In tema di delitto di minaccia

Corte di Cassazione, sezione quinta penale, Sentenza 7 settembre 2020, n. 25222.

In tema di delitto di minaccia, non può considerarsi legittimamente contestata in fatto e ritenuta in sentenza la fattispecie aggravata di cui all’art. 612, comma secondo, cod. pen., qualora nell’imputazione non sia esposta la natura grave della minaccia, o direttamente, o mediante l’impiego di formule equivalenti, ovvero attraverso l’indicazione della relativa norma. (Fattispecie relativa ad una minaccia di morte, in cui la Corte ha ritenuto che, in assenza di precisa indicazione nella contestazione dell’aggravante, che include componenti valutative, la gravità della minaccia non potesse essere desunta in via automatica dalle parole rivolte alla persona offesa).

Sentenza 7 settembre 2020, n. 25222

Data udienza 14 luglio 2020

Tag – parola chiave: Minaccia – Lesioni personali – Minaccia semplice – Competenza del Giudice di pace – Deve essere dichiarata in ogni stato e grado del processo ex art. 48 dlgs 274/2000 – prescrizione – Sospensione – Pandemia – Stato di necessità

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE GREGORIO Eduardo – Presidente

Dott. GUARDIANO Alfredo – Consigliere

Dott. CAPUTO Angelo – rel. Consigliere

Dott. TUDINO Alessandrina – Consigliere

Dott. RICCARDI Giuseppe – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 26/03/2019 della CORTE APPELLO di PALERMO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. ANGELO CAPUTO.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza deliberata il 26/03/2019, la Corte di appello di Palermo ha confermato la sentenza del 07/07/2017 con la quale il Tribunale di Palermo, per quanto e’ qui di interesse, aveva dichiarato (OMISSIS) responsabile dei reati di minaccia (capo A) e lesioni personali (fratture delle ossa nasali giudicate guaribili in 25 giorni: capo C) in danno di (OMISSIS) (fatti commessi il 03/11/2011), e, con la continuazione, lo aveva condannato alla pena di mesi 8 di reclusione e al risarcimento dei danni in favore della parte civile.
2. Avverso l’indicata sentenza della Corte di appello di Palermo ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS), attraverso il difensore avv. (OMISSIS), articolando quattro motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1.
Il primo motivo denuncia inosservanza del Decreto Legislativo 28 agosto 2000, n. 274, articolo 48: erroneamente la Corte di appello ha ritenuto la circostanza aggravante di cui al comma 2 dell’articolo 612 c.p., mai contestata, sicche’ doveva essere dichiarata la competenza del giudice di pace, con trasmissione degli atti al pubblico ministero.
Il secondo motivo denuncia vizi di motivazione in ordine all’elemento oggettivo del reato di minaccia.
Il terzo motivo denuncia inosservanza dell’articolo 157 c.p., essendo decorso il termine di prescrizione del reato.
Il quarto motivo denuncia inosservanza dell’articolo 62-bis c.p. in relazione alla conferma del diniego dell’applicazione delle circostanze attenuanti generiche.
3. Con requisitoria scritta a norma del Decreto Legge 17 marzo 2020, n. 18, articolo 83, comma 12-ter, convertito, con modificazioni, dalla L. 24 aprile 2020, n. 27, il Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte di cassazione Dr. Giulio Romano ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso deve essere accolto limitatamente all’imputazione di minaccia e rigettato nel resto.
1.1. In limine, mette conto osservare che il Decreto Legge n. 18 del 2020, articolo 83, comma 12-ter, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 27 del 2020 prevede una disciplina temporanea ad hoc per il giudizio di legittimita’ e, segnatamente, per i procedimenti da trattare in udienza pubblica ovvero in udienza camerale partecipata ex articolo 127 c.p.p.. Il termine finale, originariamente individuato nel 30 giugno 2020, e’ stato differito al 31 luglio 2020 dal Decreto Legge 30 aprile 2020, n. 28, articolo 3, comma 1, lettera i): disposizione, questa, non convertita dalla legge di conversione 25 giugno 2020, n. 70, che, tuttavia, all’articolo 1, comma 2, prevede la perdurante validita’ degli atti e dei provvedimenti adottati e la salvezza degli effetti prodottisi e dei rapporti sorti sulla base della disposizione di cui al citato articolo 3, comma 1, lettera i). Con riferimento al ricorso in esame, poiche’, come confermato dalla data (04/06/2020) degli avvisi relativi alla fissazione – dopo il rinvio d’ufficio dall’udienza del 24/04/2020 stabilito ex lege per la “prima fase” – per l’odierna udienza e dal contenuto degli avvisi stessi (che richiama l’articolo 83, comma 12-ter, cit.), il rapporto processuale si e’ instaurato nella vigenza della disciplina anteriore alla mancata conversione dell’articolo 3, comma 1, lettera i), cit., deve ritenersi che la norma di conservazione e di salvezza di cui alla L. n. 70 del 2020, articolo 1, comma 2, renda applicabile la disciplina anteriore alla legge di conversione anche ai procedimenti da trattare nel mese di luglio 2020 e, dunque, anche al presente procedimento.
