Corte di Cassazione, sezione terza civile, Sentenza 5 settembre 2019, n. 22163.
La massima estrapolata:
In materia di appalti, non viene meno per il committente e detentore del bene il dovere di custodia e di vigilanza e, con esso, la conseguente responsabilità ex art. 2051 c.c. laddove non vi sia il totale trasferimento all’appaltatore del potere di fatto sull’immobile nel quale deve essere eseguita l’opera appaltata, quest’ultimo d’altro canto rispondendo anche dei danni cagionati a terzi dal preposto o dall’ausiliario della cui opera, ancorché non alle proprie dipendenze, si avvalga nell’espletamento della propria attività di adempimento dell’obbligazione, assumendo il rischio connaturato alla relativa utilizzazione nell’attuazione della propria obbligazione (cuius commoda eius et incommoda, ovvero dell’appropriazione o “avvalimento” dell’attività altrui per l’adempimento della propria obbligazione), essendo pertanto responsabile di tutte le ingerenze dannose, dolose o colpose, che a costui, sulla base di un nesso di occasionalità necessaria, siano state rese possibili in virtù della posizione conferitagli nell’adempimento dell’obbligazione medesima rispetto al danneggiato, e che integrano il “rischio specifico” a tale stregua assunto. Pertanto, mentre l’art. 2053 c.c. indica come soggetto responsabile il proprietario, e quindi il titolare del diritto reale o della concessione che legittima il controllo giuridico sul bene», l’«art. 2051 c.c. considera responsabile il custode dell’edificio», e la qualifica di proprietario e quella di custode non coincidono necessariamente.
Sentenza 5 settembre 2019, n. 22163
Data udienza 28 marzo 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ARMANO Uliana – Presidente
Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere
Dott. SCARANO Luigi A. – rel. Consigliere
Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere
Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 24614-2017 proposto da:
FALLIMENTO (OMISSIS) SRL IN LIQUIDAZIONE, in persona del Curatore, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
INPS – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in proprio e nella qualita’ di procuratore speciale di (OMISSIS) – (OMISSIS) Srl, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
e contro
(OMISSIS) SPA;
– intimata –
avverso la sentenza n. 647/2017 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 21/03/2017;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 28/03/2019 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO;
udito il P.M. in persona del. Sostituto Procuratore Generale Dott. SGROI CARMELO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito l’Avvocato (OMISSIS).
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 21/3/2017 la Corte d’Appello di Firenze ha respinto i gravami interposti dalla societa’ (OMISSIS) s.p.a., in via principale, e dalla societa’ (OMISSIS) s.r.l., in via incidentale, in relazione alla pronunzia Trib. Firenze 5/1/2009, di accoglimento della domanda da quest’ultima proposta nei confronti dell’Inpdap ed altri di risarcimento dei danni subiti in conseguenza di incendio sviluppatosi il 27/1/2003, che ha distrutto il capannone industriale sito in (OMISSIS), da essa condotto in locazione.
Incendio ascritto all’esclusiva responsabilita’ ex articolo 2051 c.c. dei custodi, individuati sia nella societa’ (OMISSIS) s.p.a., gestore dell’immobile di proprieta’ dell’Inpdap (poi trasferito alla (OMISSIS) con Decreto Ministeriale 21 novembre 2002, cui e’ successivamente subentrata ex lege l’Inps), committente di lavori di impermeabilizzazione della copertura per l’eliminazione di infiltrazioni all’impresa (OMISSIS); sia in quest’ultima, appaltatrice dei lavori, il cui dipendente sig. (OMISSIS) aveva mantenuto una “condotta inadeguata e gravemente inadempiente”, con “maldestro uso di una fiamma ossidrica”, cui consegui’ “l’accensione del plexiglas di cui erano costruiti i lucernari con conseguente propagazione dell’incendio all’intera struttura”, ivi ricompresa la “campata sotto la quale si trovavano immagazzinati libri ed attrezzature della predetta conduttrice”.
Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito il Fallimento (OMISSIS) s.r.l. in liq. (gia’ (OMISSIS) s.r.l., gia’ (OMISSIS) s.r.l.) propone ora ricorso per cassazione, affidato a 5 motivi, illustrati da memoria.
Resiste con controricorso l’Inps.
L’altra intimata non ha svolto attivita’ difensiva.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il 1 motivo il ricorrente denunzia violazione dell’articolo 2051 c.c., ed “errata disapplicazione” dell’articolo 2053 c.c., in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Con il 5 motivo denunzia violazione dell’articolo 115 c.p.c., in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4.
