In materia di permessi di soggiorno

Consiglio di Stato, sezione terza, Sentenza 26 giugno 2019, n. 4410.

La massima estrapolata:

In materia di permessi di soggiorno il requisito reddituale è infatti finalizzato ad evitare l’inserimento nella comunità nazionale di soggetti che non siano in grado di offrire un’adeguata contropartita in termini di lavoro e, quindi, di formazione del prodotto nazionale e partecipazione fiscale alla spesa pubblica e che, in sintesi, finiscono per gravare sul pubblico erario come beneficiari a vario titolo di contributi e di assistenza sociale e sanitaria, in quanto indigenti; d’altro canto la dimostrazione di un reddito di lavoro o di altra fonte lecita di sostentamento è garanzia che il cittadino extracomunitario non si dedichi ad attività illecite o criminose.

Sentenza 26 giugno 2019, n. 4410

Data udienza 9 maggio 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1693 del 2015, proposto dal sig. -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati An. Ma. e Iv. Pu. e con questi elettivamente domiciliato in Roma, via (…) presso lo studio dell’avv. Pu.,
contro
il Ministero dell’interno ed altri, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tar Emilia Romagna, sede di Bologna, sez. II, n. -OMISSIS- del 10 dicembre 2014, che ha respinto il ricorso proposto avverso il decreto, adottato dal Prefetto della Provincia di Ravenna il 4 luglio 2014, con il quale è stato respinto il ricorso gerarchico avverso il decreto emesso dal Questore della Provincia di Ravenna in data 31 dicembre 2013, che aveva rigettato l’istanza volta ad ottenere il rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro autonomo.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’interno, della Prefettura di Ravenna e della Questura di Ravenna;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 9 maggio 2019 il Cons. Giulia Ferrari e uditi altresì i difensori presenti delle parti in causa, come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. Con decreto del 4 luglio 2014 il Prefetto di Ravenna ha respinto il ricorso gerarchico proposto dal sig. -OMISSIS-, cittadino -OMISSIS- in Italia dal 1992 e titolare in Italia di una impresa individuale di commercio ambulante, avverso il decreto emesso dal Questore della Provincia di Ravenna in data 31 dicembre 2013, che aveva rigettato l’istanza volta ad ottenere il rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro autonomo. Alla base del diniego è la mancanza di un reddito minimo.
La Prefettura di Ravenna ha respinto il ricorso gerarchico confermando la mancanza del reddito minimo da parte dello straniero.
2. Con il ricorso n. -OMISSIS- del 2014, proposto al Tar Bologna, il sig. -OMISSIS- ha impugnato tale rigetto, chiedendone l’annullamento.
3. Con sentenza n. -OMISSIS- del 10 dicembre 2014 la sez. II del Tar Bologna ha respinto il ricorso.
4. Con l’appello in esame, notificato il 18 febbraio 2015 e depositato il successivo 4 marzo 2015, il sig. -OMISSIS- ha impugnato la sentenza del Tar Bologna n. -OMISSIS- del 2014 che non ha dato rilievo all’omesso preavviso di rigetto ex art. 10 bis, l. n. 241 del 1990 né al termine esiguo (appena quindici giorni) per lasciare il territorio dello Stato italiano. Avrebbe dovuto altresì considerare che il sig. -OMISSIS- è la disponibilità di un alloggio ed è titolare di una licenza commerciale.
5. Si sono costituiti in giudizio il Ministero dell’interno, la Prefettura di Ravenna e la Questura di Ravenna senza depositare alcuno scritto difensivo.
6. Con ordinanza n. -OMISSIS- del 9 aprile 2015 è stata respinta l’istanza di sospensione cautelare della sentenza della sez. II del Tar Bologna n. -OMISSIS- del 10 dicembre 2014.
7. Alla pubblica udienza del 9 maggio 2019 la causa è stata trattenuta per la decisione.

