In tema di atti persecutori

Corte di Cassazione, penale, Sentenza|3 dicembre 2020| n. 34512.

In tema di atti persecutori, non integra la condotta di cui all’art. 612-bis cod. pen. la pubblicazione di “post” meramente canzonatori ed irridenti su una pagina “Facebook”, liberamente accessibile a chiunque, mancando il requisito dell’invasività inevitabile connessa all’invio di messaggi “privati” (sms, “whatsApp”) o alle telefonate. (In motivazione la Corte ha precisato che la pubblicazione di siffatti “post” è legittima ove rientri nei limiti della legittima libertà di manifestazione del pensiero e del diritto di critica).

Sentenza|3 dicembre 2020| n. 34512

Data udienza 3 novembre 2020

Integrale

Tag – parola chiave: Atti persecutori – Pubblicazione di notizie ironiche su Facebook – Stato di ansia delle comunicazioni dirette quali quelle su Whatsapp – Integrazione – Esclusione

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SABEONE Gerardo – Presidente

Dott. DE GREGORIO Eduardo – Consigliere

Dott. SETTEMBRE Antonio – Consigliere

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere

Dott. RICCARDI Giusepp – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE presso la CORTE DI APPELLO DI MILANO;
nel procedimento nei confronti di:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 26/09/2019 della Corte di Appello di Milano;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. GIUSEPPE RICCARDI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dr. Odello Lucia, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
uditi i difensori delle parti civili, Avv. (OMISSIS) e Avv. (OMISSIS), che hanno concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa il 26/09/2019 la Corte di Appello di Milano, in riforma della sentenza del Tribunale di Milano del 13/06/2017, ha assolto (OMISSIS) dal reato di cui all’articolo 612 bis c.p., per avere minacciato e molestato (OMISSIS) e (OMISSIS) con messaggi telefonici e sui socia) network di contenuto ingiurioso e diffamatorio, creando un profilo Facebook “(OMISSIS)”, in modo da costringerli ad alterare le proprie abitudini di vita (cambiano numero di telefono e profilo FB) e cagionando un grave stato di ansia e paura.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Milano, deducendo la violazione di legge ed il vizio di motivazione: lamenta che la Corte abbia offerto una mera lettura alternativa delle emergenze processuali, ritenendo che il rapporto locatizio, oggetto di controversia civile, minasse l’attendibilita’ delle parti civili, mentre tale controversia costituiva solo lo sfondo delle condotte; l’oggetto del processo e’ infatti costituito dai messaggi offensivi e minacciosi, reiterati in modo persecutorio tramite sms e post su FB; erroneamente la Corte ha negato la rilevanza dei messaggi sul rilievo che la loro lettura dipendeva da una scelta deliberata delle vittime, e non dalla diffusivita’ intrinseca dei contenuti postati sui socia/ network.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso del P.G. e’ inammissibile, non soltanto perche’ propone doglianze di fatto, dirette a sollecitare una non consentita rivalutazione del merito, mediante una lettura alternativa del compendio probatorio, ma innanzitutto perche’ e’ del tutto privo di specificita’, omettendo qualsivoglia concreto confronto argomentativo con la motivazione della sentenza impugnata.
La mancanza di specificita’ del motivo, invero, deve essere apprezzata non solo per la sua genericita’, come intrinseca indeterminatezza delle doglianze, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le affermazioni del provvedimento censurato senza cadere nel vizio di aspecificita’, fondante, ai sensi dell’articolo 591 c.p.p., comma 1, lettera c), l’inammissibilita’ (ex multis, Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, Lavorato, Rv. 259425; Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, Sammarco, Rv. 255568; Sez. 4, 29/03/2000, n. 5191, Barone, Rv. 216473; Sez. 1, 30/09/2004, n. 39598, Burzotta, Rv. 230634; Sez. 4, 39598, Burzotta, Rv. 230634; Sez. 4, 03/07/2007, n. 34270, Scicchitano, Rv. 236945; Sez. 3, 06/07/2007, n. 35492, Tasca, Rv. 237596).
Cio’ posto, il ricorso omette qualsivoglia confronto argomentativo con la sentenza impugnata, che, riformando la sentenza di condanna di primo grado, ha innanzitutto delimitato l’oggetto dell’imputazione, estromettendo gli asseriti pedinamenti fisici, le minacce e le operazioni informatiche non inviate ai coniugi (OMISSIS)- (OMISSIS), in quanto estranei alla contestazione, concentrando la propria valutazione sui messaggi telefonici e sui social network di contenuto ingiurioso e minaccioso, e sull’apertura della pagina Facebook “(OMISSIS)”.
