In materia di impugnazioni contro provvedimenti “de libertate”

Corte di Cassazione, penale, Sentenza 14 ottobre 2020, n. 28525.

In materia di impugnazioni contro provvedimenti “de libertate”, il tribunale della libertà, investito in sede di riesame o di appello del tema relativo alla insussistenza delle esigenze cautelari ritenute nella ordinanza, ha il potere di confermare la misura cautelare per esigenze diverse da quelle poste alla base della sua applicazione. (Fattispecie in cui il tribunale del riesame aveva confermato la misura cautelare anche sulla base del ravvisato pericolo di inquinamento probatorio, non menzionato nell’ordinanza applicativa).

Sentenza 14 ottobre 2020, n. 28525

Data udienza 8 settembre 2020

Tag – parola chiave: Misura di custodia cautelare in carcere – Diniego di sostituzione con quella degli arresti domiciliari – Tentato omicidio aggravato dai futili motivi – Ricorso per cassazione – Censure inammissibili

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IASILLO Adriano – Presidente

Dott. SARACENO Rosa Anna – Consigliere

Dott. ROCCHI Giacomo – Consigliere

Dott. LIUNI Teresa – Consigliere

Dott. TALERICO Palma – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 21/04/2020 del TRIB. LIBERTA’ di LECCE;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. PALMA TALERICO;
sentite le conclusioni del PG Dr. CASELLA GIUSEPPINA, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
E’ presente l’avvocato (OMISSIS) del foro di LECCE in difesa di (OMISSIS) che conclude chiedendo l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 21 aprile 2020, il Tribunale di Lecce, investito ex articolo 310 c.p.p., rigettava l’appello proposto nell’interesse di (OMISSIS) avverso il provvedimento emesso dal Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale in data 13.3.2020, con il quale era stata respinta la richiesta di sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere (cui il predetto indagato trovasi sottoposto in relazione al reato di tentato omicidio aggravato dai futili motivi ai danni di (OMISSIS)) con quella degli arresti domiciliari.
Secondo l’ordinanza impugnata andavano condivise le argomentazioni svolte nel provvedimento impugnato che aveva disatteso le ragioni prospettate dall’indagato a seguito degli accertamenti di natura medico legale e delle indagini difensive al fine di ottenere una riqualificazione del fatto in termini di lesioni aggravate e, quindi, l’attenuazione della misura cautelare.
Sempre secondo l’ordinanza impugnata andavano condivise le argomentazioni svolte dal Giudice per le indagini preliminari anche con riguardo alla ritenuta persistenza delle esigenze cautelari sottese all’applicazione della misura della custodia in carcere, in particolare, del concreto e attuale pericolo di reiterazione di gravi reati contro l’incolumita’ personale, fronteggiabili unicamente con la custodia in carcere.
Aggiungeva il Tribunale che “a ben vedere ricorre anche il pericolo di inquinamento probatorio, non preso in considerazione dal GIP (…) in virtu’ del contesto in cui sono avvenuti i fatti: i testimoni presenti potrebbero, infatti, rendere dichiarazioni compiacenti o eventualmente ritrattare quelle gia’ rese su insistente richiesta del (OMISSIS), anche per timore di eventuali ritorsioni”.
2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di fiducia del (OMISSIS), avvocato (OMISSIS), formulando due distinti motivi di impugnazione.
2.1. Con il primo motivo, il ricorrente ha dedotto “contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., lettera e), desumibile da altri atti del procedimento; violazione di legge e vizio della motivazione, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e) in relazione agli articoli 299 c.p.p., comma 2 e articolo 391 octies c.p.p. per omessa valutazione delle investigazioni difensive riguardanti argomenti che rivestivano il carattere della decisivita’”.
Ha, al riguardo, evidenziato che nessun cenno vi e’ nell’ordinanza impugnata in ordine all’attivita’ difensiva relativa al messaggio whatsapp inviato al difensore da (OMISSIS), certificato dal consulente informatico, ing. (OMISSIS), avente contenuto ritrattatorio delle dichiarazioni rese da costui; che le dichiarazioni rese da (OMISSIS), se lette nella loro integrita’, assumevano un significato differente, atteso che le stesse confermavano un dato risolutivo e cioe’ la continuita’ dell’aggressione anche da parte del (OMISSIS); che il Tribunale non ha spiegato le ragioni per le quali ha ritenuto che i testi sentiti nel corso delle indagini difensive erano “compiacenti”; che dette persone avevano descritto lo sviluppo del fatto in termini estremamente rapido e ridotto, sicche’ assumeva altra dimensione evolutiva la presupposta intenzionalita’ dell’indagato, il quale non aveva agito per uccidere ma per difendersi, dopo essere stato soverchiato da straordinaria violenza aggressiva; che cio’ era, peraltro, compatibile con gli esiti dell’esame tecnico medico legale circa l’unicita’ del colpo inferto; che, infine, il Tribunale non ha fornito alcuna motivazione in ordine al movente dell’ipotizzato tentato omicidio.
2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente ha dedotto “violazione di legge e mancanza di motivazione, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), in relazione alla concretezza e attualita’ delle esigenze cautelari di cui all’articolo 274 c.p.p., lettera c)”.
Ha, in proposito, sostenuto che le circostanze emerse, unitamente alla corretta lettura degli atti, non potevano non essere valorizzate positivamente ai fini di un significativo mutamento del quadro cautelare; ha, inoltre, censurato l’ordinanza impugnata nella parte in cui ha individuato una “nuova” esigenza cautelare, quella relativa al pericolo di inquinamento probatorio, in ragione di un generico, ipotetico e immotivato giudizio sull’inattendibilita’ dei testimoni per essere stati coartati dal (OMISSIS) a rendere dichiarazioni compiacenti ovvero ritrattare quelle rese, nel timore di eventuali ritorsioni.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso e’ inammissibile perche’ basato su censure non consentite in sede di legittimita’ e, comunque, manifestamente infondate.
