In materia di accesso agli atti

Consiglio di Stato, Sezione quinta, Sentenza 12 febbraio 2020, n. 1121.

La massima estrapolata:

In materia di accesso agli atti esiste una fondamentale differenza tra accesso documentale ed accesso “civico”, sia semplice che generalizzato: il primo consente infatti un’ostensione più approfondita, in ragione della sua strutturale correlazione con un interesse privato del richiedente (generalmente a fini difensivi). L’accesso civico, invece, è funzionale ad un controllo diffuso del cittadino, al fine specifico, da un lato, di assicurare la trasparenza dell’azione amministrativa per l’ipotesi in cui non siano stati compiutamente rispettati gli obblighi al riguardo già posti all’amministrazione da una norma di legge, nonché – dall’altro – per operare un più incisivo e preventivo contrasto alla corruzione: in quanto tale consente sì una conoscenza potenzialmente più estesa rispetto a quella accordata dalla l. n. 241 del 1990 ai soggetti privati per la tutela dei propri interessi, ma d’altro canto meno approfondita, in quanto concretamente si traduce nel diritto ad un’ampia diffusione di dati, documenti ed informazioni, fermi però ed in ogni caso i limiti posti dalla legge a salvaguardia di determinati interessi pubblici e privati che in tali condizioni potrebbero essere messi in pericolo.

Sentenza 12 febbraio 2020, n. 1121

Data udienza 29 ottobre 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quinta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex artt. 38 e 60 Cod. proc. amm.
sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 7855 del 2019, proposto dal
Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, nonché dal Ministero della difesa, in persona dei rispettivi Ministri pro tempore, rappresentati e difesi ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via (…), sono elettivamente domiciliati;
contro
Cr. Gi., non costituita in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione Terza, n. 10202/2019, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello ed i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 29 ottobre 2019 il Cons. Valerio Perotti ed udito per le parti l’avvocato dello Stato Gi. Gr.;
Riscontrata la regolarità delle notifiche all’appellata e sentite le parti in udienza ai sensi dell’art. 60 Cod. proc. amm.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con due successivi ricorsi al Tribunale amministrativo del Lazio (iscritti rispettivamente ai n. r.g. 2693 del 2019 e 3529 del 2019), l’avvocato Cr. Gi. contestava altrettanti dinieghi di accesso civico generalizzato, opposti dal responsabile della trasparenza presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti in sede di riesame, successivo ad ana diniego del medesimo Ministero, con contestuale richiesta di declaratoria del diritto della parte ricorrente ad ottenere informazioni sulle operazioni di ricerca e salvataggio in mare (c.d. operazioni SAR: Search and Rescue) – concernenti imbarcazioni di migranti, nei giorni in ciascun ricorso specificati (3-12 ottobre 2018, nonché 5-7 novembre 2018).
Entrambi i ricorsi si fondavano sui seguenti motivi di gravame:
1) violazione o falsa applicazione degli articoli 5 (commi 2 e 6), 5 bis (commi 1 e 3) del d.lgs. n. 33 del 2013, nonché dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990; violazione o falsa applicazione dell’art. 1048, comma 1, lettera q) del d.P.R. n. 90 del 2010; eccesso di potere per arbitrarietà, in quanto la richiesta di accesso sarebbe stata respinta sulla base di argomentazioni generiche, nelle quali i documenti richiesti venivano definiti come atti “riguardanti la programmazione, pianificazione e condotta di attività operative-esercitazioni NATO e nazionali, tra le quali rientrano anche le attività SAR in questione e la relativa documentazione richiesta”: documentazione, secondo l’Amministrazione sottratta all’accesso, ai sensi dell’art. 1048, comma 1, lettera “q” del d.P.R. n. 90 del 2010, riferito ai “documenti concernenti la sicurezza, la difesa nazionale e le relazioni internazionali””;
2) violazione o falsa applicazione degli articoli 5 bis, comma 4 e 5 del d.lgs. n. 33 del 2013 sull’accesso parziale e differito, in caso di pregiudizio concreto, in quanto – in via subordinata – l’accesso potrebbe essere consentito, anche previo oscuramento dei dati ritenuti non divulgabili, in base al principio di cui all’art. 4, par. 6 del Regolamento 2001/1049/CE, ripreso dall’art. 5bis, comma 4, del d.lgs. n. 33 del 2013.