Si duole che la corte di merito abbia erroneamente fatto applicazione dell’articolo 2051 anziche’ dell’articolo 2053 c.c., che “atteso il carattere di specialita’ prevale” sulla responsabilita’ da custodia.
Si duole che la corte di merito abbia erroneamente valutato le emergenze processuali.
Con il 2 motivo denunzia “violazione ed errata applicazione” degli articoli 2051, 2053 e 832 c.c., L. n. 410 del 2001, articoli 2 e 3, Decreto Ministeriale 22 novembre 2002, ed “errata disapplicazione” dell’articolo 2053 c.c., in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Si duole che la corte di merito non abbia considerato che il “portafoglio immobiliare” trasferito a (OMISSIS) costituisce “patrimonio separato” e ha come “unico oggetto la gestione della operazione di cartolarizzazione”, sicche’ “cio’ che viene trasferito a (OMISSIS) non pare… integrare il contenuto della piena proprieta’ ex articolo 832 c.c. ma solo funzioni connesse alla cartolarizzazione”.
Lamenta che “alla data dell’evento dannoso (27.1.2003), non essendo intervenuto il trasferimento di cui all’articolo 4, Decreto Ministeriale citato, era ancora titolare dei poteri e doveri connaturati alla proprieta’, responsabile, quale custode, della gestione dell’immobile e legittimato passivo in ordine alla causa risarcitoria”.
Si duole non essersi dalla corte di merito considerato che “la (OMISSIS) quale “delegata” di (OMISSIS)… operava in nome e per conto della mandante, riversando sulla stessa la relativa responsabilita’, mentre l’impresa appaltatrice ( (OMISSIS)), intervenendo sulla porzione di tetto adiacente a quello sovrastante la porzione utilizzata dalla Casa Editrice, non aveva la “custodia” delle lastre di plexiglass che costituivano la copertura del contiguo fabbricato”.
Con il 3 motivo denunzia “erronea interpretazione, violazione e falsa applicazione” degli articoli 2051, 2053 e 2697 c.c., in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Si duole non essersi dalla corte di merito considerato che la “presenza di (OMISSIS), mandataria di (OMISSIS), non esclude i doveri di custodia ne’ interrompe il nesso di causalita’ che caratterizza la responsabilita’ della proprieta’ mandante”.
Con il 4 motivo denunzia “erronea interpretazione, violazione e falsa applicazione” degli articoli 1227 e 2055 c.c., in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Il ricorso e’ sotto plurimi profili inammissibile.
Va anzitutto osservato che esso risulta formulato in violazione del requisito a pena di inammissibilita’ richiesto all’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6, nel caso non osservato laddove viene operato il riferimento de relato ad atti e documenti del giudizio di merito (es., al contratto di appalto stipulato dalla societa’ (OMISSIS) s.p.a. con l'”impresa (OMISSIS)”, alla sentenza del giudice di prime cure, ai “separati appelli (OMISSIS) e Casa Editrice”) limitandosi a meramente richiamarli, senza invero debitamente per la parte d’interesse in questa sede – riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti (in particolare, stralci della CTU), senza fornire puntuali indicazioni necessarie ai fini della relativa individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte Suprema di Cassazione, al fine di renderne possibile l’esame (v., da ultimo, Cass., 16/3/2012, n. 4220), con precisazione (anche) dell’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, e se essi siano stati rispettivamente acquisiti o prodotti (anche) in sede di giudizio di legittimita’ (v. Cass., 23/3/2010, n. 6937; Cass., 12/6/2008, n. 15808; Cass., 25/5/2007, n. 12239, e, da ultimo, Cass., 6/11/2012, n. 19157), la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (cfr., da ultimo, Cass., Sez. Un., 19/4/2016, n. 7701).
Non sono infatti sufficienti affermazioni – come nel caso – apodittiche, non seguite da alcuna dimostrazione.
E’ al riguardo appena il caso di osservare che i requisiti di formazione del ricorso per cassazione ex articolo 366 c.p.c. vanno indefettibilmente osservati, a pena di inammissibilita’ del medesimo.
Essi rilevano ai fini della giuridica esistenza e conseguente ammissibilita’ del ricorso, assumendo pregiudiziale e prodromica rilevanza ai fini del vaglio della relativa fondatezza nel merito, che in loro difetto rimane invero al giudice imprescindibilmente precluso (cfr. Cass., 6/7/2015, n. 13827; Cass., 18/3/2015, n. 5424; Cass., 12/11/2014, n. 24135; Cass., 18/10/2014, n. 21519; Cass., 30/9/2014, n. 20594; Cass., 5 19/6/2014, n. 13984; Cass., 20/1/2014, n. 987; Cass., 28/5/2013, n. 13190; Cass., 20/3/2013, n. 6990; Cass., 20/7/2012, n. 12664; Cass., 23/7/2009, n. 17253; Cass., 19/4/2006, n. 9076; Cass., 23/1/2006, n. 1221).
