’annotazione diretta al pubblico ministero onde spiegare le ragioni del distacco delle apparecchiature intercettive. Le ragioni di opportunita’ che (OMISSIS) aveva indicato come alla base del trasferimento non erano credibili, sia quanto alla pochezza dei risultati investigativi della squadra, che alla carenza di organico che detto trasferimento sarebbe servito a fronteggiare. I trasferimenti erano provvisori, sostanzialmente declassanti e le testimonianze dei Marescialli (OMISSIS) e (OMISSIS) ponevano in luce come le presunte esigenze di servizio che li giustificavano fossero fittizie. I militari erano stati altresi’ oggetto di una sanzione disciplinare per avere interessato un avvocato allo scopo di tutelare i propri diritti ed agli stessi era stata anche sottratta, dopo i trasferimenti, l’indagine sulla morte del calciatore (OMISSIS).
Da tutte queste considerazioni il ricorrente fa discendere che era stato rispettato il requisito della verita’ della notizia, mentre l’utilizzo di un linguaggio forte era tipico del giornalismo d’inchiesta.
5. Il Procuratore generale, nelle sue conclusioni scritte Decreto Legge 17 marzo 2020, n. 18, ex articolo 83, comma 12-ter, conv. con modifiche con L. 24 aprile 2020, n. 27, ha osservato che il ricorso dell’Avv. (OMISSIS) e’ inammissibile siccome versato in fatto e che il ricorso dell’Avv. (OMISSIS) e’ manifestamente infondato perche’ la giurisprudenza di questa Corte reputa la responsabilita’ concorsale del direttore quando risulti dimostrato che vi sia la sua consapevole adesione al contenuto dello scritto, come nel caso di specie.
6. Il 26 giugno 2020, l’Avv. (OMISSIS) ha replicato alle conclusioni del Procuratore generale, osservando che nulla la parte pubblica aveva affermato quanto alla questione della pena detentiva applicata: A questo riguardo, la parte richiama la sentenza della Corte EDU Sallusti contro Italia ed invoca, in primo luogo, la prescrizione del reato, in subordine la rimessione degli atti alla Procura di Cosenza per il diverso reato ex articolo 57 c.p., e, in ulteriore subordine, la rideterminazione della pena da detentiva a pecuniaria.
7. I difensori delle parti civili Avv.ti (OMISSIS) (per (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)) e (OMISSIS) (per (OMISSIS)) hanno depositato il 9 luglio 2020, conclusioni scritte e nota spese.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso dell’Avv. (OMISSIS) e’ fondato quanto al trattamento sanzionatorio, mentre l’altro motivo e’ inammissibile, cosi’ come e’ inammissibile il ricorso a firma dell’Avv. (OMISSIS).
1. Il primo motivo di ricorso dell’Avv. (OMISSIS) – dove si legge che l’imputato era stato erroneamente condannato quale autore degli articoli, mentre si trattava solo del direttore della testata, che, quindi, avrebbe dovuto essere assolto per non aver commesso il fatto – e’ inammissibile per due concorrenti ragioni.
1.1. In primo luogo, la doglianza e’ manifestamente infondata perche’ muove da un presupposto errato, vale a dire che (OMISSIS) fosse stato condannato come autore degli articoli mentre, secondo quanto si evince dalla descrizione in fatto presente nei capi di imputazione e dalla sentenza di primo grado (pag. 11), l’imputato era stato tratto a giudizio e poi condannato non gia’ quale autore degli scritti, ma come direttore responsabile della testata su cui detti articoli erano stati pubblicati.
