Corte di Cassazione, penale, Sentenza|1 marzo 2021| n. 7999.
In tema di bancarotta fraudolenta, la circostanza attenuante della speciale tenuità del danno di cui all’art. 219, comma terzo, legge fall., va valutata all’atto della dichiarazione di fallimento, che rappresenta il momento consumativo del reato, costituendo il recupero del bene a seguito del prospettato esercizio dell’azione revocatoria un mero “post factum”, irrilevante anche ai fini della configurabilità dell’attenuante comune della riparazione del danno di cui all’art. 62, comma primo, n. 6, cod. pen.
Sentenza|1 marzo 2021| n. 7999
Data udienza 13 gennaio 2021
Integrale
Tag – parola chiave: Bancarotta fraudolenta patrimoniale – Speciale tenuità del fatto rapportato al momento del fallimento – Irrilevanza degli eventuali recuperi
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ZAZA Carlo – Presidente
Dott. SCARLINI Enrico V. – rel. Consigliere
Dott. PISTORELLI Luca – Consigliere
Dott. SESSA Renata – Consigliere
Dott. TUDINO Alessandrina – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 24/09/2019 della CORTE APPELLO di TRIESTE;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere SCARLINI ENRICO VITTORIO STANISLAO;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore SENATORE VINCENZO che ha concluso chiedendo l’inammissibilita’ del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 24 settembre 2019, la Corte di appello di Trieste, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Udine, riduceva la durata delle pene accessorie fallimentari applicate a (OMISSIS) e (OMISSIS) e ne confermava la responsabilita’ per il delitto loro ascritto di bancarotta fraudolenta patrimoniale consumata ai danni della srl (OMISSIS), dichiarata fallita il (OMISSIS), il primo quale amministratore di fatto, la seconda come amministratore di diritto, per avere distratto i beni meglio indicati in imputazione per un complessivo valore di Euro 16.350 piu’ Iva, ceduti alla srl (OMISSIS) e sicurezza con fatture datate dal dicembre 2005 al novembre 2006.
1.1. In risposta ai dedotti motivi di appello, la Corte territoriale osservava che:
– la societa’ era stata amministrata dal (OMISSIS) fino al maggio 2001 ed al medesimo era succeduta la moglie che, nel 2003, aveva acquistato anche le quote del marito, che non poteva piu’ amministrarla per essere stata dichiarata fallita la sua ditta individuale;
– l’esercizio 2005 si era chiuso con un’ingente perdita ed il patrimonio era divenuto negativo;
– nel medesimo lasso di tempo, tra gli ultimi mesi del 2005 ed il 2006, la societa’ aveva venduto i beni di cui disponeva alla srl (OMISSIS) e sicurezza amministrata dalla stessa (OMISSIS), per complessivi Euro 16.350, di cui 14.020 rimasti impagati;
– quest’ultima societa’ aveva proseguito l’attivita’ della ditta individuale del (OMISSIS) e della fallita tanto da averne, su iniziativa del medesimo, acquisito i dipendenti ed i fornitori;
– era pertanto evidente la natura spoliativa dell’atto di cessione dei beni ed il permanente ruolo di amministratore di fatto del (OMISSIS) (riferito, del resto, dai testi escussi, gia’ dipendenti della fallita).
2. Propongono ricorso gli imputati, con unico atto ed a mezzo del comune difensore, articolando le proprie censure in tre motivi.
2.1. Con il primo, deducono il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta valenza distrattiva della cessione dei beni della fallita alla srl (OMISSIS) fondata sul mero rilievo della identita’ degli organi amministrativi, di fatto e di diritto, ricoperti dai prevenuti nelle due societa’.
Si sarebbe, invece, dovuto considerare che le due realta’ sociali erano ben distinte e che si erano limitate a stipulare un contratto, del quale era stato effettivamente versato parte del corrispettivo, per Euro 2.350, rimanendo insoluto il saldo, a causa delle sopravvenute difficolta’ economiche della societa’ acquirente, cosi’ concretandosi un mero inadempimento contrattuale di solo rilievo civile, senza alcun intento distrattivo, tanto che i beni si trovavano ancora presso l’acquirente.
2.2. Con il secondo motivo lamentano il travisamento della prova in ordine al ritenuto ruolo di amministratore di fatto in capo al (OMISSIS).
Decisione che si era fondata solo sull’escussione di due ex dipendenti che si erano, perlatro, limitati a riferire che, cessato il prevenuto dalla carica, gli era subentrata la moglie (che aveva versato loro gli emolumenti dovuti) e questi era rimasto in societa’ con il mero ruolo di capocantiere.
2.3. Con il terzo motivo denunciano la violazione di legge in riferimento all’omesso riconoscimento della circostanza attenuante del danno di speciale tenuita’.
Il curatore avrebbe potuto, agevolmente, diminuire il danno cagionato ai creditori recuperando i beni ceduti alla (OMISSIS), attivando i rimedi di legge, il recupero del prezzo e l’azione di risoluzione del contratto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi promossi nell’interesse dei prevenuti sono inammissibili.
1. I primi due motivi sono interamente versati in fatto e non tengono cosi’ conto dei limiti del sindacato di legittimita’ sul discorso giustificativo della decisione che deve essere circoscritto alla verifica dell’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilita’ di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si e’ avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali, esulando dai poteri della Corte quello di una riconsiderazione degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione e’, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimita’ la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente piu’ adeguata, valutazione delle risultanze processuali (per tutte: Sez. Un., 30/4-2/7/1997, n. 6402, Dessimone, Rv. 207944; ed ancora: Sez. 4, n. 4842 del 02/12/2003 – 06/02/2004, Elia, Rv. 229369 e piu’ di recente Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482).
La Corte territoriale, infatti, con motivazione priva di manifesti vizi logici, aveva osservato come:
– la riconducibilita’ della societa’, che aveva beneficiato della contestata distrazione, agli stessi imputati rendeva evidente l’intento distrattivo della consumata cessione dei beni, a fronte di un corrispettivo solo in minima parte versato;
– del resto, non risultava fossero state rilasciate le opportune garanzie o fosse stata tempestivamente attivata la procedura di recupero del saldo dovuto;
– i testimoni escussi avevano riferito che l’imputato (OMISSIS) impartiva loro le direttive relative ai compiti da svolgere (e curava le assunzioni del personale, la corresponsione degli stipendi, gli acquisti presso i fornitori) ed il contrario assunto del ricorrente, oltre che generico, non e’ neppure sostenuto dalla allegazione, al ricorso, delle dichiarazioni che si assumono avere avuto diverso contenuto;
– peraltro, (OMISSIS) aveva ceduto quote e carica alla moglie solo quando l’inabilitazione conseguente al fallimento della propria ditta individuale, e quindi anche in proprio, glielo aveva imposto.
2. Il terzo motivo, speso sul mancato riconoscimento della circostanza attenuante di cui alla L.Fall. articolo 219, comma 3, e’ manifestamente infondato.
La censura, infatti, e’ fondata sulla facile, secondo la difesa, recuperabilita’ dei beni distratti.
Si tratta pero’ di una tesi priva di fondamento perche’ consumandosi, il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale, al momento della pronuncia della sentenza dichiarativa del fallimento, la speciale tenuita’ del danno provocato ai creditori va rapportata a tale momento, costituendo gli eventuali recuperi dei beni solo un post factum privo di rilievo a tal fine (e peraltro questa Corte ha anche specificato che l’eventuale recupero del bene, se realizzato anche solo prospettando l’azione revocatoria, non configura neppure la circostanza attenuante, questa si’ concretata post factum, prevista dall’articolo 62 c.p., n. 6: da ultimo, Sez. 5, n. 8445 del 04/02/2020, Abate, Rv. 278684).
Deve poi aggiungersi come la Corte distrettuale abbia motivato sulla non particolare tenuita’ del danno anche considerando il non trascurabile valore dei beni distratti dal patrimonio sociale, a fronte di un attivo pressoche’ inesistente.
3. All’inammissibilita’ dei ricorsi segue la condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e, versando i medesimi in colpa, della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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