Demansionamento e di dequalificazione professionale

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|18 maggio 2021| n. 13536.

In tema di demansionamento e di dequalificazione professionale, il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale non ricorre automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale e non può prescindere da una specifica allegazione sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio lamentato. Infatti, va distinto il momento della violazione degli obblighi contrattuali da quello relativo alla produzione del danno da inadempimento, essendo quest’ultimo eventuale, in quanto il danno non è sempre diretta conseguenza della violazione di un dovere.

Ordinanza|18 maggio 2021| n. 13536

Data udienza 5 febbraio 2020

Integrale

Tag/parola chiave: Demansionamento e di dequalificazione professionale – Inquadramento del lavoratore – Demansionamento – Risarcimento del danno – Onere di specifica allegazione a carico del lavoratore – Mancato assolvimento – Rigetto

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere

Dott. LEO Giuseppina – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 2801-2017 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 8232/2015 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 19/01/2016, R.G.N. 1241/2011.

Demansionamento e di dequalificazione professionale

RILEVATO

che, con sentenza resa il 15.12.2010, il Tribunale di Napoli, accogliendo il ricorso proposto da (OMISSIS), nei confronti di (OMISSIS) S.p.A., ha riconosciuto il diritto del dipendente all’inquadramento nel IV livello CCNL SIP con decorrenza dall’1.11.1993, ed al livello F, qualifica di specialista, ai sensi del CCNL Aziende di Telecomunicazioni, dall’1.10.1996, e, per l’effetto, ha condannato la societa’ datrice al pagamento delle relative differenze retributive, nonche’ al risarcimento dei danni, in favore del (OMISSIS), per il demansionamento dallo stesso subito, nella misura del 50% della retribuzione;
che, con sentenza pubblicata in data 19.1.2016, la Corte di Appello di Napoli, in parziale accoglimento del gravame interposto da (OMISSIS) S.p.A., avverso la predetta pronunzia, ha dichiarato il diritto del (OMISSIS) ad essere inquadrato nel livello 5 del CCNL SIP del 30.6.1992 con decorrenza dal 6.11.1993 e, successivamente, nel livello E del CCNL Aziende del Settore Telecomunicazioni del 9.9.1996, ed ha condannato la societa’ al pagamento delle differenze retributive relative al superiore inquadramento con decorrenza dal 6.11.1998, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali sulle somme annualmente rivalutate;
che e’ stato, invece, respinto, l’appello incidentale interposto dal dipendente – inerente alla liquidazione dell’importo del 50% riconosciuto a titolo di risarcimento danni sulla somma di Euro 980,00, anziche’ sulla somma di Euro 1.400,00 -, “in considerazione della riforma della sentenza di primo grado in merito al risarcimento danni, con rigetto della relativa domanda presentata dal (OMISSIS)”;
che la Corte di merito, per quanto ancora di interesse in questa sede, ha sottolineato che “l’esistenza e l’entita’ del danno non sono stati adeguatamente allegati e provati incombendo, comunque, sul lavoratore il relativo onere probatorio anche attraverso il ricorso alle presunzioni (Sez. Unite 24/3/2006, n. 6572). Il lavoratore appellato, infatti, nel ricorso introduttivo del giudizio, si e’ limitato a sottolineare l’entita’ dell’avvenuto demansionamento evidenziando che cio’ costituiva “di per se’ un danno che va valutato in via equitativa, avendo anche riguardo agli influssi negativi che possono compromettere la capacita’ psico-fisica” o la possibilita’ di trovare un nuovo impiego presso altre aziende. Tali allegazioni sono, a giudizio del Collegio, generiche ed insufficienti (cfr. Cass. n. 29832/2008; Cass. n. 6572/2006)”; ed altresi’ che “non risultano dedotti e dimostrati dal lavoratore ne’ particolari pregiudizi alla salute patiti in seguito al mutamento di mansioni, ne’ danni all’immagine professionale nell’ambiente lavorativo, ne’ ripercussioni in ambito familiare o extralavorativo, ne’ infine determinati e specifici danni economici correlati al mancato avanzamento professionale non tutelabili attraverso la disposta ricostruzione della carriera e la condanna della societa’ al pagamento delle differenze retributive spettanti”;
che per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso (OMISSIS) articolando due motivi;
che la S.p.A. (OMISSIS) ha resistito con controricorso ed ha comunicato memorie;
che il P.G. non ha formulato richieste.

