Consiglio di Stato, Sezione quinta, Sentenza 25 marzo 2020, n. 2091.
La massima estrapolata:
In materia di autodichiarazioni di requisiti di ammissione a concorsi pubblici l’art. 48 del t.u. n. 445/2000 non richiede, a pena d’invalidità, che il soggetto si impegni esplicitamente a rendere una dichiarazione veritiera, e neppure che si dichiari consapevole delle sanzioni penali previste per le false dichiarazioni. Al contrario, è la p.a. che deve richiamare le sanzioni penali, nel momento in cui invita il privato a rendere le dichiarazioni e gli fornisce il relativo modello (peraltro facoltativo).
Sentenza 25 marzo 2020, n. 2091
Data udienza 5 marzo 2020
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quinta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 8588 del 2019, proposto da
Fl. Va. Ni., rappresentata e difesa dall’avvocato Ge. Te., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, piazza (…);
contro
Presidenza del Consiglio dei ministri, in persona del Presidente del Consiglio pro tempore, nonché Consiglio di Stato, in persona del Presidente pro tempore, rappresentati e difesi ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via (…), sono elettivamente domiciliati;
Commissione esaminatrice del concorso per titoli ed esami a quarantacinque posti di Referendario di Tar, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio;
nei confronti
Fi. Ly. ed altri, non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio Sezione Seconda n. 03639/2019, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello ed i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Consiglio di Stato;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 5 marzo 2020 il Cons. Valerio Perotti ed uditi per le parti l’avvocato Ma. in dichiarata delega di Te., nonché l’avvocato dello Stato Pa.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con d.P.C.M. del 29 dicembre 2014 veniva indetto il concorso, per titoli ed esami, per la nomina di quarantacinque posti di referendario di Tribunale amministrativo regionale. Il 30 marzo 2015, tra le altre, perveniva all’amministrazione la domanda di partecipazione della dott.ssa Fl. Va. Ni., corredata di un curriculum vitae – dalla stessa sottoscritto – nonché del certificato di laurea (indicante l’elenco degli esami sostenuti con le relative votazioni conseguite), dello stato matricolare rilasciato dall’amministrazione di appartenenza e dell’elenco dei titoli in suo possesso, nel quale venivano dichiarati il diploma di specializzazione nelle Professioni legali conseguito presso la L.U.MS.A. di Roma, una docenza presso la Scuola di specializzazione per le professioni legali “Scaduto” di Palermo nelle annualità 2012/13 – 2013/2014 – 2014/15 e lo svolgimento di una lezione nell’ambito del corso di diritto amministrativo (corso di preparazione al concorso in Magistratura) presso una scuola di Palermo nell’anno accademico 2012/13.
Con d.P.C.M. del 12 giugno 2015 veniva nominata, ai sensi dell’art. 16 della l. 27 aprile 1982, n. 186, la Commissione di concorso.
In data 15 dicembre 2015 (giusta verbale n. 5) detto organo fissava i criteri di valutazione dei titoli fatti valere dai concorrenti.
All’esito della valutazione delle prove scritte, in data 12 ottobre 2017 la dott.ssa Fl. riceveva la comunicazione del loro superamento e della votazione conseguita, pari a complessivi 168,5 punti, di cui 33,10 relativi ai titoli posseduti.
In data 12 ottobre 2017 la dottoressa Fl. presentava istanza di accesso documentale, chiedendo l’acquisizione di copia della propria domanda di partecipazione, del verbale della seduta di valutazione dei titoli e della relativa scheda.
L’istanza veniva riscontrata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri con nota di trasmissione della relativa documentazione del 7 novembre 2017.
Dopo aver sostenuto e superato la prova orale, con ulteriore istanza del 21 novembre 2017 l’odierna ricorrente chiedeva di accedere al proprio stato matricolare prodotto, nonché al verbale con cui erano stati dettati i criteri di valutazione dei titoli in possesso dei candidati.
All’esito dell’ulteriore accesso documentale, avvenuto il 24 novembre 2017, la Fl. in data 28 novembre 2017 presentava istanza di riesame, chiedendo che fossero valutati i titoli di superamento del concorso per magistrato ordinario e di quello di abilitazione alla professione forense, entrambi in suo possesso e dichiarati nel curriculum vitae allegato alla domanda di partecipazione al concorso, ma non considerati ai fini dell’attribuzione del punteggio.