2. Il primo motivo e’ fondato. Nel rigettare la corrispondente eccezione, la Corte di appello ha osservato che, nonostante la mancata specifica indicazione nell’imputazione dell’aggravante di cui all’articolo 612 c.p., comma 2, la minaccia profferita ai danni della persona offesa deve essere qualificata come grave, essendosi concretizzata in una minaccia di morte. La decisione sul punto della Corte distrettuale e’ errata. Sez. U, n. 24906 del 18/04/2019, Sorge, Rv. 275436, ha delineato i limiti in cui una circostanza aggravante puo’ legittimamente dirsi contestata in fatto, sottolineando che “e’ evidente come la contestazione in fatto non dia luogo a particolari problematiche di ammissibilita’ per le circostanze aggravanti le cui fattispecie, secondo la previsione normativa, si esauriscono in comportamenti descritti nella loro materialita’, ovvero riferiti a mezzi o oggetti determinati nelle loro caratteristiche oggettive. In questi casi, invero, l’indicazione di tali fatti materiali e’ idonea a riportare nell’imputazione la fattispecie aggravatrice in tutti i suoi elementi costitutivi, rendendo possibile l’adeguato esercizio dei diritti di difesa dell’imputato. Diversamente avviene con riguardo alle circostanze aggravanti nelle quali, in luogo dei fatti materiali o in aggiunta agli stessi, la previsione normativa include componenti valutative; risultandone di conseguenza che le modalita’ della condotta integrano l’ipotesi aggravata ove alle stesse siano attribuibili particolari connotazioni qualitative o quantitative.
Essendo tali, dette connotazioni sono ritenute o meno ricorrenti nei singoli casi in base ad una valutazione compiuta in primo luogo dal pubblico ministero nella formulazione dell’imputazione, e di seguito sottoposta alla verifica del giudizio. Ove il risultato di questa valutazione non sia esplicitato nell’imputazione, con la precisazione della ritenuta esistenza delle connotazioni di cui sopra, la contestazione risultera’ priva di una compiuta indicazione degli elementi costitutivi della fattispecie circostanziale. Ne’ puo’ esigersi dall’imputato, pur se assistito da una difesa tecnica, l’individuazione dell’esito qualificativo che connota l’ipotesi aggravata in base ad un autonomo compimento del percorso valutativo dell’autorita’ giudiziaria sulla base dei dati di fatto contestati, trattandosi per l’appunto di una valutazione potenzialmente destinata a condurre a conclusioni diverse. La necessita’ dell’enunciazione in forma chiara e precisa del contenuto dell’imputazione, prevista dalla legge processuale, impone che la scelta operata dalla pubblica accusa fra tali possibili conclusioni sia portata a conoscenza della difesa; non potendosi pertanto ravvisare una valida contestazione della circostanza aggravante nella mera prospettazione in fatto degli elementi materiali della relativa fattispecie”.
Nel caso della circostanza aggravante di cui all’articolo 612 c.p., comma 2, “la previsione normativa include componenti valutative”, sicche’, ove non precisamente indicate nella contestazione, la stessa risultera’ “priva di una compiuta indicazione degli elementi costitutivi della fattispecie circostanziale”: nel caso in esame, l’imputazione non faceva alcun riferimento alla norma relativa alla fattispecie circostanziale, ne’ conteneva alcun riferimento alla gravita’ della minaccia, la quale, come gia’ rilevato dalla giurisprudenza di legittimita’, “non puo’ essere desunta automaticamente dalle parole utilizzate” (Sez. 5, n. 1294 del 22/11/2018, dep. 2019, Genzano; conf. Sez. 5, n. 13799 del 12/02/2020, Ture’, Rv. 27915802).
Escluso, pertanto, che l’imputazione dia corpo alla contestazione di una minaccia aggravata, il reato contestato e ritenuto dai giudici di merito e’ una minaccia semplice, sicche’ mette conto ribadire che l’incompetenza a conoscere dei reati appartenenti alla cognizione del giudice di pace deve essere dichiarata dal giudice togato in ogni stato e grado del processo ex Decreto Legislativo 28 agosto 2000, n. 274, articolo 48, in deroga al regime ordinario di cui all’articolo 23 c.p.p., comma 2 e articolo 24 c.p.p., comma 2, fermo restando che la sopravvenuta mancanza del vincolo di connessione (nei termini in cui e’ disciplinata dal Decreto Legislativo n. 274 del 2000, articolo 6, ove e’ individuata “l’unica ipotesi rilevante di connessione, che si realizza quando un soggetto, con un’unica azione, viola piu’ norme incriminatrici ricomprese nella competenza del giudice di pace e di altri giudici ordinari”), giustificativo della competenza del giudice togato anche per il reato minore, non determina, in applicazione del criterio della perpetuatio iurisdictionis, il venir meno di quest’ultima, purche’ ab origine correttamente individuata (Sez. U, n. 28909 del 27/09/2018, dep. 2019, Treskine, Rv. 275870). Nel caso di specie, la competenza del tribunale era ab origine erroneamente individuata, non sussistendo il presupposto di cui al Decreto Legislativo 28 agosto 2000, n. 274, articolo 6, comma 1, (come comprovato dal rilievo che, a differenza dell’imputazione di minaccia, quella di lesioni personali e’ ascritta al ricorrente in concorso con la coimputata): ne consegue che, limitatamente al reato di minaccia e assorbito il secondo motivo, la sentenza impugnata e quella di primo grado devono essere annullate senza rinvio, con trasmissione degli atti al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo per l’ulteriore corso.
