In materia di coltivazione di miniere di cave e torbiere

Consiglio di Stato, Sentenza|24 febbraio 2021| n. 1618.

In materia di coltivazione di miniere, cave e torbiere, in ragione dell’interesse pubblico alla gestione funzionale del bene, ricavabile dalla disciplina generale contenuta nella legge mineraria (regio decreto 29 luglio 1927, n. 1443), ogni cava in mano pubblica è qualificabile come bene patrimoniale indisponibile, e quindi è sottratta alla disponibilità del privato ai sensi dell’art. 826, comma 2, cod. civ.; il bene produttivo i questione è sottoposto ad un regime di funzionalizzazione all’interesse pubblico al suo sfruttamento, destinato ad imporsi sugli assetti dominicali del fondo su cui esso ricade

Sentenza|24 febbraio 2021| n. 1618

Data udienza 28 gennaio 2021

Integrale

Tag – parola chiave: Avviso pubblico di gara – Affidamento in concessione – Gestori uscenti del sito estrattivo – Cave – Bene patrimoniale indisponibile – Godimento non attribuibile con strumenti negoziali di tipo privatistico – Contratto d’affitto – Rinnovo del rapporto contrattuale – Affidamenti preesistenti – Interesse pubblico alla gestione funzionale della cava – Legge mineraria (regio decreto 29 luglio 1927, n. 1443) – Sicurezza sul lavoro

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quinta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 4131 del 2019, proposto da
società cooperativa Va. Es. Ma. Bo., La Cl. di Br. Ro. e figli s.r.l., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentate e difese dagli avvocati Pi. St. e Lu. Sg., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Pa. Ro., in Roma, via (…);
contro
Comune di (omissis), non costituito in giudizio;
nei confronti
Bo. Cl. Gr. (B.C.) consorzio stabile s.c. a r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Lu. To. e Al. Sa., con domicilio digitale p.e.c. tratto da registri di giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia – Sezione staccata di Brescia (sezione prima), n. 431/2019, resa tra le parti, concernente la procedura indetta dal Comune di (omissis) per l’affidamento in concessione del titolo di disponibilità del bacino di cava del c.d. “marmo di (omissis)”, nel comparto ATE 03 del piano cave della Provincia di Brescia, e gli atti connessi e presupposti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Bo. Cl. Gr. (B.C.) consorzio stabile – s.c. a r.l.;
Vista l’ordinanza cautelare della Sezione del 7 giugno 2019, n. 2908;
Viste le ordinanze collegiali della Sezione del 7 gennaio 2020, n. 74, e 30 luglio 2020, n. 4854, con cui rispettivamente è stata disposta istruttoria ed è stata rinviata la trattazione del merito;
Viste le memorie e tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 28 gennaio 2021 il consigliere Fabio Franconiero e uditi per le parti gli avvocati St. e To.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. La società cooperativa Va. Es. Ma. Bo. e le s.r.l. La Cl. di Br. Ro. e figli e Sa. Do. propongono appello contro la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia – sezione staccata di Brescia, indicata in epigrafe, di rigetto dei ricorsi e motivi aggiunti (ad uno dei due ricorsi) della Cooperativa Va., in relazione ai quali sono intervenute ad adiuvandum le s.r.l. La Ci. e Sa. Do., per l’annullamento della procedura indetta dal Comune di (omissis) per l’affidamento di affidamento in concessione per otto anni, rinnovabili per la stessa durata, del bacino di cava del c.d. “marmo di (omissis)”, nel comparto ATE 03 del piano cave della Provincia di Brescia.
2. In particolare la ricorrente società cooperativa Va., concessionaria uscente del comparto (in scadenza al 31 dicembre 2019), impugnava la determinazione a contrarre (n. 6 del 15 gennaio 2018), l’avviso pubblico di gara e il relativo disciplinare (pubblicati il 19 gennaio 2018) e la presupposta delibera del consiglio comunale in data 31 luglio 2017, n. 30, con cui il bacino di cava è stato qualificato come bene patrimoniale indisponibile e costituito in lotto unico, e inoltre sono stati approvati i criteri per l’affidamento della concessione; e quindi la propria esclusione dalla procedura, oltre che l’ammissione alla stessa del controinteressato consorzio stabile Bo. Cl. Gr..