L’istanza di riesame veniva respinta dalla Commissione in data 30 novembre 2017 e di ciò veniva data comunicazione con provvedimento prot. n. 16439, in pari data.
Con decreto della Presidenza del Consiglio dei ministri del 27 dicembre 2017, veniva approvata la graduatoria definitiva del concorso, nella quale la dott.ssa Fl. si posizionava ventesima, riportando il punteggio complessivo di 250,5.
Avverso il predetto decreto ed i provvedimenti ad esso presupposti, la dott.ssa Fl. proponeva ricorso straordinario al Capo dello Stato, chiedendo l’accertamento del suo diritto al riconoscimento di (ulteriori) 6 punti in ordine ai titoli corrispondenti ai codici (approvati dalla Commissione esaminatrice nella seduta del 15 dicembre 2015, con verbale n. 5) “T3 – Abilitazione professione forense” (n. 3 punti) e “T10 – Magistrato ordinario ed equiparati” (n. 3 punti), con conseguente modifica della graduatoria definitiva, in parte qua.
Il ricorso veniva quindi trasposto innanzi al Tribunale amministrativo del Lazio.
Sono stati dedotti i seguenti motivi di censura:
1) Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 15 del d.P.R. n. 214/1973. Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 5 e 8 del D.P.C.M. del 29 dicembre 2014. Violazione e/o falsa applicazione
dell’art. 97 della Costituzione. Eccesso di potere. Erroneità dell’istruttoria. Erroneità dei presupposti giuridici e fattuali. Manifesta illogicità e irragionevolezza. Manifesta ingiustizia.
2) Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 15 del d.P.R. n. 214/1973. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 6, comma 1, lett. b), della legge n. 241/1990. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 71, comma 3, del d.P.R. n. 445/2000. Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 5 e 8 del D.P.C.M. del 29 dicembre 2014. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 97 della Costituzione. Eccesso di potere. Erroneità dell’istruttoria. Erroneità dei presupposti giuridici e fattuali. Manifesta illogicità e irragionevolezza. Manifesta ingiustizia.
3) Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 6, comma 1, lett. b) della legge n. 241/1990. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 43 e dell’art. 71, comma 3, del d.P.R. n. 445/2000. Difetto di istruttoria. Erroneità dei presupposti giuridici e fattuali. Manifesta illogicità e irragionevolezza. Manifesta ingiustizia.
Si costituivano in giudizio la Presidenza del Consiglio dei ministri ed il Consiglio di Stato, concludendo per l’infondatezza del gravame.
Con ordinanza collegiale n. 10866 del 12 novembre 2018, resa all’esito dell’udienza pubblica del 24 ottobre 2018, veniva disposta l’integrazione del contraddittorio nei confronti dei vincitori che, per effetto dell’eventuale riconoscimento del punteggio aggiuntivo di sei punti nei confronti della ricorrente, avrebbero potuto perdere posizioni in graduatoria.
A seguito dell’integrazione del contraddittorio, si costituivano in giudizio i controinteressati Francola e Torano, sollevando alcune eccezioni pregiudiziali e deducendo l’infondatezza delle doglianze di parte ricorrente.
Con sentenza 18 marzo 2019, n. 3639, il giudice adito respingeva il ricorso, sul presupposto che la semplice indicazione dei titoli controversi nel curriculum vitae, pur sottoscritto e con allegata copia fotostatica del documento di identità della dichiarante, non era di per sé sufficiente a soddisfare i requisiti che la legge collega all’autocertificazione: faceva difetto, in particolare, la formale ed esplicita assunzione di responsabilità per il caso di falso o mendacio, con la consapevolezza delle sanzioni anche penali derivanti da tali condotte.