Si costituivano in giudizio, per entrambi i ricorsi, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ed il Ministero della difesa, eccependone in via preliminare l’inammissibilità e, nel merito, l’infondatezza, conseguentemente chiedendone la reiezione.
Sotto il primo profilo, le amministrazioni intimate contestavano la sussistenza di un “preteso diritto all’accesso civico generalizzato”, atteso che le operazioni in esame – di esclusiva competenza delle Capitanerie di Porto, Corpo specialistico della Marina militare – sarebbero state “assorbite” nelle attività operative connesse alle esercitazioni NATO e nazionali.
La relativa pianificazione, del resto, non solo sarebbe rimessa ai Comandi della Marina militare, ma pure riferita ad accordi internazionali con altri Paesi (in particolare Libia, Tunisia e Malta), con conseguente integrazione dei presupposti ostativi all’accesso di cui agli artt. 5bis del d.lgs. n. 33 del 2013 e 1048 del d.P.R. n. 90 del 2010 (come puntualmente interpretati nelle linee-guida di cui alla determinazione ANAC n. 1309 del 28 dicembre 2016, con particolare riguardo all’esigenza di salvaguardare “l’integrità degli stessi rapporti diplomatici con i Paesi interessati”, che potrebbero essere pregiudicati in caso di accesso generalizzato).
Dopo una iniziale valutazione favorevole ad un accesso limitato, l’amministrazione aveva pertanto ritenuto prioritario l’interesse alla riservatezza delle operazioni militari in questione, non ultimo anche “per scoraggiare richieste, assimilabili ad un controllo generalizzato dell’attività della P.A.” (obiettivo desumibile da ben dodici richieste di accesso, presentate dalla stessa parte ricorrente dal mese di luglio 2018).
L’ostensione delle comunicazioni in questione, intercorse fra autorità militari nazionali ed internazionali, avrebbe infatti consentito a chicchessia di conoscere, tra l’altro, il modus operandi, le tempistiche ed i posizionamenti degli assetti aeronavali, con evidente rischio concreto di danneggiare la sorveglianza delle reti di contrabbando e traffico di esseri umani nel Mediterraneo e lo stesso fermo di trafficanti e contrabbandieri: da qui la prevalenza dell’interesse pubblico – oggetto di tutela e valutazione discrezionale dell’amministrazione – rispetto a quello, a rigore neppure chiarito nella sua oggettività, dei soggetti privati richiedenti l’accesso.
Neppure avrebbe potuto trovare applicazione lo strumento cautelativo del differimento, non potendosi avere cognizione del termine di un procedimento in cui entrano in discussione assetti militari internazionali, predisposti per contrastare il fenomeno dell’immigrazione clandestina, quale “fenomeno massivo che si ripete in materia sistematica” senza termini precisamente individuabili.
Con riferimento al ricorso n. 3529 del 2019, interveniva ad adiuvandum il sig. Sa. Ar., nella qualità di Presidente e legale rappresentante pro tempore di un’associazione privata denominata “Co. It. per le Li. e i Di. Ci.” (CI.), deducendo in ordine alla legittimazione ad intervenire nel processo e sottolineando la necessità di dare piena attuazione al principio di trasparenza, “al fine di garantire il rispetto delle libertà individuali e collettive, dei diritti civili, politici, sociali attraverso un’amministrazione quanto più possibile aperta e a servizio del cittadino”.
