In materia di accesso ai documenti amministrativi

Consiglio di Stato, Sezione sesta, Sentenza 22 giugno 2020, n. 3992.

La massima estrapolata:

In materia di accesso ai documenti amministrativi, i dati immagazzinati in una banca dati, per ciò solo, non si sottraggano all’ambito di applicazione della norma, trattandosi invero di un ormai diffusa modalità di archiviazione ed organizzazione dei dati che ha soppiantato i non più attuali archivi cartacei; il fatto che determinati atti, invece che riprodotti su di un supporto materiale, siano digitalizzati ed organizzati attraverso un software, venendo a costituire una banca dati, appare del tutto compatibile con la formula di documento amministrativo dettata dall’art. 22 della L. 241/90.

Sentenza 22 giugno 2020, n. 3992

Data udienza 11 giugno 2020

Tag – parola chiave: Accesso ai documenti amministrativi – Trasporti – Autorità di regolazione dei trasporti – Nuovo sistema tariffario – Applicazione alle società concessionarie autostradali – Accesso agli atti amministrativi – Parziale diniego – Legittimità – Regolamento interno dell’Autorità – Nozione di documento amministrativo – Distinzione tra “banca dati” e “dati” contenuti

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 970 del 2020, proposto da
R.A. – Ra. Au. Va. D’A. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ma. An., Gi. Mi. Ro. e Lu. To., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Lu. To. in Roma, viale (…);
contro
Autorità di Regolazione dei Trasporti, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (…);
nei confronti
Associazione Italiana Società Co. Au. e Tr. non costituita in giudizio;
per la riforma
dell’ordinanza collegiale del Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte n. 1270/2019.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Autorità di Regolazione dei Trasporti;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 11 giugno 2020 il Cons. Giordano Lamberti;
Ai sensi dell’art. 4 del D.L.30 aprile 2020, n. 28 è presente l’avvocato Ma. An. in collegamento da remoto e l’avvocato dello Stato M. St. Me. ha richiesto il passaggio in decisione della causa;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1 – In data 18 febbraio 2019, l’Autorità di regolazione dei trasporti (“ART”) ha adottato la delibera n. 16/2019 che ha disposto l’avvio del procedimento di definizione di un nuovo sistema tariffario da applicare alle società concessionarie autostradali.
Tale delibera è stata impugnata dalla società ricorrente dinanzi al T.A.R. per il Piemonte per plurimi profili di illegittimità .
1.1- Parte ricorrente evidenzia che tra i motivi a sostegno di tale ricorso rileva, per quanto di interesse nel presente giudizio, quello relativo alla mancata conoscenza dei dati necessari per verificare e comprendere in base a quali elementi e con quale attendibilità l’Autorità sia giunta alle proprie determinazioni, in particolare relativamente alla definizione dell'”indicatore di produttività X” (consistente nel fattore percentuale di adeguamento annuale della componente tariffaria di gestione valido per ciascun periodo regolatorio, fissato dall’Autorità anche sulla base dell’obiettivo di incremento di efficienza minimo).
2 – Successivamente, l’Autorità ha emanato la delibera n. 64/2019 (“Conclusione del procedimento avviato con delibera n. 16/2019 – Approvazione del sistema tariffario di pedaggio relativo alla Convenzione Unica ANAS S.p.A. – Raccordo Autostradale Valle d’Aosta S.p.A.”) che ha concluso, con specifico riferimento alla società ricorrente, il procedimento di approvazione del nuovo sistema tariffario di pedaggio, avviato con la precedente delibera n. 16/2019.
Tale delibera è stata impugnata dalla società con atto di motivi aggiunti nel giudizio già pendente dinanzi al T.A.R. per il Piemonte.
