In tema di abuso di informazioni privilegiate

Corte di Cassazione, sezione seconda civile, Sentenza 12 maggio 2020, n. 8782.

La massima estrapolata:

In tema di abuso di informazioni privilegiate ex art. 187-bis del d.lgs. n. 58 del 1998, per effetto della pronuncia della Corte costituzionale del 21 marzo 2019, n. 63, dichiarativa dell’illegittimità dell’art. 6, comma 2, del d.lgs. n. 72 del 2015, nella parte in cui tale norma, relativamente agli illeciti disciplinati dagli artt. 187-bis e ter del T.U.F, escludeva l’applicazione retroattiva “in mitius” del più favorevole trattamento sanzionatorio introdotto dal comma 3 dello stesso art. 6, va cassata la sentenza che abbia ritenuto legittima la sanzione pecuniaria prevista dalla disciplina dichiarata incostituzionale, imponendosi una diversa valutazione in ordine alla sanzione da applicare.

Sentenza 12 maggio 2020, n. 8782

Data udienza 10 gennaio 2020

Tag – parola chiave: Sanzioni amministrative – Consob – Abuso di informazioni privilegiate ex art. 187 bis , 4 comma dlgs n. 58/98 – Acquisto di azione Mir da parte di UGF – Principio di identità dell’organo dell’udienza delle precisazioni delle conclusioni con quello deliberante – Utilizzo di presunzioni per affermare l’avvenuto abuso di informazioni – Insider tranding secondario e primario – Rapporti – Sentenza d’illegittimità costituzionale n. 63/2019 in riferimento alla sanzione di cui all’art. 187 tuf – Conseguenze – Rinvio

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIUSTI Alberto – Presidente

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 5205/2017 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
CONSOB, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3124/2016 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 26/07/2016;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/01/2020 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PEPE Alessandro, che ha concluso per l’accoglimento del terzo motivo di ricorso e per il rigetto dei restanti motivi;
uditi gli Avvocati (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS).

FATTI DI CAUSA

(OMISSIS) ha presentato ricorso, articolato in quattro motivi, avverso la sentenza n. 3124/2016 della Corte di appello di Milano, pubblicata in data 26 luglio 2016.
Resiste con controricorso la Commissione Nazionale per le Societa’ e la Borsa (CONSOB).
Con Delib. 3 novembre 2015, n. 19438, la CONSOB applico’, tra gli altri, a (OMISSIS) la sanzione amministrativa pecuniaria, Decreto Legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, ex articolo 187-bis (TUF), pari a Euro 110.000,00, nonche’ la sanzione interdittiva ex Decreto Legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, articolo 187-quater, comma 1 (TUF) di mesi tre, per aver acquistato per conto di (OMISSIS) (fondo gestito da (OMISSIS)) tra il (OMISSIS) e l'(OMISSIS), in concorso con (OMISSIS) e (OMISSIS), n. 1.378.213 azioni di risparmio (OMISSIS). Una operazione di acquisto delle azioni di risparmio (OMISSIS) ( (OMISSIS)) era stata eseguita da (OMISSIS) S.p.a. per conto di (OMISSIS) s.p.a. ( (OMISSIS)) tramite una procedura di Reverse Accelerated Bookbuilding (RABB) rivolta a soli investitori qualificati e conclusa l'(OMISSIS), al fine di realizzare l’esigenza di (OMISSIS) di disporre dei voti necessari per ottenere l’approvazione dell’operazione di fusione in (OMISSIS) ad opera dell’assemblea degli azionisti di risparmio di (OMISSIS). L’informazione di carattere privilegiato, quanto meno al 17 luglio 2013, attinente al progetto di acquisto da parte di (OMISSIS) delle azioni (OMISSIS), era stata comunicata da (OMISSIS), responsabile dell’unita’ Syndacation di (OMISSIS), ad alcuni esponenti aziendali di (OMISSIS), in particolare (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), i quali avevano cosi’ acquistato per conto di (OMISSIS) n. 1.378.213 azioni (OMISSIS) nel periodo immediatamente precedente alla divulgazione al mercato dell’operazione di RABB.
Avverso la Delib. CONSOB 3 novembre 2015, n. 19438, (OMISSIS) presento’ opposizione, deducendo l’insussistenza, nella specie, di un’informazione privilegiata al 17 luglio 2013, la mancanza di prova della comunicazione dell’informazione, l’erronea quantificazione della sanzione per violazione del Decreto Legislativo n. 72 del 2015, articolo 6, comma 3 e del principio del favor rei, l’illegittimita’ del Regolamento sul procedimento sanzionatorio della CONSOB. Con sentenza n. 3124/2016, la Corte d’appello di Milano ha rigettato il ricorso di (OMISSIS).