Con sentenza 1° agosto 2019, n. 10202, il giudice adito, previa riunione dei ricorsi, li accoglieva, sul presupposto che i dinieghi espressi dall’amministrazione non fossero correttamente motivati, “pur dovendosi valutare adeguatamente i casi di esclusione dall’accesso, di cui all’art. 5 bis del d.lgs. n. 33 del 2013, come anche quelli, di cui all’art. 1048, comma 1, lettera q) del d.P.R. 15 agosto 2010, n. 90”, peraltro argomentando, in termini generali, che “l’importanza e la frequenza delle operazioni di cui trattasi, nonché la natura dei diritti fondamentali coinvolti non possono risultare esclusi dall’attuazione del principio di trasparenza, come concepito e disciplinato dalla normativa vigente”.
La sentenza concludeva escludendo la possibilità di una generalizzata assimilazione delle operazioni di salvataggio di cui trattasi a “programmazione, pianificazione e condotta di attività operative – esercitazioni NATO e nazionali”, non risultando sufficiente in tal senso il mero possibile impiego – peraltro non esclusivo – di natanti militari e non potendo l’eventuale concorso di fattori, meritevoli di riservatezza, soverchiare totalmente il principio di trasparenza.
Avverso tale decisione il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ed il Ministero della difesa interponevano appello, contestando i seguenti profili di illegittimità :
1) Violazione e/o falsa applicazione delle disposizioni di cui all’art. 1048, comma 1, lett. q) del d.P.R. 90/2010 e all’art. 5-bis, comma 3, d.lgs. 33/2013.
2) Erronea valutazione circa l’asserito difetto di motivazione.
L’appellata Cr. Gi., pur regolarmente e tempestivamente evocata in giudizio, non si costituiva.
Alla camera di consiglio del 29 ottobre 2019, fissata per la trattazione dell’istanza cautelare proposta dalle amministrazioni appellanti, il Collegio si riservava una decisione nel merito ai sensi degli artt. 38 e 60 Cod. proc. amm. La causa veniva quindi trattenuta in decisione.

DIRITTO

In via preliminare si deve dare atto che l’appello è stato validamente notificato all’originaria ricorrente avvocato Cr. ed all’interveniente ad adiuvandum associazione CI. presso gli indirizzi di posta elettronica certificata che i rispettivi difensori avevano dichiarato per le comunicazioni per il giudizio di primo grado, come documentato dai Ministeri appellanti mediante la produzione delle relate di notifica.
Constatata pertanto la valida formazione del contraddittorio nel presente grado di giudizio, deve premettersi nel merito che oggetto del contendere è l’ammissibilità o meno dell’accesso civico – e, in caso affermativo, la precisazione dei limiti al riguardo ravvisabili – per le operazioni di salvataggio in mare di migranti (c.d. operazioni SAR).
In ragione di ciò, è necessario definire, sia pure nei tratti essenziali, le caratteristiche dell’istituto del c.d accesso civico, anche alla luce delle complementari figure di accesso previste nell’ordinamento vigente, così da individuarne oggettivamente finalità e portata.
Ciò premesso, a seguito dell’introduzione, con d.lgs. 25 maggio 2016, n. 97 (Revisione e semplificazione delle disposizioni in materia di prevenzione della corruzione, pubblicità e trasparenza), dell’istituto dell’accesso civico generalizzato (di cui all’art. 5, comma 2, del d.lgs. n. 33 del 2013), la tutela della trasparenza dell’azione amministrativa risulta rafforzata attraverso una disciplina che si aggiunge a quella che prevede gli obblighi di pubblicazione (artt. 12ss. del d.lgs. n. 33 del 2013) ed alla più risalente disciplina di cui agli artt. 22ss. della l. n. 241 del 1990, in tema di accesso ai documenti.
Accanto all’accesso tradizionale – previsto dalla legge sul procedimento amministrativo e caratterizzato dalla strumentalità agli interessi individuali dell’istante, posto in una posizione differenziata rispetto agli altri cittadini, sono stati quindi introdotti due strumenti con un profilo di tutela dell’interesse generale.