2.2 – Anche con questa seconda impugnazione è stata censurata la determinazione dei criteri e degli elementi utilizzati per la definizione dei fattori della formula tariffaria, in particolare dell'”indicatore di produttività X”, in quanto, secondo la ricorrente, non sarebbe chiaro come l’Autorità sia arrivata a stabilire la percentuale dell’indicatore di produttività (che varia da concessionaria a concessionaria), quali strumenti e metodologie di calcolo abbia utilizzato e quali dati abbia posto a fondamento della sua analisi.
3 – La società ricorrente rappresenta che nella relazione istruttoria degli uffici si legge che l’Autorità “dispone di una propria banca dati tecnico-economica, costruita avvalendosi delle comunicazioni fornite alla stessa dai concessionari autostradali” e che “le elaborazioni svolte sulla base di detta banca dati hanno già consentito all’Autorità di stimare il gap di efficienza di singoli concessionari e di individuare i target di recupero di efficienza annuali”. Questa banca dati “unitamente alle informazioni contenute nel pertinente Sistema Informativo operante presso la Direzione Generale per la vigilanza sulle concessioni autostradali del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, cui l’Autorità ha avuto accesso a partire dal 30 aprile 2019, è conseguentemente utilizzata per stimare i medesimi indicatori di efficienza con riferimento ai sistemi tariffari stabiliti dall’Autorità nell’esercizio delle funzioni di competenza, anche in relazione ai rapporti concessori in essere”.
4 – Con l’istanza di accesso del 11 luglio 2019, la società ha chiesto all’ART, ai sensi degli artt. 22 e ss. della legge n. 241/1990, di poter accedere “a tutti i dati, le elaborazioni, le stime e i criteri che hanno condotto l’Autorità all’adozione della delibera, ivi inclusi, in particolare, a titolo esemplificativo e non esaustivo: a) i criteri e le metodologie di calcolo in base ai quali codesta Autorità ha determinato, con riferimento alla scrivente società, l’indicatore di produttività valida nel quinquennio 2020-2024; b) la banca dati utilizzata da codesta Autorità ai fini della determinazione del tasso di remunerazione del capitale investito (WACC) con la metodologia indicata al paragrafo 16 della delibera n. 64/2019 e, più specificatamente, gli elementi che hanno concorso alla definizione dei criteri di cui al paragrafo 16.5 della delibera stessa; c) ad ogni ulteriore atto, documento, elemento o informazione sulla base dei quali codesta Autorità sia giunta all’adozione della delibera n. 64/2019”.
La ricorrente ha espressamente motivato tale istanza con riferimento alla necessità di difendere i propri diritti ed interessi nell’ambito del giudizio instaurato dinanzi al T.A.R. per il Piemonte, anche in ragione della necessità di comprendere la metodologia utilizzata e valutare l’attendibilità, la fondatezza e la corrispondenza ai dati dei contenuti della delibera ivi impugnata.
5 – L’ART ha risposto all’istanza, consentendo l’accesso al solo documento intitolato “Calcolo del WACC, settore autostradale, procedimento avviato con delibera n. 16/2019 redatto dall’Ufficio Affari economici” (documento poi trasmesso alla società con successiva nota del 14 agosto 2019).
5.1 – Con riferimento alla restante documentazione richiesta, l’Autorità ha invece negato l’accesso, poiché : a) ai sensi dell’art. 14 del Regolamento interno dell’Autorità è “escluso l’accesso a bozze o appunti illustrativi di atti o provvedimenti”, b) per quanto concerne la richiesta di accesso alle banche dati, le stesse non rappresenterebbero “documenti amministrativi ai sensi dell’articolo 1, comma 1, lettera c) del 6 sopracitato Regolamento trattandosi, piuttosto, i) di servizi reperibili a pagamento sul mercato e interrogabili attraverso l’utilizzo di credenziali comunicate dal fornitore del servizio stesso, oppure ii) di dati di carattere tecnico raccolti dagli Uffici dell’Autorità e richiesti alle stesse società concessionarie autostradali in tema di lunghezza rete, km rete a tre o quattro corsie, km con gallerie, ponti, viadotti, indice stato pavimentazione”.