3. Il quarto motivo non merita accoglimento avendo la Corte distrettuale diffusamente messo in luce gli elementi a sostegno della conferma del diniego dell’applicazione delle circostanze attenuanti generiche, richiamando, tra l’altro i numerosi precedenti dell’imputato, anche per reati contro la persona: rilievi, questi, idonei a dar conto della conferma del diniego dell’applicazione delle circostanze attenuanti generiche nonostante il disposto annullamento in relazione al capo concernente il fatto di minaccia, tanto piu’ che, nel motivare il diniego dell’applicazione delle attenuanti generiche, non e’ necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma e’ sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899).
4. Il terzo motivo deve essere rigettato. In primo luogo, occorre tener conto delle plurime sospensioni del corso delle prescrizioni, pari ad un periodo complessivo di 380 giorni: ossia dal 21/03/2014 al 23/05/2014 per astensione dell’avvocatura (63 giorni); dal 23/09/2014 al 11/11/2014 per impedimento del difensore (49 giorni); dal 04/12/15 al 19/04/2016 per astensione dell’avvocatura (137 giorni); dal 19/04/2016 al 14/10/2016 per impedimento del difensore (61 giorni); dal 28/04/2017 al 23/05/2017 per rinvio su istanza del difensore (25 giorni); dal 23/05/2017 al 20/06/2017 per astensione dell’avvocatura (28 giorni); dal 20/06/2017 al 07/07/2017 per impedimento del difensore (17 giorni). Pertanto, considerato il tempus commissi delicti (03/11/2011) e il termine di prescrizione di anni 7 e mesi 6 (03/05/2019), aggiungendo i 380 giorni di sospensione si arriva al 17/05/2020.
A tale termine occorre aggiungere i 64 giorni di sospensione ex Decreto Legge 17 marzo 2020, n. 18, articolo 83, comma 4, convertito, con modificazioni, dalla L. 24 aprile 2020, n. 27, sicche’, anche solo considerando tale sospensione, la fattispecie estintiva del reato per prescrizione verrebbe a perfezionarsi non prima del 20/07/2020.
5. Trattandosi di questione rilevabile d’ufficio, la Corte ritiene di dover esaminare la questione di legittimita’ costituzionale, in riferimento all’articolo 25 Cost., comma 2, dell’articolo 83, comma 4, cit.: la questione e’ manifestamente infondata.
6. Al fine di circoscrivere l’ambito dei temi rilevanti nel presente giudizio, e’ necessario ricostruire il complesso quadro normativo delineato dal Decreto Legge 17 marzo 2020, n. 18, articolo 83, convertito, con modificazioni, dalla L. 24 aprile 2020, n. 27 e dalle modificazioni successivamente intervenute. In sintesi, la normativa richiamata prevede quattro ipotesi di sospensione del corso della prescrizione: le prime due (comma 4 e comma 9) sono applicabili a tutti i procedimenti penali, mentre la terza (comma 3-bis) e la quarta (comma 12-ter, ultimo periodo), entrambe inserite dalla legge di conversione, sono applicabili, in presenza dei presupposti stabiliti per ciascuna di esse, nel solo giudizio di legittimita’.
6.1. Muovendo dall’esame di queste ultime, mette conto osservare che, tra le ipotesi di sospensione afferenti al solo giudizio di legittimita’, quella prevista dall’articolo 83 cit., comma 3-bis stabilisce, per i “procedimenti pendenti dinanzi alla Corte di cassazione e pervenuti alla cancelleria della Corte” nel periodo dal 9 marzo al 30 giugno 2020 (vd. la vicenda normativa richiamata al punto 1.1), che “il decorso del termine di prescrizione e’ sospeso fino alla data dell’udienza fissata per la trattazione e, in ogni caso, non oltre il 31 dicembre 2020”. Ai fini dell’integrazione della fattispecie sospensiva, i due requisiti indicati devono sussistere contestualmente: la norma, dunque, trova applicazione per i procedimenti pervenuti alla Corte di cassazione nel periodo indicato e pendenti (ossia non definiti) nel medesimo arco temporale. Una diversa interpretazione volta a ritenere applicabile la causa di sospensione in presenza alternativamente di uno dei due requisiti collide, innanzitutto, con il dato letterale (e, segnatamente, con la congiunzione “e” utilizzata dalla legge), univoco nel richiedere congiuntamente la sussistenza di entrambi. D’altra parte, l’interpretazione qui non condivisa renderebbe applicabile la sospensione ai procedimenti “pendenti” nel periodo indicato, anche se pervenuti anteriormente ad esso, il che, pero’, priverebbe di alcun senso l’individuazione dell’arco temporale indicato e, in particolare, la fissazione del dies a quo. Del resto, anche la previsione dell’ulteriore causa di sospensione di seguito esaminata (articolo 83, comma 12-ter) sarebbe del tutto superflua se si accedesse all’interpretazione qui non condivisa.