Avverso tale decisione l’interessata interponeva appello, “al solo fine di contestare la mancata attribuzione alla dott.ssa Fl. – in sede di valutazione dei titoli, nonché in sede di richiesto riesame – di n. 3 punti più n. 3 punti cui detta candidata avrebbe avuto diritto in ragione del conseguimento dell’abilitazione forense (codice T3, n. 3 punti), nonché del superamento, in qualità di vincitrice, del concorso in magistratura ordinaria (codice T10, n. 3 punti)”, deducendo i seguenti motivi di impugnazione:
1) Sul primo motivo di ricorso. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 15 del D.P.R. n. 214/1973. Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 5 e 8 del D.P.C.M. del 29 dicembre 2014. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 97 della Costituzione. Eccesso di potere. Erroneità dell’istruttoria. Erroneità dei presupposti giuridici e fattuali. Manifesta illogicità e irragionevolezza. Manifesta ingiustizia.
2) Sul secondo motivo di ricorso. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 15 del D.P.R. n. 214/1973. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 6, comma 1, lett. b) della L. n. 241/1990. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 71, comma 3, del D.P.R. n. 445/2000. Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 5 e 8 del D.P.C.M. del 29 dicembre 2014. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 97 della Costituzione. Eccesso di potere. Erroneità dell’istruttoria. Erroneità dei presupposti giuridici e fattuali. Manifesta illogicità e irragionevolezza. Manifesta ingiustizia.
3) Sul terzo motivo di ricorso. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 6, comma 1, lett. b) della L. n. 241/1990. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 43 e dell’art. 71, comma 3, del D.P.R. n. 445/2000. Difetto di istruttoria. Erroneità dei presupposti giuridici e fattuali. Manifesta illogicità e irragionevolezza. Manifesta ingiustizia.
L’appellante proponeva anche domanda di accertamento e declaratoria affinché, oltre alla riforma della sentenza e all’annullamento degli atti impugnati innanzi al primo giudice, il Consiglio di Stato accertasse e dichiarasse il suo diritto al riconoscimento dei titoli contestati e del relativo punteggio.
Si costituivano in giudizio la Presidenza del Consiglio dei ministri ed il Consiglio di Stato, concludendo per l’infondatezza del gravame e chiedendone la reiezione.
Successivamente l’appellante depositava un’ulteriore memoria per replicare alle contestazioni dell’amministrazione ed all’udienza del 5 marzo 2020, dopo la rituale discussione, la causa veniva trattenuta in decisione.
DIRITTO
Con il primo motivo di appello la sentenza di primo grado viene contestata per aver legittimato l’operato della Commissione esaminatrice nella parte in cui, in sede di valutazione dei titoli, aveva omesso di attribuire alla candidata tre punti per il conseguimento dell’abilitazione forense (codice T3) ed altrettanti punti per la vittoria al concorso in magistratura ordinaria (codice T10), per un totale di sei punti (da sommare ai 33,10 attribuitile), sul presupposto che l’interessata non avesse reso, al riguardo, idonea dichiarazione.
Invero, nel curriculum vitae presentato (e sottoscritto) dalla dott.ssa Fl. veniva chiaramente indicato sia di aver conseguito nel 2008 l’abilitazione all’esercizio della professione forense, sia che la stessa era stata nominata magistrato ordinario, con decorrenza 26 ottobre 2009 e servizio prestato fino al 14 luglio 2010, data alla quale era transitata all’Avvocatura dello Stato, presso la sede distrettuale di Palermo.
In ordine ai detti titoli, precisa inoltre l’appellante, la Commissione di concorso non avrebbe potuto esercitare una valutazione discrezionale, in virtù di quanto prestabilito dalla Commissione stessa con la tabella n. 3 allegata al verbale n. 5. In effetti, relativamente ai codici “T3 – Abilitazione professione forense” e “T10 – Magistrato ordinario ed equiparati” era stata prevista l’attribuzione di un punteggio “in misura unitaria” e non “in misura massima” pari, quanto al codice T3, a tre punti e, quanto al codice T10, a tre punti in caso di vittoria di concorso ed un solo punto in caso di semplice idoneità .
Inoltre la precedente qualità di magistrato ordinario, oltre ad essere stata dichiarata nel curriculum, era certificata anche dallo stato matricolare prodotto dall’appellante in allegato alla domanda di partecipazione, redatta secondo lo schema di cui all’Allegato A del bando e corredata della documentazione prescritta all’art. 5, tra cui – come detto – il curriculum vitae, il citato stato matricolare e l’elenco di titoli e documenti (nella specie, lo stato matricolare attestava la provenienza amministrativa della dott.ssa Fl. dal Ministero della giustizia, riportando altresì la data della nomina – 26 ottobre 2009 – di talché tale documento validamente avrebbe certificato, ove fosse necessario, quanto dichiarato nel curriculum vitae sottoscritto).
