In ogni operazione di finanziamento a carico dell’erario

Consiglio di Stato, sezione quarta, Sentenza 27 maggio 2019, n. 3429.

La massima estrapolata:

In ogni operazione di finanziamento a carico dell’erario, il beneficio economico è riferibile ad un obiettivo essenziale perseguito dalla relativa disciplina di settore (sia normativa che amministrativa); il finanziamento è preordinato al soddisfacimento di un interesse istituzionale che trascende, cioè, pur implicandolo, l’interesse dei destinatari; vale a dire che in ogni operazione di finanziamento non è intellegibile solo un interesse del beneficiario ma anche quello dell’organismo che lo elargisce il quale, a sua volta, altro non è se non il portatore degli interessi, dei fini e degli obbiettivi del superiore livello politico istituzionale; logico corollario è che le disposizioni attributive di finanziamento devono essere interpretate in modo rigoroso e quanto più conformemente con gli obbiettivi avuti di mira dal normatore, anche allo scopo di evitare che si configurino aiuti di stato illegittimi.

Sentenza 27 maggio 2019, n. 3429

Data udienza 21 febbraio 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5280 del 2018, proposto da: Rc. s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avvocato Ge. Ca. con domicilio eletto presso lo studio Al. Bo. Ca. in Roma, via (…);
contro
Il Ministero dello Sviluppo Economico ed altri, in persona dei loro legali rappresentanti p.t., rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via (…);
ed altri;
nei confronti
L’az. el. al. va. ca. s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati Pi. Ca. e St. Ga., con domicilio eletto presso lo studio St. Ga. in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO, Sede di Roma, Sez. III ter n. 12292/2017, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dello Sviluppo Economico ed altri;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 febbraio 2019 il Cons. Oberdan Forlenza e uditi per le parti l’avvocato Si. Vi. su delega dell’avvocato Ge. Ca., l’avvocato Vi. Di Vi. su delega dichiarata dell’avvocato Gi. Na., l’avvocato Re. Cu. su delega dichiarata dell’avvocato St. Ga. e l’Avvocato dello Stato Fa. Ur. Ne.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1.1.Con l’appello in esame, la s.r.l. Rc. impugna la sentenza 12 dicembre 2017, n. 12292, con la quale il TAR per il Lazio, sez. III-ter ha in parte respinto, in parte dichiarato inammissibile il ricorso proposto, in particolare, avverso:
– le graduatorie degli impianti iscritti al registro ex art. 9 D.M. 23 giugno 2016, e in particolare della Tabella A, relativa agli impianti classificati in posizione tale da rientrare nel relativo contingente di potenza, e della Tabella C, relativa agli impianti classificati in posizione tale da non rientrare nel relativo contingente di potenza;
– l’art. 10, comma 3, D.M. 23 giugno 2016, nella parte in cui prevede criteri di priorità nella formazione delle graduatorie.
La società appellante ha intrapreso la realizzazione di un impianto idroelettrico di potenza pari a 49 KW, in previsione dell’accesso diretto agli incentivi garantito dall’allora vigente D.M. 6 luglio 2012.
Avendo partecipato ai “bandi relativi ai registri e alle procedure d’asta”, indetti dal GSE per l’accesso agli incentivi di cui al sopravvenuto D.M. 23 giugno 2016 (entrato in vigore il 30 giugno 2016), la società ha conseguito però l’inclusione nell’elenco relativo agli impianti ammessi al registro, ma in posizione tale da non rientrare nel contingente di potenza.
Come affermato nella sentenza impugnata, la società lamenta “in estrema sintesi la mancata predisposizione di misure di salvaguardia degli investimenti già effettuati”.
