Corte di Cassazione, penale, Sentenza|13 gennaio 2021| n. 1096.
In caso di infortunio sul lavoro riconducibile a prassi comportamentali elusive delle disposizioni antinfortunistiche, non è ascrivibile alcun rimprovero colposo al preposto di fatto, sotto il profilo dell’esigibilità del comportamento dovuto, laddove non si abbia la certezza che egli fosse a conoscenza di tali prassi o che le avesse colposamente ignorate, sconfinandosi altrimenti in una inammissibile ipotesi di responsabilità oggettiva “da posizione”. (In applicazione del principio la Corte ha annullato senza rinvio, “perché il fatto non costituisce reato”, la sentenza che aveva riconosciuto la responsabilità del capo reparto di un supermercato, preposto di fatto da soli cinque giorni, per l’infortunio subito da un dipendente a causa del mancato uso dei dispositivi di protezione).
Sentenza|13 gennaio 2021| n. 1096
Data udienza 8 ottobre 2020
Integrale
Tag – parola chiave: INFORTUNI SUL LAVORO E MALATTIE PROFESSIONALI – RESPONSABILITA’ PENALE
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PICCIALLI Patrizia – Presidente
Dott. DI SALVO Emanuele – Consigliere
Dott. BRUNO Maria Rosaria – Consigliere
Dott. PAVICH Giuseppe – Consigliere
Dott. DAWAN Daniela – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 15/10/2019 della CORTE APPELLO di BOLOGNA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. DAWAN DANIELA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dr. FODARONI MARIA GIUSEPPINA, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
E’ presente l’avvocato (OMISSIS) del foro di ROMA in difesa di (OMISSIS), in sostituzione dell’avvocato (OMISSIS) del foro di VENEZIA come da nomina a sostituto processuale ex articolo 102 c.p.p. depositata in udienza, che riportandosi ai motivi del ricorso insiste per l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Bologna ha confermato la sentenza del Tribunale di Bologna che dichiarava (OMISSIS) colpevole del reato di cui all’articolo 590 c.p., commi 1, 2, 3 e articolo 583 c.p., comma 1, n. 1), perche’ – in qualita’ di responsabile del supermercato “(OMISSIS)” di (OMISSIS), in violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro (Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 19, comma 1, lettera a) – non provvedeva a sovrintendere e vigilare affinche’ il dipendente (OMISSIS) utilizzasse i mezzi di protezione collettivi della macchina sega-ossi in conformita’ alle istruzioni d’uso del fabbricante. Nel caso di specie, il (OMISSIS), intento a suddividere in tante fette un pezzo unico di lombo di maiale della lunghezza di circa un metro, servendosi della macchina sega-ossi, urtava la lama con la mano sinistra cosi’ procurandosi una ferita lacero-contusa al primo dito di detta mano, con lesione parziale dell’estensore comportante l’impossibilita’ di attendere alle ordinarie occupazioni per 139 giorni.
2. Avverso la sentenza di appello ricorre l’imputato a mezzo del difensore, articolando due motivi con cui deduce:
2.1. Erronea applicazione dell’articolo 590 c.p. e Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 19, travisamento della prova e manifesta illogicita’ della motivazione, nonche’ violazione dei canoni di valutazione della prova ex articolo 192 c.p.p. ed inversione del corretto ragionamento logico probatorio rilevante nel riconoscere i presupposti di attribuzione dell’evento tipico della colpa in capo all’imputato. Le argomentazioni della sentenza impugnata risultano apodittiche e disancorate dalle emergenze processuali, posto che l’attribuzione di responsabilita’ in capo al (OMISSIS) e’ unicamente oggettiva, in considerazione del mero ruolo da lui rivestito di direttore del punto vendita. Non e’ emerso, infatti, in quali termini concreti il (OMISSIS) avrebbe violato il dettato del citato articolo 19, giacche’ la Corte di appello omette qualsiasi valutazione comparativa tra le modalita’ dell’infortunio e gli obblighi di sorveglianza previsti dalla citta’ disposizione. La causa dell’infortunio va individuata nel mancato utilizzo, da parte del lavoratore, di una protezione presente sul macchinario. L’imputato, peraltro, aveva assunto l’incarico di direttore del punto vendita, composto di molti reparti e di altrettanti capi reparti, soltanto cinque giorni prima dell’infortunio.
2.2. Mancanza, contraddittorieta’, manifesta illogicita’ della motivazione con riferimento alla effettiva posizione di garanzia del caporeparto, (OMISSIS), il quale, nell’organigramma aziendale, rivestiva la posizione di garanzia in quanto capo del reparto macelleria. La sentenza impugnata ha del tutto omesso di valutarne l’effettiva responsabilita’, in tema di sorveglianza e di organizzazione. Il ruolo di gestione e di coordinamento del direttore, rivestito dall’imputato, esclude che egli possa avere contezza della lavorazione svolta in ogni singolo reparto del supermercato, al quale risulta preposta la figura del capo reparto.
In questa sua veste, il (OMISSIS) mai aveva segnalato ad alcuno, tanto meno al (OMISSIS), il mancato utilizzo del presidio di protezione di cui si tratta.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso e’ fondato e assorbente.
2. La Corte di merito ha ritenuto sussistente, in capo all’imputato, la violazione della Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 19, comma 1, lettera a), che fa obbligo al preposto di sovrintendere e vigilare sulla osservanza da parte dei singoli lavoratori dei loro obblighi di legge, nonche’ delle disposizioni aziendali in materia di salute e sicurezza sul lavoro e di uso dei mezzi di protezione collettivi e dei dispositivi di protezione individuale messi a loro disposizione e, in caso di persistenza della inosservanza, di informare i loro superiori diretti. Afferma la Corte territoriale che, trovandosi il caporeparto (OMISSIS) in ferie al momento dell’infortunio, la posizione di garanzia gravava sul (OMISSIS), a nulla rilevando che egli avesse assunto l’incarico da pochi giorni.
3. Sentita in dibattimento, la persona offesa, addetta al reparto macelleria della (OMISSIS) dal 1991, aveva riferito che l’elusione dei dispositivi di protezione, di cui pure quella specifica macchina era dotata, era una prassi inveterata, atteso che, a suo dire, questi dispositivi ostacolavano i movimenti necessari al taglio dei pezzi di carne piu’ piccoli. Il (OMISSIS) aveva, altresi’, detto di non aver segnalato tale difficolta’, ma che tutti ne erano a conoscenza e si comportavano alla stessa maniera.
4. Cio’ detto, il Collegio osserva che, dal percorso motivazionale dell’impugnata sentenza, non si ricava in alcun modo la certezza che il (OMISSIS), il quale rivestiva l’incarico di preposto a quell’esercizio commerciale da soli cinque giorni, fosse realmente (o potesse essere) a conoscenza di tale prassi, anche ammettendo che essa fosse davvero cosi’ frequente come affermato dalla persona offesa. Invero, l’anzidetto brevissimo lasso temporale appare al Collegio non privo di significativita’ quanto alla concreta esigibilita’ di una specifica condotta di vigilanza da parte del preposto.
Nel caso di specie, viene infatti in rilievo il c.d. principio di esigibilita’. La colpa ha, infatti, un versante oggettivo, incentrato sulla condotta posta in essere in violazione di una norma cautelare, e un versante di natura piu’ squisitamente soggettiva, connesso alla possibilita’ dell’agente di osservare la regola cautelare. Il rimprovero colposo riguarda infatti la realizzazione di un fatto di reato che poteva essere evitato mediante l’osservanza delle norme cautelari violate (Sez. U., n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn e.altro). Il profilo soggettivo e personale della colpa viene generalmente individuato nella possibilita’ soggettiva dell’agente di rispettare la regola cautelare, ossia nella concreta possibilita’ di pretendere l’osservanza della regola stessa: in sostanza, nell’esigibilita’ del comportamento dovuto. Si tratta di un aspetto che si colloca nell’ambito della colpevolezza, in quanto esprime il rimprovero personale rivolto all’agente. A questo profilo della responsabilita’ colposa la riflessione giuridica piu’ recente ha dedicato molta attenzione, nel tentativo di personalizzare il rimprovero dell’agente attraverso l’introduzione di una doppia misura del dovere di diligenza, che tenga conto non solo dell’oggettiva violazione di norme cautelari ma anche della concreta possibilita’ dell’agente di uniformarsi alla regola, valutando le sue specifiche qualita’ personali e la situazione di fatto in cui ha operato (Sez. 4, n. 32507 del 16/04/2019, Romano Anna Antonia, Rv. 276797; Sez. 4, n. 12478 del 19/11/2015, P.G. in proc. Barberi ed altri; Sez. 4, n. 12175 del 03/11/2016, pc in proc. Bordogna e altri).
Da queste considerazioni deriva che la veste di “preposto di fatto” che il giudice di appello attribuisce al (OMISSIS), attesa l’assenza per ferie del (OMISSIS), non costituisce di per se’ prova ne’ della conoscenza ne’ della conoscibilita’, da parte di quest’ultimo, di prassi comportamentali, piu’ o meno ricorrenti, contrarie alle disposizioni in materia antinfortunistica. E’ pur vero che il preposto e’ soggetto agli obblighi di cui al citato Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 19, ma un’eventuale condotta omissiva al riguardo. non puo’ essergli ascritta laddove non si abbia la certezza che egli fosse a conoscenza della prassi elusiva o che l’avesse colposamente ignorata. Tale certezza puo’, in alcuni casi, inferirsi da considerazioni di natura logica, laddove, ad esempio, possa ritenersi che la prassi elusiva costituisca univocamente frutto di una scelta aziendale, finalizzata, in ipotesi, ad una maggiore produttivita’. Ma quando, come in questo caso, non vi siano elementi di carattere logico per dedurre la conoscenza o la conoscibilita’ di prassi aziendali incaute da parte del garante – che, nel caso in esame, proprio perche’ preposto non vantava uno specifico interesse al riguardo – e’ necessaria l’acquisizione di elementi probatori certi ed oggettivi che dimostrino tale conoscenza o conoscibilita’. Diversamente opinando, si porrebbe in capo alla figura che riveste una posizione di garanzia una inaccettabile responsabilita’ penale “di posizione”, tale da sconfinare nella responsabilita’ oggettiva (Sez. 4, n. 20833 del 03/04/2019, Stango Fabrizio).
5. In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio perche’ il fatto non costituisce reato.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perche’ il fatto non costituisce reato.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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