In tema di costituzione di parte civile

Corte di Cassazione, sezione sesta penale, Sentenza 11 maggio 2020, n. 14411.

Massima estrapolata:

In tema di costituzione di parte civile, il tutore del minore danneggiato dal reato, seppure esercente la professione forense, deve costituirsi necessariamente con il ministero di un difensore munito della procura speciale di cui all’art. 100 cod. proc. pen. (In motivazione, la Corte ha precisato che la scelta del Legislatore costituisce espressione della volontà di imporre a tutte le parti del processo penale la difesa tecnica e che ad essa non deroga la previsione dell’art. 13, comma 1, della legge 31 dicembre 2012, n. 247, che va letta in coordinamento con le specifiche previsioni procedurali di ogni ramo dell’ordinamento).

Sentenza 11 maggio 2020, n. 14411

Data udienza 14 gennaio 2020

Tag – parola chiave: Maltrattamenti in danno di figli adottivi – Processo penale – Difesa tecnica – Necessità – Non può essere surrogata dal possesso nella parte processuale delle necessarie qualità professionali – Autodifesa personale – Esclusione – Vale anche per la parte civile

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI STEFANO Pierlugi – Presidente

Dott. CALVANESE Ersilia – Consigliere

Dott. AMOROSO Giovanni – Consigliere

Dott. BASSI Alessandra – Consigliere

Dott. ROSATI Martino – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) (OMISSIS), nato a (OMISSIS);
2) (OMISSIS), nata a (OMISSIS);
avverso la sentenza emessa il 11/02/2019 dalla Corte di appello di Campobasso;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere ROSATI Martino;
udito il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale PICARDI Antonietta, che ha concluso chiedendo l’annullamento della sentenza con rinvio;
uditi i difensori:
– avv. (OMISSIS), per la parte civile (OMISSIS), che ha depositato conclusioni scritte e nota spese;
– avv. (OMISSIS), per i ricorrenti, che ha chiesto l’accoglimento dei ricorsi.