Pertanto, concludendo sul punto, la causa di sospensione del corso della prescrizione prevista, per il giudizio di legittimita’, dall’articolo 83, comma 3-bis cit. e’ applicabile qualora sussistano, congiuntamente, le condizioni che il procedimento sia pervenuto nella cancelleria della Corte di cassazione nel periodo dal 9 marzo al 30 giugno 2020 e che sia stato pendente nel medesimo periodo.
Il procedimento in esame non e’ pervenuto alla Corte nell’arco temporale indicato, il che esclude l’applicabilita’ nel caso di specie della causa di sospensione in esame.
6.2. Inoltre, l’articolo 83 cit., comma 12-ter appena citato prevede, sempre per il giudizio di legittimita’, nel quadro dell’eccezionale e transitoria disciplina del procedimento “cartolare” in luogo di quello in udienza pubblica ovvero a norma dell’articolo 127 c.p.p., la facolta’ delle parti di chiedere la discussione orale: se la richiesta e’ formulata dal difensore del ricorrente i termini di prescrizione sono rinviati per il tempo in cui il procedimento e’ rinviato. Richiesta e rinvio non sono intervenuti nel caso di specie, il che esclude l’applicabilita’ anche di questa seconda causa di sospensione del corso della prescrizione.
6.3. A venire, invece, in rilievo nel caso di specie, come si e’ anticipato, e’ la sospensione del corso della prescrizione disposta, in forza dell’articolo 83, comma 4 cit., nei procedimenti penali in cui opera la sospensione stabilita dalla legge per il periodo dal 9 marzo 2020 all’11 maggio 2020 (termine finale cosi’ prorogato dal Decreto Legge 8 aprile 2020, n. 23, articolo 36, comma 1, convertito con modificazioni, dalla L. 5 giugno 2020, n. 40): sospensione dei procedimenti e dei processi, questa, piu’ avanti meglio definita quanto a presupposti e natura giuridica.
6.4. Infine, altra fattispecie di sospensione legislativa del corso della prescrizione applicabile alla generalita’ dei procedimenti penali e’ delineata dal cit., articolo 83, comma 9 per “il tempo in cui il procedimento e’ rinviato ai sensi del comma 7, lettera g)” e, in ogni caso, non oltre il 30 giugno 2020 (termine differito al 31 luglio 2020 dal Decreto Legge 30 aprile 2020, n. 28, articolo 3, comma 1, lettera i): disposizione, questa, non convertita dalla legge di conversione 25 giugno 2020, n. 70). A sua volta, l’articolo 83 cit., comma 7, lettera g) attribuisce ai dirigenti degli uffici giudiziari, al fine di contrastare l’emergenza epidemiologica COVID-19, il potere di adottare varie misure tra le quali “la previsione del rinvio delle udienze a data successiva al 30 giugno 2020 (giusta la vicenda normativa sopra richiamata: n.d.r.) nei procedimenti civili e penali, con le eccezioni indicate al comma 3”. Come si e’ anticipato, la sospensione disposta ai sensi del cit., rt. 83, comma 4 e’ sufficiente ad escludere il perfezionamento della fattispecie estintiva del reato, il che rende non necessari ulteriori approfondimenti in ordine alla disciplina delineata dal comma 9.
7. Concentrando dunque l’esame sulla causa di sospensione delineata dall’articolo 83, comma 4 cit., va richiamato, sempre in premessa, l’indirizzo del tutto consolidato nella giurisprudenza costituzionale secondo cui la prescrizione e’ un istituto sostanziale “che incide sulla punibilita’ della persona, riconnettendo al decorso del tempo l’effetto di impedire l’applicazione della pena”, sicche’ “nel nostro ordinamento giuridico rientra nell’alveo costituzionale del principio di legalita’ penale sostanziale enunciato dall’articolo 25 Cost., comma 2, con formula di particolare ampiezza” (Corte Cost., sent. n. 115 del 2018; conf., ex plurimis, ord. n. 24 del 2017; con specifico riferimento alla sospensione del corso della prescrizione e alla configurazione dei relativi casi, cfr., ex plurimis, sent. n. 114 del 1994). Come ribadito, sulla scorta di numerosi precedenti, dalla sentenza n. 265 del 2017 della Corte costituzionale, pur potendo assumere una valenza anche processuale, in rapporto alla garanzia della ragionevole durata del processo (articolo 111 Cost., comma 2), la prescrizione costituisce, nel vigente ordinamento, un istituto di natura sostanziale (ex plurimis, sentenze n. 324 del 2008 e n. 393 del 2006); istituto la cui ratio “si collega preminentemente, da un lato, all’interesse generale di non piu’ perseguire i reati rispetto ai quali il lungo tempo decorso dopo la loro commissione abbia fatto venir meno, o notevolmente attenuato, (…) l’allarme della coscienza comune” (sentenze n. 393 del 2006 e n. 202 del 1971, ordinanza n. 337 del 1999) e dall’altro, al “diritto all’oblio” dei cittadini, quando il reato non sia cosi’ grave da escludere tale tutela” (Corte Cost., sent. n. 23 del 2013 e n. 143 del 2014).