Demansionamento e di dequalificazione professionale

CONSIDERATO

che, con il ricorso, si censura: 1) in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli articoli 2103 e 2697 c.c., e si specifica che il motivo “riguarda la sola domanda di risarcimento del danno professionale respinta dal Collegio partenopeo sul presupposto di una carente allegazione in fatto che potesse fornire elementi di prova, anche presuntiva, del danno conseguente all’accertata dequalificazione subita dal (OMISSIS)”; a parere di quest’ultimo, la Corte distrettuale sarebbe “incorsa in errore, atteso che il ricorrente ha puntualmente argomentato in ordine alla prova, anche presuntiva, del danno professionale sofferto in conseguenza dell’accertata dequalificazione” ed al riguardo “ha dedotto che la prova risiedesse: nella durata della condotta; nell’evoluzione del settore delle telecomunicazioni che rende ancor piu’ evidente l’obsolescenza della professionalita’ in caso di dequalificazione; nell’anzianita’ di servizio certo parametro per valutarne la professionalita’ acquisita; nella perdita del potere di coordinamento di altro personale; nella gravita’”; 2) in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli articoli 2103 c.c. e 2697 c.c., in relazione all’appello incidentale proposto dal dipendente nel giudizio dinanzi alla Corte di Appello di Napoli, e si osserva che, nel caso in cui la sentenza impugnata fosse cassata, con rinvio o con decisione nel merito, verra’ coinvolta anche una parte dell’appello incidentale proposto dal (OMISSIS) e respinto in conseguenza del rigetto della domanda risarcitoria; pertanto, “l’accoglimento del ricorso de quo sul diritto del lavoratore a vedersi risarcito il danno professionale coinvolgera’, riformandola, anche la parte della sentenza che ha respinto la domanda avanzata con appello incidentale sulla corretta determinazione della base di calcolo della retribuzione mensile per il calcolo del risarcimento”;
che il primo motivo non e’ fondato; ed invero, per quanto attiene al pregiudizio alla professionalita’ derivato al lavoratore a seguito del demansionamento subito, i giudici di seconda istanza sono pervenuti alla decisione, uniformandosi ai consolidati arresti giurisprudenziali di questa Corte, alla stregua dei quali, in tema di demansionamento e di dequalificazione professionale, il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale non ricorre automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale e non puo’ prescindere da una specifica allegazione sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio lamentato (cfr., ex plurimis, Cass. nn. 4264/2017; 5237/2011). Pacificamente, infatti, va distinto il momento della violazione degli obblighi contrattuali da quello relativo alla produzione del danno da inadempimento, essendo quest’ultimo eventuale, in quanto il danno non e’ sempre diretta conseguenza della violazione di un dovere. In base ai principi generali dettati dagli articoli 2697 e 1223 c.c., e’ necessario individuare, quindi, un effetto della violazione incidente su di un determinato bene perche’ possa configurarsi un danno e possa poi procedersi alla liquidazione (eventualmente anche in via equitativa) del danno stesso. Al riguardo, il Giudice delle leggi ha chiarito, gia’ da epoca non recente (v. sent. n. 372/1994), che neppure il danno biologico e’ presunto, perche’ se la prova della lesione costituisce anche la prova dell’esistenza del danno, occorre tuttavia la prova ulteriore dell’esistenza dell’entita’ del danno, ossia la dimostrazione che la lesione ha prodotto una perdita di tipo analogo a quello indicato dall’articolo 1223 c.c., costituita dalla diminuzione o privazione di un valore personale (non patrimoniale) alla quale il risarcimento deve essere commisurato. Nello stesso senso, questa Corte ha sottolineato che le allegazioni che devono accompagnare la proposizione di una domanda risarcitoria non possono essere limitate alla prospettazione di una condotta datoriale colpevole, produttiva di danni nella sfera giuridica del lavoratore, ma devono includere anche la descrizione delle lesioni, patrimoniali e non patrimoniali, prodotte da tale condotta, dovendo il ricorrente mettere la controparte in condizione di conoscere quali pregiudizi vengono imputati al suo comportamento, a prescindere dalla loro esatta quantificazione e dall’assolvimento di ogni onere probatorio al riguardo (v., ex multis, Cass. nn. 5590/2016; 691/2012). Grava, quindi, sul lavoratore l’onere di provare l’esistenza del danno lamentato, la natura e le caratteristiche del pregiudizio subito, nonche’ il relativo nesso causale con l’inadempimento del datore di lavoro (cfr., tra le altre, Cass. nn. 2886/2014; 11527/2013; 14158/2011; 29832/2008);
che, facendo corretta applicazione dei principi enunciati, i giudici di appello hanno motivatamente respinto le pretese del lavoratore, ritenendo correttamente che quest’ultimo, al fine della liquidazione del danno professionale, si fosse limitato a fornire la prova della dequalificazione, ma non avesse fornito adeguati elementi delibatori a sostegno del lamentato pregiudizio professionale che, da quella dequalificazione, era causalmente derivato (v., in particolare, le pagg. 13 e 14 della sentenza impugnata, in cui si osserva che le allegazioni del (OMISSIS) sono generiche ed insufficienti, poiche’ “il lavoratore, nel ricorso introduttivo del giudizio si e’ limitato a sottolineare l’entita’ dell’avvenuto demansionamento evidenziando che cio’ costituiva “di per se’ un danno che va valutato in via equitativa, avendo anche riguardo agli influssi negativi che possono compromettere la capacita’ psico-fisica””);
che il secondo motivo va, conseguentemente, disatteso, in quanto direttamente collegato all’accoglimento del primo mezzo di impugnazione (ed al rigetto dell’appello incidentale interposto dal (OMISSIS) alla sentenza del primo giudice, in ordine all’importo della liquidazione del danno); e’ ovvio, quindi, che, una volta respinte le censure circa il mancato riconoscimento del danno professionale, non possono prendersi in considerazione le doglianze relative alla determinazione del quantum dello stesso; che per tutte le considerazioni svolte in precedenza, il ricorso va rigettato;

Demansionamento e di dequalificazione professionale

che le spese del giudizio di legittimita’, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza;
che, avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso, sussistono i presupposti processuali di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, secondo quanto specificato in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’, liquidate in Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis ove dovuto.

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In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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