3. Analoga impugnazione era stata proposta separatamente dalle due intervenienti ad adiuvandum, anch’esse in qualità di gestori uscenti del sito estrattivo. Quest’ultima impugnazione è stata tuttavia respinta dal Tribunale amministrativo di Brescia, con sentenza 3 agosto 2018, n. 772, divenuta cosa giudicata.
4. Le contestazioni della società cooperativa Va., concernono:
– la scelta del modello concessorio per la gestione del comparto di estrazione, sul presupposto erroneo che esso costituirebbe un bene patrimoniale indisponibile ex art. 826 cod. civ.;
– l’affidamento in un unico lotto, in difformità al tradizionale indirizzo gestionale dell’amministrazione comunale, contraddistinto dalla suddivisione del comparto in aree di cava organizzate in modo funzionalmente autonomo da parte di operatori economici del settore di medio-piccole dimensioni;
– l’irragionevolezza e il difetto di proporzione dei requisiti tecnico-professionali ed economico-finanziari di partecipazione alla procedura di affidamento della concessione, oltre che del canone concessorio e delle altre condizioni predisposte dall’amministrazione comunale per la concessione;
– le consequenziali esclusione dalla gara della cooperativa ricorrente e per converso ammissione ad essa del controinteressato Bo. Cl. Gr. consorzio stabile.
5. Le censure così sintetizzate sono state respinte dalla sentenza di primo grado e sono riproposte nel presente appello, per resistere al quale si è costituito il consorzio stabile controinteressato.

DIRITTO

1. Deve preliminarmente darsi atto che il contraddittorio con il Comune di (omissis), non costituitosi in giudizio, è stato regolarmente instaurato dalle appellanti, mediante notifica della loro impugnazione contro la sentenza di primo grado a mezzo di messaggi p.e.c. inviati ai difensori dell’amministrazione comunale nel giudizio di primo grado, oltre che direttamente presso l’indirizzo di quest’ultima. La conoscenza del presente giudizio da parte dell’amministrazione resistente è ulteriormente dimostrata dal fatto che questa ha adempiuto all’ordine istruttorio emesso da questa Sezione con l’ordinanza collegiale del 7 gennaio 2020, n. 74, indicata in epigrafe, e che del presente giudizio d’appello si discute nella delibera consiliare in data 4 dicembre 2020.
2. Sempre in via preliminare deve essere respinta l’ulteriore istanza di rinvio della trattazione formulata in memoria conclusionale dalle società appellanti e motivata dal fatto che pende tuttora il procedimento avviato dal Comune di (omissis) per il ritiro in autotutela della procedura di affidamento impugnata nel presente giudizio, ed inoltre che sono di imminente approvazione i nuovi strumenti di pianificazione di settore a livello provinciale e comunale.
3. L’istanza non può essere accolta e l’appello può quindi essere esaminato nel merito per le ragioni che ora si vanno ad esporre:
– un rinvio per ragioni analoghe è stato disposto alla scorsa udienza del 16 luglio 2020, con l’ordinanza collegiale 30 luglio 2020, n. 4854, indicata in epigrafe, ma dopo circa sei mesi lo stesso non si è ancora concluso e dai documenti versati in vista dell’udienza del 28 gennaio 2021 dalle stesse società appellanti non emergono concrete prospettive di una sua imminente definizione;
– un ulteriore rinvio si porrebbe pertanto in contrasto con il principio di ragionevole durata del processo amministrativo (art. 2, comma 2, cod. proc. amm.), in relazione al quale va valutata anche l’opposizione del consorzio stabile Bo. Cl. Gr. e il fatto che la parte istante si giova della sospensiva emessa da questa Sezione su sua istanza nel presente giudizio d’appello (ordinanza del 7 giugno 2019, n. 2908).
4. Tanto premesso, con il primo motivo d’appello si sostiene che la sentenza di primo grado avrebbe errato a non qualificare il compendio estrattivo posto a gara come bene patrimoniale disponibile e ad escludere conseguentemente che il godimento sia attribuibile con strumenti negoziali di tipo privatistico, quale il contratto d’affitto, con rinnovo del rapporto contrattuale regolato per legge, valevole anche per gli affidamenti preesistenti alla procedura di affidamento. Secondo le appellanti la sentenza avrebbe errato nel supporre che le cave costituiscano sempre un bene patrimoniale indisponibile, sull’assunto che l’attività estrattiva è qualificabile come attività economica di interesse pubblico, quando invece ai sensi del sopra citato art. 826, comma 2, cod. civ., la natura di bene patrimoniale indisponibile è riconosciuta nel solo caso in cui la disponibilità della cava sia sottratta al proprietario del fondo; si sottolinea al medesimo riguardo che gli aspetti di carattere funzionale insiti nell’attività estrattiva non interferiscono con il regime dominicale del sito estrattivo su cui tale attività di interesse pubblico viene svolta.