6 – La società ha proposto, nell’ambito del giudizio dinanzi al T.A.R., domanda ai sensi dell’art. 116, co. 2, cod. proc. amm., per l’annullamento della summenzionata nota del 6 agosto 2019, nella parte in cui ha consentito un accesso solo parziale, chiedendo al contempo l’accesso a tutti i documenti amministrativi richiesti con l’istanza di accesso del 11 luglio 2019.
Precisamente, ha chiesto di condannare l’ART ad esibire e rilasciare copia di tutti i dati, le elaborazioni, le stime e i criteri che hanno condotto l’Autorità stessa all’adozione della delibera impugnata, ivi inclusi, in particolare: a) i criteri e le metodologie di calcolo in base ai quali l’Autorità ha determinato, con riferimento a RAV, l’indicatore di produttività valida nel quinquennio 2020-2024; b) la banca dati utilizzata dall’Autorità ai fini della determinazione del tasso di remunerazione del capitale investito (WACC) con la metodologia indicata al paragrafo 16 delle delibera n. 64/2019 e, più specificatamente, gli elementi che hanno concorso alla definizione dei criteri di cui al paragrafo 16.5 della delibera stessa.
7- Il T.A.R. per il Piemonte ha rigettato l’istanza, ritenendo legittimo il diniego di accesso agli atti opposto dall’ART.
Secondo il Giudice di primo grado, la società avrebbe richiesto l’accesso: a) a dati ed informazioni contenuti in banche dati, che non rientrano nella categoria di “documento amministrativo”, secondo la definizione di cui all’art. 22, co. 1, lett. d), legge n. 241/1990, e che pertanto non sarebbero accessibili; b) a mere bozze e appunti di ciò di cui è chiesta l’ostensione, e non vera e propria documentazione certa e già formata.
La società ha impugnato tale decisione insistendo per le conclusioni già formulare avanti al T.A.R.
8 – La controversia ruota intorno alla riconducibilità entro la nozione di documento amministrativo – suscettibile di accesso ai sensi della l. 241790 – dei dati e delle informazioni utilizzate dall’Autorità nell’ambito del procedimento che ha portato alle delibere con le quali è stato ridisegnato il sistema dei pedaggi autostradali.
Prima di esaminare compiutamente le singole censure giova dunque ricordare che ai sensi dell’art. 22, c. 1, lett. d), l. n. 241/1990, come modificato ed integrato dalla legge n. 15 del 2005, costituisce “documento amministrativo ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico procedimento, detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale”.
In generale, la giurisprudenza ha già chiarito che: “l’art. 22, co. 1, lett. d) della l. 241/1990 offre, ai fini dell’accesso, una nozione ampia di documento amministrativo, non occorrendo che l’atto sia relativo ad uno specifico procedimento né che sia stato formato dall’amministrazione a cui è stata inoltrata la richiesta” (Cons. Stato, Sez. III, 21 ottobre 2011, n. 5675).
Nello specifico, appare evidente che il tenore testuale della norma individua a una nozione particolarmente estesa di documento ostensibile, predisponendo una formula aperta in grado di seguire l’evoluzione tecnologica.
La rivoluzione informatica ha evidentemente indotto il legislatore ad andare oltre la tradizionale ricostruzione del documento amministrativo come materiale cartaceo, e ad includere nella nozione di documento le riproduzioni elettromagnetiche, registrazioni audio e video, nastri e dischi magnetici.
Non sembra dunque azzardato concludere che dalla definizione enunciata dalla legge n. 241 del 1990 per documento deve intendersi qualunque forma di rappresentazione possibile di un determinato contenuto. Ne è conferma il fatto che il legislatore ha utilizzato una formula ampia elencando solo alcune delle tecniche di redazione dei documenti amministrativi, il cui carattere esemplificativo è supportato dal riferimento testuale, contenuto nella medesima disposizione, a “qualunque altra specie” di rappresentazione in grado di racchiudere il contenuto di un atto.
In altre parole, l’esplicito riferimento alle varie forme di esternazione dell’attività, unitamente alla clausola di apertura verso altre tipologie di rappresentazione che il progresso tecnologico è in grado di offrire, conferisce alla disposizione in parola una potenzialità applicativa di vasta portata, destinata ad ampliarsi con lo sviluppo di nuove modalità di formazione e rappresentazione dei dati.
In questo senso deve ritenersi che i dati immagazzinati in una banca dati, per ciò solo, non si sottraggano all’ambito di applicazione della norma, trattandosi invero di un ormai diffusa modalità di archiviazione ed organizzazione dei dati che ha soppiantato i non più attuali archivi cartacei.
Invero, il fatto che determinati atti, invece che riprodotti su di un supporto materiale, siano digitalizzati ed organizzati attraverso un software – venendo a costituire una banca dati – appare del tutto compatibile con la descritta formula di documento amministrativo dettata dall’art. 22 citato.
Del resto, la giurisprudenza ha già avuto modo di precisare che “l’art. 22, comma 1 lett. d) della L. n. 241 del 1990, nell’individuare l’oggetto del diritto di accesso, si riferisce genericamente ai documenti di fatto “detenuti” dal soggetto cui vengono richiesti” (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 1 agosto 2017, n. 3831).
L’esegesi dell’art. 22 della l. 241/90 innanzi delineata si pone inoltre in sintonia con la disposizione di cui all’articolo 42 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea che prevede “il diritto di accedere ai documenti delle istituzioni, organi e organismi dell’Unione, a prescindere dal loro supporto”.
9 – Tenuto conto che la società appellata chiede in via generale l’accesso alla banca dati, specificando, però, che l’accesso attiene agli “elementi che hanno concorso alla definizione dei criteri di cui al paragrafo 16.5 della delibera impugnata”, appare utile introdurre la distinzione tra i dati immagazzinati nella banca dati e la banca dati che li raccoglie, intesa ai sensi della Direttiva 96/9/CE come la “raccolta di opere, dati o altri elementi indipendenti sistematicamente o metodicamente disposti ed individualmente accessibili grazie a mezzi elettronici o in altro modo” (art. 1. n. 2).
In questo senso appare infatti possibile tracciare una distinzione tra i singoli atti contenuti nella banca dati e la banca dati stessa, che si compone, oltre che di tali dati, anche del software sottostante che ne consente l’organizzazione e l’eventuale elaborazione.
Deve altresì distinguersi la banca dati (ed il relativo software) dal prodotto ricavabile dalla stessa, attraverso i dati nella stessa contenuti.
In questo caso i “nuovi atti” vengono ottenuti attraverso l’elaborazione dei dati originari, tramite lo strumento elettronico, che provvede direttamente al reperimento, al collegamento e alla interrelazione dei dati fornendo un risultato, ben suscettibile di formare anch’esso un documento amministrativo nel senso innanzi precisato.
In tale ipotesi è l’elaborazione del contenuto dell’atto che si svolge elettronicamente, mentre il documento finale che ne contiene i risultati, può avere qualsiasi forma (in ipotesi anche cartacea).
9.1 – Tanto precisato, deve affermarsi che la corretta individuazione della nozione di documento amministrativo ai sensi dell’art. 22, l. n. 241/1990 consente di potervi includere i dati “esterni” immagazzinati e quelli di fatto estratti dall’amministrazione da una banca di dati per lo svolgimento della propria attività istituzionale.
Come già accennato, l’archiviazione e l’organizzazione dei dati tramite uno specifico programma a ciò deputato non può incidere in senso limitativo sulla nozione di documento ostensibile ai sensi della predetta norma, trattandosi invero solo della modalità – attraverso l’uso delle tecnologie informatiche e di uno specifico software – con le quali i dati rilevanti sono conservati dall’amministrazione, al fine di agevolarne il loro reperimento e la loro elaborazione successiva, rispetto ad una non più attuale archiviazione cartacea dei dati.