A tale stregua, l’accertamento in fatto e la decisione dalla corte di merito adottata e nell’impugnata decisione rimangono invero dall’odierno ricorrente non idoneamente censurati.
Va per altro verso posto in rilievo come, al di la’ della formale intestazione dei motivi, il ricorrente deduca in realta’ doglianze (anche) di vizio di motivazione al di la’ dei limiti consentiti dalla vigente formulazione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (v. Cass., Sez. Un., 7/4/2014, n. 8053), nel caso ratione temporis applicabile, sostanziantesi nel mero omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, dovendo riguardare un fatto inteso nella sua accezione storico-fenomenica, e non anche come nella specie l’omesso e a fortiori l’erronea valutazione di determinate emergenze probatorie (cfr. Cass., Sez. Un., 7/4/2014, n. 8053, e, conformemente, Cass., 29/9/2016, n. 19312).
Va per altro verso posto in rilievo come non risulti dall’odierno ricorrente invero censurata la ratio decidendi dell’impugnata sentenza secondo cui (“incontroversa essendo la “responsabilita’ per danni (cui consegui’ il pagamento parziale dell’indennizzo assicurativo) conseguente ad un incendio sviluppatosi il 27/1/2003 nell’immobile di via Nazioni Unite in Scandicci secondo modalita’, cause scatenanti e conseguenze che sono pacifiche in causa”) “nel caso… in esame si versa… in una situazione peculiare, poiche’ l’immobile era bensi’ locato alla stessa danneggiata (OMISSIS) s.r.l…. ma i danni originarono non da una sua attivita’ bensi’… da quella di un terzo, incaricato dal suo gestore di eseguirvi lavori per l’eliminazione di infiltrazioni, cosa che, per effetto del maldestro uso di una fiamma ossidrica comporto’ l’accensione del plexiglas di copertura del lucernario piu’ vicino, di qui propagatosi a quelli contigui fino all’ultimo, costituente copertura della campata sotto la quale si trovavano immagazzinati libri ed attrezzature della predetta conduttrice. In tale situazione si puo’ del tutto legittimamente dubitare della ricorrenza di un’ipotesi inquadrabile nell’articolo 2053 c.c. che, sia per il tenore testuale della disposizione che per l’interpretazione che ne viene data dalla giurisprudenza, considera rovina ogni disgregazione, sia pure limitata, degli elementi strutturali della costruzione, ovvero degli elementi accessori in essa stabilmente incorporati”, sicche’ “la responsabilita’ del proprietario di un edificio o di altra costruzione per i danni cagionati dalla loro rovina puo’ ravvisarsi solo in caso di danni derivanti dagli elementi (anche accessori ma) strutturali dell’edificio o di elementi o manufatti accessori non facenti parte della struttura della costruzione e percio’ parti essenziali degli stessi, ossia di danni derivanti dall’azione dinamica del materiale facente parte della struttura della costruzione e non da qualsiasi disgregazione sia pure limitata dell’edificio o di elementi o manufatti accessori non facenti parte della struttura della costruzione. Questo porta ad escludere che l’impianto antincendio possa rientrare nella nozione di elemento essenziale strutturale ancorche’ accessorio, essendo esso finalizzato a scongiurare conseguenze dannose correlate a fattori incidentali, quali, appunto, un incendio. Secondo la giurisprudenza, la disposizione si applica in ogni caso di disgregazione, sia pure limitata, degli elementi strutturali della costruzione, ovvero degli elementi accessori e ornamentali in essa stabilmente incorporati mentre nei casi rimanenti sussiste la fattispecie di danno da cosa in custodia di cui all’articolo 2051 c.c.”.
Orbene, al riguardo l’odierno ricorrente si limita invero ad inammissibilmente riproporre in termini apodittici la propria non accolta tesi difensiva secondo cui nella specie troverebbe viceversa applicazione la fattispecie di cui all’articolo 2053 c.c., senza muovere invero alcuna specifica censura ai suindicati argomenti dalla corte di merito posti a sostegno della raggiunta conclusione.