Le parti hanno da ultimo presentato memorie, ai sensi dell’articolo 378 c.p.c., in data 23 dicembre 2019 e 3 gennaio 2020.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Deve dapprima rigettarsi l’istanza di riunione tra il presente giudizio di cassazione e quelli contraddistinti come R.G. 5211/2017, 5207/2017 e 5210/2017. Si tratta di ricorsi proposti contro distinte sentenze pronunciate in separati giudizi di opposizione del Decreto Legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, ex articolo 187-septies, intercorsi fra soggetti diversi. La riunione richiesta, pur attenendo a cause connesse, non garantisce l’economia ed il minor costo dei giudizi di cassazione, ne’ favorirebbe la loro ragionevole durata.
1. Il primo motivo di ricorso di (OMISSIS) lamenta la “nullita’ della sentenza per error in procedendo – violazione degli articoli 132 e 276 c.p.c. e degli articoli 114, 118 e 119 disp. att. c.p.c.”. La censura evidenzia la sostanziale identicita’ del testo delle cinque sentenze che hanno respinto le rispettive opposizioni promosse avverso la stessa delibera sanzionatoria da (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), pur trattandosi di sentenze pronunciate all’esito di distinte udienze di discussione (28 giugno 2016 e 12 luglio 2016), decise da diversi collegi giudicanti e redatte da diversi giudici estensori. Tutto cio’ renderebbe impossibile identificare i giudici che abbiano emesso l’impugnata sentenza n. 3124/2016 della Corte d’appello di Milano, e lascerebbe anzi desumere che le uniformi decisioni siano state assunte nel corso di un’unica Camera di consiglio estesa alla partecipazione di tutti i componenti dei diversi collegi.
1.1. Il primo motivo di ricorso e’ del tutto infondato.
Dal combinato disposto degli articoli 132 e 276 c.p.c., e’ agevole ricavare il principio secondo cui la paternita’ della decisione deve essere attribuita esclusivamente al giudice o al collegio che ha elaborato la decisione stessa, occorrendo che nell’epigrafe della sentenza-documento venga riportato il nominativo del giudice o dei giudici che abbiano assunto la decisione. E’ poi necessario che i membri del collegio nominativamente indicati nell’intestazione della sentenza coincidano con i nomi di coloro che hanno assistito all’udienza di discussione (nella specie, come risulta dal verbale dell’udienza collegiale del 28 giugno 2016, Presidente (OMISSIS), Giudici (OMISSIS) e (OMISSIS)) ed hanno trattenuto la causa in decisione, stante il principio dell’identita’ dell’organo presente all’udienza di discussione con quello deliberante, principio ovviamente operante anche per l’udienza pubblica di discussione dell’opposizione ex articolo 187-septies TUF (arg. da Cass. Sez. 2, 23/03/2006, n. 6564; Cass. Sez. 1, 13/09/2006, n. 19662).
La nullita’ della sentenza deliberata da giudici diversi da quelli che hanno assistito alla discussione puo’ essere percio’ dichiarata solo quando vi sia la prova della diversita’ tra il collegio deliberante e quello che abbia, invece, assistito alla discussione della causa, come risultante dal verbale d’udienza, il quale fa fede fino a querela di falso dei nomi dei giudici componenti il collegio e della riserva, espressa dagli stessi giudici a fine udienza, di prendere la decisione in Camera di consiglio, senza che neppure rilevi a tal fine l’eventuale presenza di altri giudici che non abbiano concorso alla deliberazione. Il verbale dell’udienza di discussione ingenera, percio’, la presunzione della deliberazione della sentenza da parte degli stessi giudici che hanno partecipato all’udienza collegiale, ulteriormente avvalorata dalla circostanza che, ai sensi dall’articolo 276 c.p.c., tra i compiti del presidente del collegio vi e’ quello di controllare che i giudici presenti nella Camera di consiglio siano quelli risultanti dal verbale dell’udienza di discussione (Cass. Sez. 3, 06/07/2010, n. 15879), restando la composizione del collegio altrimenti comunque individuabile alla stregua delle regole dettate dagli articoli 113 e 114 disp. att. c.p.c. (arg. da Cass. Sez. 1, 02/10/2019, n. 24585). Ne’ puo’ dunque valere a sovvertire tale presunzione di coincidenza tra i giudici della Corte d’appello di Milano che assistettero alla discussione della causa all’udienza del 28 giugno 2016 e i giudici che hanno deliberato la decisione qui impugnata, la corrispondenza testuale di quest’ultima con altre sentenze rese da diversi collegi con riguardo agli altri soggetti coinvolti in questa stessa vicenda sostanziale, atteso che l’assoluta similitudine delle fattispecie decise rendeva del tutto comprensibile, se non addirittura opportuna, una uniformazione dei diversi estensori in sede di successiva stesura delle rispettive motivazioni. L’identita’ della motivazione di una sentenza rispetto a quella espressa in pronunce riguardanti altre fattispecie analoghe, simili o addirittura identiche, non e’, dunque, ragione che lascia desumere che la decisione sia stata deliberata in Camera di consiglio da un collegio diverso da quello che ha assistito alla discussione della causa, rimanendo distinta la questione se poi tale uniforme motivazione si riveli di per se’ erronea, in fatto o in diritto, in relazione alla fattispecie concreta.