In un primo tempo è stato introdotto l’accesso civico c.d. “semplice”, imperniato su obblighi di pubblicazione gravanti sulla pubblica amministrazione e sulla legittimazione di ogni cittadino a richiederne l’adempimento; quindi, l’accesso civico generalizzato, azionabile da chiunque senza previa dimostrazione della sussistenza di un interesse personale, concreto e attuale in connessione con la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti e senza alcun onere di motivazione in tal senso della richiesta, allo scopo di consentire una pubblicità diffusa ed integrale in rapporto alle finalità esplicitate dall’art. 5, comma 2 del d.lgs. n. 33 del 2013.
La diversità strutturale degli interessi giuridici presi in considerazione (e tutelati) non consente quindi una sovrapposizione tra e diverse figure di accesso, destinate ad operare in contesti e per finalità del tutto differenti.
Vi è, in primo luogo, una fondamentale differenza tra accesso documentale ed accesso “civico”, sia semplice che generalizzato: il primo consente infatti un’ostensione più approfondita, in ragione della sua strutturale correlazione con un interesse privato del richiedente (generalmente a fini difensivi).
L’accesso civico, invece, è funzionale ad un controllo diffuso del cittadino, al fine specifico, da un lato, di assicurare la trasparenza dell’azione amministrativa per l’ipotesi in cui non siano stati compiutamente rispettati gli obblighi al riguardo già posti all’amministrazione da una norma di legge, nonché – dall’altro – per operare un più incisivo e preventivo contrasto alla corruzione: in quanto tale consente sì una conoscenza potenzialmente più estesa rispetto a quella accordata dalla l. n. 241 del 1990 ai soggetti privati per la tutela dei propri interessi, ma d’altro canto meno approfondita, in quanto concretamente si traduce nel diritto ad un’ampia diffusione di dati, documenti ed informazioni, fermi però ed in ogni caso i limiti posti dalla legge a salvaguardia di determinati interessi pubblici e privati che in tali condizioni potrebbero essere messi in pericolo.
Limiti che, come si dirà più oltre, non sono caratterizzati dal principio della tassatività, operando piuttosto secondo categorie generali.
Espressiva di tale diversità è la constatazione che, mentre la legge n. 241 del 1990 esclude espressamente l’utilizzabilità del diritto di accesso anche ai fini di un controllo generale dell’azione amministrativa (essendo, quest’ultima, una finalità del tutto estranea alla tutela dell’interesse privato ed individuale che solo legittima e giustifica l’ostensione documentale), il diritto di accesso generalizzato è invece riconosciuto proprio “allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico”. La trasparenza perseguita dall’istituto in esame altro non è infatti che lo strumento principale con cui può effettivamente assicurarsi un controllo diffuso del rispetto della legalità dell’azione amministrativa.
Diverse sono conseguentemente le tecniche di bilanciamento degli interessi contrapposti, che giustificano l’esclusione della possibilità di accesso: in particolare, per quanto riguarda l’accesso privato ai documenti amministrativi (ex lege n. 241 del 1990), il legislatore ha preventivamente individuato – in modo preciso – le categorie di atti ad esso sottratte (sia mediante espressa previsione di legge, sia rinviando a specifiche fonti regolamentari di attuazione e dettaglio); per contro, la disciplina dell’accesso generalizzato non reca prescrizioni puntuali, bensì individua delle categorie di interessi, pubblici (art. 5-bis, comma primo, d.lgs. n. 33 del 2013) e privati (art. 5-bis, comma 2) in presenza dei quali il diritto in questione può a priori essere negato (fermi comunque i casi di divieto assoluto, ex art. 5-bis, comma 3) e rinvia ad un atto amministrativo non vincolante (le linee-guida Anac) per ulteriormente precisare l’ambito operativo dei limiti e delle esclusioni dell’accesso civico generalizzato.