Del resto, la circostanza che detto curriculum fosse stato sottoscritto, pur in assenza di un’apposita prescrizione nel bando in tal senso (limitata, si rammenta, al solo elenco di titoli e documenti) evidenzia che era comunque equiparabile a una dichiarazione sostitutiva, tanto più che alla domanda redatta secondo l’apposito schema essa aveva altresì allegato il proprio documento di identità .
Non è poi decisivo il mancato inserimento della formula solenne – di cui all’art. 48 d.P.R. n. 445 del 2000 – inerente l’assunzione di responsabilità per il caso di falso o mendacio, con la consapevolezza delle sanzioni anche penali derivanti da tali condotte, atteso che tale conseguenza si verifica comunque ex lege per il solo fatto che il soggetto abbia scelto di rendere una autodichiarazione ad una pubblica amministrazione, del tutto a prescindere dalla formalizzazione di cui sopra.
Il motivo è fondato.
L’art. 46 (Dichiarazioni sostitutive di certificazioni) d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445 (Disposizioni legislative in materia di documentazione amministrativa) prevede: “Sono comprovati con dichiarazioni, anche contestuali all’istanza, sottoscritte dall’interessato e prodotte in sostituzione delle normali certificazioni i seguenti stati, qualità personali e fatti: […]
m) titolo di studio, esami sostenuti;
n) qualifica professionale posseduta, titolo di specializzazione, di abilitazione, di formazione, di aggiornamento e di qualificazione tecnica […]”.
A sua volta, il successivo art. 47 (Dichiarazioni sostitutive dell’atto di notorietà ) dispone: “L’atto di notorietà concernente stati, qualità personali o fatti che siano a diretta conoscenza dell’interessato è sostituito da dichiarazione resa e sottoscritta dal medesimo con la osservanza delle modalità di cui all’articolo 38 […]
Fatte salve le eccezioni espressamente previste per legge, nei rapporti con la pubblica amministrazione e con i concessionari di pubblici servizi, tutti gli stati, le qualità personali e i fatti non espressamente indicati nell’articolo 46 sono comprovati dall’interessato mediante la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà “.
Entrambe le disposizioni solamente la sola sottoscrizione dell’atto ai fini della sua validità, non anche l’utilizzo di formule particolari concernenti, ad esempio l’assunzione da parte del dichiarante della responsabilità penale per il contenuto delle sue dichiarazioni. Il che si spiega in ragione della autosufficienza della legge perché operi una tale responsabilità (vale ricordare il precetto generale dell’art. 5 Cod. pen.) derivante dalla commissione del fatto vietato e non anche da un disponibile impegno formale all’assunzione di responsabilità in tal senso.
D’altro canto, anche il richiamato art. 38 (Modalità di invio e sottoscrizione delle istanze), comma 3, d.P.R. n. n. 445 del 2000 prevede che “le istanze e le dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà da produrre agli organi della amministrazione pubblica o ai gestori o esercenti di pubblici servizi sono sottoscritte dall’interessato in presenza del dipendente addetto ovvero sottoscritte e presentate unitamente a copia fotostatica non autenticata di un documento di identità del sottoscrittore. La copia fotostatica del documento è inserita nel fascicolo. La copia dell’istanza sottoscritta dall’interessato e la copia del documento di identità possono essere inviate per via telematica; nei procedimenti di aggiudicazione di contratti pubblici, detta facoltà è consentita nei limiti stabiliti dal regolamento di cui all’articolo 15, comma 2 della legge 15 marzo 1997, n. 59”.
Il bando di concorso – conformemente all’art. 15, quinto comma, d.P.R. 21 aprile 1973, n. 214 (Regolamento di esecuzione della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, istitutiva dei tribunali amministrativi regionali) precisava che i titoli dichiarati nella domanda e negli allegati, nonché le dichiarazioni rese, dovessero essere autocertificati ai sensi degli artt. 46 e 47 d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445.