Tanto premesso, la Corte territoriale, considerando il rapporto estremamente conflittuale tra (OMISSIS) e i coniugi (OMISSIS)- (OMISSIS), proprietari dell’appartamento condotto in locazione dal primo, la pendenza di una controversia civile, il tentativo dei coniugi di “tenersi buono” il teste (OMISSIS) con offerte di lavoro, ha formulato – con apprezzamento di fatto immune da censure di illogicita’, e dunque insindacabile in sede di legittimita’ – una valutazione di credibilita’ delle parti civili “compromessa”; da cio’ conseguendo la necessita’ di un rigoroso vaglio delle dichiarazioni delle parti civili.
In tal senso, giova evidenziare che la motivazione e’ conforme al principio, ribadito anche dalle Sezioni Unite di questa Corte, che, nell’affermare che le regole dettate dall’articolo 192 c.p.p., comma 3, non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilita’ dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilita’ soggettiva del dichiarante e dell’attendibilita’ intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere piu’ penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone, hanno altresi’ precisato come, nel caso in cui la persona offesa si sia costituita parte civile, puo’ essere opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Bell’Arte, Rv. 253214).
Ebbene, quanto agli atti di c.d. pirateria informatica, la Corte territoriale ha evidenziato l’assenza di qualsivoglia riscontro, essendo stati riferiti, peraltro in termini di deduzioni e sospetti, dalle sole parti civili; della “tempesta” di messaggi asseritamente inviati dall’imputato non e’ stata rinvenuta alcuna traccia nella memoria dei telefoni delle parti civili; le visualizzazioni della pagina Facebook della parte civile (OMISSIS) erano consentite dallo stesso profilo “pubblico” adottato dalla donna, percio’ accessibile a chiunque; la pagina Facebook “(OMISSIS)”, aperta dall’imputato, infine, conteneva messaggi irridenti nei confronti dei proprietari dell’appartamento locato “in nero” e in condizioni malandate, senza tuttavia alcuna indicazione dei nomi o di riferimenti individualizzanti.
Cio’ posto, la Corte territoriale ha ritenuto provata soltanto la condotta di pubblicazione di post canzonatori su una pagina Facebook, che, pero’, non erano indirizzati direttamente alle parti civili, come i messaggi privati, ma pubblicati su una pagina “pubblica”, visibile a tutti gli utenti del social network, la cui lettura era dunque rimessa alla scelta individuale; sicche’ manca, nella fattispecie, l’invasivita’ inevitabile connessa all’invio di messaggi “privati”, mediante SMS, Whatsapp, e telefonate, che caratterizza gli atti persecutori rilevanti ai sensi dell’articolo 612 bis c.p..
Esclusa la ricorrenza di messaggi minacciosi, la pubblicazione dei post sulla pagina Facebook aperta dall’imputato rispondeva piu’ ad un intento ironico ed irridente, di per se’ lecito, in quanto legittimo esercizio di un diritto di critica, sia pur espressa con modalita’ aspre, laddove la parte civile (OMISSIS) veniva “irrisa per le proprie credenze religiose, per il suo contraddittorio atteggiamento moralista e di difesa degli animali a fronte di inquilini in nero, in totale evasione fiscale” (p. 12 della sentenza impugnata).
Con tale argomentato tessuto motivazionale il ricorso del P.G. omette qualsivoglia confronto, rivelandosi, pertanto, generico e privo di specificita’.
Peraltro, esclusa la riconducibilita’ delle condotte contestate alla nozione di atti persecutori, manca altresi’ l’integrazione di uno degli eventi del reato alternativamente previsti dall’articolo 612 bis c.p..
2. Va dunque affermato il seguente principio di diritto: “In tema di stalking, la pubblicazione di post meramente canzonatori ed irridenti su una pagina Facebook accessibile a chiunque non integra la condotta degli atti persecutori di cui all’articolo 612 bis c.p., mancando il requisito della invasivita’ inevitabile connessa all’invio di messaggi “privati” (mediante SMS, Whatsapp, e telefonate), e, se rientra nei limiti della legittima liberta’ di manifestazione del pensiero e del diritto di critica, e’ legittima”.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso del P.G..
Oscuramento dati.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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