1.2. Va poi anche segnalato che, a ben vedere, cio’ che nel ricorso si contesta – sul presupposto che la condanna sia intervenuta erroneamente reputando che (OMISSIS) fosse l’autore degli scritti – e’ la riferibilita’ soggettiva della materiale redazione degli articoli all’imputato (tanto che il ricorrente si duole della mancata assoluzione per non aver commesso il fatto). Ebbene, se questa e’ la censura al vaglio di questa Corte, allora non si puo’ che concludere nel senso che, quand’anche il ricorrente fosse stato condannato come autore degli articoli, il ricorso sarebbe comunque inammissibile, giacche’ la questione della riferibilita’ soggettiva del fatto materiale imputatogli non era stata oggetto dell’appello. Non possono essere dedotte con il ricorso per cassazione, infatti, questioni sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunciare siccome non devolute alla sua cognizione, tranne che si tratti di questioni rilevabili di ufficio in ogni stato e grado del giudizio o che non sarebbe stato possibile dedurre in precedenza (cfr. l’articolo 606 c.p.p., comma 3, quanto alla violazione di legge; si vedano, con specifico riferimento al vizio di motivazione, Sez. 2, n. 29707 del 08/03/2017, Galdi, Rv. 270316; Sez. 2, n. 13826 del 17/02/2017, Bolognese, Rv. 269745; Sez. 2, n. 22362 del 19/04/2013, Di Domenica).
2. E’ inammissibile, altresi’, il motivo – unico – di ricorso a firma dell’Avv. (OMISSIS), siccome completamente versato in fatto ed aspecifico.
Il Collegio precisa che la sentenza impugnata, letta in uno a quella di primo grado, ha dato conto di avere escluso la sussistenza della scriminante dell’esercizio del diritto di cronaca sulla scorta della mancanza del requisito della verita’ della notizia, che era stato travalicato laddove, accanto a notizie vere (cfr. sentenza di primo grado pag. 9), vi era anche il resoconto di accadimenti falsi, frutto di ipotesi e congetture non suffragate da alcuna fonte attendibile. Si tratta della circostanza che il Capitano (OMISSIS) e il Colonnello (OMISSIS) avessero confermato i sospetti su (OMISSIS) a seguito dell’ascolto dell’intercettazione in cui quest’ultimo pareva essere stato chiamato in causa dai familiari del latitante; dell’esistenza, nell’ambito di una “storia squallida”, di “omissioni”, “abusi”, “intrallazzi”, “accordi sottobanco”; della soggezione dei quattro carabinieri ad “altri poteri” e della loro attivita’ tesa a screditare i loro fedeli sottoposti. Situazioni e comportamenti – secondo quanto si legge nelle conformi sentenze di merito – non emersi dall’istruttoria dibattimentale, che pure aveva visto l’audizione sia delle persone offese che di tre dei carabinieri in tesi danneggiati dall’operato di queste ultime.
2.1. Ebbene, di fronte a tale costrutto in fatto, il ricorso, in primo luogo, pretenderebbe da questa Corte un nuovo scrutinio di merito circa gli accadimenti interni al Comando Provinciale dei Carabinieri di Cosenza, onde riconsiderare la verita’ della notizia, limitandosi a riproporre, pressoche’ testualmente, l’atto di appello. Il ricorrente, cosi’ facendo, trascura pero’ che questa Corte non puo’ rivalutare i fatti storici accertati nel corso dei gradi di merito e restituiti con congrua motivazione. Come autorevolmente sancito da Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone e altri, Rv. 207944, infatti, l’indagine di legittimita’ sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato – per espressa volonta’ del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilita’ di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si e’ avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione e’, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimita’ la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente piu’ adeguata, valutazione delle risultanze processuali (ex multis, anche Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv. 226074; Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260).
2.2. In secondo luogo, l’impugnativa in esame manca di confrontarsi con le argomentazioni offerte dai Giudici di merito, perseguendo un proprio iter ricostruttivo che omette, tuttavia, di evidenziare falle argomentative nella sentenza impugnata. Questa impostazione pregiudica ulteriormente l’ammissibilita’ del ricorso: va ricordato, a questo riguardo, come Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtelli, Rv. 268823, abbia ribadito un concetto gia’ accreditato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui i motivi di ricorso per cassazione sono inammissibili non solo quando risultino intrinsecamente indeterminati, ma altresi’ quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato.
