Corte di Cassazione, sezione prima penale, Sentenza 16 aprile 2020, n. 12339.
Massima estrapolata:
In tema di affidamento in prova terapeutico, poiché la condizione di accesso alla misura prevede che la pena detentiva inflitta o ancora da espiare sia contenuta nel limite di sei anni ovvero di quattro anni, se relativa a titolo esecutivo comprendente reati di cui all’art. 4-bis, legge 26 luglio 1975 n. 354, non è consentita la scissione virtuale del cumulo, in caso di pena da espiare superiore ai quattro anni, al fine di imputare quella già espiata ai reati in questione.
Sentenza 16 aprile 2020, n. 12339
Data udienza 20 febbraio 2020
Tag – parola chiave: Affidamento terapeutico – Art.94 dpr 309/90 – Reato di rapina aggravata ostativo ai sensi dell’art.4 bis ord.pen.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI TOMASSI Mariastefani – Presidente
Dott. SARACENO Rosa Anna – Consigliere
Dott. CASA Filippo – rel. Consigliere
Dott. MINCHELLA Antonio – Consigliere
Dott. CENTONZE Alessandro – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 19/06/2019 del TRIB. SORVEGLIANZA di CATANIA;
udita la relazione svolta dal Consigliere CASA FILIPPO;
lette le conclusioni del PG ALLIELLO Roberto, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con l’ordinanza in epigrafe, il Tribunale di sorveglianza di Catania dichiarava inammissibile l’istanza di affidamento terapeutico presentata da (OMISSIS) Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, ex articolo 94, rilevando che nel titolo in esecuzione era compreso, fra gli altri, il reato di rapina aggravata, ostativo ai sensi dell’articolo 4 bis Ord. Pen., e che il fine pena era superiore a quattro anni di reclusione.
Nonostante la gia’ dirimente valutazione, il Collegio riteneva di entrare nel merito dell’istanza, che rigettava alla luce del curriculum criminale dello (OMISSIS) e degli elementi di segno negativo emersi dalle informative di polizia e dalla relazione di sintesi.
Analogo rigetto subiva l’istanza subordinata di concessione della detenzione domiciliare speciale ex articolo 47-quinquies Ord. Pen..
2. Avverso il provvedimento suddetto ha proposto ricorso per cassazione l’interessato, per il tramite del difensore di fiducia, sviluppando i seguenti due motivi.
2.1. Inosservanza ed erronea applicazione della legge penale ex articolo 606 c.p.p., lettera b).
Secondo il ricorrente, il Tribunale di sorveglianza, discostandosi dal consolidato orientamento giurisprudenziale formatosi in materia di benefici penitenziari anche recependo le pronunce della Corte Costituzionale, non aveva considerato applicabile in materia di affidamento terapeutico il principio della scindibilita’ del provvedimento di cumulo di pene concorrenti e non aveva, per tale ragione, ritenuto gia’ scontata dallo (OMISSIS) la pena di un anno e undici mesi di reclusione inflittagli per il reato ostativo di rapina aggravata, da cui andavano detratti anche i periodi di liberazione anticipata; di conseguenza, l’ordinanza impugnata non aveva tenuto conto, come pena, inflitta o residua da espiare, per accedere all’affidamento, di quella ordinaria di sei anni, bensi’ di quella speciale di quattro anni, applicabile solo in presenza di pena in esecuzione riferita a reati ostativi, pena che, nella specie, tuttavia, era stata interamente scontata.
Quanto al profilo di merito, ad avviso del ricorrente, il provvedimento difettava di un reale giudizio su un’effettiva possibilita’ di risocializzazione del condannato, essendosi limitato a prendere atto acriticamente dei precedenti penali e dei carichi pendenti gravanti su di lui.
Non poteva, fra l’altro, reputarsi “breve” per una compiuta espressione di parere da parte dell’e’quipe educativa un periodo di detenzione di otto mesi.
Quanto al diniego della detenzione domiciliare speciale di cui all’articolo 47-quinquies Ord. pen., si censurava la ritenuta assenza dei presupposti di legge, essendo stata documentata l’impossibilita’ per la madre di accudire i figli minori.
2.2. Mancanza e manifesta illogicita’ della motivazione.
Il Collegio aveva errato nel rigettare la richiesta di accedere alla misura alternativa della detenzione domiciliare in ragione della manifestazione della indisponibilita’ della moglie ad accogliere il ricorrente nella propria abitazione, atteso che il predetto, seppure nello stesso stabile, avrebbe abitato nell’appartamento di residenza della madre.
Inficiato da contraddittorieta’ era il provvedimento, laddove, da un lato, aveva dato atto di un giudizio prognostico negativo da parte dell’e’quipe dell’area educativa e, dall’altro, aveva ravvisato l’insussistenza di una compiuta attivita’ di osservazione per l’asserita brevita’ della detenzione.
3. Il Procuratore Generale presso questa Corte, nella sua requisitoria scritta, ha concluso per il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e’, nel complesso, infondato e va, pertanto, rigettato.