Inoltre, deve ritenersi che la qualifica di documento amministrativo nel senso di cui al citato art. 22 debba essere riconosciuta non solo ai “ai dati esterni” archiviati nella banca data, ma anche ai dati (ovvero ai risultati) derivanti dalla eventuale elaborazione dei primi. Invero, anche i risultati dell’elaborazione, specie laddove utilizzati dall’amministrazione nell’ambito della propria attività procedimentale, assumo inevitabilmente la qualifica di atti interni formati dall’amministrazione per un’attività di interesse pubblico e dunque pienamente rientranti nella nozione di documento amministrativo delineata dalla norma.
A ciò non può ostare il fatto che gli stessi siano ricavati tramite il software che governa la banca dati, trattandosi appunto comunque di dati che l’amministrazione forma, attraverso la detta procedura informatizzata, e che poi utilizza per lo svolgimento della propria attività .
Al riguardo, la giurisprudenza, già da tempo, ha riconosciuto l’ammissibilità dell’accesso a documenti rappresentativi di mera attività interna dell’amministrazione, precisando addirittura che “lo stesso prescinde dal fatto che essi siano stati o meno concretamente utilizzati ai fini dell’attività con rilevanza esterna” (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 9 luglio 2002, n. 2825; Consiglio di Stato, sez. V, 13 settembre 2016, n. 3856).
Deve dunque concludersi che i dati archiviati in una banca dati, ovvero i dati (già ) ottenuti dall’elaborazione degli stessi da parte dell’amministrazione, costituiscono documento amministrativo accessibile, in quanto detenuti dall’amministrazione nell’ambito della propria attività .
10 – In tale prospettiva, in cui l’accesso ha ad oggetto i dati inseriti nella banca dati, oppure i risultati scaturenti dalla elaborazione degli stessi, risultano in radice superate tutte le obiezioni dall’amministrazione volte ad escludere l’accessibilità alla banca dati, da intendersi quale sistema informativo di archiviazione dei dati, apparendo invero sufficiente che l’amministrazione “estragga” i dati richiesti dalla società, senza la necessità di fornire l’intera banca dati, comprensiva del software sottostante che permette la ricerca, organizzazione ed elaborazione dei dati immessi nel sistema.
10.1 – In ogni caso, la difesa dell’Autorità – incentrata sulla circostanza che la banca dati debba essere considerata un bene specifico contemplato dalla disciplina sul diritto di autore (cfr. legge 22 aprile 1941, n. 633, così come modificata dal d.lgs. 169/1999) – non assume alcun significato ai fini del presente giudizio, avuto riguardo al fatto che non viene assolutamente eccepita – né nell’atto di diniego, né nel presente giudizio – la violazione di presunti diritti di privativa sulla detta banca dati.
Tenuto conto che, in base al Considerando 15 della Direttiva 96/9/CE, “i criteri da applicare per stabilire se una banca dati sia protetta dal diritto d’autore dovranno limitarsi al fatto che la scelta o la disposizione del contenuto della banca di dati costituisce una creazione intellettuale, propria dell’autore”, deve sottolinearsi come, nel caso di specie, non venga allegato alcun elemento tale da poter configurare la banca dati in questione un opera dell’ingegno, né viene indicato l’autore della supposta opera intellettuale, limitandosi l’Autorità a delle mere considerazioni generali.
A questo riguardo, la giurisprudenza comunitaria (Corte di Giustizia nella causa C-604/10) ha puntualizzato che la tutela giuridica accordata alle banche dati sulla scorta del diritto d’autore presuppone che “la scelta o la disposizione del contenuto costituisce una creazione intellettuale del proprio autore”, ovvero quando “mediante la scelta o la disposizione dei dati in essa contenuti, il suo autore esprima la sua capacità creativa con originalità, effettuando scelte libere e creative”.
Da un altro punto di vista, la stessa Direttiva 96/9/CE, da un lato, richiama il diritto d’autore, per cui “le banche di dati che per la scelta o la disposizione del materiale costituiscono una creazione dell’ingegno propria del loro autore sono tutelate in quanto tali dal diritto d’autore”; dall’altro, in coerenza con la conclusione innanzi rassegnata, precisa che la suddetta tutela in base al diritto d’autore “non si estende al loro contenuto e lascia impregiudicati i diritti esistenti su tale contenuto”.
10.2 – Così come rappresentati, appaiono altrettanto generici i riferimenti relativi alla tutela della privacy, dal momento che nel caso di specie la banca dati in questione non raccoglie dati sensibili di persone fisiche, né vengono allegate specifiche esigenze relative alla posizione di soggetti terzi o tematiche di cybersecurity connesse ad accessi impropri.
10.3 – In definitiva, in accoglimento della prospettiva della società, deve ordinarsi l’ostensione dei “dati utilizzati dall’Autorità ai fini della determinazione del tasso di remunerazione del capitale investito (WACC) con la metodologia indicata al paragrafo 16 della delibera n. 64/2019 e, più specificatamente, gli elementi che hanno concorso alla definizione dei criteri di cui al paragrafo 16.5 della delibera stessa”, nonché dei dati ricavati “sulla base di detta banca dati che hanno consentito all’Autorità di stimare il gap di efficienza e di individuare i target di recupero di efficienza annuali” se del caso, al fine di non ledere eventuali diritti di soggetti terzi (nel caso di specie non emersi formalmente) i dati potranno essere forniti in forma aggregata, oppure con la cd. anonimizzazione dei dati.
11 – Tale soluzione deve ritenersi imposta anche avuto riguardo al contesto nel quale si colloca l’istanza di accesso oggetto del presente giudizio e tenuto conto che l’istituto dell’accesso “più che fornire utilità finali risulta caratterizzato per il fatto di offrire al titolare dell’interesse poteri di natura procedimentale volti in senso strumentale alla tutela di un interesse giuridicamente rilevante” (Cons. St., Ad. Plen. n. 6 del 18 aprile 2006).
11.1 – Come noto, l’affidamento di poteri regolatori a soggetti indipendenti dal potere politico e sottratti al modello di responsabilità di cui all’art. 95 della Costituzione, ha richiesto di assicurare una specifica garanzia di partecipazione e di contraddittorio, anche nell’ambito di procedimenti suscettibili astrattamente di esserne esclusi alla stregua dei canoni tradizionali dettati dall’art. 13 della l. 241/90 (nell’ambito dell’accesso ai sensi dell’art. 24, comma 1, lett. c) “il diritto di accesso è escluso […] nei confronti dell’attività della pubblica amministrazione diretta all’emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione, per i quali restano ferme le particolari norme che ne regolano la formazione”).
La giurisprudenza è pressoché unanime nel rinvenire nella previsione di garanzie procedimentali stringenti, in materia di partecipazione dei privati al procedimento e di contraddittorio tra le parti, la condizione minima affinché possa essere assicurato ai soggetti privati, destinatari dei provvedimenti, il rispetto delle regole di diritto in assenza di una responsabilità politica delle Autorità .
Invero, il rispetto degli obblighi di partecipazione, attraverso la consultazione degli interessati, assicura alle Autorità l’accountability tradizionalmente derivante al potere pubblico dai suoi collegamenti con gli uffici politici, legittimati, a loro volta, dai principi della democrazia rappresentativa (cfr. Cons. St. Cons. St., Sez. VI, 2 marzo 2010, n. 1215).
11.2 – Tali indefettibili esigenze di controllo che devono contraddistinguere l’attività regolatoria delle Autorità indipendenti comporta, di necessità, un accentuato onere di trasparenza, che deve essere completa e riguardare tutti gli elementi utilizzati dall’Autorità nel processo valutativo che porta ad un dato assetto regolatorio, a ciò non potendo ostare il fatto che il divenire della decisione avvenga anche attraverso dati provenienti da archivi informatici.
11.3 – Più in generale, a conferma della centralità del principio di trasparenza, non solo quale strumento del diritto di difesa, ma quale fattore legittimante l’esercizio del potere, possono richiamarsi gli ultimi sviluppi della giurisprudenza europea (cfr. Grande Sezione, 4 settembre 2018, C-57/16) che a proposito dell’art. 15 del TFUE e del Regolamento (CE) 30 maggio 2001, n. 2001/1049/CE recante “Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo all’accesso del pubblico ai documenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione” ha avuto modo di affermare che tale regolamento segna “una nuova tappa nel processo di creazione di un’unione sempre più stretta tra i popoli dell’Europa, in cui le decisioni siano adottate nel modo più trasparente possibile e più vicino possibile ai cittadini”, nel quadro, peraltro, del diritto di accesso ai documenti sancito dall’articolo 42 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
In tale ottica la giurisprudenza citata ha aggiunto che “la trasparenza permette infatti di conferire alle istituzioni dell’Unione una maggiore legittimità, efficienza e responsabilità nei confronti dei cittadini dell’Unione in un sistema democratico. Inoltre, consentendo che i diversi punti di vista vengano apertamente discussi, essa contribuisce ad accrescere la fiducia di detti cittadini”, dovendosi pertanto interpretare restrittivamente le eccezioni al diritto d’accesso, pur previste dal medesimo regolamento.
12 – Ad una conclusione diversa deve pervenirsi in riferimento agli ulteriori dati di cui parte appellante chiede l’ostensione, posto che, in questo caso, stante la genericità della richiesta, non è possibile verificarne né l’esistenza, né l’effettiva natura di documento amministrativo nella pur ampia accezione innanzi delineata.
Infatti, la domanda di accesso deve avere un oggetto determinato o quanto meno determinabile, e non può, pertanto, essere genericamente rivolta “a tutti i dati, le elaborazioni, le stime e i criteri”.
La giurisprudenza ha già chiarito come sia inammissibile la domanda di accesso che non riguarda atti specifici, ma mira ad acquisire notizie che presuppongono un’attività di elaborazione dati da parte dell’Amministrazione (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 10 febbraio 2006, n. 555).
12.1 – Il documento amministrativo accessibile, infatti, è innanzitutto un documento già formato (e dunque esistente), determinato o quanto meno determinabile, ed in possesso dell’amministrazione.
Non è pertanto configurabile un accesso ad atti che ancora non sono neppure tali, in quanto non ancora formati, poiché si tratterebbe di imporre all’amministrazione un (inammissibile) sforzo di elaborazione, che altrimenti, nell’ambito della propria attività, non sarebbe tenuta ad effettuare. L’oggetto dell’accesso, quanto meno alla stregua della l. 241/90, deve invece essere un documento già formato dall’amministrazione, sia pure attraverso un software a ciò deputato secondo le modalità innanzi delineate.
In altri termini, la pur moderna nozione di documento amministrativo derivante dall’impostazione normativa innanzi descritta non consente di snaturare lo strumento in esame, che deve avere ad oggetto documenti – nel senso ampio già tratteggiato – comunque già formati e nella disponibilità dell’amministrazione. Si deve infatti trattare di un documento amministrativo individuato o individuabile in sé stesso, non potendo essere considerata tutelabile alcuna richiesta di accesso che abbia per oggetto non tanto un atto, quanto la promozione di un’attività di tipo ricognitivo dell’amministrazione.
12.2 – Alla luce del differente esito relativamente ai dati contenuti e ricavati dalla banca dati, deve precisarsi che l’inesigibile attività di ricognizione appena descritta deve essere tenuta distinta da quella che può essere necessaria per l’ostensione concreta di dati già contenuti nella banca di dati, posto che, in tale seconda ipotesi, l’attività dell’amministrazione (che può anche assumere connotati in senso lato ricognitivi) è rivolta al reperimento e alla rappresentazione di atti già esistenti e dalla stessa già detenuti (o già formati), nella peculiare forma di archiviazione costituente la banca dati, e dunque ontologicamente diversa dall’attività cognitiva volta alla formazione del dato.
12.3 – Da un altro punto di vista, non è posto in discussione che l’interessato debba essere posto nella condizione di poter avere piena conoscenza dei presupposti e dell’iter formativo del provvedimento che sarà esternato, così da poter concretamene poter esercitare il proprio diritto di difesa, tuttavia, ai limitati fini del diritto di accesso così come riconosciuto dalla l. 241/90, appare comunque sempre necessario che tale documento (sia esso cartaceo o informatico) sia compiutamente individuato (o quanto meno individuabile), così da assumere effettivamente la consistenza di “documento” (sia pure informatico).
Viceversa, lo strumento dell’accesso non può essere “strumentalizzato” per la ricerca di informazioni o per ottenere la spiegazione della valutazione effettuata, ovvero, in sostanza, per ottenere la “motivazione” di un dato risultato o di una specifica scelta.
Questi ultimi aspetti attengono invero al processo valutativo della decisione e la loro mancata esternazione è suscettibile di rilevare, in ipotesi, sul piano del controllo di legittimità del provvedimento finale, ma non può essere ontologicamente oggetto di accesso, che presuppone, anche nella sua moderna accezione, un elemento acquisito, o formato dalla stessa amministrazione, sia pure attraverso un programma informatico.
12.4 – Tale conclusione appare del resto imposta anche sul piano pratico, posto che resta sostanzialmente indeterminato l’oggetto di un eventuale ordine di esibizione all’amministrazione.
In definitiva, deve essere ribadito il principio di diritto affermato dalla giurisprudenza secondo cui l’accesso deve avere ad oggetto documentazione specifica in possesso dell’amministrazione e non può riguardare dati ed informazioni che per essere forniti richiedono un’attività di indagine e di elaborazione da parte della stessa; sicché, l’oggetto dell’accesso va circoscritto mediante la puntuale indicazione di atti determinati (o determinabili) e la relativa istanza non può avere un contenuto esplorativo, diretta cioè a conoscere qualsiasi provvedimento formato o detenuto dall’amministrazione, ove eventualmente esistente, e riferito ad un determinato procedimento (Cons. St., sez. VI, n. 3511/2019: “il diritto di accesso, così com’è configurato dalla invocata legge 7 agosto 1990, n. 241, concerne esclusivamente documenti già esistenti e detenuti dall’amministrazione”).
12.5 – Alla luce delle considerazioni che precedono, tale conclusione vale a maggior ragione in riferimento “alle mere bozze ed appunti”, dovendosi confermare la legittimità del relativo diniego. Come già più volte ripetuto, oggetto del diritto di accesso possono essere i documenti già “formati” e utilizzati dall’amministrazione, e non già mere bozze, elaborazioni di dati rimaste incompiute, non confluite in documentazione certa e individuata e che non assurgono neppure al rango di atti infraprocedimentali.
13 – L’accoglimento parziale dell’appello e la complessità delle questioni trattate giustificano la compensazione delle spese di lite.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta accoglie parzialmente l’appello e ordina l’ostensione dei “dati utilizzati dall’Autorità ai fini della determinazione del tasso di remunerazione del capitale investito (WACC) con la metodologia indicata al paragrafo 16 della delibera n. 64/2019 e, più specificatamente, gli elementi che hanno concorso alla definizione dei criteri di cui al paragrafo 16.5 della delibera stessa”, nonché dei dati ricavati “sulla base di detta banca dati che hanno consentito all’Autorità di stimare il gap di efficienza e di individuare i target di recupero di efficienza annuali” secondo le modalità specificate in motivazione.
Spese di lite compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 giugno 2020 con l’intervento dei magistrati:
Diego Sabatino – Presidente FF
Silvestro Maria Russo – Consigliere
Giordano Lamberti – Consigliere, Estensore
Stefano Toschei – Consigliere
Davide Ponte – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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