1.2. La sentenza impugnata afferma, in particolare:
– ogni finanziamento a carico dell’erario è finalizzato al soddisfacimento di un interesse istituzionale che trascende, pur implicandolo, quello dei destinatari”; ciò comporta che “le disposizioni attributive di finanziamento, incluse quelle specificamente riferite all’individuazione del novero soggettivo dei beneficiari, oltre ad essere di stretta interpretazione, non possono che discendere da un apprezzamento connotato da ampia discrezionalità (pur sempre nel contesto del superiore livello politico-istituzionale), con la conseguenza che esse sono censurabili soltanto se manifestamente illogiche o affette da travisamento”;
– è da escludere l’irragionevolezza di un sistema che (come quello delineato dal D.M. del 2016) continui a differenziare le modalità di accesso agli incentivi, da un lato prevedendo accanto alla regola generale dell’iscrizione nei registri, la perdurante possibilità di accesso diretto per i soli impianti (con potenza fino a 250 KW e) caratterizzati da particolari pregi ambientali, dall’altro lato contestualmente eliminando l’accesso diretto incondizionato per quelli minimi;
– “ricondurre la valutazione di necessità dell’aiuto al momento dell’effettiva ammissione in graduatoria, anziché a quello (precedente) di mero inoltro della domanda, rientra nei margini di discrezionalità che pertengono agli Stati membri nel definire le modalità di accesso agli incentivi e costituisce un’opzione non manifestamente irragionevole o arbitraria, con la quale si è voluto perseguire l’obiettivo (in sé legittimo) di incanalare il complessivo regime dei meccanismi incentivanti nei binari di una stretta necessità “;
– ne consegue che “la mancata presa in considerazione, nell’ordine gerarchico stabilito dall’art. 10, comma 3, D.M. 2016, di detti impianti minimi con lavori già avviati, non sia palesemente illogica”;
– né può ritenersi che, nel caso di specie, fosse maturato un legittimo affidamento in ordine alla spettanza degli incentivi (ossia in ordine al perdurare del sistema dell’accesso diretto, in particolare per la considerazione “della fase ancora prodromica dell’iniziativa”; né tale affidamento può essere ragionevolmente fondato su una “bozza di decreto”, pubblicata dal Ministero sul proprio sito, “stante il complesso iter che la proposta avrebbe dovuto (notoriamente) affrontare”.
La sentenza conclude con il rigetto della domanda di annullamento deli atti impugnati e con la declaratoria di inammissibilità della domanda di accertamento del “diritto della ricorrente ad essere ammessa nei contingenti di potenza incentivabili”.
1.3. Avverso tale decisione, vengono proposti i seguenti motivi di appello:
a) error in iudicando; violazione e falsa applicazione direttiva 2009/28/CE; violazione artt. 23 e 24 d.lgs. n. 28/2011; violazione artt. 3, 41, 97 Cost.; difetto di ragionevolezza e proporzionalità ; violazione del principio di non discriminazione e del principio del legittimo affidamento; violazione artt. 1, 3 ss. l. n. 241/1990; eccesso di potere per irragionevolezza e contraddittorietà ; disparità di trattamento; discriminatorietà ; ciò in quanto il DM del 2016 “ha privato di efficacia il DM 6 luglio 2012 prima della sua naturale scadenza… senza alcuna salvaguardia degli operatori che, come la ricorrente, avevano legittimamente avviato i lavori di realizzazione del proprio impianto”; infatti, “l’obbligo di iscrizione al registro non è stato bilanciato da criteri di priorità che consentissero l’inclusione degli impianti ad accesso diretto, con lavori già avviati, nei contingenti incentivabili”. Tale decisione è stata “gravemente discriminatoria e dagli esiti tanto prevedibili, quanto scontati: all’esito delle graduatorie, l’intero plafond incentivabile è stato occupato dagli impianti iscritti in posizione non utile nei precedenti registri ex DM 6 luglio 2012, che si sono visti una preferenza di fatto assoluta, mentre tutti gli impianti con potenza inferiore a 50 KW (che avevano diritto all’acceso diretto) sono stati esclusi dagli incentivi”.
In definitiva: a1) la mancata previsione di un criterio di priorità “si pone in contrasto con l’obbligo di garantire la stabilità dei sistemi di incentivazione, la gradualità degli interventi e la salvaguardia degli investimenti effettuati”; a2) “la preferenza accordata ad impianti idonei in posizione non utile premia soggetti che alla data di pubblicazione dei registri (id est 2014) non erano neppure in possesso dell’autorizzazione unica per la costruzione ed esercizio degli impianti e che non potevano avviare i lavori”; a3) il sacrificio imposto agli impianti con potenza inferiore a 50 KW è illogica e arbitraria, in quanto penalizza gli investimenti avviati in buona fede ed ai sensi di legge, senza rispondere e/o realizzare alcun interesse pubblico”;
b) error in iudicando; violazione e falsa applicazione direttiva 2009/28/CE; violazione artt. 23 e 24 d.lgs. n. 28/2011; violazione artt. 3, 41, 97 Cost.; difetto di ragionevolezza e proporzionalità ; violazione del principio di non discriminazione e del principio del legittimo affidamento; violazione artt. 1, 3 ss. l. n. 241/1990; eccesso di potere per irragionevolezza e contraddittorietà ; disparità di trattamento; discriminatorietà ; ciò in quanto è stato violato il legittimo affidamento della ricorrente, non “dall’abolizione dal regime di accesso diretto… ma dalla previsione di criteri di priorità che non hanno tutelato gli investimenti già avviati e che hanno violato il legittimo affidamento a beneficiare di un criterio prevalente rispetto ad altri soggetti”, In sostanza, non vi è stata “adeguata salvaguardia degli investimenti in corso”, laddove lo stesso DM 23 giugno 2016 “per impianti ad accesso diretto, qualifica l’avvio dei lavori come atto idoneo a fondare una posizione giuridica differenziata meritevole di tutela”;
c) error in iudicando; ammissibilità della domanda di accertamento del diritto della ricorrente all’accesso agli incentivi previsti dal DM 23 giugno 2016.
1.3. Si sono costituiti in giudizio i Ministeri dello sviluppo economico, dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare; delle politiche agricole, alimentari e forestali.
Si è altresì costituita in giudizio G.S.E. s.p.a., che ha preliminarmente riproposto l’eccezione di inammissibilità del ricorso instaurativo del giudizio di I grado per difetto di interesse (mancando la “prova di resistenza” in ordine all’utilità che parte ricorrente trarrebbe dall’eventuale annullamento degli atti impugnati) ed ha comunque concluso per il rigetto dell’appello, stante la sua infondatezza.
Infine, si è costituita in giudizio la s.r.l. az. el. al. va. ca., che ha anch’essa concluso richiedendo il rigetto dell’appello.
Dopo il deposito di ulteriori memorie e repliche, all’udienza pubblica di trattazione la causa è stata riservata in decisione.

DIRITTO

2.1. L’appello è infondato e deve essere, pertanto, respinto, con conseguente conferma della sentenza impugnata. Ciò esime il Collegio dall’esaminare l’eccezione di inammissibilità proposta da GSE s.p.a.
In sostanza, come già evidenziato anche dalla sentenza impugnata, la società appellante lamenta la mancata predisposizione di ‘misure di salvaguardià degli investimenti già effettuati, una volta che l’amministrazione ha deciso di mutare il sistema di regolazione della concessione delle agevolazioni, adottando a tal fine il D.M. 23 giugno 2016.
Giova precisare che l’appellante non contesta che l’amministrazione possa provvedere ad adottare un nuovo decreto anche prima della scadenza dell’efficacia temporale del precedente, ma lamenta proprio che l’amministrazione non abbia, ciò facendo, adottato anche un’sistema di salvaguardià dei progetti (e degli investimenti) già avviati, affermando l’esigenza del rispetto del principio dell’affidamento.
Ed infatti, pur avendo sottolineato con il ricorso in appello la circostanza che l’amministrazione non abbia atteso la scadenza del termine di efficacia del precedente decreto 6 luglio 2012 per adottare il D.M. 23 giugno 2016 (che invece la penalizzerebbe), l’appellante afferma (pag. 21 app.): “la società non ha mai negato il potere del Ministero di modificare la normativa in tema di incentivi (anche prima della naturale scadenza)… (ma) ciò che è oggetto di contestazione è la mancata previsione di una salvaguardia delle iniziative in corso e l’illegittima e arbitraria) preferenza accordata ad impianti i cui investimenti non erano neppure stati avviati”.
2.2.1.Tanto precisato, va rilevato, sul piano generale, che la giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato, sez. IV, 12 gennaio 2017, n. 50) ha già avuto modo di affermare come, “in ogni operazione di finanziamento a carico dell’erario, il beneficio economico è riferibile ad un obiettivo essenziale perseguito dalla relativa disciplina di settore (sia normativa che amministrativa); il finanziamento è preordinato al soddisfacimento di un interesse istituzionale che trascende, cioè, pur implicandolo, l’interesse dei destinatari; vale a dire che in ogni operazione di finanziamento non è intellegibile solo un interesse del beneficiario ma anche quello dell’organismo che lo elargisce il quale, a sua volta, altro non è se non il portatore degli interessi, dei fini e degli obbiettivi del superiore livello politico istituzionale; logico corollario è che le disposizioni attributive di finanziamento devono essere interpretate in modo rigoroso e quanto più conformemente con gli obbiettivi avuti di mira dal normatore, anche allo scopo di evitare che si configurino aiuti di stato illegittimi”.
Da quanto esposto consegue come la posizione del privato, pur meritevole di tutela nei limiti riconosciuti dall’ordinamento, non può che essere considerata recessiva a fronte di una nuova configurazione degli interessi pubblici che si intendono perseguire, per il tramite del regime agevolativo o la concessione di finanziamenti.
2.2.2. Più specificamente, la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato (sez. IV, 8 settembre 2015, n. 4165) ha già avuto modo di considerare – sia pure in relazione al rapporto tra decreti ministeriali del 2011 e del 2012, ma con affermazioni di principio a carattere generale – la legittimità del mutamento della disciplina delle agevolazioni, i rapporti di diritto intertemporale tra decreti ministeriali ed ha, in particolare, escluso che possa configurarsi un legittimo affidamento in ordine al quadro normativo previgente.
Ed infatti, prima ancora che da quanto stabilito dai decreti ministeriali, la impossibilità di configurare un regime nell’ambito del quale vengano a definirsi, con riferimento al sistema e, soprattutto, ai livelli quantitativi di incentivazione, “posizioni tutelate” in base al principio dell’affidamento, se non al limite “diritti quesiti”, discende dalla stessa fonte primaria.
L’art. 23 d.lgs. 3 marzo 2011, n. 28, recante “Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE”, nel disciplinare i “principi generali” di governo dei “regimi di sostegno”, prevede:
– per un verso, la “predisposizione di criteri e strumenti che promuovano l’efficacia, l’efficienza, la semplificazione e la stabilità nel tempo dei sistemi di incentivazione, perseguendo nel contempo l’armonizzazione con altri strumenti di analoga finalità e la riduzione degli oneri di sostegno specifici in capo ai consumatori” (comma 1);
– per altro verso, che “costituiscono ulteriori principi generali dell’intervento di riordino e di potenziamento dei sistemi di incentivazioni la gradualità di intervento a salvaguardia degli investimenti effettuati e la proporzionalità agli obiettivi, nonché la flessibilità della struttura dei regimi di sostegno, al fine di tener conto dei meccanismi del mercato e dell’evoluzione delle tecnologie delle fonti rinnovabili e dell’efficienza energetica” (comma 2).
Risulta dunque che:
– la “stabilità nel tempo dei sistemi di incentivazione” costituisce un obiettivo certamente da perseguire, tuttavia proprio per questo escludendosi, al tempo stesso, che la determinazione di uno specifico livello di incentivazione possa darsi per acquisita una volta per tutte nel momento stesso del verificarsi di condizioni pur previste dall’assetto normativo temporalmente vigente;
– i regimi di sostegno sono geneticamente previsti come “flessibili”, dovendosi tener conto dei meccanismi di mercato, dell’evoluzione tecnologica nel campo delle fonti rinnovabili, dell’efficienza energetica e, non da ultimo, della disponibilità delle risorse finanziarie all’uopo destinate, come si evince dal principio di invarianza della spesa, di cui all’art. 46 del medesimo d.lgs. n. 28/2011.
In definitiva, riconfermando la giurisprudenza della Sezione sul punto (v. sez. IV, n. 4165/2015 cit.), dalla quale non vi è ragione di discostarsi, occorre affermare che il sistema di incentivazione, proprio in connessione con gli obiettivi indicati dalla disciplina dell’Unione Europea e nazionale, ed anche in ragione della pluralità di “variabili” (tecnologiche ed economico-finanziarie), non definisce posizioni tutelabili in base al generale principio dell’affidamento, e ciò proprio in ragione della (quasi) connaturata flessibilità degli stessi regimi di sostegno, conseguenza dell’estrema variabilità degli indicatori del settore oltre che della rigidità delle risorse a tali incentivazioni destinabili.
Ovviamente, ciò non significa, in via generale, che l’amministrazione possa incidere su una misura di incentivazione già concessa in base alla normativa vigente (e dunque sul singolo provvedimento amministrativo concessorio dell’agevolazione), per il tramite di un mutamento, con efficacia retroattiva, delle modalità regolanti l’incentivo (salvo, ovviamente, la sussistenza di sopravvenute esigenze di interesse pubblico, congruamente acclarate e motivate).
Si intende affermare, invece, che le regole pur previste da un atto amministrativo generale non sono ex se idonee a costituire posizioni tutelate in base al principio dell’affidamento in ordine ad un certo regime agevolativo cui accedere de futuro, ma al quale non si sia stati ancora ammessi.
Come ha affermato questo Consiglio di Stato (sez. V, 3 marzo 2015, n. 1043, richiamando anche la sentenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea 10 settembre 2009, n. C-201/08), non esiste una specifica pretesa tutelata avente per oggetto l’immutabilità del quadro normativo, dovendosi ritenere che rientri nella potestà normativa la esigenza di adattamenti per l’applicazione di nuove norme giuridiche, che debbono soddisfare gli interessi pubblici di quel momento.
In tal senso, la Corte di Giustizia (punto 53 della decisone citata) ha affermato che “gli operatori economici non possono fare legittimo affidamento sulla conservazione di una situazione esistente che si sa che può essere modificata nell’ambito del potere discrezionale delle autorità nazionali; se è tutelabile l’affidamento in caso di intervento normativo improvviso e inopinato, tanto non può sostenersi in caso di operatore prudente ed accorto in un sistema di instabilità ben nota del settore, come certamente nella specie”.