Nella sua proiezione sul terreno, che qui interessa, della successione delle norme nel tempo, l’articolo 25 Cost., comma 2, pone il principio di irretroattivita’ della norma piu’ sfavorevole a garanzia della persona contro i possibili arbitri del legislatore, garanzia che rappresenta un “valore assoluto, non suscettibile di bilanciamento con altri valori costituzionali” (Corte Cost., sent. n. 394 del 2006; sent. n. 236 del 2011; sent. n. 32 del 2020). Da questo punto di vista, il principio di irretroattivita’ della norma piu’ sfavorevole si differenzia dal principio di retroattivita’ della norma penale piu’ favorevole, che rinviene il proprio fondamento non gia’ nell’articolo 25 Cost., ma, in primo luogo, nel principio di uguaglianza, essendo quindi “suscettibile di limitazioni e deroghe”, che, tuttavia, “devono giustificarsi in relazione alla necessita’ di preservare interessi contrapposti di analogo rilievo” (ex plurimis, Corte Cost., sent. n. 215 del 2008, sent. n. 394 del 2006). Per il principio di irretroattivita’ della norma piu’ sfavorevole, invece, viene in rilievo “un’istanza di preventiva valutabilita’ da parte dell’individuo delle conseguenze penali della propria condotta, istanza, a sua volta, funzionale a preservare la libera autodeterminazione della persona” (Sez. U, n. 40986 del 19/07/2018, Pittala’, Rv. 273934) e a erigere “un bastione a garanzia dell’individuo contro possibili abusi da parte del potere legislativo” (Corte Cost., sent. n. 32 del 2020): il principio di irretroattivita’ della norma penale sfavorevole, infatti, “si pone come essenziale strumento di garanzia del cittadino contro gli arbi’tri del legislatore, espressivo dell’esigenza della “calcolabilita’” delle conseguenze giuridico-penali della propria condotta, quale condizione necessaria per la libera autodeterminazione individuale” (Corte Cost., sent, n. 394 del 2006; conf., ex plurimis, sent. n. 236 del 2011); esigenza, questa, “con la quale contrasta un successivo mutamento peggiorativo “a sorpresa” del trattamento penale della fattispecie” (Corte Cost., sent. n. 230 del 2012).
8. Esaurite la ricognizione del quadro costituzionale e la rapida disamina dei casi di sospensione del corso della prescrizione previsti dal Decreto Legge n. 18 del 2020, articolo 83, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 27 del 2020 e successive modificazioni, come si e’ anticipato, e’ solo sulla disciplina dettata dal comma 4 che occorre approfondire l’esame.
La disposizione in questione riconnette la sospensione del corso della prescrizione alla sospensione dei termini stabiliti dall’articolo 83, comma 2 cit. per il periodo 9 marzo 2020 – 11 maggio 2020 (c.d. “prima fase” delle misure stabilite per fronteggiare l’emergenza epidemiologica, pari a 64 giorni); sospensione, quest’ultima, che riguarda la generalita’ dei termini per il compimento di qualsiasi atto, sicche’ sono sospesi “i termini stabiliti per la fase delle indagini preliminari, per l’adozione di provvedimenti giudiziari e per il deposito della loro motivazione, per la proposizione degli atti introduttivi del giudizio e dei procedimenti esecutivi, per le impugnazioni e, in genere, tutti i termini procedurali”.
La disciplina appena richiamata della sospensione dei termini imposta dall’emergenza epidemiologica non puo’ essere considerata disgiuntamente dalla disciplina del rinvio d’ufficio – per il medesimo arco temporale – delle udienze dei procedimenti penali (e civili) pendenti presso tutti gli uffici giudiziari stabilito dal cit. articolo 83, comma 1: la necessita’ di una considerazione unitaria delle due discipline e’ univocamente testimoniata, oltre che dal dettato legislativo che le pone in due disposizioni in immediata successione nel testo normativo, dall’articolo 83, comma 3 cit., che, nello stabilire le eccezioni relative ai procedimenti da trattare anche durante la c.d. “prima fase”, richiama congiuntamente le disposizioni di cui, appunto, ai commi 1 e 2 dell’articolo 83 in esame.
Dunque, considerando in particolare il caso di specie, con riguardo ai processi – non riconducibili nel novero delle eccezioni di cui al del cit., articolo 83, comma 3 – gia’ fissati per la trattazione nell’arco temporale della “prima fase” (come appunto il procedimento relativo al ricorso in esame) operano congiuntamente il rinvio d’ufficio e la sospensione dei termini, trovando quindi applicazione, in relazione a detto arco temporale, la sospensione del corso della prescrizione di cui al cit. articolo 83, comma 4.
D’altra parte, sospensione dei termini e rinvio del processo sono, di regola, inscindibilmente collegati: infatti, il rinvio d’ufficio ex lege del procedimento e’, in linea di massima, conseguenza necessaria della sospensione, sempre ex lege, dei termini (ad esempio, nel giudizio di legittimita’, del termine dilatorio di cui all’articolo 610 c.p.p., comma 5, o di quello per il deposito delle memorie difensive ex articolo 611 c.p.p., applicabile, secondo un orientamento del tutto consolidato, anche ai procedimenti in udienza pubblica: cfr., ex plurimis, Sez. 3, n. 50200 del 28/04/2015, Ciotti, Rv. 265935; Sez. 2, n. 10255 del 29/11/2019, dep. 2020, Fasciani, Rv. 278745; Sez. 6, n. 11630 del 27/02/2020, Rv. 278719).