Premesso che detto motivo, anche nella parte in cui e’ improntato sotto l’egida della violazione di legge, sviluppa, in realta’, censure relative al percorso argomentativo dell’ordinanza impugnata, giova evidenziare che il difetto di motivazione valutabile in cassazione puo’ consistere solo in una mancanza o in una manifesta illogicita’ della motivazione stessa; il che significa che deve mancare del tutto la presa in considerazione del punto sottoposto all’analisi del giudice e che non puo’ costituire vizio che comporti controllo di legittimita’ la mera prospettazione di una diversa e, per il ricorrente, piu’ adeguata, valutazione delle risultanze procedimentali.
Esula, infatti, dai poteri della Corte di legittimita’ quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione e’, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, potendo e dovendo, invece, la Corte accertare se quest’ultimo abbia dato adeguatamente conto, attraverso l’iter argomentativo seguito, delle ragioni che l’hanno indotto a emettere il provvedimento.
2. Ebbene, non sembra che le argomentazioni dell’ordinanza impugnata, nella parte in cui ha esaminato i nova prospettati dalla difesa nella richiesta di sostituzione della misura cautelare in atto, possano dirsi manifestamente illogiche.
La decisione impugnata, infatti, con motivazione esente da vizi logici e/o giuridici, ha ritenuto che dette circostanze non erano idonee a modificare il quadro indiziario sotteso all’originario provvedimento impositivo della misura della custodia in carcere.
In particolare, i giudici del Tribunale di Lecce hanno attribuito valore preponderante e decisivo, nella ricostruzione dei fatti, alla testimonianza di (OMISSIS), richiamando solo in misura minore il racconto del (OMISSIS) (il quale, peraltro, secondo la stessa prospettazione difensiva contenuta in ricorso, era intervenuto in un momento successivo e,quindi, non era stato testimone oculare della vicenda).
E hanno spiegato che se era vero che era stata la vittima ad aggredire tale (OMISSIS), accusandolo di non avere pagato la consumazione presso il bar gestito dal fratello e che il (OMISSIS) era intervenuto in un secondo momento, subendo a sua volta percosse dal (OMISSIS), per altro verso era pacifico, alla stregua della testimonianza di (OMISSIS), che l’indagato, successivamente, dopo essere stato separato dal (OMISSIS), divincolandosi, si era avventato su quest’ultimo, colpendolo con un coltello con una lama di ben otto centimetri, che era penetrata nella zona addominale, determinando un emoperitoneo e la lacerazione del mesentere; che, dunque, il (OMISSIS), terminata la prima colluttazione, deliberatamente si era scagliato contro il (OMISSIS) colpendolo; che le argomentazioni difensive non erano idonee a scalfire tale quadro indiziario, atteso che i testi sentiti in sede di indagini difensive, da ritenersi compiacenti, avevano asserito che era stato il (OMISSIS) a picchiare brutalmente il (OMISSIS) senza, tuttavia, spiegare come mai il primo era rimasto gravemente ferito all’esito della lite.
E sulla base di tale ricostruzione fattuale – insindacabile in questa sede – nonche’ alla stregua di un giudizio di inattendibilita’ dei testi della difesa (anch’esso logicamente effettuato sulla base delle risultanze investigative e non censurabile nel presente scrutinio perche’ costituente valutazione di puro merito), hanno confermato la qualificazione giuridica della condotta posta in essere dall’indagato quale tentato omicidio, essendo del tutto irrilevante l’unicita’ del colpo inferto in considerazione dell’entita’ e della gravita’ della coltellata in zona addominale e che aveva procurato alla vittima un trauma aperto aggravato da eviscerazione ed emiperitoneo.
2. Parimenti inammissibile e’ il secondo motivo di ricorso.
Esso e’ manifestamente infondato nella parte in cui lamenta che l’ordinanza impugnata ha individuato una “nuova” esigenza cautelare (quella connessa al pericolo di inquinamento probatorio), atteso che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, “in materia di impugnazioni contro provvedimenti de libertate, il Tribunale della liberta’, investito in sede di riesame o di appello del tema relativo alla insussistenza della esigenza cautelare ritenuta nell’ordinanza, ha il potere di confermare la misura cautelare per esigenze diverse da quelle poste a base della sua applicazione” (Cass. Sez. 6, n. 26458 del 12/03/2914, Rv. 259976; conformi: Cass. Sez. 5, n. 4446 del 05/12/2006, Rv. 235687; Cass. Sez. 1, n. 43014 del 11/10/2005, Rv. 232707).
Inoltre, la motivazione posta a base della individuata esigenza cautelare risulta logicamente coerente e del tutto conforme ai criteri di inferenza che presiedono all’apprezzamento delle esigenze cautelari, cosi’ che l’ordinanza resiste alle censure difensive, con le quali, in buona sostanza, si richiede una rivalutazione e/o alternativa rilettura dei dati procedimentali.
Infine, il motivo e’ assolutamente generico laddove il ricorrente sostiene che “le circostanze emerse, unitamente alla corretta lettura degli atti del fascicolo, non potevano non essere valorizzate positivamente ai fini di un significativo mutamento del quadro cautelare”.
3. Alla dichiarazione di inammissibilita’ consegue, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., comma 1, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’ (Corte Cost., sent. n. 186 del 2000), anche al versamento in favore della Cassa delle Ammende di una sanzione pecuniaria che pare congruo determinare in Euro tremila.
4. Va, infine, disposta la trasmissione, a cura della cancelleria, di copia del presente provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario, ai sensi dell’articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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