Diverse sono anche le conseguenze del mancato accesso, da un punto di vista processuale.
Nel caso di accesso tradizionale si forma il silenzio rigetto, una volta decorsi infruttuosamente 30 giorni dalla richiesta del privato interessato.
Nel caso dell’accesso civico, invece, sia nel caso di diniego parziale o totale che di mancata risposta allo scadere del termine per provvedere, non si forma alcun silenzio rigetto, ma l’istante può attivare una speciale tutela amministrativa interna innanzi al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza, formulando istanza di riesame alla quale dovrà essere dato riscontro entro i termini di legge.
Sarà quindi onere, per l’interessato, contestare l’inerzia dell’amministrazione attivando lo specifico rito di cui all’art. 117 Cod. proc. amm. ovvero, in ipotesi di diniego espresso (anche sopravvenuto), il rito sull’accesso ex art. 116 Cod. proc. amm.
Alla luce del quadro normativo in materia, deve quindi concludersi che uno solo è il presupposto imprescindibile di ammissibilità dell’istanza di accesso civico generalizzato, ossia la sua strumentalità alla tutela di un interesse generale. La relativa istanza, dunque, andrà in ogni caso disattesa ove tale interesse generale della collettività non emerga in modo evidente, oltre che, a maggior ragione, nel caso in cui la stessa sia stata proposta per finalità di carattere privato ed individuale.
Lo strumento in esame può pertanto essere utilizzato solo per evidenti ed esclusive ragioni di tutela di interessi propri della collettività generale dei cittadini, non anche a favore di interessi riferibili, nel caso concreto, a singoli individui od enti associativi particolari: al riguardo, il giudice amministrativo è tenuto a verificare in concreto l’effettività di ciò, a nulla rilevando – tantomeno in termini presuntivi – la circostanza che tali soggetti eventualmente auto-dichiarino di agire quali enti esponenziali di (più o meno precisati) interessi generali.
Deve pertanto concludersi che, sebbene il legislatore non chieda all’interessato di formalmente motivare la richiesta di accesso generalizzato, la stessa vada disattesa, ove non risulti in modo chiaro ed inequivoco l’esclusiva rispondenza di detta richiesta al soddisfacimento di un interesse che presenti una valenza pubblica, essendo del tutto estraneo al perimetro normativo della fattispecie la strumentalità (anche solo concorrente) ad un bisogno conoscitivo privato.
In tal caso, invero, non si tratterebbe di imporre per via ermeneutica un onere non previsto dal legislatore, bensì di verificare se il soggetto agente sia o meno legittimato a proporre la relativa istanza.
Nel giudizio amministrativo la sussistenza dell’interesse e della legittimazione ad agire è infatti valutabile d’ufficio in qualunque momento del giudizio. La mancanza dei presupposti processuali o delle condizioni dell’azione è rilevabile d’ufficio dal giudice in ogni stato e grado del processo (art. 35, comma primo, Cod. proc. amm.), poiché essi costituiscono i fattori ai quali la legge, per inderogabili ragioni di ordine pubblico, subordina l’esercizio dei poteri giurisdizionali (ex plurimis, Cons. Stato, IV, 28 settembre 2016, n. 4024)
In difetto dei presupposti di cui sopra sarà quindi preciso onere del soggetto interessato avvalersi -laddove ne sussistano i presupposti – della specifica tutela accordata dalle disposizioni di cui al Capo V della l. 7 agosto 1990, n. 241.
Tale conclusione risponde in primo luogo alla necessità di impedire sovrapposizioni tra le diverse (e tuttora vigenti) discipline legislative in materia di accesso, ma è altresì coerente con la specifica finalità dell’istituto ora in esame, consistente – come già detto – esclusivamente nel “favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico” (art. 5, comma 2 d.lgs. n. 33 del 2013), laddove quest’ultimo inciso non rileva in termini puramente generali ed astratti (ossia quale dibattito su qualsiasi oggetto), ma è riferito ai due obiettivi sostanziali che lo precedono nel testo della norma (il che spiega anche la devoluzione proprio all’Autorità nazionale anticorruzione e non ad altri del compito di definire delle linee-guida recanti indicazioni operative in materia di esclusioni e limiti all’accesso).
Individuati nei termini che precedono i presupposti operativi dell’accesso generalizzato, vanno ora delineati i limiti concreti alla sua operatività in ragione di prestare una tutela a determinate categorie di interessi.
Al riguardo, l’art. 5-bis, comma primo del d.lgs n. 33 del 2013 prevede che l’accesso civico deve essere rifiutato “se il diniego è necessario per evitare un pregiudizio concreto alla tutela di uno degli interessi pubblici inerenti a:
a) la sicurezza pubblica e l’ordine pubblico;
b) la sicurezza nazionale;
c) la difesa e le questioni militari;
d) le relazioni internazionali;
e) la politica e la stabilità finanziaria ed economica dello Stato; […]
3. Il diritto di cui all’articolo 5, comma 2, è escluso nei casi di segreto di Stato e negli altri casi di divieti di accesso o divulgazione previsti dalla legge, ivi compresi i casi in cui l’accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti, inclusi quelli di cui all’articolo 24, comma 1, della legge n. 241 del 1990 […]”.
Il legislatore individua dunque, quale ostacolo all’esercizio dell’accesso generalizzato, una serie di interessi – di rilievo costituzionale – la cui tutela è imprescindibile per la funzionalità dell’apparato dello Stato, in quanto attenenti all’essenza stessa della sua sovranità (interna ed internazionale).
Ne consegue che il diniego eventualmente opposto all’istanza, presupponendo una valutazione eminentemente discrezionale che non di rado può involgere – ratione materiae – profili di insindacabile merito politico, non potrebbe in alcun modo essere superato da una parallela valutazione del giudice amministrativo, il cui sindacato in materia va strettamente circoscritto alle ipotesi di manifesta e macroscopica contraddittorietà o irragionevolezza.
Il giudice amministrativo può quindi sindacare le valutazioni dell’amministrazione in ordine al diniego opposto solamente sotto il profilo della logicità, ragionevolezza ed adeguatezza dell’istruttoria, ma non procedere ad un’autonoma verifica della necessità del diniego opposto o della sua eventuale superabilità, sia pure parziale.
Una siffatta valutazione, infatti, verrebbe ad integrare un’inammissibile invasione della sfera propria della pubblica amministrazione: tale sindacato rimane dunque limitato ai casi di macroscopiche illegittimità, quali errori di valutazione gravi ed evidenti, oppure valutazioni abnormi o inficiate da errori di fatto.
Alla luce dei rilievi che precedono, deve concludersi per la fondatezza dell’appello.
In primo luogo, infatti, non è dato ravvisare, nelle istanze a suo tempo prodotte dalla ricorrente Cr. Gi., quali sarebbero gli specifici interessi generali – ossia, direttamente riferibili alla comunità dei cittadini o ad una parte significativa di essi – alla cui promozione e tutela sarebbero state preordinate le istanze medesime; né – più nello specifico – è desumibile l’attinenza delle medesime istanze a precisi obblighi di trasparenza amministrativa imposti dalla legge, ovvero a finalità anticorruttive.