Del pari deve dirsi con riferimento all’ulteriore ratio decidendi in base alla quale (dato atto che “mentre l’articolo 2053 c.c. indica come soggetto responsabile il proprietario, e quindi il titolare del diritto reale o della concessione che legittima il controllo giuridico sul bene”, l'”articolo 2051 c.c. considera responsabile il custode dell’edificio”, e “la qualifica di proprietario e quella di custode… non coincidono necessariamente”) la corte di merito e’ pervenuta a confermare l’affermazione del giudice di prime cure secondo cui nella specie i custodi vanno individuati “nell’appaltatore, esecutore dei lavori” nonche’ “nel committente, tale non essendo l’Inpdap o la (OMISSIS) s.r.l. ma il gestore dell’immobile (OMISSIS) cui era stata trasferita la gestione con contratto del 31/1/2002 (parti entrambe non in causa)”.
Statuizione che, movendo dall’accertamento di fatto dai giudici di merito compiuto in esplicazione di propri poteri (“in tale quadro fattuale, ogni profilo di responsabilita’ a carico della proprieta’ – locatrice sfuma fino ad apparire inesistente, poiche’ non e’ alla struttura dell’immobile in se’ o all’operato della medesima che possa ascriversi un qualsivoglia comportamento
o anche solo una omissione ovvero un profilo oggettivo da identificarsi con quanto viene presupposto dall’articolo 2051 c.c. che possa ascriversi la causa dell’innesco di tutto il meccanismo distruttivo che ha portato alla produzione degli immani danni conseguenti al catastrofico incendio determinato… dalla negligenza del materiale operatore che procedeva agli interventi di straordinaria manutenzione, al gestore ( (OMISSIS)) ed all’imprenditore (diverso dalla (OMISSIS) s.r.l.) che non aveva predisposto le opportune misure di sicurezza all’interno dei locali per adeguarli alla specifica attivita’ svolta”), trova rispondenza nei principi affermati da questa Corte secondo cui custodi sono tutti i soggetti, pubblici o privati, che hanno il possesso o la detenzione (legittima o anche abusiva: v. Cass., 3 giugno 1976, n. 1992) della cosa (v. in particolare Cass., 20/2/2006, n. 3651), e pertanto anzitutto ma non solo i proprietari (cfr., con riferimento alle strade, Cass., 9/06/2016, n. 11802; Cass., 20/2/2006, n. 3651), tale qualita’ non essendo per assumere siffatta qualita’ ne’ indefettibilmente necessaria ne’ esaustiva (v., da ultimo, Cass., 12/3/2019, n. 7005).
Per altro verso, del principio in base al quale in caso di appalto non viene meno per il committente e detentore del bene il dovere di custodia e di vigilanza e, con esso, la conseguente responsabilita’ ex articolo 2051 c.c. laddove non vi sia il totale trasferimento all’appaltatore del potere di fatto sull’immobile nel quale deve essere eseguita l’opera appaltata (v., da ultimo, Cass., 14/5/2018, n. 11671), quest’ultimo d’altro canto rispondendo anche dei danni cagionati a terzi dal preposto o dall’ausiliario della cui opera, ancorche’ non alle proprie dipendenze, si avvalga nell’espletamento della propria attivita’ di adempimento dell’obbligazione, assumendo il rischio connaturato alla relativa utilizzazione nell’attuazione della propria obbligazione (cuius commoda eius et incommoda, ovvero dell’appropriazione o “avvilimento” dell’attivita’ altrui per l’adempimento della propria obbligazione), essendo pertanto responsabile di tutte le ingerenze dannose, dolose o colpose, che a costui, sulla base di un nesso di occasionalita’ necessaria (v. Cass., 17/5/2001, n. 6756; Cass., 15/2/2000, n. 1682), siano state rese possibili in virtu’ della posizione conferitagli nell’adempimento dell’obbligazione medesima rispetto al danneggiato, e che integrano il “rischio specifico” a tale stregua assunto (cfr., da ultimo, Cass., 12/10/2018, n. 25373).
Emerge infine evidente come il ricorrente inammissibilmente prospetti invero una rivalutazione del merito della vicenda comportante accertamenti di fatto invero preclusi a questa Corte di legittimita’, nonche’ una rivalutazione delle emergenze probatorie, laddove solamente al giudice di merito spetta individuare le fonti del proprio convincimento e a tale fine valutare le prove, controllarne la attendibilita’ e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, non potendo in sede di legittimita’ riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, atteso il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimita’ non e’ un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte Suprema di Cassazione elementi di fatto gia’ considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo in favore del controricorrente Inps, seguono la soccombenza.
Non e’ viceversa a farsi luogo a pronunzia in ordine alle spese del giudizio di cassazione in favore dell’altra intimata, non avendo la medesima svolto attivita’ difensiva.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 8.200,00, di cui Euro 8.000,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge, in favore del controricorrente Inps.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater, come modif. dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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