5. Il motivo è infondato.
6. Non si ravvisano ragioni per discostarsi dai principi elaborati sulla questione controversa dal precedente richiamato dal consorzio stabile Bo. Cl. Gr. e costituito dalla sentenza della VI Sezione di questo Consiglio di Stato, 30 maggio 2003, n. 2992. In essa si è affermato che in ragione dell’interesse pubblico alla gestione funzionale della cava, ricavabile dalla disciplina generale contenuta nella legge mineraria (regio decreto 29 luglio 1927, n. 1443), ogni cava in mano pubblica è qualificabile come bene patrimoniale indisponibile, e quindi non solo laddove essa sia sottratta alla disponibilità del privato ai sensi dell’art. 826, comma 2, cod. civ., “ma anche, a fortiori, in caso di proprietà ab origine pubblica sul giacimento”. Nel precedente giurisprudenziale in esame si è precisato che la norma del codice – che trova il suo precedente nell’art. 45 della citata legge mineraria e che va dunque inteso nella prospettiva storica di quest’ultima disposizione – ha la specifica funzione di “qualificare come appartenenti al patrimonio indisponibile le cave e le torbiere nei casi in cui, quali giacimenti, siano stati acquisiti indipendentemente dalla proprietà del fondo”. Il precedente in esame ha quindi posto in risalto che lo scopo dell’art. 826, comma 2, cod. civ., consiste nel sottoporre il bene produttivo ad un regime di funzionalizzazione all’interesse pubblico al suo sfruttamento, destinato ad imporsi sugli assetti dominicali del fondo su cui esso ricade, in coerenza con la recessività sancita dall’art. 840, comma 1, cod. civ. dei tradizionali caratteri di assolutezza del diritto di proprietà rispetto alla legislazione “sulle miniere, cave e torbiere”. Non può conseguentemente essere condivisa l’opzione interpretativa posta a fondamento del motivo d’appello in esame, nella misura da una norma regolante una specifica vicenda circolatoria nel rapporto tra l’amministrazione e il privato che “non intraprenda la coltivazione della cava o torbiera o non dia ad essa sufficiente sviluppo” (così l’art. 45, comma 1, della legge mineraria, che come poc’anzi esposto è l’antecedente normativo dell’art. 826, comma 1, cod. civ.), pretende di ricavare una regola generale contraria, e dunque desumere il regime privatistico ordinario proprio dei beni patrimoniali disponibili per la generalità dei casi diversi da quello specificamente regolato dal codice civile. Si tratta di una differenziazione già definita come irrazionale dalla sentenza della VI Sezione del 30 maggio 2003, n. 2992, e che tale va confermata alla luce dei rilievi sinora svolti.
7. Con il secondo motivo d’appello sono riproposte le censure di illegittimità dell’affidamento del comparto estrattivo per lotto unico. Si ribadisce che la scelta del lotto unico corrispondente all’intero comparto, adottata con la citata delibera del consiglio comunale di (omissis) del 31 luglio 2017, n. 30, ha scardinato l'”impostazione storicamente consolidata” per lo sfruttamento del sito, contraddistinto da aree di cava gestite in modo autonomo da operatori del settore di medio-piccole dimensioni attualmente presenti (in numero di sei), tra loro comunque coordinati, ed in grado di assicurare la valorizzazione del prodotto. Si deduce sul punto che l’opzione del lotto unico è stata giustificata dal Comune di (omissis) in base al dichiarato, ma illusorio, obiettivo di incrementare i livelli di sicurezza delle attività estrattive e di razionalizzare lo sfruttamento del giacimento attraverso una gestione unitaria, senza tuttavia considerare che i progetti di coltivazione in essere assicurano già adeguati livelli di sicurezza e di valorizzazione del prodotto ed avrebbero pertanto giustificato una suddivisione in lotti. Viene inoltre sottolineato che l’obiettivo che l’amministrazione comunale si è prefissato sarebbe contraddetto da plurimi elementi, e cioè : dall’obbligo del nuovo affidatario di assumere gli attuali addetti alle attività estrattive e dal quantitativo annuo richiesto dal Comune, pari 1.006.000 quintali di marmo all’anno, superiore ai rendimenti passati e tale da richiedere pertanto un’intensificazione degli scavi e con essa dei rischi per la sicurezza. Al medesimo riguardo si sottolinea che l’unicità dell’operatore economico ammesso a partecipare alla procedura di gara impugnata è solo formale, dal momento che il consorzio stabile raggruppa tra l’altro tre delle imprese già attive nel medesimo comparto estrattivo.