L’istanza a data 12 novembre 2018, infatti, premesso che “il centro di coordinamento del soccorso in mare di Roma effettua il coordinamento delle operazioni di soccorso in mare, ogni volta che riceve la segnalazione di una imbarcazione i cui passeggeri si trovano in situazione di pericolo”, si limita a rilevare, genericamente, che “spesso accade che, in caso di pericolo, le imbarcazioni di fortuna con a bordo migranti salpate dalle coste libiche e dirette verso le coste italiane chiedano soccorso proprio al centro di coordinamento del soccorso in mare di Roma” e che “nel periodo di cui in oggetto parrebbero esservi state alcune operazioni di salvataggio, concernenti imbarcazioni di migranti”
Ciò detto, l’interessata chiede “di ottenere informazioni o documenti amministrativi emessi […] in merito all’effettivo pervenimento delle richieste di soccorso, di cui al punto 2) della presente richiesta, nel periodo intercorso fra il giorno 05 novembre 2018 ed il giorno 07 novembre 2018”.
Tenore del tutto ana ha la precedente istanza in data 11 ottobre 2018.
Nessuna indicazione circa i presupposti oggettivi di legittimazione alla proposizione di un’istanza di accesso generalizzato sono inoltre desumibili – anche solo indirettamente – dalle successive domande di riesame presentate dalla ricorrente Cr. all’organo responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, rispettivamente in data 17 e 18 dicembre 2018.
Per contro, non è palesemente contraddittoria o abnorme, bensì adeguatamente motivata e coerente con l’assolvimento delle loro funzioni istituzionali, l’eccezione posta dalle amministrazioni odierne appellanti per escludere l’ostensione delle comunicazioni intercorse fra autorità militari nazionali ed internazionali, che – consentendo a chiunque di conoscere il modus operandi, le tempistiche ed i posizionamenti degli assetti aeronavali – avrebbe danneggiato o messo comunque in pericolo la sorveglianza delle reti di contrabbando e traffico di esseri umani nel Mediterraneo e, più in generale, l’attività di contrasto dei trafficanti di esseri umani.
Né va sottaciuto che, come a suo tempo evidenziato dall’amministrazione competente nel motivare il provvedimento di diniego, “l’eventuale accesso alle comunicazioni/documentazioni relative agli eventi SAR di cui trattasi, comporterebbe un pregiudizio concreto ai rapporti che intercorrono tra Stati ed alle relazioni tra soggetti internazionali, in particolare con il Governo libico e quello maltese” (aspetto, questo, di per sé idoneo ad integrare ex lege un’autonoma causa di esclusione dall’accesso). Sul punto, si vedano anche le linee-guida ANAC, di cui alla Determinazione n. 1309 del 28 dicembre 2016.
Sotto diverso ma concorrente profilo deve inoltre ritenersi applicabile al caso di specie, come eccepito dal Ministero appellante, il divieto di cui all’art. 1048, comma primo, lett. q) del d.P.R. 15 marzo 2010, n. 90 (Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare), a mente del quale rientrano tra i documenti sottratti all’accesso, in relazione all’interesse alla salvaguardia della sicurezza, della difesa nazionale e delle relazioni internazionali, per un periodo massimo di 50 anni, quelli comunque relativi alla “programmazione, pianificazione, condotta e analisi di attività operative-esercitazioni NATO e nazionali”.
Ora, posto che le attività di pattugliamento e soccorso in mare ad opera di unità militari italiane e straniere cui si riferivano le istanze di accesso rientravano senza dubbio nell’ambito di operazioni militari nazionali (“Mare Sicuro”) o internazionali (“EUNAVFOR MED Operazione Sophia” e “FRONTEX Operazione Themis”) all’epoca in corso, non era oggettivamente possibile distinguere, nelle concrete contingenze del caso, tra attività di ricerca e soccorso (Search And Rescue – SAR) ed attività militari in senso stretto.
La European Union Naval Force in the South Central Mediterranean (EUNAVFOR Med – Operation Sophia) è stata la prima operazione militare di sicurezza marittima europea operativa nel mediterraneo centrale, avente quale scopo principale il contrasto al traffico illecito di esseri umani.