RITENUTO IN FATTO

1. (OMISSIS) e (OMISSIS) impugnano la sentenza della Corte di appello di Campobasso dell’11 febbraio 2019, che, in accoglimento dell’appello proposto dalla parte civile (OMISSIS), avverso la sentenza assolutoria del Tribunale della stessa citta’, li ha dichiarati responsabili, ai soli fini civili, delle condotte loro contestate come integranti il delitto di maltrattamenti in danno dei loro figli adottivi, condannandoli, in solido tra loro, al risarcimento dei danni in favore della predetta parte civile, da liquidarsi separatamente.
2. Con un unico atto, a firma del loro difensore, essi deducono i seguenti motivi di doglianza.
2.1. Mancanza di motivazione in ordine all’eccezione di inammissibilita’ dell’appello, in quanto proposto personalmente dal tutore del danneggiato minorenne.
2.2. Nullita’ della sentenza, per violazione delle norme processuali sull’interesse ad agire e sulla rappresentanza processuale della parte civile.
Riguardo al primo profilo, si contesta l’esistenza di un interesse della parte civile ad impugnare la sentenza assolutoria, laddove, come nella specie, pronunciata con la formula perche’ il fatto non costituisce reato, non precludendo quest’ultima la possibilita’ di piena tutela degli interessi civili dinanzi al giudice civile.
Quanto al secondo aspetto, si evidenzia come l’atto d’appello sia stato proposto dalla tutrice del minore danneggiato, nella sua veste di legale rappresentante di quest’ultimo, la quale si e’ pero’ costituita in giudizio anche quale difensore, in tal modo assumendo la difesa tecnica di se stessa, in violazione dell’articolo 100, c.p.p..
2.3. Mancata assunzione di prove decisive, consistenti nell’assunzione della testimonianza delle due sorelle del minore e nell’espletamento di una perizia su un esito cicatriziale sul volto di quest’ultimo, entrambe al fine di verificare l’attendibilita’ delle dichiarazioni accusatorie dello stesso.
2.2. Vizi alternativi di motivazione, avendo la Corte di merito trascurato molti elementi di prova, tra cui una certificazione sanitaria del paese di provenienza del minore e numerose testimonianze, che minerebbero la credibilita’ delle sue accuse.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. E’ fondato il secondo motivo di ricorso, nella parte in cui deduce l’assenza della necessaria difesa tecnica della parte civile appellante. Risulta percio’ superflua la trattazione degli altri.
2. Dev’essere ribadita, in linea con la giurisprudenza di legittimita’ nettamente dominante, la necessita’ della difesa tecnica nel processo penale, che non puo’ essere surrogata dal possesso, ad opera della parte processuale, delle necessarie qualita’ professionali.
Il principio, riaffermato anche dalle Sezioni unite di questa Corte quale regola generale, e percio’ derogabile soltanto in presenza di specifiche eccezioni (sentenza n. 6816 del 30/01/2007, Inzerillo, Rv. 235344), non trova voci dissenzienti con riferimento alla figura dell’imputato (Sez. 6, n. 46021 del 19/09/2018, Antonucci, Rv. 274281; Sez. 5, n. 49551 del 03/10/2016, Mucci, Rv. 268744; Sez. 2, n. 40715 del 16/07/2013, Stara, Rv. 257072). Esso rappresenta, infatti, presidio di tutela del corretto svolgimento del processo e del funzionamento della giustizia, nella parita’ dialettica tra accusa e difesa, posto, percio’, a garanzia di un interesse pubblico e destinato, come tale, a superare quello del singolo, secondo quanto ripetutamente affermato anche dalla Corte costituzionale (sentenze n. 59 del 1959, n. 125 del 1979, n. 188 del 1980).
Non puo’ condurre a diversi approdi la previsione del diritto dell’accusato di “difendersi personalmente”, accanto a quello di avvalersi dell’assistenza di un difensore, contenuta nell’articolo 6, § 3, lettera c), CEDU: tale disposizione, infatti, non pone all’imputato-indagato l’alternativa tra autodifesa o difesa tecnica, bensi’ e’ intesa ad assicurargli un sistema minimo di garanzie, riconoscendogli quanto meno il diritto all’autodifesa, per l’eventualita’ in cui negli ordinamenti degli Stati aderenti non sia riconosciuto quello alla difesa tecnica.
Anche nella prospettiva convenzionale, dunque, il diritto all’autodifesa non e’ assoluto ma e’ limitato dal diritto dello Stato di emanare disposizioni concernenti la presenza di avvocati davanti ai tribunali, allo scopo di assicurare una buona amministrazione della giustizia (Sez. 1, n. 7786 del 29/01/2008, Stara, Rv. 239237). Del resto, la stessa Corte Edu, non precisando le condizioni di esercizio del diritto difesa, ha lasciato agli Stati contraenti, come dalla stessa chiarito, la scelta di mezzi idonei a consentire al loro sistema giudiziario di garantire siffatto diritto, integrativo dei requisiti di un equo processo (sent. 27 aprile 2006, ric. n. 30961/03, Sannino c/Italia).
Ne consegue che l’ordinamento processuale penale italiano, in cui si assiste ad un concorso dell’attivita’ difensiva dell’imputato con quella del professionista, non urta con la norma convenzionale, poiche’ non si traduce in una compressione od esclusione della difesa personale, ma nella integrazione di essa con l’attivita’ defensionale tecnica, in tal modo assicurando all’imputato una piu’ incisiva tutela delle sue posizioni, nell’osservanza del principio di effettivita’ sancito dalla Convenzione (Sez. 6, n. 46021/2018, Antonucci, cit.).
3. Ad identiche conclusioni deve pervenirsi anche per la parte civile: per la quale, non soltanto non v’e’ alcuna norma che preveda un’eccezione all’anzidetta regola generale di sistema, ma addirittura quest’ultima e’ ex professo affermata. Stabilisce, infatti, l’articolo 100 c.p.p., che “la parte civile, il responsabile civile e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria stanno in giudizio col ministero di un difensore munito di procura speciale”.
Tale disposizione espressa assume una rilevanza centrale, ai fini della soluzione della questione in rassegna, sotto un duplice profilo.
Innanzitutto, perche’ segna la consapevole presa di distanza dalla previgente disciplina: l’articolo 126 c.p.p., del 1930, stabiliva, infatti, che le predette parti diverse dall’imputato “possono farsi assistere” da un avvocato o procuratore, ravvisandosi in tale locuzione l’espressione di una facolta’ e non di un obbligo, e ritenendosi, percio’, che esse potessero stare in giudizio anche senza il ministero di un difensore.
In secondo luogo, perche’, in quanto inserita nel codice di rito penale, essa costituisce indiscutibilmente normativa speciale rispetto a quella generale, prevista dagli articoli 82 – 87 c.p.c., e, come tale, e’ destinata ad essere applicata in via esclusiva per le azioni civili inserite all’interno del processo penale, non contenendo essa alcun rinvio a quelle altre disposizioni, neppure nei limiti della non incompatibilita’.
Ed allora, ponendo a raffronto le due discipline, si coglie all’evidenza come uno dei piu’ rilevanti elementi differenziali – se non proprio il piu’ significativo – di due regolamenti normativi per il resto sostanzialmente simili sia quello per cui, mentre nel processo civile, quando la parte “ha la qualita’ necessaria per esercitare l’ufficio di difensore…, puo’ stare in giudizio senza il ministero di altro difensore” (articolo 86), un’analoga previsione non e’ stata inserita nel codice di procedura penale. E, poiche’ il legislatore del 1988 aveva ben presente il modello del corrispondente rito civile, al quale, peraltro, ha abbondantemente attinto per la regolamentazione di altri aspetti dell’azione civile nel processo penale, detta omissione non puo’ essere attribuita ad una svista, ma dev’essere ragionevolmente intesa come espressione della precisa volonta’ di imporre a tutte le parti del processo penale la difesa tecnica mediante professionisti terzi.
La giurisprudenza di legittimita’, del resto, e’ nettamente prevalente in tal senso (Sez. 3, n. 41744 del 06/10/2009, S., Rv. 245265, in fattispecie, del tutto analoga a quella in giudizio, di avvocato e curatore speciale del minore danneggiato; Sez. 5, n. 815 del 29/11/1996, Cassano, Rv. 208199), anche con specifico riferimento all’ipotesi – come quella in esame – di sottoscrizione personale dell’atto di appello per i soli interessi civili (Sez. 6, n. 48601 del 21/09/2017, Zironi, Rv. 271502).
4. Non sfugge al Collegio l’esistenza di un precedente di segno divergente, seppure specificamente attinente al ricorso per cassazione: aspetto, quest’ultimo, non privo di rilevanza, in ragione della possibilita’ di proposizione personale di tale impugnazione, riconosciuta – almeno all’epoca – a tutte le parti processuali dall’articolo 613 c.p.p., nella formulazione allora vigente.
4.1. Il riferimento e’ a Sez. 4, n. 10546 del 13/02/2014, Arcuri, Rv. 258442, che ha riconosciuto la legittimazione della parte civile a proporre personalmente ricorso in sede di legittimita’, purche’ si tratti di avvocato iscritto nel relativo albo speciale.