8. Con il terzo motivo d’appello sono riproposte le censure concernenti i requisiti di qualificazione previsti dal Comune di (omissis) per la partecipazione alla gara. Si ribadisce che sono sproporzionati e tali da rarefare la concorrenza nel settore: il fatturato specifico per attività di coltivazione di cava non inferiore a Euro 13.000.000, realizzato negli ultimi esercizi approvati alla data di pubblicazione del bando (2012-2016); l’esecuzione nel medesimo periodo temporale di attività di coltivazione di bacino di cava per quantità di escavazione non inferiore a 1.006.000 quintali annui. Inoltre le appellanti deducono che sarebbe impostato su una “logica di mercato utopistica ed impossibile” il canone annuo minino di Euro 14.486.400 imposta dal Comune di (omissis) e la connessa richiesta di fideiussione a garanzia (Euro 2.715.000); ed inoltre la condizione predisposta in base al quale l’affidatario dovrà aderire il marchio collettivo (omissis) Classico o altrimenti chiederne la licenza d’uso.
9. I motivi possono essere esaminati congiuntamente e sono fondati nei termini che seguono.
10. Deve premettersi che la scelta di affidare la concessione del comparto estrattivo come lotto unico risale alla più volte citata delibera del consiglio comunale di (omissis) del 31 luglio 2017, n. 30. A sostegno di tale opzione la delibera pone quale “obiettivo strategico dell’amministrazione comunale” la tutela della sicurezza dei lavoratori e l’esigenza di superare l’assetto preesistente, contraddistinto dall’organizzazione dell’attività di estrazione su aree affidate a diversi operatori, in numero di sei, con le connesse criticità derivante dal loro operare con modalità “a doppia schiera affidato a ditte diverse”, già vietato da precedenti delibere, perché tale da comportare una “sovrapposizione ed eccessiva vicinanza dei fronti di cava affidati a ditte concessionarie diverse”, da cui il “venir meno di diaframmi utili a costituire una separazione fisica rispetto alla caduta di materiale dalle unità di cava più alte”. Al medesimo riguardo la delibera impugnata afferma che la coltivazione del bacino di cava a doppia schiera potrà invece essere consentito “esclusivamente là dove l’attività di coltivazione sia svolta da un’unica ditta, pertanto autonomamente obbligata ad adottare piani di sicurezza e coordinamento nell’organizzazione aziendale e produttiva”, oppure laddove “vi siano più ditte operanti, a condizione che siano stati adottati dalle stesse piani di sicurezza coordinati che affrontino e risolvano specificatamente i rischi da interferenza connessi alla coltivazione su fronti sovrapposti da parte di organizzazioni produttive diverse, e sia stata data concreta attuazione alle prescrizioni organizzative, operative ed eventualmente strutturali ivi previste”. Per la delibera consiliare in esame funzionale alla dichiarata esigenza di incremento delle condizioni di sicurezza dei lavoratori impiegati nel comparto estrattivo è quindi l’affidamento del comparto estrattivo in lotto unico, che “consente infatti di prescrivere e valutare già in sede di procedura di gara, l’organizzazione della produzione sotto il profilo delle misure di sicurezza e dalla protezione dai rischi”, anche in caso di partecipazione di più imprese raggruppate o consorziate.
11. Ciò premesso in fatto, va osservato in diritto che la sicurezza sul lavoro, garantita dalla Costituzione in funzione limitatrice della libertà di impresa (art. 41, comma 2), è un obiettivo legittimamente perseguibile dall’amministrazione nell’affidamento a privati di propri beni suscettibili di sfruttamento economico. Quando però l’obiettivo si traduce in un intervento fortemente conformativo del mercato di riferimento, attraverso l’imposizione di matrice dirigista di un’obbligatoria integrazione verticale tra operatori del settore e il consequenziale incremento dei requisiti di qualificazione per svolgere l’attività economica, il pur legittimo obiettivo di interesse generale non può eccedere i limiti di un equilibrato bilanciamento tra le contrapposte ragioni di apertura alla concorrenza e più in generale della ragionevolezza che sempre deve presiedere all’esercizio della funzione amministrativa.