In ogni caso, l’esame dell’effetto combinato delle discipline dettate dai del cit. articolo 83, commi 1 e 2 mette in luce come esse diano corpo a un caso di sospensione del procedimento o del processo: il rinvio d’ufficio di tutte le udienze e la sospensione di tutti i termini (con le eccezioni stabilite dal comma 3) convergono nell’attribuire alla situazione processuale determinata dalle previsioni di cui al articolo 83 cit., commi 1 e 2 i connotati della sospensione del procedimento o del processo a norma dell’articolo 159 c.p., comma 1.
Del resto, come le Sezioni unite di questa Corte hanno avuto modo di chiarire, non e’ possibile, nella terminologia del codice di rito, “ricostruire una chiara distinzione tra sospensione e rinvio”, posto che, cosi’ come il codice del 1930, “anche il codice del 1988 adopera un linguaggio non connotativo, bensi’ meramente denotativo, per riferirsi ai diversi casi di stasi temporanea del procedimento, che vanno poi distinti dall’interprete in relazione ai rispettivi specifici presupposti” (Sez. U, n. 1021 del 28/11/2001, dep. 2002, Cremonese, Rv. 220509 – 11). Presupposti che, ai fini dell’individuazione di una fattispecie di sospensione del processo rilevante come sospensione del corso della prescrizione, devono essere ricercati su un duplice piano: in primo luogo, e’ necessario che la sospensione sia frutto di valutazioni vincolate del giudice, ossia che “una particolare disposizione di legge” abbia imposto la sospensione del procedimento o del processo” (Sez. U, n. 40150 del 21/06/2018, Salatino, Rv. 273551 – 2); in secondo luogo, viene in rilievo il criterio dell’imputabilita’ della sospensione o del rinvio, in forza del quale, ai fini della sospensione della prescrizione, va escluso di regola che vengano in rilievo “sia l’esercizio del diritto alla prova sia, piu’ in generale, l’esercizio del diritto alla difesa”, sicche’ “deve escludersi la addebitabilita’ all’imputato o al suo difensore della sospensione o del rinvio destinati ad assecondare la funzione cognitiva del processo” (Sez. U, n. 1021 del 28/11/2001, dep. 2002, Cremonese, cit.). Entrambi i presupposti sono riconoscibili nella fattispecie delineata dalla disciplina dettata dall’articolo 83 cit., commi 1 e 2: fuori dalle eccezioni di cui al comma 3 della medesima disposizione, la sospensione collegata al rinvio delle udienze e alla sospensione dei termini e’ obbligatoria; per altro verso, la sospensione stessa non e’ correlata all’esercizio del diritto di difesa o, lato sensu, a garantire la funzione cognitiva del processo, ma, come si vedra’ meglio piu’ oltre, a preservare l’incolumita’ fisica di tutti gli attori del processo dal diffondersi della pandemia. Sotto questo profilo, quella che viene qui in rilievo e’ una sospensione del processo suscettibile di essere collocata in un genus piu’ ampio, quello di una (temporanea e non assoluta, ma di grande portata) “sospensione della giurisdizione”.
Dunque, la sospensione del corso della prescrizione discende dalla riconducibilita’ della disciplina dettata dal cit. articolo 83, commi 1 e 2, nel caso di sospensione del procedimento o del processo previsto dall’articolo 159 c.p., comma 1: effetto, questo sul decorso del termine di prescrizione, che sarebbe conseguito anche in assenza di una specifica disposizione come quella prevista dall’articolo 83, comma 4, introdotta dal legislatore assecondando una tendenza gia’ emersa, come si vedra’, in analoghi provvedimenti legislativi finalizzati a fronteggiare situazioni gravemente emergenziali.
La riconducibilita’ della fattispecie in esame alla disciplina di cui all’articolo 159 c.p., comma 1, esclude che si sia in presenza di un intervento legislativo in contrasto con il principio di irretroattivita’ della norma penale sostanziale sfavorevole sancito dall’articolo 25 Cost., comma 2.
9. Non mette in luce alcun contrasto con tale principio il rilievo che la legge introduttiva della causa di sospensione sia successiva al fatto-reato. In premessa, va precisato che, nel caso di specie, viene in considerazione non l’introduzione legislativa di una “nuova” figura di sospensione del corso della prescrizione (come avvenuto, ad esempio, per le rogatorie dall’estero con la L. n. 103 del 2017) o la modifica sfavorevole di una delle figure tipiche delineate dalla disciplina codicistica, ma la previsione legislativa di un’ipotesi di sospensione del procedimento o del processo penale riconducibile alla figura generale di sospensione prevista dall’articolo 159 c.p., comma 1.
9.1. Al riguardo, mette conto osservare che l’ordinamento conosce numerosi casi di discipline legislative che hanno previsto la sospensione del processo (e, con essa, implicitamente o esplicitamente, la sospensione del corso della prescrizione) anche con riguardo a reati anteriori alla novella legislativa. Al solo fine di segnalare la portata, assai consistente, della casistica in questione, la ricognizione di alcuni di tali interventi legislativi puo’ essere svolta attraverso il riferimento a tre tipologie di essi.