3.1.La riconosciuta mancanza, nel settore di specie, di un “affidamento” tutelabile ovvero di un principio di “stabilità ” del sistema di incentivi, tale da far ritenere irragionevole un mutamento dei criteri, unitamente alla impossibilità di richiedere una sorta di “regime transitorio” per iniziative imprenditoriali che – se pur avviate confidando nel persistere della normativa vigente – non hanno assunto alcuna “evidenza” per l’amministrazione (mancando sia l’avvio dell’impianto sia l’ammissione all’incentivo), comportano il rigetto dell’appello.
In particolare, alla luce delle precedenti considerazioni, devono essere rigettati:
– sia il primo motivo di appello, nella parte in cui con il medesimo si lamenta la mancata previsione di un criterio di priorità in favore degli impianti in precedenza ammessi direttamente agli incentivi, assumendo che ciò “si pone in contrasto con l’obbligo di garantire la stabilità dei sistemi di incentivazione, la gradualità degli interventi e la salvaguardia degli investimenti effettuati”, e che ciò sarebbe, inoltre, penalizzante per investimenti avviati in buona fede;
– sia il secondo motivo di appello, con il quale si lamenta, in sostanza, la violazione del legittimo affidamento della ricorrente e la mancata tutela di interventi già avviati.
3.2. E’ da aggiungere, in ogni caso, che, quanto alle doglianze proposte con il primo motivo di appello [relative ad una sorta di “discriminatorietà ” dei nuovi criteri, con i quali, lungi dal tutelare investimenti già avviati, si sarebbe accordata preferenza “ad impianti idonei in posizione non utile”, il che “premia soggetti che alla data di pubblicazione dei registri (id est 2014) non erano neppure in possesso dell’autorizzazione unica per la costruzione ed esercizio degli impianti e che non potevano avviare i lavori”], occorre osservare:
– per un verso, che la definizione dei criteri di attribuzione dei benefici rientra nelle scelte di merito dell’amministrazione, in relazione agli interessi pubblici concretamente perseguiti;
– per altro verso, i soggetti che si assumono come potenzialmente beneficiari della nuova disciplina, quale che sia lo stato fattuale e giuridico della loro impresa incentivabile, non si trovano in una posizione dissimile da quella della ricorrente.
Ed infatti, occorre ricordare che, fintanto che non vi sia stata la concreta ammissione agli incentivi, non si acquisisce una posizione tutelabile in ordine alla “intangibilità ” della disciplina applicabile.
Come questo Consiglio di Stato ha già avuto modo di affermare (Sez. V, n. 1043/2015 cit.), “soltanto nella ammissione (si rinviene) il fatto costitutivo del diritto al beneficio e potendosi rinvenire, in precedenza, soltanto mere aspettative di fatto riguardanti il rischio e calcolo imprenditoriale dell’imprenditore del settore”.
3.3. Quanto, infine, al terzo motivo di appello, con il quale, in sostanza, si sostiene l’ammissibilità della domanda di accertamento del “diritto” della ricorrente agli incentivi previsti dal D.M. 23 giugno 2016, va osservato, rinviando alle considerazioni già svolte, come, in materia di contributi pubblici, salvo i casi (che non ricorrono nella presente sede) in cui la normativa configuri una attività totalmente vincolata dell’amministrazione (che deve limitarsi cioè al mero riscontro tra tipo normativo definito in astratto e possesso dei requisiti previsti in capo all’istante), non può sussistere un “diritto all’incentivo finanziario” e, come tale, una azione di accertamento innanzi al giudice amministrativo.
4. Per tutte le ragioni esposte, l’appello deve essere rigettato, con conseguente conferma della sentenza impugnata.
Le spese del secondo grado seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull’appello proposto da Rc. s.r.l. (n. 5280/2018 r.g.), lo rigetta e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.
Condanna l’appellante al pagamento delle spese ed onorari del presente grado di giudizio, che liquida, in favore di ciascuna delle parti costituite, in complessivi Euro 3.000,00 (tremila/00), oltre accessori come per legge (dovendosi intendere per unica parte s tal fine le Amministrazioni statali, difese dalla Avvocatura Generale dello Stato).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 21 febbraio 2019, con l’intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti – Presidente
Oberdan Forlenza – Consigliere, Estensore
Daniela Di Carlo – Consigliere
Roberto Caponigro – Consigliere
Giuseppa Carluccio – Consigliere

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