3. Come anticipato, e’ fondato, invece, il secondo motivo del ricorso a firma dell’Avv. (OMISSIS), quello concernente il trattamento sanzionatorio, con particolare riferimento all’irrogazione all’imputato della pena detentiva.
3.1. A questo proposito, appare opportuno rievocare – quale autorevole riferimento per un approccio costituzionalmente e convenzionalmente orientato sul tema – la recentissima ordinanza n. 132 del 2020 (pronunziata a seguito della camera di consiglio del 9 giugno 2020 e depositata il successivo giorno 26) della Corte Costituzionale; la Consulta – investita dai Tribunali di Salerno e Bari di analoghe questioni di costituzionalita’ dell’articolo 595 c.p., comma 3 e la L. 8 febbraio 1948, n. 47, articolo 13, con riferimento alla previsione, alternativa o cumulativa, della pena detentiva accanto a quella pecuniaria per la diffamazione aggravata a mezzo stampa consistente nell’attribuzione di un fatto determinato – ha rinviato la decisione al 22 giugno 2021, spiegando che il rinvio si e’ imposto – nell’ottica di una leale collaborazione istituzionale – in attesa dell’evoluzione dei progetti di legge dedicati alla revisione della disciplina della diffamazione a mezzo della stampa, che risultano allo stato in corso di esame avanti alle Camere.
Ebbene, a prescindere dalla natura interlocutoria del provvedimento, la Consulta ha tuttavia fornito, in primo luogo, alcune direttrici ermeneutiche utili all’inquadramento dei limiti della compatibilita’ convenzionale della previsione, per la diffamazione a mezzo stampa, anche della pena detentiva, nell’ottica del rispetto dell’articolo 117 Cost., comma 1, in relazione all’articolo 10 della CEDU, norme intorno alle quali – pur con leggere differenze di impostazione – vertono prevalentemente i dubbi di costituzionalita’ dei Giudici rimettenti (il Tribunale Di Salerno dubita anche della compatibilita’ con gli articoli 3, 21, 25 e 27 Cost.).
La Consulta ha preso le mosse dalla rievocazione della sentenza della Grande Camera della Corte di Strasburgo del 17 dicembre 2004 Cumpn e Mazre contro Romania, concernente il ricorso di due giornalisti, condannati per diffamazione in quanto autori di un articolo nel quale accusavano di corruzione un Giudice. Nell’occasione, la Corte EDU, pur riconoscendo la legittimita’ dell’affermazione di responsabilita’ penale degli imputati (i fatti erano stati distorti ed erano privi di adeguati riscontri), ritenne tuttavia che l’irrogazione nei loro confronti di una pena di sette mesi di reclusione non sospesa (ancorche’ in concreto non eseguita per effetto di un provvedimento di grazia presidenziale) costituisse un’interferenza sproporzionata con il loro diritto alla liberta’ di espressione, tutelata dal paragrafo 1 dell’articolo 10 CEDU. Il doveroso controllo, da parte degli Stati, sull’esercizio della liberta’ di espressione in modo da assicurare per legge un’adeguata tutela della reputazione delle persone- sostennero i Giudici di Strasburgo – non puo’ avvenire in una maniera tale da dissuadere indebitamente i media dallo svolgimento del loro ruolo di segnalare all’opinione pubblica casi apparenti o supposti di abuso dei pubblici poteri, dissuasione che puo’ discendere dallo spettro di una sanzione detentiva, il che puo’ riverberarsi sul giudizio di proporzionalita’, e dunque di legittimita’ alla luce della Convenzione, di tali sanzioni. Nell’occasione, la Corte – come pure ricorda la Consulta – concluse che “l’imposizione di una pena detentiva per un reato a mezzo stampa e’ compatibile con la liberta’ di espressione dei giornalisti, garantita dall’articolo 10 della Convenzione, soltanto in circostanze eccezionali, segnatamente quando altri diritti fondamentali siano stati seriamente offesi, come ad esempio nel caso di diffusione di discorsi d’odio (hate speech) o di istigazione alla violenza”.
Detti principi, come pure ha avuto cura di ricordare la Corte Costituzionale, sono stati poi costantemente ribaditi dalla Corte EDU nella propria successiva giurisprudenza, ivi comprese le sentenze 24 settembre 2013, Belpietro contro Italia e 7 marzo 2019, Sallusti contro Italia. In tali ultime pronunce, i Giudici di Strasburgo, da un lato, hanno ritenuto legittima l’affermazione di responsabilita’ penale in capo ai ricorrenti da parte dei giudici italiani, stante la non veridicita’ e la gravita’ degli addebiti rivolti alle persone offese, in assenza dei doverosi controlli da parte del giornalista (ovvero del direttore responsabile); ma, dall’altro lato, hanno reputato sproporzionata l’inflizione nei loro confronti di una pena detentiva, ancorche’ condizionalmente sospesa ovvero cancellata da un provvedimento di grazia del Presidente della Repubblica.
La Consulta ha, inoltre, ricordato che numerosi documenti degli organi politici del Consiglio d’Europa raccomandano agli Stati membri di rinunciare alle sanzioni detentive per il delitto di diffamazione, allo scopo di tutelare piu’ efficacemente la liberta’ di espressione dei giornalisti e, correlativamente, il diritto dei cittadini a essere informati.
Non e’, tuttavia, solo il quadro convenzionale che va riguardato: la Corte ha ricordato come il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero, garantito dall’articolo 21 Cost., sia “coessenziale al regime di liberta’ garantito dalla Costituzione” (sentenza n. 11 del 1968), “pietra angolare dell’ordine democratico” (sentenza n. 84 del 1969), “cardine di democrazia nell’ordinamento generale” (sentenza n. 126 del 1985 e, di recente, sentenza n. 206 del 2019)”. Ed e’ nell’ambito di tale diritto che si iscrive la liberta’ di stampa, quale irrinunciabile presidio per l’attuazione di un sistema democratico, che garantisce, da un lato, la liberta’ di espressione del giornalista e, dall’altro, il diritto all’informazione dei cittadini, assicurato dal pluralismo delle fonti informative.
Se quella tracciata e’ la direttrice concettuale che impone di tutelare la liberta’ di stampa dai condizionamenti che possano derivare dal rischio della detenzione, la Consulta, con precisi riferimenti giurisprudenziali, ha anche rimarcato che tale impostazione non puo’ pero’ tralasciare l’esigenza di garantire la reputazione della persona, che costituisce al tempo stesso un diritto inviolabile ai sensi dell’articolo 2 Cost., una componente essenziale del diritto alla vita privata di cui all’articolo 8 CEDU, nonche’ un diritto espressamente riconosciuto dall’articolo 17 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici. Ne’ puo’ essere trascurata -si legge altresi’ nell’ordinanza della Corte – la necessita’ di salvaguardare la dignita’ della persona, lesa dalla divulgazione di notizie false o attinenti esclusivamente alla propria vita privata.
Il cuore del problema e’, dunque, quello di trovare il punto di equilibrio tra la liberta’ di stampa, da un lato, e la tutela della reputazione individuale, dall’altro. Soluzione alla quale la legislazione attuale – con la previsione in via alternativa o cumulativa, della pena detentiva – e l’esegesi di legittimita’ sul punto (con il ricorso ai criteri dell’interesse pubblico alla conoscenza della notizia, della verita’ di essa o dell’assenza di colpa nel controllo delle fonti e della continenza formale) non forniscono piu’ – a giudizio della Corte – una risposta adeguata.