Mentre l’esigenza di contemperare le ragioni della sicurezza del lavoro con quelle dell’impresa rimonta al sopra citato art. 41 della Costituzione, la tutela delle imprese di minori dimensioni in funzione dell’incremento dei livelli di concorrenza si è tradotto sul piano della legislazione primaria nell’affermazione del principio di carattere generale, richiamato nel secondo motivo d’appello, per cui alle esigenze di queste ultime deve essere “adeguato l’intervento pubblico e l’attività della pubblica amministrazione” [art. 1, comma 5, lett. h), della legge 11 novembre 2011, n. 180 – Norme per la tutela della libertà d’impresa. Statuto delle imprese].
12. Sul diverso piano della ragionevolezza dell’azione amministrative vengono invece in rilievo i canoni generali di necessità, adeguatezza e proporzionalità delle misure incidenti sul libero dispiegarsi delle dinamiche concorrenziali, per cui ogni intervento restrittivo giustificato dal perseguimento di obiettivi di interesse generale, come nel caso di specie la tutela della sicurezza dei lavoratori, deve palesarsi come unica misura in grado di realizzare efficacemente tale obiettivo, oltre che con esso coerente.
13. Tutto ciò premesso, la duplice verifica di equilibrato bilanciamento e di ragionevolezza intrinseca sollecitata nel presente giudizio dalla cooperativa Va. e dalle società intervenienti nei confronti del lotto unico di gara individuato dal Comune di (omissis) come forma di affidamento del comparto estrattivo ATE 03 del piano cave della Provincia di Brescia conduce ad esito negativo.
14. Come risulta dalla delibera consiliare del 31 luglio 2017, n. 30, e come confermato dalle relazioni tecniche versate agli atti del presente giudizio, l’affidamento unitario del comparto risponde ad una logica altrettanto unitaria di direzione e di pianificazione di sicurezza delle attività estrattive, così da evitare l’assetto preesistente caratterizzato da pluralità di operatori autonomi e – nella valutazione espressa sul punto dal Comune di (omissis) – da possibili interferenze foriere di rischi per la sicurezza. Sullo stesso piano dell’accentramento gestionale del comparto la stessa delibera consiliare riconosce tuttavia la diversa ipotesi di “più ditte operanti”, ma per questo caso è espressa la condizione che le diverse ditte abbiano coordinato i propri piani di sicurezza e valutato in essi i rischi da interferenze. In ragione delle premesse così svolte è infine disposta la costituzione del comparto estrattivo in lotto unico di gara, in funzione del dichiarato obiettivo dell’amministrazione concedente di anticipare già in tale fase la valutazione delle misure di sicurezza e di contenimento dei rischi, anche per il caso di pluralità di operatori economici ad essa partecipanti, necessariamente consorziati o raggruppati.
15. Così sintetizzati i punti fondamentali della scelta amministrativa censurata nel presente giudizio, il superamento con essa determinatosi dei sopra richiamati limiti – di ragionevolezza ed equilibrato bilanciamento con le esigenze di massima partecipazione alla gara per l’affidamento della concessione – si apprezza per il fatto che, una volta ammessa la possibilità di coltivazione del comparto per più imprese operanti in esso contemporaneamente, la scelta del lotto unico non è stata ponderata sulla base dell’alternativa data dalla suddivisione in lotti di minori dimensioni, in funzione della più ampia partecipazione alla gara e della tutela delle imprese già operanti nel comparto estrattivo. Pur orientata a finalità legittime di tutela della sicurezza sul lavoro, la scelta del Comune di (omissis) si contraddistingue sotto il profilo ora evidenziato per la ricomposizione del mercato delle attività estrattive locali e l’espulsione forzata delle realtà imprenditoriali in esso tradizionalmente attive, secondo modalità che per giunta non consta avessero determinato problematiche relative alla sicurezza sul lavoro.