DIRITTO

1. L’appello è infondato.
Il rinnovo del permesso di soggiorno è stato opposto al il sig. -OMISSIS- dal Questore della Provincia di Ravenna per mancata dimostrazione del possesso di un reddito minimo e, dunque, dei mezzi di sostentamento. In particolare l’appellante, titolare di una licenza di commercio e di una impresa individuale (commercio ambulante) in attività dal 2 luglio 2012, ha prodotto, unitamente all’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno, la copia della dichiarazione dei redditi PF-2013, relativa al periodo di imposta per l’anno 2012, priva della comunicazione di avvenuto ricevimento da parte dell’Agenzia delle entrate; inoltre non ha prodotto un conto economico redatto da professionista iscritto all’ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili o associazioni di categoria, alla data del 3 agosto 2013.
Di tali carenze il sig. -OMISSIS- è stato notiziato con comunicazione di preavviso di rigetto del 19 ottobre 2013, restituita alla Questura per compiuta giacenza.
Dal decreto del Prefetto di Ravenna del 4 luglio 2014, che ha respinto il ricorso gerarchico proposto avverso il diniego del Questore, risulta che tale prova non è stata offerta neanche in sede gerarchica
Né il sig. -OMISSIS-, nell’atto di appello, censura la non veridicità della ragioni sottesa al diniego, id est la mancanza dei mezzi di sostentamento, che risulta dunque non smentita, rappresentando pertanto un ostacolo insormontabile al rilascio del rinnovo del permesso di soggiorno.
Giova chiarire che il possesso di un reddito minimo – idoneo al sostentamento dello straniero e del suo nucleo familiare – costituisce un requisito soggettivo non eludibile ai fini del rilascio e del rinnovo del permesso di soggiorno, in quanto attinente alla sostenibilità dell’ingresso dello straniero nella comunità nazionale, al suo inserimento nel contesto lavorativo e alla capacità di contribuire con il proprio impegno allo sviluppo economico e sociale del paese al quale ha chiesto di ospitarlo (Cons. St., sez. III, 26 maggio 2016, n. 2229; 11 maggio 2015, n. 2335; 11 luglio 2014, n. 3596). Il requisito reddituale è infatti finalizzato ad evitare l’inserimento nella comunità nazionale di soggetti che non siano in grado di offrire un’adeguata contropartita in termini di lavoro e, quindi, di formazione del prodotto nazionale e partecipazione fiscale alla spesa pubblica e che, in sintesi, finiscono per gravare sul pubblico erario come beneficiari a vario titolo di contributi e di assistenza sociale e sanitaria, in quanto indigenti; d’altro canto la dimostrazione di un reddito di lavoro o di altra fonte lecita di sostentamento è garanzia che il cittadino extracomunitario non si dedichi ad attività illecite o criminose (Cons. St., sez. III, 22 maggio 2019, n., 3328; Id. 26 maggio 2015, n. 2645).
Preme peraltro al Collegio rilevare che non avrebbero assunto rilievo, ai fini della declaratoria di illegittimità dell’atto impugnato in primo grado, eventuali fatti sopravvenuti prodotti in sede gerarchica.
L’orientamento della Sezione è infatti da tempo consolidato nel senso che l’art. 5, comma 5, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, nell’imporre all’Amministrazione di prendere in considerazione i “nuovi sopraggiunti elementi” favorevoli allo straniero, si riferisce a quelli esistenti e formalmente rappresentati o comunque conosciuti dall’Amministrazione al momento dell’adozione del provvedimento (anche se successivamente alla presentazione della domanda), mentre nessuna rilevanza (salvo quella di giustificare un eventuale riesame della posizione dello straniero da parte dell’Amministrazione) può essere attribuita ai fatti sopravvenuti (Cons. St., sez. III, 3 maggio 2016, n. 1714).
Aggiungasi che il Prefetto, nel decidere il ricorso gerarchico, non procede ad un nuovo esame dell’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno ma deve verificare se il provvedimento gravato in via amministrativa è viziato per errore di fatto, nel non aver considerato eventi noti (e tale non è il rapporto di lavoro sorto dopo la decisione del Questore), o di diritto. La decisione gerarchica chiude, infatti, un procedimento di carattere giustiziale da cui esula la logica dell’autotutela e, conseguentemente, la funzione tipica dei poteri di amministrazione attiva, anche di riesame.
La mancanza, allo stato, di un reddito minimo avrebbe reso comunque ininfluente l’omissione della fase partecipativa, che in ogni caso, nella fattispecie, non è mancata, anche se – per fatto non imputabile all’Amministrazione – non è andata a buon fine.
Avrebbe trovato, infatti, pacifica applicazione l’art. 21 octies, l. n. 241 del 1990perché il procedimento non avrebbe potuto avere esito diverso (Cons. St., sez. III, 21 gennaio 2019, n. 494).
2. L’appellante denuncia, infine, l’illegittimità, per eccesiva esiguità, dell’invito a lasciare entro 15 giorni il territorio nazionale annesso al diniego di rinnovo del permesso di soggiorno
L’assunto non merita adesione.
E’ ben vero, infatti, che principi informatori del d.lgs. n. 286 del 1998 impongono allo Stato italiano “di consentire la permanenza nel territorio dello Stato di stranieri che abbiano un lavoro ritenuto idoneo ed in regola con le leggi vigenti”.
I principi non appaiono attagliarsi affatto alla situazione dell’appellante, non avendo egli dimostrato il possesso del reddito minimo. In ogni caso l’ordinamento offre strumenti (quali la richiesta di sospensione del provvedimento con misure urgenti monocratiche del Presidente del Tar competente) per sospendere il termine ove il diniego di rilascio o rinnovo del permesso di soggiorno venga impugnato.
3. L’appello deve dunque essere respinto
Le spese del presente grado del giudizio, considerata, comunque, la incerta situazione reddituale dell’odierno appellante che potrà, se del caso, essere valutata dalla Questura in sede di eventuale riesame di nuova istanza, possono essere interamente compensate tra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Terza,
definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Compensa tra le parti in causa le spese e gli onorari del grado di giudizio
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 2, d.lgs. n. 196 del 2003, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare l’appellante.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 maggio 2019 con l’intervento dei magistrati:
Franco Frattini – Presidente
Giulio Veltri – Consigliere
Massimiliano Noccelli – Consigliere
Stefania Santoleri – Consigliere
Giulia Ferrari – Consigliere, Estensore

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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