2. In relazione al primo tema sviluppato nel primo motivo di ricorso, ritiene il Collegio di dare continuita’, sebbene in presenza di decisioni di contrario avviso (Sez. 1, n. 2285 del 3/12/2013, dep. 20/1/2014, Di Palo, Rv. 258403 – 01; Sez. 1, n. 5158 del 17/1/2012, Marino, Rv. 251860 – 01), alla preferibile, piu’ recente, opzione ermeneutica gia’ seguita da questa Corte (Sez. 1, n. 42088 del 18/7/2019, Rullo, Rv. 277294 – 01; Sez. 1, n. 51882 del 13/9/2016, P.G. in proc. Fiori, Rv. 268843 – 01; e Sez. 1 n. 41322, del 7.10.2009, Francavilla, Rv. 245057 – 01), alla stregua della quale l’invocato principio della scindibilita’ del cumulo non puo’ trovare applicazione quando la misura alternativa richiesta sia, come nel caso in esame, l’affidamento terapeutico, ostandovi il tenore letterale del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 94.
Detta disposizione gradua l’applicazione dell’affidamento in prova al servizio sociale nei casi particolari di condannati, tossicodipendenti o alcooldipendenti in trattamento o che intendano sottoporsi al programma di recupero, in funzione della misura della pena detentiva inflitta o di quella ancora da espiare e, in proposito, stabilisce, come condizione di ammissibilita’ della misura alternativa, che la ridetta pena deve essere contenuta nel limite di sei anni ovvero – piu’ rigorosamente – di quattro anni, se relativa a titolo esecutivo comprendente reato di cui all’articolo 4-bis Ord. Pen..
A differenza di quanto stabilito a proposito di altri benefici penitenziari, il criterio distintivo stabilito dal legislatore e’, pertanto, costituito dalla inclusione nel titolo esecutivo di alcuno dei reati previsti dall’articolo citato.
La disciplina positiva, per il riferimento operato all’insieme dei reati compresi nel titolo esecutivo e in funzione della condizione che (anche) uno (solo) di essi corrisponda ad alcuno di quelli indicati dall’articolo 4-bis Ord. pen., comporta che detti reati assumano rilievo in quanto concorrenti alla formazione del cumulo, oggetto del titolo in esecuzione.
La disposizione e’ testuale e risponde alla esigenza, non irrazionale, di limitare, piu’ restrittivamente, l’applicazione della misura alternativa (col requisito temporale maggiormente rigoroso, alternativamente previsto), in funzione della maggiore pericolosita’ dei condannati, normativamente apprezzata sulla base, per l’appunto, del criterio indicato (Sez. 1, n. 41322 del 7.10.2009, Francavilla, cit.).
3. L’iter argomentativo seguito dall’ordinanza impugnata e’ stato sviluppato in modo conforme alla richiamata normativa: qualora il titolo esecutivo comprenda (anche) un reato c.d. “ostativo”, la soglia per la concessione del beneficio penitenziario de quo e’ quella di complessivi quattro anni di detenzione; si tratta di un riferimento testuale che non e’ superabile attraverso lo scioglimento del cumulo, in quanto tale meccanismo, attraverso la parcellizzazione delle condanne, finirebbe per aggirare i limiti stabiliti dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 94 e consentirebbe di ipotizzare termini di ammissione differenti in relazione alle diverse condanne di un medesimo cumulo in espiazione.
4. Corretto e’, dunque, l’approdo cui e’ pervenuto il Tribunale di sorveglianza catanese nel dichiarare inammissibile l’istanza di accesso alla misura alternativa in questione, declaratoria che, all’evidenza, assume valenza dirimente e assorbente rispetto ai profili di merito che quel Collegio ha, comunque, inteso ugualmente affrontare per respingere, anche sotto quell’aspetto, l’istanza dello (OMISSIS).
Non possono, pertanto, essere presi in considerazione i rilievi afferenti a questa parte della decisione, in quanto assorbiti dalla prima.
5. Sono inammissibili le censure dedotte avverso il diniego della misura della detenzione domiciliare speciale ai sensi dell’articolo 47-quinquies Ord. Pen., comma 7, essendo per un verso sviluppate in punto di fatto (a proposito della prospettata impossibilita’ della ex moglie di accudire i figli avuti dal ricorrente, nonche’ della impossibilita’ di provvedere da parte di altri familiari), per l’altro non autosufficienti (sul luogo dove lo (OMISSIS) avrebbe fissato la sua residenza).
Inoltre, omette il ricorrente di misurarsi compiutamente con la prognosi di recidiva formulata dal Tribunale che preclude, ai sensi dell’articolo citato, comma 1, richiamato dal settimo, la concedibilita’ della misura de qua (se “sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti”).
Sul punto, il ricorso si esprime in termini di mero dissenso.
Ne’ e’ dato rilevare una contraddizione nella motivazione dell’ordinanza, in quanto la relazione di sintesi, ragionevolmente mutuata dal Collegio, si e’ conclusa con la proposta di prosecuzione del trattamento intramurario proprio perche’ gli educatori hanno avuto a disposizione un periodo troppo breve per un’adeguata osservazione della condotta del detenuto.
6. Al rigetto del ricorso consegue, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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