Vengono in rilievo, in primo luogo, ipotesi di sospensione del corso della prescrizione collegate alla sospensione (o al rinvio) del processo prevista dallo stesso codice di rito o correlata a suoi istituti. Cosi’, la sospensione del termine di prescrizione, prevista dal Decreto Legge n. 92 del 2008, articolo 2-ter, convertito dalla L. n. 125 del 2008, per la durata del rinvio della trattazione del processo ai sensi dell’articolo 132-bis disp. att. c.p.p., e’ stata applicata con riferimento a fatti del 2005 (Sez. 5, n. 22878 del 15/05/2014, Rv. 259886), ossia anteriori alla novella legislativa che ha previsto la sospensione del processo. Inoltre, la L. 12 giugno 2003, n. 134, articolo 5, in tema di “patteggiamento allargato”, attribuiva all’imputato la facolta’ di chiedere la sospensione del dibattimento per valutare l’opportunita’ della richiesta ex articolo 444 c.p.p. per un periodo, non inferiore a 45 giorni, durante il quale era sospeso il termine di prescrizione; sospensione, quest’ultima, applicata dalla giurisprudenza di legittimita’ con riguardo a fatti anteriori alla novella (Sez. F, n. 49132 del 26/07/2013, De Seriis, Rv. 257649; Sez. 4, n. 36547 del 26/05/2009, Salvatore, Rv. 244985, che ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimita’ costituzionale, in riferimento all’articolo 3 Cost., della L. n. 134 del 2003, articolo 5, comma 2, nella parte in cui non indica il termine massimo di sospensione della prescrizione conseguente alla richiesta dell’imputato di un periodo di tempo per valutare l’opportunita’ di accedere al cosiddetto “patteggiamento allargato”).
La seconda tipologia di casi riguarda la sospensione del processo e la collegata sospensione del corso della prescrizione previste da leggi introduttive di condoni, sanatorie o istituti affini. Cosi’, ad esempio, la sospensione del procedimento penale prevista dalla Decreto Legge 2 marzo 1989, n. 69, articolo 21, convertito dalla L. 27 aprile 1989, n. 154, che, come precisato dalla giurisprudenza di legittimita’, comportava la sospensione del corso della prescrizione ai sensi dell’articolo 159 c.p. per tutto il periodo nel quale il contribuente era ammesso a regolarizzare la sua posizione (Sez. 3, n. 1446 del 18/01/1995, Batori, Rv. 200356), e’ stata ritenuta applicabile a reati di omesso versamento di ritenute di acconto commessi nel 1986 e nel 1987 (Sez. 3, n. 7931 del 02/06/1998, Fabbricatore, Rv. 211679), dunque anteriormente all’introduzione dell’ipotesi di sospensione del processo.
L’ultima tipologia riguarda casi di sospensione del processo – rilevanti anche ai fini della sospensione del corso della prescrizione – collegati a situazioni di emergenza derivate, ad esempio, da eventi sismici: si tratta di ipotesi che presentano una ratio senz’altro affine a quella della disciplina chiamata a fronteggiare la pandemia. E’ il caso, ad esempio, del Decreto Legge 28 aprile 2009, n. 39 (recante “interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici nella regione Abruzzo nel mese di aprile 2009 e ulteriori interventi urgenti di protezione civile”), convertito, con modificazioni, dalla L. 24 giugno 2009, n. 77, il cui articolo 5 prevedeva una sospensione dei processi penali, nonche’, esplicitamente, la sospensione, per la stessa durata, del corso della prescrizione: la giurisprudenza di legittimita’ ha piu’ volte applicato detta causa di sospensione del corso della prescrizione con riferimento a reati anteriori al Decreto Legge n. 39 del 2009 (Sez. 5, n. 34321 del 19/01/2015, D’Aloisio; Sez. 2, n. 17436 del 28/01/2014, Colantonio; Sez. 3, n. 5982 del 13/12/2012, dep. 2013).
9.2. Le pronunce sopra richiamate non affrontano espressamente il problema in esame, ne’, al riguardo, e’ decisivo il dato “quantitativo” – pur assai rilevante – evocato attraverso il riferimento alle tre tipologie descritte e agli esempi fatti per ciascuna di esse, caratterizzati, ognuno, da una specifica ratio legis e da una peculiare disciplina dei presupposti applicativi della sospensione.
Comune alle ipotesi richiamate, invece, e’ il ruolo rivestito dalla singola disciplina legislativa che prevede la sospensione del processo (e, esplicitamente o meno, del corso della prescrizione) rispetto alla previsione generale di cui all’articolo 159 c.p., comma 1: la prima, invero, e’ chiamata solo ad individuare il presupposto – a sua volta collegato a una specifica situazione di fatto (la sospensione imposta da un evento sismico o dalla pandemia) o di diritto (la sospensione collegata all’accessibilita’ a una procedura di condono o alla richiesta ex L. n. 134 del 2003, articolo 5) – che rende applicabile la fattispecie generale prevista dall’articolo 159 c.p., comma 1. La previsione legale della sospensione del processo e, ricorrendone le condizioni prima richiamate, del corso della prescrizione si limita ad attribuire alla situazione presa in considerazione la qualifica delineata dall’articolo 159 c.p., comma 1, la cui portata normativa, tuttavia, resta del tutto immutata rispetto al contingente intervento legislativo introduttivo di una fattispecie di sospensione obbligatoria del processo idonea a fungere da presupposto della norma codicistica. Fermo restando che, come gia’ osservato, non viene in rilievo l’introduzione di una “nuova” figura di sospensione del corso della prescrizione o la modifica sfavorevole di una figura codicistica, la previsione legislativa, successiva al fatto-reato, di una fattispecie di sospensione obbligatoria del processo rende dunque applicabile, in relazione alla situazione fattuale o giuridica individuata dalla legge, la norma generale dettata dall’articolo 159 c.p., comma 1: il che in nessun modo pregiudica la ratio di tutela del principio di irretroattivita’, posto che l’incidenza sul termine di prescrizione delle sospensioni del processo ex articolo 159 c.p., comma 1, – se chiama in causa la valenza anche processuale dell’istituto, in rapporto, come si e’ visto, alla garanzia della ragionevole durata del processo – resta estranea ad “un successivo mutamento peggiorativo “a sorpresa” del trattamento penale” (Corte Cost., sent. n. 230 del 2012 cit.).
Del resto, l’assetto normativo della sospensione del corso della prescrizione non conosce alcuna “durata massima” per il periodo complessivo della sospensione derivato dalla concorrente operativita’ delle varie cause di sospensione (o dalla plurima applicazione della maggior parte di esse). Invero, mentre per la disciplina dell’interruzione del corso della prescrizione – la cui concreta operativita’ e’ rimessa, in modo immediato o, comunque, mediato, ad iniziative processuali di parte – il codice prevede in via generale un limite massimo (sia pure solo di regola, dopo la riforma introdotta dalla L. 5 dicembre 2005, n. 251), nessun limite massimo e’ invece previsto per la durata “complessiva” della sospensione del corso della prescrizione: infatti, secondo un assetto simile, nelle sue linee essenziali, a quello previsto dagli articoli 92 e 93 del codice Zanardelli, “il termine massimo per l’aumento del periodo necessario a prescrivere il reato e’ previsto per la interruzione e non per la sospensione” (Sez. 5, n. 7553 del 14/11/2012, dep. 2013, Romano).
Di qui un duplice rilievo. Per un verso, la puntuale individuazione del termine di prescrizione, cosi’ come determinato dalla fattispecie codicistica non modificata nel suo contenuto normativo, e’ sempre correlata all’intervento o meno, nello svolgimento del singolo processo, di una o piu’ cause di sospensione e alla loro durata e in particolare, per quanto viene qui in considerazione, all’eventuale sospensione ex lege del processo.
Per altro verso, dato il rapporto sopra delineato tra la figura generale di cui all’articolo 159 c.p., comma 1 (nella quale si identifica il trattamento penale) e l’intervento legislativo introduttivo di una causa di sospensione del processo, l’incidenza in concreto delle sospensioni del processo e, quindi, del corso della prescrizione sul termine di perfezionamento della fattispecie estintiva rappresenta un effetto – previsto dalla richiamata norma codicistica dell’andamento del processo stesso nel singolo caso e in nessun modo compromette la libera autodeterminazione della persona, che costituisce il nucleo centrale della ratio del principio di irretroattivita’ e della tutela da esso garantita.
10. Ne’, in senso contrario, puo’ argomentarsi prospettando, in termini generali, possibili distorsioni legislative volte ad “utilizzare” l’istituto della sospensione del processo e, quindi, del corso della prescrizione in funzione di aggiramento del principio di irretroattivita’. Invero, e’ solo lo scrutinio del singolo intervento legislativo introduttivo di una causa di sospensione (scrutinio da svolgersi secondo criteri particolarmente stringenti) che puo’ condurre ad accertare un aggiramento del genere, aggiramento che, nel caso di specie, deve all’evidenza escludersi. La disciplina di cui all’articolo 83, commi 1 e 2 cit. e’, infatti, univocamente indirizzata a contrastare la diffusione della pandemia e, quindi, ad offrire protezione a beni primari della persona: puo’ anzi ritenersi che il legislatore abbia agito – peraltro con riferimento non solo alla giurisdizione, ma ad un’amplissima gamma di attivita’, non solo istituzionali, e con modalita’ del tutto analoghe su scala globale, come e’ testimoniato dalla diffusione della pandemia e dalle misure adottate dalle varie autorita’ per contrastarla – sulla base di uno “stato di necessita’”, che ha imposto, per il periodo strettamente necessario, la stasi di gran parte dell’attivita’ giudiziaria.
11. Pertanto, rilevata la manifesta infondatezza della questione esaminata, le due sentenze di merito devono essere annullate senza rinvio limitatamente all’imputazione di minaccia, in relazione alla quale gli atti devono essere trasmessi al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo per l’ulteriore corso. Nel resto il ricorso deve essere rigettato.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e la sentenza di primo grado limitatamente all’imputazione di minaccia e dispone la trasmissione degli atti al p.m. presso il Tribunale di Palermo per l’ulteriore corso.
Rigetta nel resto il ricorso.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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