In materia di condono edilizio

Consiglio di Stato, Sezione seconda, Sentenza 12 febbraio 2020, n. 1081.

La massima estrapolata:

In materia di condono edilizio grava sul richiedente l’onere di provare la data di realizzazione e la consistenza originaria dell’immobile abusivo, in quanto solo l’interessato può fornire inconfutabili atti, documenti ed elementi probatori che possano radicare la ragionevole certezza dell’epoca di realizzazione di un manufatto.

Sentenza 12 febbraio 2020, n. 1081

Data udienza 10 dicembre 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6498 del 2009, proposto dal signor An. Mi. Ba., rappresentato e difeso dall’avvocato Ma. Sa., con domicilio eletto presso l’avv. Mi. Gu. in Roma, via (…),
contro
il Comune di Trani, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Mi. Ca., domiciliato presso la Segreteria Sezionale del Consiglio di Stato in Roma, piazza (…),
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Sezione Terza n. 1361/2008, resa tra le parti, concernente l’impugnativa del diniego di condono.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Trani;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 10 dicembre 2019, il Cons. Cecilia Altavista e uditi per le parti l’avv. Lu. Ma. Pa. su delega dell’avv. Ma. Sa. e l’avvocato Mi. Ca.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Il 29 gennaio 2004, l’odierno appellante presentava, ai sensi della legge regionale della Puglia 23 dicembre 2003, n. 28, una dichiarazione di interesse alla sanatoria di cui al d.l. 30 settembre 2003, n. 269, conv. nella legge 24 novembre 2003, n. 326, per la copertura di un terrazzo per complessivi circa 16 metri quadri (suddivisi su due ampliamenti, uno di circa 9 metri quadri, l’altro di circa 7 metri quadri), al piano quarto dell’immobile di via (omissis); in base alle foto allegate a tale domanda e alla relativa descrizione le opere erano realizzate con materiale in legno, per cui veniva presentata successivamente domanda di condono.
A seguito di sopralluogo dai tecnici comunali dell’8 giugno 2004, veniva rilevata la realizzazione di opere diverse da quelle oggetto della domanda di condono.
Pertanto, con il provvedimento del 15 luglio 2005 la domanda di condono è stata respinta, non risultando la epoca di realizzazione delle opere ed essendo le opere di cui alle foto allegate alla domanda diverse da quelle accertate in sede di sopralluogo.
Avverso tale provvedimento è stato proposto ricorso davanti al Tribunale amministrativo regionale della Puglia, sede di Bari, formulando i seguenti motivi:
– violazione ed erronea applicazione degli articoli 31 e 35 della legge n. 47 del 1985, dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990, l’eccesso di potere per difetto di motivazione, carenza di istruttoria, travisamento dei fatti e illogicità manifesta, con cui si contestava la genericità delle affermazioni comunali che non avrebbe addotto alcuna circostanza di fatto relativa alla data di realizzazione delle opere in contrasto con la dichiarazione effettuata nella domanda di condono;
– violazione degli articoli 10 e 10 bis della legge n. 241 del 1990, con cui si lamentava la mancata comunicazione del preavviso di rigetto.
La sentenza di primo grado ha respinto le censure richiamando la giurisprudenza per cui l’onere della prova della data di realizzazione delle opere è a carico della parte che domanda la sanatoria delle opere abusivamente realizzate; ha respinto la censura relativa alla mancata comunicazione del preavviso di rigetto ritenendo che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.
Con l’atto di appello sono stati formulati i seguenti motivi:
– errata interpretazione e violazione dell’art. 39 della legge n. 724 del 1994 e degli articoli 31 e 35 della legge 47 del 1985, mancato accertamento della effettiva data di ultimazione dei lavori ed errata valutazione degli elementi istruttori acquisiti; carenza di istruttoria, travisamento dei fatti, illogicità manifesta, con cui deduce il difetto di istruttoria e di motivazione del provvedimento impugnato in primo grado, contestando che nel corso del sopralluogo sono state rilevate opere diverse in quanto le opere erano sarebbero state trasformate a seguito di una DIA per completamento e manutenzione straordinaria presentata il 24 aprile 2004, relativa ad adeguamento impianti, sostituzione dei sanitari, realizzazione di una nuova pavimentazione e sostituzione degli infissi;
– errata applicazione delle norme sul procedimento amministrativo, violazione e omessa applicazione degli articoli 10 e 10 bis della legge n. 241 del 1990, carenza di istruttoria, con cui si ripropone la censura relativa alla mancata comunicazione del preavviso di rigetto deducendo che in sede procedimentale avrebbe consentito di chiarire quali opere erano state realizzate a seguito della DIA.
Si è costituito in giudizio il Comune di Trani che, nella memoria depositata in vista dell’udienza pubblica, ha contestato la fondatezza dell’appello.
La difesa appellante ha depositato memoria e memoria di replica insistendo nelle proprie argomentazioni.
All’udienza pubblica del 10 dicembre 2019 l’appello è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