Tali disposizioni, come detto, impongono la sola sottoscrizione dell’atto e, ove lo stesso venga trasmesso a mezzo postale, la produzione, in copia, di documento di identità del dichiarante in corso di validità . E tanto vale ad imputare le prodotte dichiarazioni al dichiarante e a farlo responsabile della loro veridicità .
Non è del resto dirimente la previsione, ex art. 48 del d.P.R. n. 445 del 2000, di un obbligo per le pubbliche amministrazioni di inserire, nei modelli predisposti per la presentazione delle dichiarazioni sostitutive, del “richiamo alle sanzioni penali previste dall’articolo 76, per le ipotesi di falsità in atti e dichiarazioni mendaci ivi indicate”, unitamente all’informativa di cui all’articolo 10 della l. 31 dicembre 1996, n. 675.
Premesso che l’adempimento è richiesto alle sole amministrazioni e non anche ai privati che scelgano di rendere in modo autonomo le dichiarazioni, va comunque considerato che non si tratta di integrazione in via amministrativa e volontaria di una fattispecie penale altrimenti imperfetta: vale dunque l’orientamento (ex multis, Cons. Stato, III, 10 giugno 2013, n. 3146) per cui “quanto al mancato richiamo delle sanzioni penali previste per il caso di false dichiarazioni, la giurisprudenza ha da tempo osservato che tale adempimento non costituisce un requisito sostanziale per la validità delle dichiarazioni ai sensi del D.P.R. n. 445/2000 in quanto la qualificazione come falso, e le relative conseguenze penali, prescindono dall’avvenuto uso in concreto della formula, mentre la ignoranza della legge penale comunque non scusa il falso dichiarante, sia che abbia invocato per iscritto l’art. 76 del D.P.R. n. 445/2000, sia che non lo abbia invocato. In effetti l’art. 48 del t.u. n. 445/2000 non richiede, a pena d’invalidità, che il soggetto si impegni esplicitamente a rendere una dichiarazione veritiera, e neppure che si dichiari consapevole delle sanzioni penali previste per le false dichiarazioni. Al contrario, è la p.a. che deve richiamare le sanzioni penali, nel momento in cui invita il privato a rendere le dichiarazioni e gli fornisce il relativo modello (peraltro facoltativo)”.
Nel caso di specie non è contestato che il curriculum vitae contenesse l’effettiva e puntuale indicazione dei titoli che poi concretamente non sono stati considerati utili dalla Commissione di concorso; che lo stesso fosse stato sottoscritto dalla candidata; che vi fosse stata allegata una copia fotostatica di valido documento di identità dell’appellante.
La dichiarazione resa – al di là del nomen e della forma utilizzata – era insomma completa dei requisiti di validità (ed efficacia) richiesti dalla normativa e l’amministrazione era tenuta a considerarli e a valutarli. Non poteva dunque l’amministrazione ai fini del punteggio pretermettere il rilievo dei titoli in questione comunque allegati dall’interessata.
Riguardo a quest’ultimo aspetto, sono convincenti le considerazioni dell’appellante circa la natura vincolata dei punteggi che la Commissione avrebbe dovuto assegnare ai titoli invece pretermessi (tre punti ciascuno), alla luce dei criteri predeterminati dalla Commissione medesima nelle fasi preliminari della procedura di concorso, sopra riportati.
L’accoglimento del primo motivo di appello è assorbente delle questioni dedotte con il secondo, non manifestamente ponendosi, nel caso di specie, alcun problema di soccorso istruttorio circa la dichiarazione resa dall’appellante.
Alla luce dei rilievi che precedono l’appello va accolto, con conseguente riforma della sentenza di prime cure.
La particolarità delle questioni trattate giustifica peraltro, ad avviso del Collegio, l’integrale compensazione tra le parti delle spese di lite del doppio grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie, per l’effetto accogliendo – in riforma dell’impugnata sentenza – il ricorso originariamente proposto dalla dott.ssa Fl. Va. Ni..
Dichiara consequenzialmente il diritto dell’appellante al riconoscimento dei titoli contestati e del relativo punteggio, nei termini di cui in motivazione.
Compensa tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5 marzo 2020 con l’intervento dei magistrati:
Giuseppe Severini – Presidente
Raffaele Prosperi – Consigliere
Valerio Perotti – Consigliere, Estensore
Stefano Fantini – Consigliere
Anna Bottiglieri – Consigliere
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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