Corte di Cassazione, sezione terza civile, Ordinanza 15 gennaio 2020, n. 525.
La massima estrapolata:
In tema di cd. nullità virtuale, la violazione di disposizioni inderogabili concernenti la validità del contratto è suscettibile di determinarne la nullità unicamente ove non sia altrimenti stabilito dalla legge. Pertanto, questo esito va escluso sia quando risulti indicata una differente forma di invalidità (ad esempio, l’annullabilità) sia ove la legge assicuri l’effettività della norma imperativa con la previsione di rimedi diversi. (Nella specie, era stata chiesta la dichiarazione di nullità del contratto di vendita di un immobile per violazione della l. n. 231 del 2007 sull’antiriciclaggio, stante il dedotto pattuito pagamento del prezzo in contanti; la S.C., nel confermare la sentenza impugnata, ha ritenuto non applicabile l’art. 1418 c.c. poiché l’infrazione contestata era sanzionata in via amministrativa).
In tema di forma degli accordi modificativi delle originarie clausole contrattuali di un contratto per il quale sia prevista dalla legge la forma scritta “ad substantiam”, gli accordi concernenti l’esecuzione del contratto (nella specie, le modalità di pagamento, in contanti ovvero con assegno, del prezzo già pattuito) si possono stipulare anche verbalmente, atteso che detta forma riguarda solo i requisiti essenziali del contratto, tra i quali non rientrano gli elementi che ne regolano l’esecuzione.
Ordinanza 15 gennaio 2020, n. 525
Data udienza 9 ottobre 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ARMANO Uliana – Presidente
Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere
Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere
Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere
Dott. CRICENTI Giuseppe – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 21975-2018 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2003/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 03/05/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/10/2019 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE CRICENTI.
FATTI DI CAUSA
La ricorrente agisce quale erede della propria madre, che, con atto del 31.7.2008, ha venduto un immobile ad (OMISSIS).
La ricorrente ritenendo che l’acquirente si e’ resa inadempiente, non avendo corrisposto il pagamento del prezzo, l’ha convenuta in giudizio per ottenere la risoluzione per inadempimento, o, in subordine, l’annullamento del contratto per incapacita’ della venditrice.
L’acquirente ha contrastato questa domanda eccependo di aver pagato in contanti l’intera somma, attraverso un accordo che prevedeva l’iniziale dazione di assegni, e, poi, atteso che la venditrice non aveva un conto corrente su cui versarli, il pagamento in contanti, con restituzione degli assegni al momento dell’integrale versamento del prezzo.
Il Tribunale ha accolto la domanda ritenendo inammissibile la prova per testi sull’avvenuto versamento del prezzo in contante.
Invece, la corte di secondo grado ha ammesso la prova testimoniale, che ha dato esito positivo, nel senso che ha confermato l’avvenuto pagamento in contanti del prezzo; inoltre ha ritenuto altresi’ provato per presunzione tale versamento dall’essere il possesso degli assegni in capo all’acquirente.
Ricorre la venditrice con 11 motivi. V’e’ costituzione dell’acquirente con controricorso.
RAGIONI DLELA DECISIONE
1.- La ratio della decisione impugnata e’ di ritenere intanto come presunto il pagamento del prezzo in contanti, presunzione ricavata dal possesso degli assegni in capo all’acquirente, indizio del fatto che il venditore, ricevuto il pagamento in contanti, ha restituito i titoli.
In secondo luogo, la corte ha ritenuto che, essendovi un indizio di prova scritta (la restituzione degli assegni, per l’appunto), si potesse ammettere la prova testimoniale sul patto che prevedeva il pagamento in contanti e sulla esecuzione di tale patto.
Ha quindi ritenuto provato, all’esito della prova testimoniale, l’avvenuto pagamento.
2.- La venditrice ricorre con undici motivi, articolati a loro volta in altre censure.
2.1.- I primi due motivi pongono questioni connesse e possono valutarsi congiuntamente.
Con il primo motivo la ricorrente si duole del fatto che la corte di merito, occupandosi esclusivamente del pagamento del prezzo, ha omesso l’esame del contratto e della domanda di risoluzione, con cio’ violando gli articoli 1277 e 1453 c.c., cio’ che l’ha portata ad invertire l’onere della prova, che era a carico della acquirente, la quale doveva dimostrare di aver adempiuto pagando il prezzo.
Con il secondo motivo si lamenta violazione dell’articolo 345 c.p.c., basata sulla circostanza che la corte, motivando nel senso che la restituzione degli assegni era circostanza atta a far presumere l’avvenuto pagamento del prezzo, ha posto a base della decisione un’eccezione tardivamente formulata e dunque non ammissibile.
I motivi sono entrambi infondati.
Intanto e’ da ribadire che la corte di merito ha ritenuto come provato il pagamento, oltre che dal risultato della prova testimoniale, altresi’ dalla circostanza che gli assegni erano in possesso dell’acquirente, segno che a quest’ultimo erano stati restituiti.
Ovviamente, l’apprezzamento della esecuzione del contratto (ossia del pagamento del prezzo) e’ conseguente alla considerazione dello stesso come fonte del rapporto. Non si puo’ dire che la corte, occupandosi esclusivamente della esattezza dell’adempimento (e del resto quella era la domanda, essendo chiesta la risoluzione per inadempimento) non si e’ pronunciata sull’essere il contratto la fonte del rapporto e il titolo della domanda di risoluzione.
Ovvio che l’esame dell’esatta esecuzione implica quella dell’esistenza del titolo. Ne’ puo’ dirsi fondato il secondo motivo.
Invero la deduzione secondo cui il fatto che gli assegni fossero in possesso dell’acquirente costituiva presunzione dell’avvenuto pagamento con mezzi diversi, vale a dire in contanti, non costituisce una eccezione in senso stretto, da proporre nei termini imposti dalle preclusioni processuali.
L’eccezione e’ pur sempre la deduzione di un fatto nuovo, utile a contrastare la pretesa avversaria, e proprio in quanto contenente un fatto nuovo che si distingue dall’argomento difensivo, il quale invece puo’ consistere anche in nuovi motivi di difesa, purche’ riferiti sempre ai fatti gia’ emersi ed allegati (Cass. 23796/2018).
Nella fattispecie, il fatto consistente nel possesso degli assegni da parte dell’acquirente, oggi resistente, era agli atti sin dall’inizio, e la sua valorizzazione quale indizio, ossia quale elemento di presunzione dell’avvenuto pagamento, non costituisce eccezione, bensi’ argomento difensivo, sempre proponibile.
2.2.- Terzo, quarto e quinto motivo possono esaminarsi congiuntamente.
Infatti, vertono sulla medesima circostanza, ma diversamente valutata.
Si tratta dell’accordo con cui le parti decidono di effettuare il pagamento mediante contanti anziche’ con gli assegni, che vengono dunque restituiti all’emittente.
La qualificazione di questo accordo e’ preliminare, posto che la ricorrente ne eccepisce la nullita’ per le ragioni che vedremo, ma costituisce altresi’ premessa necessaria per valutare gli altri motivi di ricorso (e segnatamente il sesto e il settimo) argomentati sulla premessa che si tratti di un patto aggiunto, coevo al contratto.
Va pur detto che, in realta’ ne’ dal ricorso ne’ dalla sentenza emerge che le parti abbiano convenuto inizialmente un pagamento in assegni, salvo poi (o contemporaneamente) a prevedere il pagamento in denaro. Si tenga presente che solo ove il patto fosse coevo o anteriore al contratto, e di contenuto contrario, sarebbero precluse le prove orali, non cosi’ invece se la convenzione fosse posteriore. Niente di tutto questo risulta dal ricorso.
Il che conduce, di per se’ la rigetto dei motivi, che presuppongono l’esistenza di un tale accordo.
In aggiunta, l’accordo con cui le parti convengono come adempiere al contratto, ossia se effettuare il pagamento in assegni o in contanti, e se sostituire gli assegni con il contante, non e’ un patto modificativo dell’originario contenuto contrattuale, ma un accordo che riguarda per l’appunto le modalita’ esecutive dell’obbligo del solo compratore di versamento del corrispettivo.
Non costituisce dunque, di per se’, un accordo che incide contenuto del contratto: il corrispettivo resta tale quale era, mentre mutano le modalita’ di corresponsione, che costituiscono frutto di pattuizioni accessorie, non idonee nemmeno a costituire novazione (articolo 1231 c.c.).
Con la conseguenza che le pattuizioni sulle modalita’ di esecuzione dell’obbligo del compratore, proprio in quanto patti meramente accessori al contratto non devono rivestire la forma del contratto e possono farsi verbalmente (Cass. 419/2006), cosi che si dimostra infondato il terzo motivo che lamenta omessa dichiarazione della nullita’ del patto per difetto di forma
Parimenti infondato e’ il quinto motivo che lamenta nullita’, per violazione del Regio Decreto n. 1736 del 1933, e successive modifiche, per via del fatto che qui la dazione degli assegni non sarebbe avvenuta solvendi causa, ossia utilizzando gli effetti come mezzo di pagamento, funzione alla quale sono per legge deputati, bensi’ con funzione di garanzia, in vista del pagamento in contanti.
In realta’, lo scopo di garanzia dell’assegno presuppone intanto che quest’ultimo rimanga nella disponibilita’ del creditore, fino a pagamento avvenuto, in modo che questi lo possa utilizzare per l’esecuzione in caso di inadempimento, mentre nel caso presente gli assegni erano, pacificamente, in possesso del debitore acquirente, e dunque restituiti dal prenditore; ma, soprattutto, la funzione di garanzia non puo’ che realizzarsi mediante post datazione dell’assegno, o sua emissione in bianco, altrimenti, essendo il titolo immediatamente esigibile, non puo’ che assolvere alla funzione di mezzo di pagamento, salvo accordo di simulazione della data di emissione con impegno del prenditore di non incassare alla scadenza impressa sull’effetto (Cass. 10710/2016).
Infine, quanto al quarto motivo, la ricorrente lamenta omessa dichiarazione di nullita’ della vendita, per violazione della L. n. 231 del 2007 sull’antiriciclaggio (conseguente al pagamento in contanti).
Ma, per come e’ evidente, si tratta di una norma che, ratione temporis, applicabile alla fattispecie, prevede una sanzione amministrativa, cosi che e’ escluso che si possa predicare una nullita’ virtuale per sua violazione, in quanto la nullita’ virtuale presuppone l’assenza di esplicita sanzione dell’atto o della condotta, e la possibilita’ di affermare la nullita’ come sanzione, per cosi dire, implicitamente prevista dalla disposizione violata. Ove, invece, via sia la previsione di una espressa sanzione, come quella amministrativa prevista in questo caso, e’ da escludersi che debba ricavarsene una diversa (nullita’ dell’atto) per via interpretativa, ed assunta come virtuale.
2.3- Quanto detto circa il patto sulle modalita’ di pagamento incide altresi’ sulla infondatezza dei motivi dal sesto all’ottavo, i quali presuppongono che l’accordo con cui le parti sostituiscono un mezzo di pagamento del prezzo con un altro, rientri tra i patti, di modifica del contenuto contrattuale, soggetti alle limitazioni della prova testimoniale.
Invece, per quello che si e’ detto (ossia che non v’e’ prova di un patto sulle modalita’ esecutive, e in che termini si sia realizzato) e’ da escludersi l’applicabilita’ di quelle norme.
Tuttavia, altre ragioni depongono per il rigetto dei suddetti motivi, e cio’ a prescindere dalle fondate osservazioni del controricorrente secondo cui, trattandosi di norme poste a tutela di interessi privati, la loro violazione da’ luogo a nullita’ relative, che vanno eccepite nella prima difesa successiva a quella di avvenuta violazione, nel caso di specie di assunzione della testimonianza (Cass. 14274/2017; Cass. 163737/2014), e cio’ in ciascuna delle ipotesi indicate dal ricorrente sia di violazione degli articoli 2721 e 27126 c.c. (sesto motivo), dell’articolo 2722 c.c. (settimo motivo), articolo 2724 c.c. (ottavo motivo).
A parte tutto cio’, basterebbe il rigetto a tal fine del solo ottavo motivo, in quanto l’articolo 2724 c.c. prevede che, in tutte le ipotesi in cui e’ preclusa la prova testimoniale, dunque tutte quelle in cui la ricorrente assume violazione di legge, la medesima prova e’ comunque ammessa quando vi sia un principio di prova per iscritto (che la corte di merito ha ritenuto sussistere nel possesso degli assegni da parte del debitore), valutazione quest’ultima insindacabile se non nei limiti dell’assoluto difetto di motivazione.
2.4.- Con i motivi nono, decimo ed undicesimo invece la ricorrente lamenta violazione di legge (articoli 246, 247, 116 e 2697 c.c.) quanto alla ammissione della prova testimoniale da parte di soggetto incompatibile (creditore della venditrice) ed erronea valutazione circa l’attendibilita’ del teste.
Quanto al primo aspetto fatto valere con il nono motivo, l’incapacita’ a testimoniare sussiste solo ove il teste sia portatore di un interesse che legittimerebbe una sua azione o un suo intervento in causa, e questa condizione va interpretata in senso restrittivo, valutando non l’astratto interesse del teste all’esito del giudizio, ma quello concreto, anche quando il teste sia creditore di una delle parti, situazione che non esclude la sua capacita’ di testimoniare (Cass. 8239/2012).
L’apprezzamento di questa incompatibilita’ presuppone un giudizio di fatto non sindacabile in sede di legittimita’ se non nei limiti di una motivazione del tutto inadeguata a giustificare l’ammissione della prova. Invece la corte di merito ha ritenuto, correttamente motivando, che il teste, pur creditore della alienante, non aveva alcun interesse concreto a deporre contro la tesi di quest’ultima, e che, semmai aveva interesse a deporre a suo favore onde impedire la efficacia della vendita e l’alienazione, da parte della sua debitrice di un bene a garanzia del debito.
Invece i motivi decimo ed undicesimo vertono sulla valutazione dell’attendibilita’ del teste, che e’ giudizio riservato al giudice di merito, il quale ha dato del suo convincimento una motivazione sufficiente (p. 5 paragrafo 5.6.) e che dunque non puo’ essere sindacato in Cassazione.
Il ricorso va pertanto rigettato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite nella misura di 5200,00 Euro, oltre 200,00 Euro di spese generali.
Da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento del doppio del contributo unificato.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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