A sua volta, l’Operazione Themis è un’iniziativa di sicurezza esterna delle frontiere dell’Unione europea condotta da Frontex, (Agenzia europea di vigilanza dei confini) in raccordo con Europol e con il supporto dei Paesi membri dell’Unione europea e degli Schengen Associated Countries, con l’obiettivo di combattere le migrazioni senza controllo ed i crimini transfrontalieri e sotto il coordinamento del Ministero dell’interno italiano.
A decorrere dal 1° febbraio 2018, la “Joint Operation Themis” ha sostituito la precedente “Joint Operation Triton”, in corso dal 1° novembre 2014, ridefinendone le aree operative in mare.
L’operazione Themis ha il precipuo ed esclusivo scopo di aumentare la sicurezza delle frontiere esterne all’Unione europea attraverso il controllo dei flussi migratori irregolari nel Mediterraneo ed il contrasto della criminalità transfrontaliera.
L’eventualità che le unità militari e di pubblica sicurezza, nello svolgimento delle funzioni operative di loro competenza, possano se del caso trovarsi anche coinvolte in operazioni di Searc and Rescue è dunque del tutto ipotetica e casuale, non rappresentando queste ultime l’oggetto delle predette missioni (tali unità al più fornendo, nell’immediatezza, mera assistenza tecnica ed operativa).
Nel corso dello svolgimento delle predette attività militari non è dunque possibile separare – come erroneamente ritenuto dal primo giudice – le eventuali e contingenti attività di soccorso in mare dall’attività istituzionale (nel cui contesto le prime finiscono per essere ricomprese) delle unità navali presenti nel Mediterraneo (in acque interne o internazionali), attività che senza alcun dubbio sono integralmente sottratte alla possibilità di accesso ai sensi dell’art. 5-bis, comma primo del d.lgs. n. 33 del 2013.
Al riguardo, le ragioni delle appellanti risultano condivisibili anche sotto un profilo più propriamente “operativo”, nell’evidenziare come le chiamate di soccorso cui può seguire l’avvio di un’operazione SAR non provengono direttamente dagli scafisti, dai gommoni o dai parenti dei migranti già presenti in Europa, come avveniva in passato, bensì fanno seguito ad avvistamenti effettuati da mezzi aerei assegnati ad una delle predette operazioni militari, i quali allertano i Centri di Coordinamento e Soccorso operanti nel Mediterraneo centrale.
Neppure sotto tale profilo vi è dunque la possibilità di distinguere tra attività SAR ed attività militari in senso stretto, ove svolte nel più generale contesto di un’operazione militare già in corso.
Deve quindi concludersi per l’erroneità della sentenza impugnata, nella parte in cui esclude la riconducibilità delle attività oggetto della richiesta della ricorrente nell’alveo degli atti di “programmazione, pianificazione, condotta e analisi di attività operative- esercitazioni NATO e nazionali” di cui all’art. 1048, comma primo, lett. q) del d.P.R. n. 90 del 2010, fattispecie idonea ad integrare l’ipotesi residuale di cui al comma terzo dell’art. 5-bis d.lgs. n. 33 del 2013.
Conclusivamente, alla luce dei rilievi che precedono l’appello va accolto, con conseguente reiezione – in riforma della gravata sentenza – dei ricorsi originariamente proposti da Cr. Gi..
Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie, per l’effetto respingendo – in riforma dell’impugnata sentenza – i gravami originariamente proposti dalla ricorrente Cr. Gi..
Condanna quest’ultima al pagamento, in favore del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e del Ministero della difesa, delle spese di lite del doppio grado di giudizio, che liquida complessivamente in euro 4.000,00 (quattromila/00), oltre Iva e Cpa se dovute.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 29 ottobre 2019 con l’intervento dei magistrati:
Fabio Franconiero – Presidente FF
Valerio Perotti – Consigliere, Estensore
Federico Di Matteo – Consigliere
Alberto Urso – Consigliere
Giuseppina Luciana Barreca – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

Per aprire la pagina facebook @avvrenatodisa
Cliccare qui

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *