In tema di contestazioni a catena

Corte di Cassazione, sezione sesta penale, Sentenza 4 maggio 2020, n. 13568.

Massima estrapolata:

In tema di contestazioni a catena, ai fini della retrodatazione dei termini di decorrenza della custodia cautelare disposta per il reato di associazione mafiosa, il provvedimento coercitivo che limita la libertà personale dell’indagato per il primo fatto di reato determina una mera presunzione relativa di non interruzione della condotta partecipativa, la protrazione della quale, in presenza di concrete allegazioni difensive, deve tuttavia essere desunta da concreti elementi dimostrativi. (In motivazione, la Corte ha precisato che la verifica della perdurante affiliazione deve essere tanto più rigorosa ove la data di consumazione del reato associativo sia genericamente indicata, senza nessun riferimento alle condotte degli associati, sicché, ai fini della retrodatazione, occorre verificare con riferimento al singolo indagato l’effettiva persistenza della partecipazione).

Sentenza 4 maggio 2020, n. 13568

Data udienza 29 novembre 2019

Tag – parola chiave: Misura di custodia cautelare in carcere – Partecipazione ad associazione mafiosa camorristica – Presunzione di pericolosità sociale ex art. 275 comma 3 cpp – Svolgimento di attività lavorativa concomitante a quella criminale – Capacità di rinnovarsi dell’associazione – Retrodatazione ex art. 297 comma 3 cpp – Presupposti – Omessa verifica

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI STEFANO Pierluigi – Presidente

Dott. APRILE Ercole – Consigliere

Dott. GIORGI Maria Silvia – Consigliere

Dott. VIGNA Maria Sabina – Consigliere

Dott. SILVESTRI Pietro – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale della liberta’ di Napoli il 18/07/2019;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere, Dr. Pietro Silvestri;
udito il Sostituto Procuratore Generale, Dr.ssa De Masellis Mariella, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso presentato nell’interesse di (OMISSIS) e l’inammissibilita’ degli altri ricorsi;
udita l’avv.ssa (OMISSIS), in difesa di tutti i ricorrenti, ch ah concluso insistendo nei motivi di ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale del riesame di Napoli ha confermato l’ordinanza con cui e’ stata applicata la misura della custodia in carcere nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), tutti ritenuti gravemente indiziati del delitto di partecipazione ad associazione mafiosa, di stampo camorristico (clan (OMISSIS)).
In particolare: a) (OMISSIS) e (OMISSIS) sarebbero stati addetti, unitamente ad altri soggetti, all’usura ed al recupero dei crediti derivanti dall’usura; b) (OMISSIS) avrebbe rifornito e custodito le armi del clan e gestito la droga destinata alle piazze di spaccio (il Tribunale ha dato tuttavia atto nella ordinanza che il coinvolgimento dell’indagato attiene solo agli stupefacenti); c) (OMISSIS) si sarebbe occupato, unitamente ad altri soggetti, delle estorsioni ai danni di operatori economici ed imprenditori (cosi’ l’imputazione).
2. Ha proposto ricorso per cassazione il difensore di (OMISSIS) e di (OMISSIS) articolando un unico motivo con cui deduce vizio di motivazione quanto alle ritenute esigenze cautelari.
L’ordinanza sarebbe viziata per avere il Tribunale diversamente deciso situazioni identiche o simili: si fa riferimento alle posizioni di altri coindagati ( (OMISSIS) e (OMISSIS)) per i quali sarebbero state considerate cessate le esigenze cautelari.
Nei riguardi degli indagati non sarebbero emersi ulteriori “fatti” dopo il 2012 ed il Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto insussistente la prova della rescissione dal vincolo associativo, non considerando che: a) (OMISSIS) avrebbe interrotto il legame sentimentale con (OMISSIS); b) la contestazione del reato associativo sarebbe temporalmente circoscritta fino al 2016.
3. Ha proposto ricorso per cassazione il difensore di (OMISSIS) articolando un unico motivo con cui si deduce vizio di motivazione quanto alle ritenute esigenze cautelari
L’ordinanza sarebbe viziata per avere ritenuto il Tribunale la perdurante operativita’ del clan (OMISSIS) e l’assenza di mutamenti di vita nonostante la formale contestazione provvisoria faccia riferimento al 2016 come data di cessazione della permanenza del reato.
Secondo il ricorrente, non vi sarebbero elementi per ritenere che (OMISSIS) abbia continuato ad interessarsi della vita del clan durante lo stato detentivo ovvero che abbia ricevuto “lo stipendio” dal gruppo.
4. Ha proposto ricorso per cassazione il difensore di (OMISSIS) articolando due motivi
4.1. Con il primo si lamenta violazione dell’articolo 297 c.p.p., comma 3, (nel ricorso si fa riferimento al comma 2) e articolo 303; sarebbero stati emessi nell’ambito dello stesso procedimento distinti titoli custodiali, utilizzando i medesimi elementi indiziari.
In particolare, nell’ambito del proc. n. 1718/11 R.G.N. R. sarebbe stata emessa l’8/02/2016 una prima ordinanza custodiale per il reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 73, aggravato dalla L. n. 203 del 1991, articolo 7 ed avente ad oggetto fatti commessi in continuazione sino al mese di (OMISSIS); con la seconda ordinanza, quella per cui si procede, sarebbe stata invece contestata la partecipazione alla associazione mafiosa denominata “Clan (OMISSIS)” fino al 2016.
Il Tribunale avrebbe errato nel ritenere non applicabile l’articolo 297 c.p.p., comma 3, e dunque nel negare la retrodatazione della decorrenza del termini di durata della misura cautelare per cui si procede, in quanto i fatti oggetto del secondo titolo cautelare sarebbero temporalmente successivi alla prima ordinanza custodiale.
Nel caso di specie, secondo il ricorrente, non vi sarebbero invece elementi concreti per ritenere che (OMISSIS) abbia continuato a far parte dell’associazione mafiosa durante la detenzione disposta a seguito del primo titolo cautelare e che la sua condotta non sia cessata al momento dell’arresto, cioe’ il (OMISSIS).
4.2. Con il secondo motivo si deduce vizio di motivazione quanto alle ritenute esigenze cautelari.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.I ricorsi proposti nell’interesse di (OMISSIS), di (OMISSIS) e di (OMISSIS) sono inammissibili.