Cio’ con particolare riferimento al fatto che la giurisprudenza della Corte EDU, al di fuori di ipotesi eccezionali, considera sproporzionata l’applicazione di pene detentive, ancorche’ sospese o in concreto non eseguite, nei confronti di giornalisti che abbiano pur illegittimamente offeso la reputazione altrui.
Conclude, pertanto la Corte, sostenendo che “Si impone, pertanto, una rimodulazione del bilanciamento sotteso alla disciplina in questa sede censurata, in modo da coniugare le esigenze di garanzia della liberta’ giornalistica, nel senso ora precisato, con le altrettanto pressanti ragioni di tutela effettiva della reputazione individuale delle vittime di eventuali abusi di quella liberta’ da parte dei giornalisti”. Cio’ a maggior ragione in quanto le vittime “sono oggi esposte a rischi ancora maggiori che nel passato. Basti pensare, in proposito, agli effetti di rapidissima e duratura amplificazione degli addebiti diffamatori determinata dai social networks e dai motori di ricerca in internet, il cui carattere lesivo per la vittima – in termini di sofferenza psicologica e di concreti pregiudizi alla propria vita privata, familiare, sociale, professionale, politica – e per tutte le persone a essa affettivamente legate risulta grandemente potenziato rispetto a quanto accadeva anche solo in un recente passato”.
Il compito di individuare complessive strategie sanzionatorie che raggiungano l’indicato punto di equilibrio tra esigenze contrapposte e’, prima di tutto) del legislatore; in questo quadro, la Consulta auspica la previsione di sanzioni penali non detentive, di rimedi civilistici e in generale riparatori adeguati (come, in primis, l’obbligo di rettifica) e di efficaci misure di carattere disciplinare. Quanto al ricorso alla pena detentiva, l’auspicio ne contempla l’utilizzo solo per quelle “condotte che, tenuto conto del contesto nazionale, assumano connotati di eccezionale gravita’ dal punto di vista oggettivo e soggettivo, fra le quali si iscrivono segnatamente quelle in cui la diffamazione implichi una istigazione alla violenza ovvero convogli messaggi d’odio”.
3.2. Ebbene, al di la’ della “leale collaborazione istituzionale” con il Parlamento nell’ambito della quale si colloca la pronunzia interlocutoria in discorso, e’ evidente che essa fornisce una traccia esegetica di grande rilievo, che non puo’ essere trascurata nell’ottica di una lettura costituzionalmente e convenzionalmente orientata del tema del trattamento sanzionatorio agitato dal ricorrente. Secondo la direttrice segnata dal quadro normativo e da quello giurisprudenziale evocato dalla Consulta ed in attesa delle determinazioni del legislatore e di quelle, eventuali, della Consulta stessa, allo stato la scelta di applicare la pena detentiva non puo’ che passare per la valutazione della portata delle condotte diffamatorie addebitate all’imputato; cio’ allo scopo di apprezzarne – o meno – l'”eccezionale gravita’” cosi’ come delineata dai precedenti sopra riportati, in presenza della quale sarebbe consentita l’applicazione della pena detentiva.
Se questa e’ la valutazione a farsi, e’ evidente che si tratta di una decisione che, implicando giudizi concernenti il merito della regiudicanda, spetta al Giudice di merito, il quale dovra’ decidere se la meritevolezza della pena detentiva, peraltro non condizionalmente sospesa, discenda dall’inquadramento delle notizie divulgate dagli articoli pubblicati e reputate diffamatorie nell’ambito di quelle di particolare gravita’ per cui potrebbe ancora trovare applicazione la reclusione.
In caso contrario, eventualmente esercitando i poteri di ufficio ex articolo 597 c.p.p., u.c., il Giudice del rinvio dovra’ rimodulare il trattamento sanzionatorio.
4. Il governo delle spese sostenute nel grado dalle parti civili e’ rinviato alla definizione del giudizio.

P.Q.M.

annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Catanzaro. Spese delle pc al definitivo.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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