16. Il radicale mutamento di assetto degli equilibri con la sostituzione con un unico soggetto concessionario è stata peraltro concepita dallo stesso Comune di (omissis) come meramente formale, in ragione della facoltà di partecipazione alla gara di più operatori in forma raggruppata o consorziata. Data quindi questa alternativa gestionale del comparto estrattivo, l’esigenza di valutare l’adeguatezza della pianificazione di sicurezza delle attività avrebbe potuto essere fatta comunque salva all’esito dell’aggiudicazione dei lotti, come condizione per la stipula delle convenzioni e l’avvio delle attività . Ciò in coerenza con la sua natura degli adempimenti in materia di sicurezza sul lavoro e dei connessi obblighi dell’imprenditore (testo unico sulla salute e sicurezza sul lavoro, di cui al decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, titolo I, capo III; art. 2087 cod. civ., parimenti richiamati dalle appellanti), come peraltro presupposto dallo stesso Comune di (omissis) nella delibera consiliare del 31 luglio 2017, n. 30, e senza pregiudizio per gli obiettivi avuti di mira da quest’ultimo, tanto più che come deducono le appellanti, senza pregiudizio i piani di sicurezza sono conseguenti ai piani di coltivazione.
17. In altri termini, l’esigenza, posta a fondamento del contestato lotto unico di gara, di coordinamento delle attività estrattive dei singoli operatori economici, con valutazione preventiva della loro idoneità sotto il profilo della sicurezza, avrebbe in ipotesi potuto essere realizzata attraverso la previsione di un obbligo di presentazione di piani coordinati di sicurezza come condizione di efficacia delle aggiudicazioni dei lotti del comparto estrattivo, e dunque una volta conclusa la competizione propria della gara, senza restrizione della concorrenza preventiva ed autoritativamente imposta con l’unicità del lotto e il consequenziale incremento dei requisiti di partecipazione alla gara.
18. Prova del mancato superamento del test di ragionevolezza e della non adeguatezza ai sensi del citato art. 1, comma 5, lett. h), della legge n. 180 del 2011 dell’intervento pubblico rispetto alle esigenze delle imprese di più ridotte dimensioni si ricava dalle concrete modalità con cui è stata confezionata la normativa di gara e si è svolta la procedura di affidamento oggetto del presente giudizio. Per qualificarsi alla gara, quale unico concorrente in esso, il consorzio stabile Bo. Cl. Gr., formato da tre dei sei operatori già attivi nel comparto estrattivo in contestazione ha infatti dovuto includere due altre imprese estrattive operanti in un altro bacino marmifero, ubicato fuori regione, e che per affermazione dello stesso controinteressato là sono destinate a rimanere attive anche una volta ottenuta l’aggiudicazione (§ 4 della memoria difensiva per l’udienza cautelare del 6 giugno 2019). L’unico effetto apprezzabile derivante dalla scelta del lotto unico di gara è dunque quello espulsivo dal mercato di riferimento degli operatori economici ivi presenti.
19. Inoltre se diversamente da quanto statuito dalla sentenza appellata non può ritenersi dimostrata l’impossibilità di suddividere l’affidamento in lotti, nemmeno può affermarsi, come fa il consorzio stabile controinteressato Bo. Cl. Gr., che il lotto unico assicurerebbe un gestione ottimale e una migliore valorizzazione del prodotto marmifero. Il profilo ora evidenziato, su cui si diffonde la relazione del geo dottor Corrado Reguzzi, depositata dal Comune di (omissis) nel giudizio di primo grado, non emerge nella delibera consiliare del 31 luglio 2017, n. 30, quale ragione a fondamento della scelta contestata dalle società appellanti. In relazione a tale esigenza la delibera si limita più precisamente a generiche enunciazioni sull’esigenza di valorizzare il prodotto, comunque insita nella causa della concessione del bacino estrattivo, per cui le deduzioni sul punto del consorzio stabile controinteressato si risolvono in una non consentita integrazione postuma del provvedimento impugnato.
20. L’appello va quindi accolto, per cui in riforma della sentenza di primo grado vanno accolti il ricorso e i motivi aggiunti, ed annullati gli atti con essi impugnati. Le spese del doppio grado di giudizio vanno nondimeno compensate, per la complessità delle questioni controverse.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza di primo grado, accoglie il ricorso ed annulla gli atti con esso impugnati.
Compensa le spese del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso nella camera di consiglio del giorno 28 gennaio 2021, tenuta con le modalità previste dagli artt. 4 del decreto-legge 30 aprile 2020, n. 28, convertito dalla legge 25 giugno 2020, n. 70, e 25 del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, con l’intervento dei magistrati:
Luciano Barra Caracciolo – Presidente
Fabio Franconiero – Consigliere, Estensore
Valerio Perotti – Consigliere
Angela Rotondano – Consigliere
Giuseppina Luciana Barreca – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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