L’appello è infondato.
In primo luogo, ritiene il Collegio di richiamare il consolidato orientamento giurisprudenziale, per cui grava sul richiedente l’onere di provare la data di realizzazione e la consistenza originaria dell’immobile abusivo, in quanto solo l’interessato può fornire inconfutabili atti, documenti ed elementi probatori che possano radicare la ragionevole certezza dell’epoca di realizzazione di un manufatto (cfr., per tutte, Cons. Stato, sez. IV, 1 aprile 2019, n. 2115; Sez. VI, 3 giugno 2019, n. 3696; id., 5 marzo 2018, n. 1391).
Inoltre, le dichiarazioni sostitutive di notorietà non sono considerate con effettivo valore probatorio, potendo costituire solo indizi che, in mancanza di altri elementi nuovi, precisi e concordanti, non risultano ex se idonei a scalfire l’attività istruttoria dell’Amministrazione – ovvero, le deduzioni con cui la stessa Amministrazione rileva l’inattendibilità di quanto rappresentato dal richiedente. Pertanto, anche in presenza di dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, ove non si riscontrino elementi dai quali risulti univocamente l’ultimazione dell’edificio entro la data fissata dalla legge, atteso che la detta dichiarazione di notorietà non può assurgere al rango di prova, seppur presuntiva, sull’epoca dell’abuso, non si può ritenere raggiunta la prova circa la data certa di ultimazione dei lavori (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 3 giugno 2019, n. 3696).
Applicando tali coordinate giurisprudenziali non possono essere condivise le argomentazioni difensive per cui il provvedimento impugnato sarebbe affetto da vizi di carenza di istruttoria e di motivazione, avendo correttamente ritenuto il Comune di rigettare la domanda di sanatoria, non essendovi certezza in ordine alla data di realizzazione delle opere ed essendo le opere di cui alle foto allegate alla domanda diverse da quelle accertate in sede di sopralluogo.
In ogni caso, nel caso di specie, neppure si può configurare un difetto di istruttoria da parte del Comune, considerato che le difformità rispetto alle opere presenti alla data del 31 marzo 2003, in base alle foto allegate dalla stessa parte alla domanda di sanatoria, sono state rilevate dai tecnici comunali in seguito al sopralluogo effettuato l’8 giugno 2004 e di esse la stessa parte appellante ha depositato in giudizio le fotografie.
Nella domanda di condono presentata erano indicati due ampliamenti con la realizzazione di un bagno e camera da una parte e angolo cottura dall’altra.
Le fotografie allegate alla domanda di condono rappresentano dei manufatti in legno, almeno all’apparenza esteriore non uniti all’abitazione preesistente e privi di autonoma abitabilità, mentre al momento del sopralluogo, l’8 giugno 2004, erano stati realizzati i due ampliamenti sul balcone dell’immobile preesistente con materiali differenti dalla copertura in legno e con la realizzazione del servizio igienico.
Ne deriva che, successivamente alla presentazione della domanda di condono, il manufatto è stato totalmente trasformato.
Il provvedimento di diniego è quindi legittimo, in quanto il condono non avrebbe potuto essere più rilasciato per le opere indicate nella domanda, ormai non materialmente più esistenti; né per quelle ex novo realizzate, trattandosi di opere per tabulas realizzate successivamente al 31 marzo 2003.
Quanto alla circostanza – dedotta solo con l’atto di appello – che la modifica dello stato dei luoghi fosse successivamente avvenuta in forza della DIA presentata il 24 aprile 2004 per completamento e manutenzione straordinaria, ritiene il Collegio di rilevare che tale intervento sarebbe stato effettuato su un immobile per cui non era ancora stato rilasciato il titolo edilizio in sanatoria; inoltre ha radicalmente trasformato l’immobile oggetto della domanda di condono, esulando, quindi, dall’ambito di applicazione di una DIA per manutenzione straordinaria.
Sul punto deve essere, infatti, richiamato l’orientamento giurisprudenziale, per cui la normativa sul condono postula la permanenza dell’immobile da regolarizzare e non ammette, in pendenza del procedimento, la demolizione e l’impiego di materiali di costruzione diversi da quelli originari: la diversità del materiale costruttivo impiegato comporta la qualificazione dell’intervento come sostituzione edilizia, mancando la continuità tra vecchia e nuova costruzione, che caratterizza gli interventi di consolidamento, e la attuale riconoscibilità del manufatto originario oggetto dell’istanza di condono per cui gli unici interventi edilizi consentiti su di esso sono quelli diretti a garantirne l’integrità e la conservazione e non possono spingersi sino alla demolizione e ricostruzione (né totale né parziale), salvo che essi risultino in qualche modo indispensabili (Cons. Stato, sez. V, 27 agosto 2014, n. 4386).
Del resto che il condono riguardi opere effettivamente esistenti e non solo un volume esistente alla data indicata dal legislatore – come nella sostanza sostenuto dalla difesa appellante – deriva dalle stesse prescrizioni delle leggi sul condono che hanno richiesto la descrizione delle opere e la presentazione di fotografie (cfr. art. 35, comma 3, lettera b), legge n. 47 del 1985; art. 39, comma 4, legge n. 724 del 1994; art. 32, comma 35, della legge n. 269 del 2003 e art. 1 della legge regionale della Puglia n. 28 del 2003).