Come affermato in Cass. Sez. U., 16/01/2015, n. 642, “per il diritto positivo non si pone un problema di originalita’ ovvero di paternita’ con riguardo alle modalita’ espressive utilizzate in motivazione, tanto meno con riguardo ai contenuti di essa”, giacche’ quel che e’ piuttosto irrinunciabile e’ che “la decisione e l’individuazione delle ragioni che la sostengono siano attribuibili al giudice, costituendo manifestazione ufficiale della volonta’ dello Stato che attraverso il giudice si esprime, ed inoltre che esse siano corrette e complete nonche’ esposte in maniera chiara, coerente ed esaustiva”. L’identita’ delle motivazioni di sentenze pronunciate da diversi collegi o in diverse udienze non infirma, dunque, l’attribuibilita’, ai rispettivi giudici che le abbiano emesse, della decisione e della individuazione delle ragioni che le sostengano, ne’ lascia ragionevolmente supporre alcuna indebita influenza sul procedimento di formazione della volonta’ espressa nelle pronunce adottate.
2. Il secondo motivo di ricorso censura la violazione e/o falsa applicazione del Decreto Legislativo n. 58 del 1998, articolo 187-bis, articoli 2727 e 2729 c.c. e articoli 115 e 116 c.c., nonche’ la violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 2697 c.c., L. n. 689 del 1981, articolo 23 e del Decreto Legislativo n. 150 del 2011, articolo 6, comma 11, per avere la Corte d’appello di Milano dedotto, in forza di un errato ragionamento presuntivo, che la rivelazione dell’informazione privilegiata attinente alla procedura di Reverse Accelerated Bookbuilding avesse consentito a (OMISSIS) “di acquistare grossi volumi di (OMISSIS) a prezzi relativamente bassi e comunque con la certezza che al momento del RABB (gli acquirenti) ne avrebbero ricavato un premio che si collocava, presumibilmente, intorno al 5%”. La sentenza impugnata ha invero ricavato in via di presunzioni la prova dell’avvenuta comunicazione dell’informazione previlegiata sulla base delle seguenti circostanze: 1) detta informazione era in possesso di (OMISSIS) (cd. insider primario); 2) vi era stato nel periodo rilevante un fitto scambio di corrispondenza avente ad oggetto le (OMISSIS) tra il (OMISSIS) e gli esponenti aziendali di (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) (cd. insider secondari); 3) il medesimo (OMISSIS) era legato da un rapporto stretto di amicizia con (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS); 4) emergeva un significativo ed anomalo disallineamento negli acquisti di (OMISSIS) da parte di (OMISSIS) dopo la ricezione dell’informazione privilegiata ed in prossimita’ del RABB, arrivando al numero di 1.378.213 azioni di risparmio (OMISSIS) in meno di quindici giorni tra fine luglio ed inizio agosto 2013.
Il ricorrente nella seconda censura evidenzia tuttavia come l’utilizzo delle presunzioni da parte della Corte di Milano avrebbe comunque lasciato indimostrate la data in cui sarebbe avvenuta la comunicazione dell’informazione privilegiata e la persona fisica che l’avrebbe ricevuta. Si aggiunge che il “fitto scambio di corrispondenza avente ad oggetto le (OMISSIS) tra (OMISSIS) e (OMISSIS) nelle persone di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)” sia dato connotato da “irrilevanza indiziaria”, e che, inoltre, CONSOB non avrebbe neppure contestato l’assenza di ogni anomalia nella compravendita delle azioni (OMISSIS) da parte di (OMISSIS), avendo quest’ultima, peraltro, operato gli acquisti piu’ significativi dei titoli nel mese di agosto, quando ormai il prezzo era salito in maniera cospicua.
2.1. Il secondo motivo di ricorso e’ anch’esso infondato. Il Decreto Legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, articolo 187-bis, comma 4, nella formulazione vigente ratione temporis (poi sostituita dal Decreto Legislativo 10 agosto 2018, n. 107, articolo 4, comma 9) sanziona, tra l’altro, chiunque, essendo in possesso di informazioni privilegiate, e conoscendo o potendo conoscere in base ad ordinaria diligenza il carattere privilegiato delle stesse, acquista, vende o compie altre operazioni su strumenti finanziari utilizzando le informazioni medesime
La censura in esame deduce, come visto, che la Corte d’appello non abbia individuato, nel suo percorso motivazionale, il momento della comunicazione a (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) dell’informazione privilegiata proveniente da (OMISSIS), essendo irrilevante il “fitto scambio di corrispondenza” accertato, e nega pure la significativita’ indiziaria del disallineamento operativo di (OMISSIS) nel periodo temporale di riferimento.
Tali critiche, soffermandosi sull’ipotizzata decisivita’ della comunicazione dell’informazione privilegiata (ex articolo 181 TUF, vigente ratione temporis, nella specie consistente, come visto, nella determinazione di (OMISSIS) s.p.a. di avviare una procedura di Reverse Accelerated Bookbuilding per acquistare azioni di risparmio (OMISSIS)), non considerano l’interpretazione prescelta da questa Corte circa la fattispecie sanzionatoria in questione. Secondo, infatti, quanto gia’ chiarito da Cass. Sez. 2, 04/12/2013, n. 27225, il Decreto Legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, articolo 187-bis, comma 4, come sostituito dalla L. 18 aprile 2005, n. 62, articolo 9, comma 4, nella specie applicabile ratione temporis, da’ esclusivo rilievo al fatto che l’agente fosse “in possesso di informazioni privilegiate”, e facesse percio’ uso delle stesse – conoscendo o potendone conoscere, in base ad ordinaria diligenza, il carattere privilegiato – per compiere taluna delle azioni descritte nel comma 1, senza postulare l’acquisizione dolosa della notizia privilegiata. Consegue che, ai fini della configurabilita’ dell’illecito di insider trading secondario, non assumono alcuna decisivita’ le modalita’ attraverso cui l’informazione privilegiata sia stata acquisita dall’accipiens, ne’ occorre provare la consapevole comunicazione dell’informazione da chi originariamente l’abbia detenuta (cfr. anche Cass. pen., Sez. 5, 20/01/2010 – dep. 03/03/2010, n. 8588). La sanzione amministrativa stabilita per la condotta di trading del cosiddetto insider secondario non postula, pertanto, ne’ che sia accertata la divulgazione imputabile al primary insider, ne’ che si dia prova di un’appropriazione dell’informazione da parte del secondary insider, incentrando la propria operativita’, piuttosto, sulla conoscenza (o, meglio, conoscibilita’) della natura privilegiata dell’informazione stessa in possesso dell’agente. Basta, dunque, per la sanzionabilita’ ai sensi dell’articolo 187-bis, comma 4, TUF, la dimostrazione della compravendita di titoli da parte di chi sia a conoscenza della informazione privilegiata per ricavarne la necessaria prova del possesso, prescindente dalla verifica su come quell’informazione sia stata ottenuta. La fattispecie sanzionatrice suppone, in sostanza, che sia accertato non un collegamento causale orientato tra l’informazione posseduta e l’attivita’ trasmissiva di un informatore qualificato, quanto il nesso eziologico tra il possesso dell’informazione e l’utilizzo che se ne faccia compiendo operazioni su strumenti finanziari.
Cass. sez. II 16/10/2017, n. 24310, ha precisato, in tal senso, che “nel testo dell’articolo 187 TUF, l’espressione “informazione” va intesa quale “conoscenza”, indipendentemente dal fatto che tale conoscenza sia stata o meno trasmessa da altri all’agente”.
Cosi’ gia’ Corte di Giustizia UE, 23 dicembre 2009, n. 45 (i cui principi vanno, peraltro, ora riletti alla luce dell’articolo 9 del Regolamento 596/2014/UE, entrato in vigore il 3 luglio 2016), osservava come “l’articolo 2, n. 1, della direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio 28 gennaio 2003, 2003/6/CE, relativa all’abuso di informazioni privilegiate e alla manipolazione del mercato (abusi di mercato), deve essere interpretato nel senso che il fatto che una persona di cui al comma 2 di tale disposizione, che detiene informazioni privilegiate, acquisisca o ceda, o cerchi di acquisire o cedere, per conto proprio o per conto terzi, direttamente o indirettamente, gli strumenti finanziari cui le informazioni si riferiscono, comporta che tale persona ha “utilizzato tali informazioni” ai sensi di detta disposizione, fatto salvo il rispetto dei diritti della difesa e, in particolare, del diritto di poter confutare tale presunzione. La questione se detta persona abbia violato il divieto dell’abuso di informazioni privilegiate deve essere analizzata alla luce della finalita’ di tale direttiva, la quale consiste nel tutelare l’integrita’ dei mercati finanziari e nel rafforzare la fiducia degli investitori, che riposa, in particolare, sulla garanzia che questi ultimi saranno posti su un piano di parita’ e tutelati contro l’utilizzazione illecita delle informazioni privilegiate”.
Quanto al quadro indiziario su cui la Corte di Milano ha complessivamente basato l’accertamento che (OMISSIS) fosse “in possesso di informazioni privilegiate” al momento degli acquisti delle azioni di risparmio (OMISSIS) (dando valore, in particolare, ai rapporti intercorsi con (OMISSIS), insider primario, ed al disallineamento delle operazioni su titoli (OMISSIS) compiute da (OMISSIS) tra fine luglio ed inizio agosto 2013), indicativamente Cass. Sez. 2, 03/08/2016, n. 16253, spiego’, in termini che vanno qui ribaditi, come alcuna incompatibilita’ sussista tra la condotta di abuso di informazioni privilegiate e il suo accertamento mediante presunzioni, essendo, piuttosto, la prova presuntiva “spesso l’unica che consenta di accertare il possesso delle dette informazioni, dal momento che il trasferimento di queste si attua, di regola, con modalita’ che escludono attivita’ di documentazione, mentre la rappresentazione dell’insider trading attraverso prove orali e’ eventualita’ per lo piu’ esclusa dalla naturale riservatezza delle comunicazioni e dalla mancata conoscenza, da parte della Consob, di quanti, vicini all’incolpato, potrebbero fornire precise informazioni al riguardo”. Anche Cass. Sez. U., 30/09/2009, n. 20930, aveva riconosciuto che la prova della condotta sanzionata amministrativamente per violazione delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria puo’ essere offerta altresi’ mediante presunzioni semplici, nel senso dunque, come congruamente evincibile nella sentenza impugnata, che l’esistenza del fatto ignoto sia deduttivamente ricavata quale conseguenza del fatto noto, alla stregua di canoni di ragionevole probabilita’ e secondo regole di esperienza, restando il relativo giudizio percio’ insindacabile in sede di legittimita’ – al di fuori dei limiti segnati dall’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 -, giacche’ logicamente motivato in base a detti criteri. L’analisi dei dati di acquisto mensili delle azioni (OMISSIS) da parte di (OMISSIS), con la negoziazione di 1.378.213 titoli in meno di quindici giorni tra fine luglio ed inizio agosto 2013, in prossimita’ con l’esecutivita’ dell’operazione di RABB, concreta il fatto noto idoneo a desumere, nel ragionamento della Corte di Milano, il fatto ignoto del possesso dell’informazione. La sentenza impugnata, come si e’ visto, ha concluso per la sussistenza dell’illecito ex articolo 187-bis, comma 4, TUF, sulla base delle relazioni tra l’insider primario e i soggetti a conoscenza dell’informazione, dell’incongruenza delle operazioni contestate agli insider secondari rispetto alle “normali” modalita’ di investimento adottate dallo stesso operatore, nonche’ dell’entita’ dell’operazione di acquisto. Ai fini del controllo per violazione di norma di diritto ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, come dedotto dal ricorrente in relazione agli articoli 2727 e 2729 c.c., deve considerarsi che il sindacato di legittimita’ opera soltanto o quando il giudice del merito abbia direttamente violato tale ultima norma, deliberando che il ragionamento presuntivo possa basarsi su indizi che non siano gravi, precisi e concordanti, o, al piu’, quando quegli abbia fondato la presunzione su indizi privi di gravita’, precisione e concordanza, sussumendo, cioe’, sotto la previsione dell’articolo 2729 c.c., fatti privi dei caratteri legali, ed incorrendo, quindi, in una falsa applicazione della norma, esattamente assunta nella enunciazione della “fattispecie astratta”, ma erroneamente applicata alla “fattispecie concreta” (Cass. Sez. U, 07/04/2014, n. 8053). Le considerazioni svolte dal ricorrente nel secondo motivo (in particolare, sul carattere non anomalo dell’operativita’ di (OMISSIS) nell’intervallo temporale di riferimento) non scalfiscono i requisiti della precisione, gravita’ e concordanza degli elementi presuntivi assemblati dalla Corte d’appello, e, in realta’, rimettono unicamente in discussione l’opportunita’ di fondare la decisione sulla prova per presunzioni, opportunita’ che invece rientra nei compiti del giudice di merito e rimane sottratta al controllo in sede di legittimita’.
Ne’ sulla valutazione del carattere anomalo, o meno, delle operazioni contestate all’insider, rispetto al normale agire dell’investitore sul mercato, puo’ incidere l’assunta “non contestazione” attribuita alla CONSOB, atteso che il principio di non contestazione, di cui all’articolo 115 c.p.c., comma 1, opera soltanto rispetto all’esistenza dei fatti costitutivi, modificativi o estintivi del diritto azionato, e non anche in relazione alla valutazione della significativita’ di tali fatti – nella specie a fini indiziari – rimessa pur sempre al giudice (arg. da Cass. Sez. L, 19/08/2019, n. 21460).
La natura “punitiva” della sanzione amministrativa prevista dal Decreto Legislativo n. 58 del 1998, articolo 187-bis, come da ultimo affermato in Corte Cost. 21 marzo 2019, n. 63, e la conseguente operativita’ al riguardo della regola della retroattivita’ in mitius della legge penale, sotto il profilo della necessaria equiparazione del trattamento sanzionatorio dei medesimi fatti, a prescindere dalla circostanza che essi siano stati commessi prima o dopo l’entrata in vigore della norma che abbia disposto l’abolitio criminis o la modifica mitigatrice (nei limiti che saranno illustrati di seguito piu’ diffusamente a proposito del terzo motivo di ricorso), inducono, infine, a considerare che la disciplina di cui all’articolo 187-bis TUF e’ stata oggetto, dopo la pronuncia dell’impugnata sentenza, di una nuova modificazione da parte del Decreto Legislativo 10 agosto 2018, n. 107, articolo 4, comma 9, recante norme di adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del Regolamento (UE) n. 596/2014 (Market Abuse Regulation, o Regolamento MAR). Tale sopravvenuta formulazione normativa definisce, allora, le condotte costitutive dell’illecito amministrativo (ridenominato “Abuso e comunicazione illecita di informazioni privilegiate”) mediante un mero rinvio alle ipotesi indicate nell’articolo 14 del predetto Regolamento UE, il quale fa divieto di: a) abusare o tentare di abusare di informazioni privilegiate; b) raccomandare ad altri di abusare di informazioni privilegiate o indurre altri ad abusare di informazioni privilegiate; oppure c) comunicare in modo illecito informazioni privilegiate. Il testo della norma introdotta dal Decreto Legislativo 10 agosto 2018, n. 107, ed attualmente vigente, riallinea, pertanto, sul piano dei soggetti, le figure degli insider primari e degli insider secondari, in conformita’ alle finalita’ del Regolamento MAR, il quale fonda il disvalore dell’insider trading proprio sull’uso della notizia, idonea ad influenzare l’andamento delle quotazioni di mercato, ad opera di chi ne sia comunque in possesso al momento del compimento dell’operazione su un determinato strumento finanziario, in tal modo approfittando di una situazione di asimmetria informativa.
3. Il terzo motivo di ricorso lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli articoli 187-bis e 187-quinquies del Decreto Legislativo n. 58 del 1998, del Decreto Legislativo n. 72 del 2015, articolo 6 e dell’articolo 3 Cost., nonche’ la violazione del principio del favor rei, e la violazione e/o falsa applicazione degli articoli 115, 116 c.p.c. e dell’articolo 2702 c.c.. Si sostiene che la Corte d’appello abbia erroneamente escluso l’immediata applicazione della disciplina sopravvenuta piu’ favorevole, introdotta dal Decreto Legislativo n. 72 del 2015, articolo 6, comma 3, ritenendo comunque non operante la quintuplicazione della L. 28 dicembre 2005, n. 262, ex articolo 39, comma 3. Il ricorrente ripropone al riguardo anche la questione di legittimita’ costituzionale della L. n. 689 del 1981, articolo 1, evidenzia la natura penale della sanzione irrogata dalla CONSOB ai fini della invocazione della lex mitior e considera come dovesse essere eliminata la quintuplicazione L. n. 262 del 2005, ex articolo 39, comma 3, dando applicazione al Decreto Legislativo n. 72 del 2015, articolo 6, comma 3.
3.1. Nella decisione del terzo motivo di ricorso occorre tener conto di quanto statuito da Corte Cost. 21 marzo 2019, n. 63, che ha dichiarato l’illegittimita’ costituzionale del Decreto Legislativo 12 maggio 2015, n. 72, articolo 6, comma 2, nella parte in cui tale norma, appunto, escludeva l’applicazione retroattiva delle modifiche apportate dello stesso articolo 6, comma 3, alle sanzioni amministrative previste per l’illecito disciplinato dal Decreto Legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, articoli 187-bis e 187-ter. La Corte Costituzionale, premessa l’applicabilita’ del principio della retroattivita’ della lex mitior in materia penale – fondato sull’articolo 3 Cost. e sull’articolo 117 Cost., comma 1 – anche alle sanzioni amministrative che abbiano natura “punitiva”, quali appunto sono le sanzioni amministrative previste per l’abuso di informazioni privilegiate di cui al Decreto Legislativo n. 58 del 1998, articolo 187-bis, ha cosi’ affermato che la deroga alla retroattivita’ in mitius stabilita dal Decreto Legislativo n. 72 del 2015, articolo 6, comma 2, non supera il “vaglio positivo di ragionevolezza” ed e’, pertanto, costituzionalmente illegittima. La natura sostanzialmente punitiva della sanzione pecuniaria stabilita dal Decreto Legislativo n. 58 del 1998, articolo 187-bis, e’ stata ravvisata dalla Corte Costituzionale alla luce della sua “elevatissima carica afflittiva”, giacche’ “destinata, nelle intenzioni del legislatore, ad eccedere il valore del profitto in concreto conseguito dall’autore, a sua volta oggetto di separata confisca”, “in funzione di una finalita’ di deterrenza, o prevenzione generale negativa, che e’ certamente comune anche alle pene in senso stretto”. La natura “penale” di tale sanzione, ai sensi dell’articolo 50 CDFUE, proprio in considerazione del suo “elevato carico di severita’”, e’ stata, peraltro, conclamata anche dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea (sentenza 20 marzo 2018, Di Puma e altri, in cause C-596/16 e C-596/16, paragrafo 38; nello stesso senso, ancora Cass. Sez. 2, 06/12/2018, n. 31632). Corte Cost. 21 marzo 2019, n. 63, ha quindi negato la legittimita’ della deroga, contenuta nel Decreto Legislativo n. 72 del 2015, articolo 6, comma 2, alla retroattivita’ in mitius del piu’ favorevole regime sanzionatorio introdotto dal Decreto Legislativo n. 72 del 2015 (il cui principale effetto pratico e’ consistito nella “dequintuplicazione” delle sanzioni amministrative previste dal Decreto Legislativo n. 58 del 1998), risultandone irragionevolmente sacrificato il diritto degli autori dell’illecito di abuso di informazioni privilegiate a vedersi applicare una sanzione proporzionata al disvalore del fatto, secondo il mutato apprezzamento del legislatore, che riflette, evidentemente, la consapevolezza del carattere non proporzionato di un minimo edittale di centomila Euro.
Il principio dell’applicazione della disciplina piu’ favorevole, determinatasi per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 63 del 2019, con riferimento al trattamento sanzionatorio previsto per l’illecito disciplinato dall’articolo 187-bis TUF, impone una diversa valutazione in ordine alla sanzione da applicare e, dunque, la cassazione in tali limiti della sentenza impugnata, che aveva ritenuto legittima la sanzione pecuniaria prevista dalla disciplina dichiarata incostituzionale. La considerazione svolta dalla Corte d’appello di Milano, secondo cui la sanzione concretamente irrogata si colloca comunque all’interno della nuova cornice edittale (da ventimila a tre milioni di Euro, per effetto del Decreto Legislativo n. 72 del 2015, articolo 6, comma 3, salva la possibilita’ di procedere agli aumenti di cui dello stesso articolo 6, comma 5 e poi da ventimila Euro a cinque milioni di Euro, per effetto del Decreto Legislativo 10 agosto 2018, n. 107, articolo 4, comma 9, aumentabili fino al triplo o fino al maggiore importo di dieci volte il profitto conseguito ovvero le perdite evitate per effetto dell’illecito, nei casi previsti del Decreto Legislativo n. 58 del 1998, stesso articolo 187-bis, comma 5), non esclude che, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 63 del 2019, deve non di meno ritenersi illegittima la sanzione inflitta sulla base della cornice sanzionatoria previgente (arg. da Cass. pen. Sez. U, 26/02/2015 – dep. 28/07/2015, n. 33040; Cass. pen. Sez. U, 26/02/2015 – dep. 15/09/2015, n. 37107), non essendo, peraltro, il giudice di rinvio, chiamato a rimodulare la sanzione entro il nuovo ambito edittale, neppure necessariamente tenuto a seguire un criterio proporzionale di tipo aritmetico correlato all’importo calcolato prima della declaratoria di incostituzionalita’, pur rimanendo intatto il giudizio di disvalore espresso in precedenza. Non puo’ percio’ nemmeno procedersi sul punto ad una decisione della causa nel merito, ai sensi dell’articolo 384 c.p.c., comma 2, potendosi questa ammettere solo quando la controversia debba essere giudicata in base ai medesimi accertamenti ed apprezzamenti di fatto, che costituiscono i presupposti dell’errato – e percio’ cassato giudizio di diritto, e non invece quando si renda necessaria la pronuncia su questioni non esaminate nella pregressa fase di merito, come, nella specie, in conseguenza dell’annullamento della sentenza impugnata nel punto relativo al trattamento sanzionatorio, nonche’ della correlata esigenza di dare applicazione ad una diversa norma attinente alla determinazione delle sanzioni irrogabili.
4. Il quarto motivo di ricorso allega la violazione degli articoli 24, 97, 111 Cost., Decreto Legislativo n. 58 del 1998, articolo 187-septies, L. n. 262 del 2005, articolo 24 e dell’articolo 6 CEDU. Si assume che la Corte d’appello abbia “sbrigativamente respinto” il motivo di opposizione che denunciava l’illegittimita’ del Regolamento sul procedimento sanzionatorio della CONSOB per violazione del principio di separazione organica tra attivita’ istruttoria/requirente ed attivita’ decidente, nonche’ per violazione dei principi sul giusto procedimento, del diritto di difesa e delle norme indicate. A sostegno della censura in esame il ricorrente richiama la sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, ricorso n. 18640/10 – Grande Stevens e altri c. Italia, con riguardo alle esigenze dell’articolo 6 CEDU, operanti altresi’ per il procedimento dinanzi alla CONSOB.
4.1. Il quarto motivo di ricorso non offre elementi per mutare il consolidato orientamento espresso al riguardo di tali questioni di diritto dalla Corte di cassazione, orientamento al quale si e’ uniformato il provvedimento impugnato. Come piu’ volte ribadito in giurisprudenza, invero (anche proprio con riferimento al cumulo di funzioni di iniziativa procedimentale, istruttorie e decisorie che implica la regolamentazione secondaria dell’organizzazione della CONSOB), in tema di sanzioni che, pur qualificate come amministrative, abbiano natura sostanzialmente penale, la garanzia del giusto processo, ex articolo 6 CEDU, puo’ essere realizzata, alternativamente, nella fase amministrativa – nel qual caso, una successiva fase giurisdizionale non sarebbe necessaria -, ovvero mediante l’assoggettamento del provvedimento sanzionatorio – adottato in assenza di tali garanzie – ad un sindacato giurisdizionale pieno, di natura tendenzialmente sostitutiva ed attuato attraverso un procedimento conforme alle richiamate prescrizioni della Convenzione, il quale non ha l’effetto di sanare alcuna illegittimita’ originaria della fase amministrativa, giacche’ la stessa, sebbene non connotata dalle garanzie di cui al citato articolo 6, e’ comunque rispettosa delle relative prescrizioni, per essere destinata a concludersi con un provvedimento suscettibile di controllo giurisdizionale (cfr. Cass. Sez. 2, 21/03/2019, n. 8046; Cass. Sez. 2, 09/08/2018, n. 20689; Cass. Sez. 2, 15/02/2018, n. 3734; Cass. Sez. 2, 13/01/2017, n. 770; Cass. Sez. 2, 22/04/2016, n. 8210; Cass. Sez. U, 30/09/2009, n. 20935).
5. Devono, quindi, rigettarsi il primo, il secondo ed il quarto motivo di ricorso, mentre e’ da accogliere, nei termini indicati, il terzo motivo di ricorso. La causa va percio’ rinviata alla Corte d’Appello di Milano in diversa composizione, la quale procedera’ ai necessari accertamenti di fatto per la rideterminazione del nuovo trattamento sanzionatorio da commisurare al caso concreto, conseguente alla dichiarazione di illegittimita’ costituzionale del Decreto Legislativo n. 72 del 2015, articolo 6, comma 2, facendo applicazione delle modifiche apportate dello stesso articolo 6, comma 3, alle sanzioni amministrative previste per l’illecito disciplinato dall’articolo 187-bis TUF, e provvedera’ anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, rigetta il primo, il secondo ed il quarto motivo di ricorso, cassa la sentenza impugnata nei limiti della censura accolta e rinvia alla Corte d’Appello di Milano in diversa composizione, anche per provvedere sulle spese del giudizio di cassazione.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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