Ha ritenuto quel Collegio che le ragioni che rendono opportuna l’esclusione di un diretto coinvolgimento autodifensivo dell’imputato non impongono una conforme soluzione legislativa per la trattazione processuale di interessi, pur coinvolti dal processo penale, d’indole diversa da quella relativa alla difesa dall’imputazione criminale, rinvenendone logica conferma nella presenza di previsioni legislative che derogano alla regola generale della rappresentanza tecnica nel processo penale, come l’articolo 571 c.p.p., comma 1, e, appunto, articolo 613 c.p.p., ma anche Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 170, e gli articoli 86 e 365 c.p.c., in armonia con L. n. 247 del 2012, articolo 13, che sancisce la possibilita’ per l’avvocato di “esercitare l’incarico professionale anche a proprio favore”.
4.2. Tale argomentare non persuade.
Con la gia’ ricordata sentenza Inzerillo del 2007, citata anche dalla pronuncia qui criticata, le Sezioni unite di questa Corte hanno comunque ribadito la natura di regola generale della difesa tecnica nel processo penale, e quindi la necessita’, per potervi derogare, di una disposizione specifica (come, appunto, Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 170, sul quale erano state chiamate a pronunciarsi). E s’e’ gia’ detto, altresi’, che tale disposizione eccezionale e specifica non puo’ rinvenirsi in quella dell’articolo 86 c.p.c., perche’ non solo non richiamata, ma anzi espressamente contraddetta dall’articolo 100 c.p.p., che e’ norma di settore e, per di piu’, successiva.
Ne’ tale necessaria norma eccezionale puo’ rinvenirsi nel L. 31 dicembre 2012, n. 247, articolo 13, comma 1, in materia di ordinamento della professione forense. Questa disposizione, infatti, proprio perche’ genericamente riferita a qualsiasi incarico professionale dell’avvocato, senza distinzione alcuna, dev’essere necessariamente letta in coordinamento con le prescrizioni specifiche di ogni ramo dell’ordinamento e con le correlate previsioni procedurali, potendosi percio’ attribuire ad essa un carattere meramente ricognitivo di fonti aliunde contenute (come l’articolo 86 c.p.c., per esempio), ma non certo derogatorio delle stesse (Sez. 6, n. 46021/2018, Rv. 274281, cit.; Sez. 2, n. 40715/2013, Rv. 257072, cit.).
Del resto, proprio la presenza dell’articolo 571 c.p.p., comma 1, e articolo 613 c.p.p. (nella formulazione ormai non piu’ vigente), costituisce indiretta ma inequivoca conferma dell’esistenza di una regola generale di necessita’ della difesa tecnica e terza rispetto alla parte, poiche’, altrimenti, dette previsioni non sarebbero state necessarie.
5. Tutto cio’ premesso, va rilevato come, nel caso specifico, l’avv. (OMISSIS), nella sua qualita’ di tutore del minore danneggiato, e quindi di rappresentante legale dello stesso, abbia interposto appello avverso la sentenza di primo grado, nominandosi altresi’ difensore (“in difesa di se stessa” si legge nel relativo atto).
Poco conta che, successivamente, in pendenza del gravame cioe’, l’interessato, nel frattempo divenuto maggiorenne, le abbia conferito il mandato difensivo; come pure che la relativa eccezione sia stata sollevata dalla difesa avversaria soltanto in sede di discussione finale e non in limine litis, ai sensi dell’articolo 491 c.p.p., applicabile anche al giudizio d’appello, in virtu’ del generale richiamo alle disposizioni relative a quello di primo grado, contenuto nell’articolo 598, c.p.p. (sul punto, Sez. 5, n. 48789 del 28/05/2013, Guardiano, Rv. 258660).
Dovendo necessariamente essere proposta attraverso “il ministero di un difensore munito di procura speciale” alle liti, a norma del cit. articolo 100, e non potendo percio’ provvedervi personalmente, come invece e’ avvenuto, la parte titolare del diritto di agire in giudizio, quantunque per effetto di un potere di rappresentanza – legale o negoziale che sia – del danneggiato, quella impugnazione non era idonea ad introdurre il gravame e, quindi, far sorgere il rapporto impugnatorio: tale vizio originario, pertanto, non era sanabile e non puo’ che essere rilevato anche in questa sede.
6. La sentenza impugnata, di conseguenza, dev’essere annullata senza rinvio, perche’ emessa a seguito di appello irrituale, con conseguente irrevocabilita’ delle statuizioni di quella di primo grado.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata.
Si da’ atto che il presente provvedimento, redatto dal Consigliere ROSATI Martino, viene sottoscritto dal solo Presidente del Collegio, per impedimento dell’estensore, ai sensi del D.P.C.M. 8 marzo 2020, articolo 1, comma 1, lettera a).

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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