2. Il Tribunale del riesame ha spiegato che: a) nessun elemento sia stato anche solo prospettato per ritenere superata la presunzione di pericolosita’ sociale di cui all’articolo 275 c.p.p., comma 3; b) il clan (OMISSIS) ha, nel corso del tempo, mostrato una perdurante capacita’ di rinnovarsi e di adeguamento nonostante lo stato di detenzione anche dei suoi soggetti apicali; c) nel corso delle indagini sono state registrate alcune condotte illecite compiute dal carcere attraverso colloqui tra detenuti e familiari; d) (OMISSIS) e (OMISSIS) sono gravati da precedenti penali; e) lo svolgimento di attivita’ lavorativa e’ un elemento di per se’ non decisivo, attese le risultanze di indagini che hanno dimostrato come molti partecipi al gruppo mafioso, svolgessero attivita’ lavorativa contemporaneamente a quella criminale; f) per (OMISSIS), risultino contatti con (OMISSIS) anche nel 2014, cioe’ nel periodo in cui avrebbe cessato il suo rapporto personale con (OMISSIS).
3. A fronte di tale adeguata motivazione, nulla di specifico e’ stato dedotto, essendosi i ricorrenti limitati a considerazioni generiche, presuntivamente favorevoli.
Secondo i principi consolidati dalla Corte di cassazione l’ordinanza emessa in tema di misura cautelari personali non puo’ essere annullata sulla base di mere prospettazioni alternative che si risolvano in una rilettura orientata degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, ovvero nell’assunzione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, da preferire rispetto a quelli adottati dal giudice del merito, perche’ considerati maggiormente plausibili, o perche’ assertivamente ritenuti dotati di una migliore capacita’ esplicativa nel contesto in cui la condotta delittuosa si e’ in concreto realizzata (Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, Musso, rv. 265482; Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, Bosco, rv. 234148).
In tema di limiti di sindacabilita’ dei provvedimenti in tema di misure cautelari personali, la Corte di Cassazione non ha alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, ne’ di rivalutazione delle condizioni soggettive dell’indagato in relazione alle esigenze cautelari ed alla adeguatezza delle misure, trattandosi di apprezzamenti rientranti nel compito esclusivo del giudice di merito.
Sotto altro profilo, la Corte di cassazione in molteplici occasioni ha chiarito come non costituisca elemento nuovo, idoneo a legittimare la revoca della misura, il mero fatto dell’adozione, sempre in sede cautelare, di una decisione di segno favorevole nei confronti del coindagato, potendo al piu’ assumere rilevanza gli elementi per la prima volta eventualmente acquisiti e valutati in quel contesto rispetto al quadro indiziario gia’ posto alla base della misura a carico dell’istante (Sez. 6, n. 4993 del 03/12/2009 dep. 2010, Di Martino, Rv. 246076; sul tema, Sez. 2, n. 54298 del 16/091/2015, Baldassarri, Rv. 268634; Sez, 2, n. 39785 del 26/09/2007, Poropat, Rv. 238763).
Me nel caso di specie nulla e’ stato prospettato.
4. Alla dichiarazione di inammissibilita’ dei ricorsi consegue la condanna di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) alle spese processuali e ciascuno al versamento della soma di Euro duemila in favore della Cassa delle ammende.
5. A differenti conclusioni deve giungersi per quel che concerne (OMISSIS).
5.1. Dall’ordinanza impugnata emerge che: a) nei confronti del ricorrente sono state emesse due ordinanze custodiali detentive: b) la prima e’ stata emessa l’8/02/2016 nell’ambito del procedimento n. 1718/2011 R.G.N.R. con cui a (OMISSIS) e’ stato contestato il reato previsto dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, aggravato ai sensi del Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 7, in relazione ad un fatto commesso “sino al mese di (OMISSIS)” nel “contesto territoriale di operativita’ del clan ” (OMISSIS)”; c) la seconda ordinanza e’ quella per cui si procede, emessa il 30/04/2019 sempre nell’ambito dello stesso procedimento, in cui al ricorrente e’ contestato il reato previsto dall’articolo 416 bis c.p. commesso “fino al 2016”; d) il ricorrente e’ stato detenuto ininterrottamente dal 2013 fino al 2018.
5.2. Le fattispecie processuali in grado di azionare il meccanismo della retrodatazione della decorrenza dei termini di durata della custodia cautelare di cui all’articolo 297 c.p.p., comma 3, sono molteplici e tra loro profondamente eterogenee.
Il dato che piu’ di tutti condiziona la gamma dei presupposti applicativi della regola in esame e’ il nesso che intercorre tra i fatti oggetto delle diverse contestazioni cautelari: quanto piu’ e’ intenso questo legame, tanto piu’ la struttura della fattispecie processuale risulta semplificata e l’ambito applicativo della retrodatazione si dilata, laddove, invece, conseguenze opposte si innestano mano a mano che il legame tra i fatti si vada progressivamente ad affievolire.
Quanto alla individuazione delle condizioni legittimanti l’operativita’ della retrodatazione in caso di “fatti diversi”, non si dubita che la retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare, disposta per differenti reati, presupponga, in ogni caso, che la seconda ordinanza abbia ad oggetto fatti commessi anteriormente rispetto alla emissione della prima ordinanza (Sez. U, n. 21957 del 22/03/2005, Rahulia, Rv. 231057; Sez. U, n. 19/12/2006, dep. 2007, Librato, Rv.235911; Sez. 6, n. 11807 del 11/02/2013, Paladini, Rv. 255721).
In applicazione del principio indicato, nel caso di specie, il reato associativo oggetto della seconda ordinanza cautelare, in quanto commesso dall’indagato “fino al 2016”, sarebbe temporalmente successivo rispetto al momento di commissione del reato oggetto della prima ordinanza cautelare nonche’ alla data di emissione del primo titolo custodiale (8/02/2016); nonostante l’ininterrotto stato detentivo dell’indagato dal febbraio del 2016 -in relazione ad un fatto commesso nel 2013 – questi, secondo il Tribunale, avrebbe continuato a far parte, in assenza di elementi rivelatori di una dissociazione, dell’associazione mafiosa denominata clan (OMISSIS) fino al 31/12/2016.
Da tale presupposto si e’ fatto conseguire l’inoperativita’ del meccanismo di retrodatazione di decorrenza del termine di durata della custodia cautelare.
5.3. La questione attiene al se, in tema di c.d. contestazioni a catena, rispetto ad una contestazione c.d. “chiusa” del reato di associazione di stampo mafioso – oggetto del secondo titolo cautelare -, la individuazione di un unico momento di commissione del reato associativo per tutti gli indagati valga anche per coloro che, alla data di emissione dell’ordinanza, siano, nell’ambito dello stesso procedimento, gia’ in stato detentivo per il reato oggetto del primo titolo cautelare.
La questione attiene alla incidenza del sopravvenuto stato detentivo rispetto alla permanenza del reato associativo.
5.4. Sul tema, e’ necessario fare innanzitutto riferimento a Sez. U, n. 48109 del 19/07/2018, Giorgi, con cui la Corte di cassazione ha spiegato come, a fronte di una contestazione unica formulata per una pluralita’ elevata di destinatari della misura cautelare, la determinazione dell’epoca di commissione del reato non possa non tenere conto della posizione di ciascun singolo destinatario della misura, atteso che, ad esempio, la stessa quantita’ di luoghi di consumazione del reato – per come possono essere individuati nella imputazione provvisoria – puo’ sottintendere una pluralita’ di coordinate spazio-temporali in cui il reato si e’ perfezionato; in tali casi, affermano le Sezioni unite, “ben puo’ il giudice o comunque l’indagato offrire, una diversa ricostruzione del tempo di commissione del reato”.
Secondo un consolidato orientamento, elaborato soprattutto in tema di associazione di stampo mafioso ed al quale il Tribunale mostra di aderire, il sopravvenuto stato detentivo del soggetto non determina la necessaria ed automatica cessazione della sua partecipazione al sodalizio, atteso che la relativa struttura – caratterizzata da complessita’, forti legami tra gli aderenti e notevole spessore dei progetti delinquenziali a lungo termine – accetta il rischio di periodi di detenzione degli aderenti, soprattutto in ruoli apicali, alla stregua di eventualita’ che, da un lato, attraverso contatti possibili anche in pendenza di detenzione, non ne impediscono totalmente la partecipazione alle vicende del gruppo ed alla programmazione delle sue attivita’ e, dall’altro, non ne fanno venir meno la disponibilita’ a riassumere un ruolo attivo alla cessazione del forzato impedimento (fra le molte, cosi’, Sez. 2, n. 8461 del 24/01/2017, De Notari, Rv. 269121).
Il principio consolidato e’ che il sopravvenuto stato detentivo dell’indagato non esclude la permanenza della partecipazione dello stesso al sodalizio criminoso, che viene meno – non si manca di ripetere – solo nel caso, oggettivo, della cessazione della consorteria criminale ovvero nelle ipotesi soggettive, positivamente acclarate, di recesso o esclusione del singolo associato (cfr., Sez. 1, n. 46103 del 07/10/2014, Caglioti, Rv. 261272).
Dunque: a) in assenza della prova positiva del recesso o della esclusione dall’associazione, la condotta di partecipazione si considera non cessata anche nel caso di sopravvenuta detenzione dell’indagato; b) l’applicazione della regola della retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare presuppone che i fatti oggetto della seconda ordinanza siano commessi anteriormente all’emissione del primo titolo custodiale; c) il requisito indicato dell’anteriorita’ deve essere escluso, in caso di contestazione dell’illecito – oggetto della seconda ordinanza – oltre la data di emissione dell’ordinanza primigenia perche’ la permanenza non e’ interrotta (Sez. 6, n. 15821 del 03/03/2014, De Simone, Rv. 259771).
5.5. Si tratta di un ragionamento che deve essere ulteriormente esplicitato perche’, al di la’ della sua condivisibile portata astratta, necessita di essere adeguato maggiormente al caso concreto, alla fattispecie di volta in volta portata all’esame del giudice.
Si coglie l’esigenza di una ulteriore riflessione al fine di evitare che i principi indicati trovino attuazione attraverso accertamenti semplificati, tendenti a svuotare, come si dira’, la ratio sottesa all’articolo 297 c.p.p., comma 3.
Un’esigenza gia’ avvertita in qualche occasione dalla giurisprudenza della Corte di cassazione; ci si riferisce a Sez.1, n. 48211 del 13/11/2013, Allegro, Rv. 257817, secondo cui, in presenza di un reato permanente nel quale la contestazione sia stata effettuata con formula “aperta”, il provvedimento coercitivo che limita la liberta’ personale dell’indagato determina una presunzione di interruzione della condotta criminosa, la cui eventuale protrazione deve, pertanto, essere desunta da concreti elementi dimostrativi in fattispecie in cui in tema di contestazione a catena; si tratta di una decisione con cui la Corte ha annullato il provvedimento che aveva escluso il presupposto dell’anteriorita’ del reato di concorso esterno nell’associazione mafiosa, oggetto della seconda ordinanza coercitiva, sulla base esclusivamente del dato formale della contestazione del “tempus commissi delicti” con formula aperta.
Non e’ in discussione il principio secondo cui la sopravvenuta detenzione non assume di per se’ decisivo rilievo rispetto alla permanenza dell’affectio societatis, ben potendo il fatto associativo essere contestato a soggetti gia’ ristretti in carcere, anche con riferimento a periodi successivi all’emissione del primo titolo.
L’intervenuta carcerazione del soggetto a seguito dell’applicazione di un’ordinanza cautelare non costituisce un elemento automaticamente idoneo ad integrare una presunzione assoluta di interruzione della permanenza, ma realizza una presunzione relativa di non interruzione che puo’ imporre, ai fini della individuazione dei presupposti per l’applicazione dell’articolo 297 c.p.p., comma 3, di valutare la situazione concreta, senza fermarsi al mero dato formale dell’assenza di forme espresse di dissociazione.
Nel caso di specie, dall’ordinanza impugnata si evince che il giudizio di gravita’ indiziaria per il reato associativo e’ stato formulato sulla base delle dichiarazioni rese il 26/01/2015 dal collaboratore di giustizia (OMISSIS), che, tuttavia, ha riferito fatti accaduti fino al momento dell’arresto di (OMISSIS) – avvenuto, come detto, nel 2013 – nonche’ del contenuto di alcune conversazioni intercettate sempre nel 2013; dunque, un giudizio di gravita’ indiziaria formulato, quanto al reato associativo, sulla base di atti che pare esistessero gia’ al momento dell’adozione del primo titolo cautelare.
Quanto al periodo successivo all’arresto, non e’ stato rappresentato nessun elemento concreto per ritenere protratta la condotta associativa; non sono stati indicate circostanze fattuali dimostrative di una persistente fidelizzazione strutturale dell’indagato all’associazione; non si fa cenno ad una formale affiliazione, non si richiamano forme di assistenza economica da parte dell’associazione al detenuto ovvero ai familiari di questi, non si descrivono contatti di valenza operativa in carcere con altri associati, non vi sono richiami a corrispondenza inviata ad altri esponenti del gruppo o ricevuta dall’esterno, non si fa cenno a colloqui con familiari rivelatori della persistenza del rapporto con il gruppo.
Non e’ nemmeno in contestazione che: a) nella imputazione cautelare provvisoria sia stata indicata un’unica data di consumazione del reato associativo per decine di indagati, senza nessun riferimento specifico rispetto alla posizione dei singoli; b) la condotta partecipativa all’indagato sarebbe consistita nella “custodia, preparazione, taglio e trasporto delle sostanze stupefacenti destinate alla successiva vendita al dettaglio”.
L’unico dato valorizzato dal Tribunale e’ la mancanza di indici positivi dell’avvenuta rescissione del vincolo associativo dall’indagato detenuto e, per l’effetto, l’efficacia totalizzante della contestazione formale della permanenza per un periodo successivo a quello di emissione del primo titolo custodiale.
5.6. L’assunto del Tribunale non puo’ essere condiviso.
In presenza, come nella specie, di un’adeguata contestazione difensiva riguardante la individuazione del tempo di cessazione della permanenza, il giudice non puo’ limitarsi a condividere, senza una autonoma verifica, quanto sostenuto dal pubblico ministero ovvero ripiegare sul mero dato formale della data contenuta nella imputazione provvisoria; una esigenza autonoma di verifica si pone in maniera stringente, soprattutto – come osservato dalle Sezioni unite “Giorgi” – nei casi in cui l’indicazione formale della data di commissione del reato sia poco dimostrativa, perche’ cumulativamente formulata per decine di soggetti ed in relazione ad un reato che, secondo la stessa prospettazione d’accusa, si sarebbe consumato in una pluralita’ di luoghi; in tali casi, in cui pare difficile ipotizzare una permanenza che si consumi contestualmente per decine di indagati in luoghi differenti, e’ necessario ancorare, al fine di ritenere insussistente il presupposto per l’operativita’ del meccanismo di retrodatazione di cui all’articolo 297 c.p.p., comma 3, a dati concreti l’effettiva persistenza della condotta antigiuridica in ambito associativo oltre la data di emissione della prima ordinanza custodiale.
Si tratta di un’opzione maggiormente rispondente alla ratio fondante dell’articolo 297 c.p.p., comma 3.
Si nota correttamente in dottrina come la disciplina delle contestazioni a catena cosi’ come oggi e’ delineata e’, in tutte le sue sfaccettature, il frutto di un cammino di speculazione e di ricerca prevalentemente svoltosi in ambito giurisprudenziale; un cammino articolato, fatto di avanzamenti progressivi e di riflussi, in cui si pone l’esigenza di trovare un punto di equilibrio in una materia fluida, in continuo divenire, ove, peraltro, non di rado si registrano incursioni nella dimensione della illegittimita’ costituzionale.
E’ noto come il principio di autonoma decorrenza dei titoli cautelari (articolo 297 c.p.p., comma 5), secondo cui dall’esecuzione di una nuova ordinanza custodiale decorre un nuovo termine di durata della misura, trovi una deroga nell’articolo 297 c.p.p., comma 3, in ragione del quale, in presenza di determinati presupposti, gli effetti di ciascuna misura emessa nei confronti del medesimo soggetto decorrono a partire dalla data di esecuzione della prima ordinanza e sono commisurati all’imputazione piu’ grave.
In particolare, proprio per vanificare potenziali effetti contra libertatem, si e’ configurato un meccanismo di computo (c.d. retrodatazione) alternativo rispetto a quelli ordinari, dai quali si differenzia per il fatto di ancorare la decorrenza dei termini cautelari non all’effettiva esecuzione del provvedimento custodiale ma, al contrario, ad un momento diverso ed antecedente che, azzerando l’intervallo cronologico tra diverse misure, restituisce alla custodia cautelare la giusta durata.
Una esigenza di accertamento dei presupposti costitutivi della fattispecie processuale.
5.7. Dunque, ai fini della retrodatazione della decorrenza del termine di custodia cautelare, ai sensi dell’articolo 297 c.p.p., comma 3, il provvedimento coercitivo che limita la liberta’ personale dell’indagato determina solo una presunzione relativa di non interruzione della condotta criminosa, la protrazione della quale, in presenza di serie e concrete allegazioni difensive, deve tuttavia essere desunta, anche solo a livello indiziario, da concreti elementi dimostrativi.
Nel caso di specie, a fronte di una serie di elementi ed argomentazioni specifiche prospettati dall’indagato, il Tribunale non ha operato nessuna verifica in concreto in ordine al se la condotta partecipativa all’associazione mafiosa da parte di (OMISSIS) si sia protratta anche successivamente alla sua detenzione, essendosi limitato a richiamare, come detto, solo l’assenza di indici positivi della avvenuta rescissione del vincolo associativo.
L’ordinanza deve dunque essere annullata con rinvio per nuovo giudizio; il Tribunale, in sede di rinvio, applichera’ il principio indicato e verifichera’ se ed in che limiti siano sussistenti le condizioni previste dall’articolo 297 c.p.p., comma 3.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata nei confronti di (OMISSIS) e rinvia al Tribunale di Napoli per nuovo esame.
Dichiara inammissibili i ricorsi degli altri indagati che condanna ciascuno al pagamento delle spese processuali e ciascuno al versamento della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle ammende.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.
Il presente provvedimento, redatto dal Consigliere Dr. Silvestri Pietro, viene sottoscritto dal solo Presidente del Collegio per impedimento alla firma dell’estensore, ai sensi del D.P.C.M. 8 marzo 2020, articolo 1, comma 1, lettera a).

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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