Inoltre, trattandosi di opere realizzate in ampliamento dell’immobile esistente – per cui, peraltro operava anche il limite previsto dal comma 25 dell’art. 32 della legge n. 269 del 2003, ovvero del 30 per cento della volumetria della costruzione originaria – ritiene il Collegio che debba farsi applicazione, ai fini della verifica dell’avvenuta realizzazione delle opere alla data del 31 marzo 2003, del criterio del cd. completamento funzionale, per cui alla data del 31 marzo 2003, era necessario uno stato di avanzamento nella realizzazione tale da consentirne potenzialmente, e salve le sole finiture, la fruizione. In altri termini l’organismo edilizio non soltanto deve aver assunto una sua forma stabile nella consistenza planovolumetrica (come per gli edifici, per i quali è richiesta la c.d. ultimazione “al rustico”, ossia intelaiatura, copertura e muri) ma una sua riconoscibile e inequivoca identità funzionale, che ne connoti con assoluta chiarezza la destinazione d’uso, come nel caso in cui un sottotetto, trasformato in abitazione, venga dotato di luci e vedute e degli impianti di servizio, cioè di opere del tutto incompatibili con l’originaria destinazione d’uso (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 9 dicembre 2019, n. 8389).
Peraltro, anche ad applicare al caso di specie, il criterio del cd. completamento “strutturale”, come sostenuto dalla difesa appellante, per cui edifici “ultimati”, si intendono quelli completi almeno al “rustico”, nel caso di specie non si può certamente ritenere realizzata la struttura al rustico solo con la chiusura in legno su un balcone, di cui non vi è alcuna prova in atti che fosse neppure collegata all’appartamento da ampliare, costituendone piuttosto, alla data di presentazione della domanda di condono, una opera precaria di carattere pertinenziale, quale deposito o locale tecnico.
Con l’ulteriore motivo di appello, si lamenta la mancata comunicazione del preavviso di rigetto, deducendo che nella sede di partecipazione procedimentale avrebbe potuto chiarire quali opere erano state oggetto della domanda di condono e quali realizzate a seguito della DIA.
Sul punto ritiene il Collegio di richiamare il consolidato orientamento giurisprudenziale, per cui l’art. 10-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, così come le altre norme in materia di partecipazione procedimentale, non devono essere lette in senso formalistico, bensì avendo riguardo all’effettivo e oggettivo pregiudizio che la sua inosservanza abbia causato alle ragioni del soggetto privato nello specifico rapporto con la pubblica amministrazione.
Per costante giurisprudenza, infatti, l’omissione del preavviso di rigetto non cagiona l’automatica illegittimità del provvedimento finale, qualora possa trova applicazione l’art. 21-octies della stessa legge, secondo cui “non è annullabile il provvedimento per vizi formali non incidenti sulla sua legittimità sostanziale e il cui contenuto non avrebbe potuto essere differente da quello in concreto adottato”; poiché detto art. 21-octies, attraverso la dequotazione dei vizi formali dell’atto, mira a garantire una maggiore efficienza all’azione amministrativa, risparmiando antieconomiche ed inutili duplicazioni di attività, laddove il riesercizio del potere non potrebbe comunque portare all’attribuzione del bene della vita richiesto dall’interessato, l’atto amministrativo non può essere annullato (cfr. Cons. Stato, sezione II, 17 settembre 2019, n. 6209; sezione III, 19 febbraio 2019, n. 1156; sezione IV, 11 gennaio 2019, n. 256; id., 27 settembre 2018, n. 5562).
Nel caso di specie, è evidente dagli atti di causa, che l’appellante non avrebbe potuto apportare alcun elemento procedimentale, risultando dalle fotografie allegate alla domanda di condono, dalla domanda stessa e dal successivo sopralluogo, la radicale trasformazione delle opere originariamente realizzate, senza considerare che l’argomento della avvenuta presentazione della DIA neppure è stato proposto in sede di ricorso di primo grado.
L’appello dunque è infondato e deve essere respinto.
Le spese del presente grado di giudizio, liquidate in euro 4000,00 (quattromila, 00) oltre accessori di legge, seguono la soccombenza e devono essere poste a carico della parte appellante.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna la parte appellante al pagamento delle spese processuali in favore del Comune di Trani pari a euro 4000,00 (quattromila, 00) oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 dicembre 2019 con l’intervento dei magistrati:
Raffaele Greco – Presidente
Paolo Giovanni Nicolò Lotti – Consigliere
Fulvio Rocco – Consigliere
Giancarlo Luttazi – Consigliere
Cecilia Altavista – Consigliere, Estensore

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

Per aprire la pagina facebook @avvrenatodisa
Cliccare qui

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *