In caso di impugnazione della sentenza di patteggiamento

Corte di Cassazione, sezioni unite penali, Sentenza 17 luglio 2020, n. 21368.

Massima estrapolata:

In caso di impugnazione della sentenza di patteggiamento, l’illegalità della misura di sicurezza concordata tra le parti determina l’annullamento senza rinvio della sentenza in quanto il vizio rilevato rende invalido intero accordo.

Sentenza 17 luglio 2020, n. 21368

Data udienza 26 settembre 2019

Tag – parola chiave: Stupefacenti – Concorso in detenzione a fini di spaccio di cocaina – GUP – Interdizione temporanea dai pubblici uffici – Espulsione degli stranieri a pena espiata ex art. 86 DPR n. 309/90 – Confisca e distruzione dello stupefacente – Vaglio della preclusione dell’art. 448 c o. 2 bis c.p.p. come introdotto dall’art. 1 co. 50 l. n. 103/17, all’ammissibilità del ricorso contro la sentenza di patteggiamento in ordine all’applicazione di misura di sicurezza personale o patrimoniale – Ammissibilità a norma dell’art. 173 co. 3 disp. att. c.p.p. della previsione di cui all’art. 448 co. 2 bis c.p.p. del ricorso per cassazione per vizio di motivazione contro la sentenza di applicazione di pena con riferimento alle misure di sicurezza personali o patrimoniali, che non abbiano formato oggetto dell’accordo delle parti – Annullamento con rinvio

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE PENALI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARCANO Domenico – Presidente

Dott. DI TOMASSI Mariastefani – Consigliere

Dott. DIOTALLEVI Giovanni – Consigliere

Dott. VESSICHELLI Maria – Consigliere

Dott. FIDELBO Giorgio – Consigliere

Dott. TARDIO Angela – rel. Consigliere

Dott. MOGINI Stefano – Consigliere

Dott. DOVERE Salvatore – Consigliere

Dott. ANDRONIO Alessandro M – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1. (OMISSIS), nata a (OMISSIS);
2. (OMISSIS), nato a (OMISSIS);
3. (OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 09/11/2017 del Giudice della udienza preliminare del Tribunale di Reggio Emilia;
visti gli atti, la sentenza impugnata e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal componente Angela Tardio;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Pratola Gianluigi, che ha concluso chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio, limitatamente alle statuizioni relative alla confisca e all’ordine di espulsione degli imputati.

RITENUTO IN FATTO

1. Il Giudice della udienza preliminare del Tribunale di Reggio Emilia, con sentenza emessa il 9 novembre 2017, ha applicato, ai sensi dell’articolo 444 c.p.p., a (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), la pena concordata di anni quattro di reclusione e di Euro diciottomila di multa per il delitto di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 73, comma 1, contestato a tutti gli imputati quanto alla detenzione di 527,5 grammi di sostanza stupefacente del “tipo cocaina” (sub b) e, al solo (OMISSIS), anche in relazione alla cessione di 3,18 grammi di sostanza stupefacente del “tipo verosimilmente cocaina” (capo a).
Con la stessa sentenza gli imputati sono stati dichiarati interdetti dai pubblici uffici per cinque anni, nei loro confronti e’ stata ordinata l’espulsione dal territorio dello Stato a pena espiata ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 86 e, infine, e’ stata disposta, oltre alla distruzione della sostanza stupefacente in sequestro, la confisca, Decreto Legge 8 giugno 1992, n. 306, ex articolo 12-sexies convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 1992, n. 356, del denaro in sequestro in considerazione della sua sproporzione rispetto al reddito di (OMISSIS) e (OMISSIS), entrambi, per loro ammissione, disoccupati e privi di “beni di fortuna”.
2. Avverso detta sentenza, depositata in udienza con motivazione contestuale, hanno proposto ricorso per cassazione tutti gli imputati.
2.1. (OMISSIS), ricorrendo per mezzo del suo difensore, ha chiesto l’annullamento della sentenza in relazione alla disposta applicazione della misura di sicurezza della espulsione, articolando due motivi, con i quali ha denunciato, rispettivamente, violazione di legge e mancanza e illogicita’ della motivazione.
Secondo la ricorrente, il Giudice, omettendo di osservare il dettato normativo del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 86 si’ come inciso dall’intervento della Corte costituzionale che, con sentenza n. 58 del 1995, lo ha dichiarato parzialmente incostituzionale, ha ordinato di ufficio la sua espulsione a pena espiata senza accertare la sussistenza della pericolosita’ sociale e indicare in sentenza i relativi presupposti, limitandosi a richiamare la sua attuale posizione cautelare e, illogicamente, trascurando di apprezzare le autorizzazioni concessele per svolgere attivita’ lavorativa esterna e il suo serbato rispetto delle prescrizioni imposte, oltre alla sua incensuratezza e alla confessione resa, pur valorizzate ai fini della concessione delle circostanze attenuanti generiche.
2.2. (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno proposto ricorso, a mezzo del comune difensore, con unico atto, chiedendo l’annullamento della sentenza sulla base di due comuni motivi.
Con il primo motivo hanno denunciato violazione di legge in relazione all’articolo 129 c.p.p. e vizio di motivazione, rappresentando che il giudice aveva omesso di svolgere l’operazione preliminare demandatagli, tesa a riscontrare l’eventuale ricorrenza di cause di non punibilita’ giustificative del loro proscioglimento, ovvero non aveva adeguatamente motivato la loro non ritenuta sussistenza.
Con il secondo motivo hanno dedotto violazione di legge in relazione all’articolo 234 c.p.p. e L. n. 356 del 1992, articolo 12-sexies e mancanza di motivazione in ordine alla confisca del denaro in sequestro, dolendosi della omessa acquisizione di documentazione, rappresentata da due dichiarazioni rese davanti a un notaio in Albania dal fratello e dal cugino di essi stessi e da una ricevuta bancaria, dimostrative della liceita’ della provenienza del denaro in sequestro, e del mancato adempimento da parte del giudice dell’obbligo di motivare sulle ragioni della confisca, disposta in termini del tutto generici, nonostante la non estensibilita’ al provvedimento di confisca della sinteticita’ della motivazione della sentenza di applicazione della pena.
2.3. Con successivo atto, sottoscritto dal medesimo difensore, (OMISSIS) e (OMISSIS), hanno dedotto un ulteriore motivo, opponendo l’errata applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 86 e l’omessa motivazione in ordine alla misura di sicurezza della espulsione, disposta con la sentenza impugnata senza un previo accertamento della sussistenza in concreto della loro pericolosita’ sociale e senza l’obbligatoria verifica, alla luce delle richiamate norme interne e pattizie e delle illustrate pronunce costituzionali, delle loro condizioni di vita individuale, familiare e sociale.
2.4. La ricorrente (OMISSIS) ha presentato il 19 dicembre 2018 motivi nuovi, con i quali, premesso in fatto di essere libera dal 5 ottobre 2018 in dipendenza della disposta revoca della misura degli arresti domiciliari e reiterata la denunciata carenza della motivazione quanto alla sua ritenuta pericolosita’ sociale, ha eccepito la illegittimita’ costituzionale del Decreto Legislativo 25 luglio 1998, n. 286, articolo 19, comma 2 e del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 86, comma 1, per contrasto con l’articolo 3 Cost. e articolo 27 Cost., comma 3, e dell’articolo 86 anche in relazione all’articolo 4 Cost..
3. Con ordinanza del 29 aprile 2019 la Sezione Sesta penale ha rimesso la decisione dei ricorsi alle Sezioni Unite a norma dell’articolo 618 c.p.p..
3.1. La Sezione rimettente – movendo dal rilievo che, a norma dell’articolo 448 c.p.p., comma 2-bis, introdotto dalla L. 23 giugno 2017, n. 103, articolo 1, comma 50, “il pubblico ministero e l’imputato possono proporre ricorso per cassazione contro la sentenza (di patteggiamento) solo per motivi attinenti all’espressione della volonta’ dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalita’ della pena e della misura di sicurezza” – ha rilevato profili di inammissibilita’ dei ricorsi con riferimento al vizio di motivazione in ordine alle statuizioni “esterne” al patto, ovvero non comprese nell’accordo sottostante, e relative ai punti della sentenza riguardanti le disposte misure di sicurezza – personale e patrimoniale della espulsione dal territorio dello Stato e della confisca del denaro in sequestro.
3.2. Secondo un orientamento gia’ sviluppatosi nella giurisprudenza di legittimita’, dalla interpretazione testuale, sistematica e logica dell’articolo 448 c.p.p., comma 2-bis, coerente con l’analisi dei lavori preparatori e compatibile con i ripercorsi parametri costituzionali e convenzionali, deve trarsi la conclusione della inammissibilita’ del sindacato sulla motivazione, nelle differenti declinazioni previste dall’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), essendo i casi e i punti impugnabili individuati “in modo tassativo e derogatorio rispetto a quelli generali” dal regime di impugnazione specifico per la sentenza di applicazione di pena concordata (Sez. 6, n. 3819 del 19/12/2018, Boutamara).
3.3. La Sezione Sesta, sviluppando le questioni relative al contenuto e alla valenza dell’accordo tra le parti nella sentenza di “patteggiamento”, alla tutela dei diritti e alla compatibilita’ costituzionale della unicita’ del regime di impugnazione sostenuta dal ridetto orientamento, ha rappresentato l’esistenza di almeno due opzioni interpretative alternative, capaci di conformare maggiormente il dato normativo sia ai principi costituzionali sia alla natura pattizia del rito.
Secondo la prima opzione (recepita da Sez. 3, n. 4252 del 15/1/2019, Caruso), il vizio di omessa o apparente motivazione relativo all’applicazione della misura di sicurezza e’ deducibile in sede di legittimita’ in quanto configura un’ipotesi di illegalita’ della misura di sicurezza, rilevante come violazione di legge a norma dell’articolo 111 Cost., comma 7.
In tal modo, sul presupposto che “la nozione di misura di sicurezza illegale e’ piu’ ampia di quella di pena illegale e ricomprenderebbe anche quella di misura di sicurezza illegittima, cioe’ disposta in violazione dei presupposti e dei limiti stabiliti dalla legge”, l’articolo 448 c.p.p., comma 2-bis, avrebbe un ambito applicativo onnicomprensivo e riferibile a tutte le statuizioni, ricettive dell’accordo ovvero ad esso esterne.
Tale opzione, tuttavia, mentre si fa carico dei profili critici conseguenti al primo orientamento, suppone, ove recepita, chiarimenti sia in ordine alle ragioni della diversa ampiezza della nozione di illegalita’ della misura di sicurezza rispetto a quella della pena e alla sua attinenza anche alla illegittimita’ della misura di sicurezza, sia in ordine alla eventuale rivisitazione della nozione di illegalita’ della pena e ai riflessi sul tema della inammissibilita’ del ricorso per cassazione.
La seconda possibile opzione – non contrastante con l’articolo 448 c.p.p., comma 2-bis, e compatibile con la rinuncia ai diritti e alle garanzie implicata dalla scelta dell’imputato di definizione della sua vicenda processuale con il “patteggiamento” e con la volonta’ legislativa di limitare le impugnazioni pretestuose – e’ fondata sulla distinzione tra le statuizioni che recepiscono il patto e quelle esterne all’accordo e sulla conformazione del potere di impugnazione sul tipo di statuizione e sul suo rapporto con il contenuto del patto (in tal senso, Sez. 3, n. 30064 del 23/05/2018, Lika; Sez. 4, n. 22824 del 17/4/2018, Daouk).
Premesso il possibile inserimento nel patto di eventuali profili ulteriori (misure di sicurezza) rispetto al suo oggetto essenziale, su cui la Corte di cassazione si e’ piu’ volte espressa in senso favorevole pur chiarendo che il giudice non e’ obbligato da tale inclusione, la sentenza che recepisce l’accordo a contenuto complesso, esteso a tali statuizioni esterne, mentre non comporta l’onere del giudice di specifica motivazione sul punto, e’ impugnabile, secondo tale opzione, solo nei limiti previsti dall’articolo 448 c.p.p., comma 2-bis.
Invece, il giudice, nell’ipotesi in cui non recepisca l’accordo anche nella parte accessoria o disponga una misura di sicurezza, personale o patrimoniale, sulla quale nulla si e’ convenuto tra le parti, ha un onere di motivazione specifica e il potere di impugnazione non puo’ non ricomprendere anche il sindacato sulla motivazione del provvedimento, secondo la norma generale di cui all’articolo 606 c.p.p., comma 1.
3.4. Profilandosi potenzialmente un contrasto sulla base del complesso dei rilievi svolti, la Sezione rimettente ha ritenuto necessario sottoporre alle Sezioni Unite la questione dell’ammissibilita’ del ricorso per cassazione – alla luce del disposto dell’articolo 448 c.p.p., comma 2-bis, – contro la sentenza di applicazione di pena su richiesta, ove sia dedotto il vizio di motivazione in ordine all’applicazione di misura di sicurezza, personale o patrimoniale.
4. Con decreto del 10 maggio 2019 il Presidente aggiunto della Corte di cassazione ha assegnato i ricorsi alle Sezioni Unite penali ai sensi dell’articolo 610 c.p.p., comma 2, fissando per la trattazione in camera di consiglio ai sensi dell’articolo 611 c.p.p. l’udienza del 18 luglio 2019, poi differita all’udienza odierna.
5. Il 30 agosto 2019 il Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta, sostenendo la tesi della ricorribilita’ per cassazione, secondo i parametri previsti dall’articolo 606 c.p.p., commi 1 e 2, della sentenza di “patteggiamento” per tutto cio’ che “e’ rimasto estraneo all’atto pattizio, come le misure di sicurezza, o non condiviso dal giudice”, mentre il richiamo alla illegalita’ della misura di sicurezza individuerebbe i limiti della impugnazione, secondo lo statuto speciale, quando la stessa avesse formato oggetto di accordo ratificato dal giudice, e concludendo, nella specie, per l’ammissibilita’ e la fondatezza dei ricorsi in relazione ai motivi riguardanti la confisca e l’ordine di espulsione degli imputati e per l’annullamento della sentenza in relazione ai relativi capi, non determinanti, in quanto autonome statuizioni del giudice, per la validita’ dell’accordo ex articolo 444 c.p.p..

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. La questione di diritto per la quale i ricorsi sono stati assegnati alle Sezioni Unite e’ la seguente: “se l’articolo 448 c.p.p., comma 2-bis, come introdotto dalla L. n. 103 del 2017, articolo 1, comma 50, osti all’ammissibilita’ del ricorso per cassazione contro la sentenza di applicazione concordata della pena con cui si deduca il vizio di motivazione in ordine all’applicazione di misura di sicurezza, personale o patrimoniale”.
2. La disamina della indicata questione, strettamente attinente all’ambito applicativo del vigente articolo 448 c.p.p., comma 2-bis, introdotto dalla L. 23 giugno 2017, n. 103, e all’ammissibilita’ del ricorso per cassazione che, per vizio di motivazione, attinga la statuizione relativa all’applicazione di una misura di sicurezza, contenuta nella sentenza di “patteggiamento”, richiede una sintetica ricognizione del quadro normativo di riferimento, che sara’ in seguito ripreso.
E’ sufficiente annotare allo stato che, antecedentemente alla indicata legge, il regime delle impugnazioni era regolato dal principio dettato dall’articolo 448 c.p.p., comma 2, alla cui stregua la sentenza di applicazione della pena e’ inappellabile, salva la sua appellabilita’ da parte del pubblico ministero dissenziente, e dal principio generale, desumibile dall’articolo 568 c.p.p., comma 2, della ricorribilita’ per cassazione, ex articolo 606 c.p.p., comma 2, delle sentenze non altrimenti impugnabili.
L’articolo 448 c.p.p., comma 2-bis, invece, positivizzando la disciplina della ricorribilita’ per cassazione della ridetta sentenza, dispone che il pubblico ministero e l’imputato possono proporre ricorso “solo per motivi attinenti all’espressione della volonta’ dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalita’ della pena o della misura di sicurezza”, correlando i previsti motivi a specifiche ipotesi, attinenti al contenuto dell’accordo ovvero della sentenza, e segnatamente alla legittima formazione dell’accordo e al suo esatto recepimento in sentenza, alla correttezza delle norme cui sono riferite le fattispecie concrete e al rispetto del canone della legalita’ della pena e della misura di sicurezza eventualmente applicata.
3. Con riguardo alla questione devoluta si contrappongono distinti orientamenti della giurisprudenza di legittimita’, dei quali deve darsi conto, considerando anche le diversita’ degli approcci argomentativi delle pronunce emesse.
3.1. Un primo orientamento, che esclude l’ammissibilita’ del ricorso per cassazione con il quale si deduca un vizio della motivazione della sentenza di “patteggiamento” quanto all’applicazione delle misure di sicurezza, e’ sostenuto, nell’ambito di un’articolata motivazione, da una decisione intervenuta con riferimento a fattispecie in cui, applicata la pena concordata tra le parti per il reato di cessione e detenzione di cocaina, era stata disposta la confisca “facoltativa” di cui all’articolo 240 c.p., comma 1, del denaro, ritenuto “provento di detto spaccio” (Sez. 6, n. 3819 del 19/12/2018, dep. 2019, Boutamara, Rv. 274962).
Con detta decisione, esclusa l’ipotesi della illegalita’ della disposta confisca, denunciata perche’ non prevista dalla legge, si ritiene inammissibile, per non essere consentita nel giudizio di legittimita’, ai sensi dell’articolo 448 c.p.p., comma 2-bis, la censura di inadeguata motivazione circa l’illecita provenienza del denaro confiscato e la sproporzione tra il valore dei beni posseduti e il reddito dichiarato.
Tale esito e’ imposto, si legge nella sentenza, da convergenti ragioni di natura testuale, sistematica e logica, coerenti con i parametri costituzionali e convenzionali.
Una diversa interpretazione, che considerasse ammissibile il ricorso per cassazione per vizio di motivazione rispetto a una statuizione, come quella in punto di confisca, estranea all’accordo sull’applicazione della pena, con “recupero” dei motivi di ricorso previsti in via generale, si risolverebbe in una interpretatio abrogans della suddetta norma, “rievocando obblighi di motivazione e correlati mezzi di ricorso vigenti precedentemente alla riforma, che – invece ha voluto accomunare l’illegalita’ della pena a quella della confisca limitando espressamente il ricorso per cassazione a dette ipotesi, nell’ambito di una tassativita’ gia’ affermata dalla giurisprudenza di questa Corte (Sez. 3, n. 45559 del 07/03/2018, P., Rv. 273950)”.
La proposta interpretazione trova fondamento anche nel dato esegetico dei lavori preparatori, in correlazione con la ratio dell’articolo 14 dell’originario disegno di legge, poi confluito nella L. n. 103 del 2017, articolo 1, comma 50, introduttivo dell’articolo 448 c.p.p., comma 2-bis.
Tale ratio – individuata dalla “Relazione governativa di accompagnamento del D.D.L.” (A.Euro 2798 – XVII Legislatura) nel giudizio di non meritevolezza dell'”attuale troppo ampia ricorribilita’ per cassazione” della sentenza di applicazione della pena per il verificato largo esito di inammissibilita’ dei ricorsi rivela, infatti, la ragionevolezza della limitazione del ricorso per cassazione avverso le sentenze di “patteggiamento” nel dichiarato intento del legislatore di scoraggiare i ricorsi defatigatori e di “accelerare la formazione del giudicato”.
Inoltre, in logica coerenza con il principio di legalita’, che, “enunciato per le misure di sicurezza dall’articolo 199 c.p. e sistematicamente composto con quello della legalita’ della pena, di cui all’articolo 1 c.p., nella previsione di cui all’articolo 25 Cost., comma 2”, permea l’intero sistema penale, la illegalita’ della misura di sicurezza, mutuando i criteri elaborati dalla giurisprudenza di legittimita’ in tema di illegalita’ della pena, riguarda la sua “radicale estraneita’ a sistema (…) per mancanza di elementi di struttura rispetto al modello tipico applicabile al caso concreto”, mentre il vizio di motivazione evoca una causa di illegittimita’ della misura applicata in assenza dei presupposti giustificativi.
L’illegalita’ della misura di sicurezza si atteggia, pertanto, quale presupposto logico di ogni censura della motivazione della sentenza di “patteggiamento” sul relativo punto della decisione, che non e’ deducibile se non “accompagnata alla plausibile prospettazione di quella specifica violazione di legge penale – evocata nell’articolo 448, comma 2-bis e sopra descritta – rappresentata dalla illegalita’ dell’applicata misura di sicurezza”.
Da ultimo, le enunciate ragioni, nello sviluppo argomentativo della sentenza, sono ritenute coerenti con i principi costituzionali e convenzionali.
Si osserva, infatti, che, anche in ragione della previsione di una specifica disciplina transitoria per l’articolo 448 c.p.p., comma 2-bis, la soluzione individuata e’ in linea con l’articolo 111 Cost., commi 6 e 7, ed e’ “conforme alle esigenze di tutela del diritto di difesa e di rispetto dei principi dell’equo processo, di cui agli articoli 3 e 24 Cost. e articolo 111 Cost., comma 2, e articolo 6 della Convenzione EDU, anche con specifico riferimento ai parametri di ragionevolezza, proporzionalita’ e ragionevole durata del processo”.
Con riferimento alle garanzie dell’equo processo e del doppio grado di giurisdizione, l’arresto di legittimita’, che si ripercorre, si sofferma in via conclusiva sulla giurisprudenza della Corte EDU, che ha ritenuto che la rinuncia da parte dell’imputato a una serie di diritti e garanzie procedurali, conseguente alla richiesta di “patteggiamento”, faccia apparire ragionevole, ove accompagnata da garanzie minime commisurate alla sua importanza e non contrarie al pubblico interesse, la mancata previsione della possibilita’ di ricorrere a un giudice superiore (tra le altre, Corte EDU, GC, 17/09/2009, Scoppola c. Italia, § 135136; Corte EDU, GC, Hermi c. Italia, 18/10/2006, § 73; Corte EDU, GC, Poitrimol c. Francia, 23/11/1993, § 31).
In questo orientamento si collocano anche Sez. 6, n. 5875 del 19/12/2018, dep. 2019, Chtibi, non mass., e Sez. 6, n. 7630 del 19/12/2018, dep. 2019, Fall, Rv. 275210, che hanno ribadito, in fattispecie analoghe, il ridetto percorso logico e sono pervenute alle stesse conclusioni di inammissibilita’ del motivo relativo alla inadeguata motivazione, con sentenza di “patteggiamento”, della disposta confisca (nello stesso senso, anche Sez. 1, n. 21407 del 19/03/2019, Scaglione, non mass.).
3.2. L’opposto orientamento, favorevole alla ricorribilita’ per cassazione per vizio della motivazione della sentenza di “patteggiamento” in ordine all’applicazione di misure di sicurezza, personali o patrimoniali, giunge a tale conclusione sulla base di differenti impostazioni ermeneutiche, fondate rispettivamente sulla elaborazione della nozione di illegalita’ della misura di sicurezza e sulla distinzione tra le statuizioni che recepiscono il patto relativo all’applicazione della pena e quelle esterne all’accordo.
La prima opzione ritiene l’ammissibilita’ del ricorso per cassazione per la riconducibilita’ della mancata o apparente motivazione circa l’applicazione della misura di sicurezza alla nozione di illegalita’, rilevante come “violazione di legge” ai sensi dell’articolo 111 Cost., comma 7, (Sez. 3, n. 4252 del 15/01/2019, Caruso, Rv. 274946-01).
Secondo tale impostazione, la nozione di illegalita’ della misura di sicurezza non e’ determinabile utilizzando i medesimi parametri elaborati dalla giurisprudenza per individuare il significato della nozione di pena illegale (in particolare, Sez. U, n. 40986 del 19/7/2018, Pittala’, non mass. sul punto, e Sez. U, n. 33040 del 26/2/2015, Jazouli, Rv. 264205/206/207), essendo difficile ipotizzare, soprattutto nei casi di confisca ai sensi degli articoli 240 e 240-bis c.p., ovvero di espulsione o allontanamento dello straniero dallo Stato, “una misura che per specie o per quantita’ non corrisponda a quella astrattamente prevista, o che e’ stata determinata dal giudice sulla base di un procedimento di commisurazione basato su parametri edittali inapplicabili”, e ricomprende tutti i casi in cui la misura sia disposta in violazione dei presupposti e dei limiti stabiliti dalla legge per la sua applicazione (Sez. 3, n. 4252 del 15/01/2019, Caruso, Rv. 274946-02).
Si richiamano, al riguardo, una risalente decisione, alla cui stregua “tutto cio’ che si riferisce alla erronea applicazione di una misura di sicurezza fuori dei casi consentiti, in quanto violazione del piu’ ampio principio di legalita’ (articolo 199 c.p. e articolo 25 Cost.), cui e’ sottoposto, come le pene, anche il regime delle misure di sicurezza, rientra nel potere decisorio ex officio della corte di cassazione che, se rileva una causa di illegalita’ della misura di sicurezza, deve provvedere ad eliminarla” (Sez. 3, n. 1044 del 10/7/1967, Bertolini, Rv. 105611), e una piu’ recente decisione che “ha affermato l’illegalita’ di una confisca per equivalente disposta per un valore superiore al profitto del reato, sul presupposto della natura “sanzionatoria” di tale misura”, giungendosi alla conclusione che “la nozione di “misura di sicurezza illegale” sembra far riferimento alle misure di sicurezza applicate in violazione dei presupposti e dei limiti stabiliti dalla legge” (Sez. 3, n. 46049 del 28/03/2018, Carestia, Rv. 274697).
La conclusione cui si perviene, inferibile dal testo dell’articolo 25 Cost., comma 2 e articolo 199 c.p., e’ ritenuta coerente anche con la diversita’ dei presupposti applicativi delle pene rispetto alle misure di sicurezza, che – a differenza delle prime che seguono all’accertamento del reato e, nei casi previsti, alla esclusione di una causa di non punibilita’ – richiedono una valutazione ulteriore, afferente, a seconda dei casi, all’accertamento della pericolosita’ sociale ovvero, ai fini dell’applicazione della confisca facoltativa, alla verifica del nesso di strumentalita’ o di derivazione tra il bene e il reato; consente di assicurare il rispetto della garanzia costituzionale del controllo di legalita’ di tutte le sentenze e i provvedimenti sulla liberta’ personale, pacificamente esteso alla mancanza o mera apparenza della motivazione; e’ in linea con i principi enunciati dalla giurisprudenza, costituzionale e di legittimita’, in tema di motivazione della sentenza di applicazione della pena su richiesta, che, “in relazione all’applicazione delle misure di sicurezza, implic(a) un discorso giustificativo piu’ analitico ed approfondito di quello richiesto per l’accertamento del fatto di reato e per la determinazione della pena”, in quanto, con riferimento alle stesse, “non e’ correlabile ad alcun atto negoziale con cui l’imputato dispensa l’accusa dall’onere di provare i fatti dedotti nell’imputazione o concorda la pena”; e’, infine, compatibile con l’articolo 2, prot. 7, CEDU e con la giurisprudenza della Corte EDU, secondo cui l’attuazione della garanzia, di cui alla detta norma, in forza della quale ciascun condannato ha diritto a un giudizio di controllo da parte di un giudice superiore, e’ rimessa a un ampio margine di apprezzamento da parte degli Stati e i moduli di definizione concordata del procedimento penale possono implicare garanzie d’impugnazione meno ampie.
La seconda opzione distingue tra le statuizioni che recepiscono il patto e quelle esterne all’accordo, sviluppando nel suo interno argomenti diversi e pervenendo a esiti diversi, che tuttavia procedono da una stessa premessa, rappresentata dalla portata costitutiva dell’accordo, che, comunque inteso dal punto di vista strutturale, e’ sotteso alla sentenza di “patteggiamento”, e dalla sua “legittimazione” costituzionale nel consenso e nel diritto di difendersi negoziando (in cui puo’ essere declinato il diritto di difesa riconosciuto dall’articolo 24 Cost., comma 2).
Una prima impostazione individua il regime di impugnazione della sentenza avendo riguardo alla diversa intensita’ dell’onere di motivazione gravante sul giudice in relazione al tipo di statuizione e al rapporto tra la stessa e il contenuto del patto, il cui oggetto e’ tipizzato dall’articolo 444 c.p.p., e ritiene ammissibile il ricorso per cassazione avente a oggetto la doglianza di mancanza di motivazione e di violazione dell’articolo 240 c.p. in ordine alla disposta confisca del denaro, in quanto relativa a “un aspetto della sentenza estraneo al concordato sulla pena, dunque ricorribile indipendentemente da detti limiti (previsti dall’articolo 448 c.p.p., comma 2-bis) e secondo le regole generali” (Sez. 3, n. 30064 del 23/05/2018, Lika, cit.; conforme, Sez. 4, n. 22824 del 17/04/2018, Daouk, cit.).
Altra impostazione, cui perviene la stessa Sezione rimettente, valorizza l’interpretazione, per la quale, in linea con la sentenza n. 313 del 1990 della Corte costituzionale, si configura, nella determinazione della sentenza, un modello di “compartecipazione” delle parti e del giudice, che soprintende all’accordo, la legittimita’ della cui logica negoziale, riferita al tema principale della responsabilita’ e della sanzione, e’ estensibile alla parte relativa all’applicazione della misura di sicurezza.
L’ordinanza – anche richiamando approdi della giurisprudenza di legittimita’ (Sez. 6, n. 54977 del 14/10/2016, Orsi, Rv. 268740; Sez. 2, n. 19945 del 19/04/2012, Toseroni, Rv. 252825; Sez. 2, n. 1934 del 18/12/2015, dep. 2016, Spagnuolo, Rv. 265823; Sez. 5, n. 1154 del 22/03/2013, Defina, Rv. 258819), che hanno ritenuto possibile “inserire” nel patto una statuizione relativa alla misura di sicurezza, con esclusione, tuttavia, di un effetto vincolante per il giudice, gravato solo da un onere di motivazione nel caso in cui provveda in termini difformi da quelli concordati, nella impossibilita’ di estendere al punto relativo alla confisca le caratteristiche di sinteticita’ della motivazione tipiche della sentenza di patteggiamento – rappresenta la desumibilita’ da tale consolidato principio di una interpretazione dell’articolo 448 c.p.p., comma 2-bis, che ne circoscrive l’applicazione, quanto al motivo di ricorso relativo all’illegalita’ della misura di sicurezza, alla sentenza di “patteggiamento” che recepisca il contenuto dell’accordo, nel quale siano inseriti dalle parti, oltre al suo oggetto essenziale, eventuali ulteriori profili (accidentalia negotii), rispetto ai quali il giudice e’ esonerato dall’onere di motivare specificamente.
Diversamente, esclusa la vincolativita’ dell’accordo sulla misura di sicurezza, il giudice che non lo recepisce o applica una misura di sicurezza non oggetto di accordo tra le parti, dovrebbe svolgere una motivazione specifica e la sentenza sarebbe impugnabile anche per vizio della motivazione.
4. Nella risoluzione della questione posta, si impongono alcune preliminari considerazioni, indotte dalla necessita’ di delimitare l’oggetto del quesito, che attiene, si’ come devoluto, alla ricorribilita’ in cassazione per vizio della motivazione, alla luce dell’articolo 448 c.p.p., comma 2-bis, della sentenza di “patteggiamento” che abbia applicato una misura di sicurezza, personale o patrimoniale, e di inquadrare l’indicato oggetto nel pertinente piu’ ampio contesto normativo e interpretativo.
4.1. Deve innanzitutto precisarsi che la confisca “L. n. 356 del 1992, ex articolo 12 sexies” e l’espulsione “Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, ex articolo 86”, ordinate con la sentenza impugnata a carico dei ricorrenti in relazione al delitto di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, rientrano tra le misure di sicurezza, patrimoniali e personali, adottabili, con sentenza di applicazione, su richiesta delle parti, di una pena superiore a due anni di reclusione soli o congiunti a pena pecuniaria, ovvero, limitatamente alla “confisca nei casi previsti dall’articolo 240 c.p.”, quando la pena irrogata sia inferiore all’indicato limite, ai sensi dell’articolo 445 c.p.p., comma 1.
In tal senso e’ il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimita’ (tra le altre, in punto di confisca, Sez. 6, n. 9930 del 13/02/2014, Scivoli Di Domenico, Rv. 261533; Sez. 2, n. 3247 del 18/9/2013, Gambacorta, Rv. 258546; Sez. 5, n. 47179 del 03/11/2009, D’Ambrosio, Rv. 245387; Sez. 6, n. 4280 del 25/09/2008, Garritano, Rv. 241875; in punto di espulsione dello straniero dal territorio dello Stato Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, ex articolo 86 Sez. 4, n. 42345 del 16/05/2017, Terzi, Rv. 270926; Sez. 4, n. 42841 del 02/10/2008, Jara Salazar, Rv. 241333; Sez. 6, n. 3448 del 12/06/2006, Mahboubi, Rv. 235063), riferibile a tutte le ipotesi in cui con la sentenza di applicazione della pena, per espresso riferimento normativo ovvero per omesso richiamo, nella normativa di riferimento, a uno specifico modello procedimentale, debba o possa applicarsi una misura di sicurezza.
4.2. Si rileva, inoltre, che, con riferimento alla sentenza di applicazione di pena patteggiata, si e’ affermata nella giurisprudenza di legittimita’ la necessaria correlazione dello sviluppo delle linee argomentative della decisione all’esistenza di un sotteso accordo con cui l’imputato dispensa l’accusa dall’onere di provare i fatti dedotti nell’imputazione, puntualizzandosi che l’obbligo di motivazione, imposto al giudice ai sensi dell’articolo 111 Cost. e articolo 125 c.p.p. per tutte le sentenze, non puo’ non essere conformato, rispetto a quella di applicazione della pena su richiesta delle parti, alle sue peculiari caratteristiche formali, strutturali, genetiche e funzionali che la differenziano dall’ordinaria sentenza di condanna, pur senza ridursi il compito del giudice alla semplice presa di atto del patto concluso dalle parti (Sez. U, n. 10372 del 27/09/1995, Serafino, Rv. 202270).
A tale riguardo le Sezioni Unite, che hanno sempre sottolineato, intervenendo su istituti specifici, la portata costitutiva dell’indicato accordo vincolato alla tipicita’ dei contenuti legislativamente predefiniti (tra le altre, Sez. U, n. 35738 del 27/05/2010, Calibe’, Rv. 247838/841; Sez. U, n. 17781 del 29/11/2005, dep. 2006, Diop, Rv. 233518; Sez. U, n. 3 del 25/11/1998, dep. 1999, Messina, Rv. 212437/438), hanno giudicato sufficiente una motivazione in termini sintetici in merito alle statuizioni costituenti oggetto del medesimo accordo, implicante per l’imputato che ne fa richiesta la rinuncia ad avvalersi della facolta’ di contestare l’accusa (Sez. U, n. 20 del 27/10/1999, Fraccari, Rv. 214637), ovvero l’esonero dell’accusa dall’onere della prova dei fatti dedotti nella imputazione (Sez. U, n. 5777 del 27/3/1992, Di Benedetto, Rv. 191134).
La giurisprudenza, antecedente alla entrata in vigore della L. n. 103 del 2017, che si e’ consolidata su tali condivisi principi (da ultimo, Sez. 6, n. 56976 del 11/09/2017, Sejdara, Rv. 271671), ha, invece, escluso costantemente, che la caratteristica di sinteticita’ della motivazione tipica del rito potesse estendersi alle statuizioni estranee all’accordo, come quelle relative, per quanto qui interessa, all’applicazione delle misure di sicurezza.
Quanto alla confisca si e’, invero, ripetutamente affermato che, in caso di pena patteggiata, anche dopo la modifica – introdotta con la L. 12 giugno 2003, n. 134, articolo 2, comma 1, lettera a), – dell’articolo 445 c.p.p., comma 1, che ha esteso le possibilita’ di provvedere alla confisca rendendola adottabile in tutti i casi previsti dall’articolo 240 c.p., il giudice e’ tenuto a motivare l’esercizio del suo potere discrezionale, evidenziando i variabili presupposti delle disposte misure in relazione alla situazione concreta e secondo le specifiche normative che le disciplinano (tra le altre, Sez. 6, n. 9930 del 13/02/2014, Scivoli Di Domenico, cit.; Sez. 6, n. 11497 del 21/10/2013, dep. 2014, Musaku, Rv. 260879; Sez. 2, n 3247 del 18/9/2013, Gambacorta, cit.; Sez. 4, n. 41560 del 26/10/2010, Rhameni, Rv. 248454).
Quanto, inoltre, alla espulsione dello straniero dal territorio dello Stato a pena espiata, prevista dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 86, comma 1, per i reati ivi indicati, il giudice di merito deve effettuare, anche con la sentenza di “patteggiamento”, in virtu’ dell’applicata statuizione contenuta nella sentenza n. 58 del 1995 della Corte costituzionale, un previo e motivato accertamento della sussistenza in concreto della pericolosita’ sociale dello straniero (tra le altre, Sez. 6, n. 3448 del 12/06/2006, Mahboubi, cit.; Sez. 4, n. 42317 del 08/06/2004, Kola, Rv. 231006).
Le misure di sicurezza personali, qualunque sia la natura che ontologicamente si assegna loro, ha annotato al riguardo la Corte costituzionale, “comportano comunque la privazione o la limitazione della liberta’ personale e, quindi, incidono in ogni caso su un valore che l’articolo 13 Cost. riconosce come diritto inviolabile dell’uomo, sia esso cittadino o straniero (…). Ed e’ giurisprudenza di questa Corte che, di fronte all’incisione di beni di tal pregio, il controllo di costituzionalita’ delle norme di legge contestate deve avvenire in modo da garantire che il sacrificio della liberta’ sia giustificato dall’effettiva realizzazione di altri valori costituzionali o non vada incontro a ostacoli insormontabili costituiti dalla protezione di altri valori costituzionali (v., ad esempio, sentt. nn. 63 del 1994, 81 del 1993, 368 del 1992, 366 del 1991)”.
Ne’, si e’ pure rilevato, come annotato anche nell’ordinanza di rimessione, le parti, nell’ambito della loro discrezionalita’ e autonomia, non possono includere nell’accordo, delimitato dal legislatore al solo trattamento sanzionatorio e alla eventuale concessione della sospensione condizionale della pena, anche le misure di sicurezza, tuttavia chiarendosi che il giudice non e’ vincolato alle richieste delle parti, in quanto dette misure, sottratte alla loro disponibilita’, esulano dall’area della negozialita’ individuata e delimitata dall’articolo 444 c.p.p., ma, ove le disattenda, senza essere obbligato a recepire o non recepire per intero l’accordo, deve indicare le ragioni per le quali ha provveduto, al riguardo, in termini difformi da quelli concordemente prospettati dal pubblico ministero e dalla difesa (tra le altre, con riferimento alla sola confisca, Sez. 6, n. 54977 del 14/10/2016, Orsi, cit.; Sez. 2, n. 1934 del 18/12/2015, Spagnuolo, cit.; Sez. 5, n. 1154 del 22/3/2013, Defina, cit.; Sez. 2, n. 19945 del 19/4/2012, Toseroni, cit.).
4.3. La giurisprudenza di legittimita’, procedendo dalla considerazione che, in tema di “patteggiamento”, il prestato consenso e’ frutto del generale potere dispositivo riconosciuto dalla legge alle parti e ratificato dal giudice, ha anche affermato, delimitando l’area dei vizi deducibili e parametrati sulle peculiarita’ del rito (Sez. 5, n. 102 del 18/01/1995, Pepe, Rv. 200465), e ha ribadito, con orientamento costante (tra le altre, Sez. 6, n. 28427 del 12/03/2013, Ennaciri, Rv. 256455; Sez. 2, n. 3622 del 10/01/2006, Laaziz, Rv. 233369; Sez. 6, n. 38943 del 18/9/2003, Conciatori, Rv. 227718; Sez. 1, n. 6898 del 18/12/1996, dep. 1997, Milanese, Rv. 206642), che tutte le statuizioni non illegittime, concordate dalle parti e recepite dal giudice, precludono alle parti stesse la proposizione, nella successiva sede dell’impugnazione, che e’ quella di legittimita’, di eccezioni o censure, che attengono al merito delle valutazioni sottese al consenso stesso, ovvero si risolvono in un recesso dall’accordo non consentito ad alcuna delle parti per il principio costituzionale di uguaglianza fra le stesse nel processo penale.
4.4. Quanto alle misure di sicurezza, in linea con il ribadito principio della non automatica estensione alla loro applicazione della motivazione sommaria propria del rito speciale, si e’ giudicato sussistente, nel caso in cui la confisca fosse disposta senza motivazione, l’interesse all’impugnazione da parte dell’imputato che avesse contestato nel giudizio di merito, o anche solo nei motivi di ricorso, l’esistenza di un qualsiasi nesso tra il bene e il reato, e si e’ ritenuto censurabile l’incorso inadempimento dell’obbligo di motivazione, annullandosi la sentenza resa in sede di “patteggiamento” limitatamente alla disposizione sulla confisca allo scopo di consentire all’interessato di far valere le sue ragioni (o dinanzi al giudice di rinvio, tra le altre, Sez. 6, n. 9930 del 13/02/2014, Scivoli Di Domenico, citata; Sez. 4, n. 27935 del 02/05/2012, Anibaldi, Rv. 253556; Sez. 5, n. 47179 del 03/11/2009, D’Ambrosio, Rv. 245387; Sez. 6, n. 10531 del 21/02/2007, Baffoe’, Rv. 235928; Sez. 4, n. 28750 del 21/03/2002 Chiascione, Rv. 222062; ovvero – annullandosi senza rinvio la disposizione relativa alla confisca – in sede esecutiva, tra le altre, Sez. 5, n. 8440 del 24/01/2007, Viglianesi, Rv. 236623; Sez. 6, n. 49966 del 9/11/2004, Salah, Rv. 230387; Sez. 4, n. 33303 del 08/07/2002, Kanu, Rv. 222753; Sez. 4, n. 3200 del 15/10/1999, Trovato, Rv. 215003; Sez. U, n. 9149 del 03/07/1996, Chabni Samir, Rv. 205708).
A tali conclusioni e’ giunta anche quella giurisprudenza, che, in presenza di un accordo delle parti includente anche le misure di sicurezza, ha esaminato il denunciato vizio di motivazione con riguardo alle stesse, pervenendo a una pronuncia rescindente ovvero al rigetto del ricorso (Sez. 6, n. 54977 del 14/10/2016, Orsi; Sez. 2, n. 1934 del 18/12/2015, Spagnuolo; Sez. 5, n. 1154 del 22/3/2013, Defina; Sez. 2, n. 19945 del 19/4/2012, Toseroni, citate).
4.5. Con la L. n. 103 del 2017, infine, si e’ introdotto, come anticipato, nel sistema delle impugnazioni un nuovo comma 2-bis nell’articolo 448 c.p.p., secondo cui il pubblico ministero e l’imputato possono proporre ricorso per cassazione contro la sentenza di applicazione della pena su richiesta “solo per motivi attinenti all’espressione della volonta’ dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalita’ della pena o della misura di sicurezza”.
La medesima legge ha anche aggiunto all’articolo 130 c.p.p. il nuovo comma 1-bis, che dispone che “quando nella sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti si devono rettificare solo la specie e la quantita’ della pena per errore di denominazione o di computo, la correzione e’ disposta, anche d’ufficio, dal giudice che ha emesso il provvedimento. Se questo e’ impugnato, alla rettificazione provvede la Corte di cassazione, a norma dell’articolo 619, comma 2”.
Tali norme, che prevedono specifici motivi di ricorso e un possibile intervento correttivo, in sede di legittimita’, di errori materiali estranei ai vizi sindacabili come tali e riferibili solo alla “pena”, sono ritenute da piu’ voci in dottrina espressive della svolta codificazione di alcuni degli approdi piu’ significativi raggiunti dalla giurisprudenza nella individuazione e delimitazione delle ragioni di impugnazione di sentenze, pur rese in esito all’intervenuto accordo sulla pena e nella forma impugnabili per tutti i casi previsti dall’articolo 606 c.p.p., comma 1, e coerenti con la ratio della riforma e con la prevista limitazione dei casi di ricorribilita’ di dette sentenze, quali desumibili dalla Relazione governativa (A.Euro 2798) di accompagnamento del disegno di legge, esitato dopo un lungo iter parlamentare e riprodotto, poi, nel testo definitivo della norma con il solo escluso riferimento all’ipotesi, gia’ prevista, della omessa applicazione della misura di sicurezza.
In detta Relazione, concordante con le valutazioni gia’ espresse dalla Commissione ministeriale, si e’, invero, annotato che “anzitutto si reputa che il modulo consensuale di definizione del processo, proprio del cosiddetto patteggiamento, non meriti l’attuale, troppo ampia ricorribilita’ per cassazione, constatato, d’altra parte, l’esito largamente prevalente di inammissibilita’ dei relativi ricorsi, con inutile dispendio di tempo e di costi organizzativi. Si ritiene pertanto di limitarne la ricorribilita’ ai soli casi in cui l’accordo non si sia formato legittimamente o non si sia tradotto fedelmente nella sentenza, ovvero il suo contenuto presenti profili di illegalita’ per la qualificazione giuridica del fatto, per la pena o per la misura di sicurezza, applicata od omessa”.
4.6. La giurisprudenza di legittimita’, nei suoi plurimi interventi successivi alla indicata novella, si e’, in effetti, pronunciata sui vizi ricorribili in sostanziale continuita’ interpretativa con pregressi maggioritari orientamenti, che gia’ avevano apprezzato i vizi ricorribili ex articolo 606 c.p.p. tenendo conto dell’accordo processuale alla base del rito.
Dando conto di detti interventi, in termini generali e nei limiti funzionali alla decisione, si rileva, tra l’altro, che si e’ esclusa la proponibilita’, a seguito di applicazione di pena su richiesta delle parti, di ripensamenti o proposizioni di asseriti vizi di volonta’ o di intelligenza, irrilevanti se non si traducono in censure di nullita’, per le quali vige peraltro il principio di tassativita’ (Sez. 4, n. 54580 del 19/09/2018, Sentimenti, Rv. 274505), e l’ammissibilita’ dei motivi attinenti all’espressione della volonta’ dell’imputato, ove il ricorso non contenga la specifica indicazione degli atti o delle circostanze che hanno determinato il vizio (Sez. 1, n. 15557 del 20/03/2018, Tarik, Rv. 272630), e si e’ riaffermato, quanto al motivo relativo all’erronea qualificazione giuridica del fatto contenuto in sentenza, che sono denunciabili i soli casi di errore manifesto (Sez. 1, n. 15553 del 20/3/2018, Maugeri, Rv. 272619) o di motivazione meramente apparente (Sez. 6, n. 13836 del 16/01/2019, Talal, Rv. 275371), ovvero di qualificazione palesemente eccentrica rispetto al contenuto del capo di imputazione (Sez. 3, n. 23150 del 17/04/2019, EI Zitouni, Rv. 275971-02; Sez. 6, n. 2721 del 08/01/2018, Bouaroua, Rv. 272026), con conseguente inammissibilita’ della denuncia di errori valutativi in diritto che non risultino evidenti dal testo del provvedimento impugnato.
Si e’, invece, ritenuto non deducibile, alla stregua del nuovo regime impugnatorio, il vizio relativo all’omessa valutazione da parte del giudice delle cause di proscioglimento previste dall’articolo 129 c.p.p., si’ da ritenersi l’intervento normativo “una ulteriore evoluzione della limitata ricorribilita’ della sentenza di “patteggiamento” gia’ affermata, nel vigore della precedente normativa, nella giurisprudenza di legittimita’, che per indirizzo consolidato disconosceva all’imputato il potere di rimettere in discussione i profili oggettivi e soggettivi della fattispecie su cui era caduto l’accordo in quanto coperti dal patteggiamento, conformando il ridotto obbligo di motivazione in considerazione dell’accordo presupposto dalla decisione (Sez. U, n. 5777 del 27/03/1992, di Benedetto, Rv. 191135; Sez. U, n. 10372 del 27/09/1995, Serafino, Rv. 202270)” (Sez. 6, n. 3819 del 19/12/2018, Boutamara, cit.).
4.7. La previsione espressa quale motivo di ricorso della illegalita’ della misura di sicurezza, accanto alla illegalita’ della pena, ha indotto la giurisprudenza a chiedersi come la illegalita’ della misura di sicurezza dovesse essere intesa e se soprattutto la sua definizione dovesse o meno ripetere quella adottata per configurare come illegale, e censurabile con ricorso per cassazione prima della L. n. 103 del 2017, la pena concordata tra le parti e ratificata dal giudice.
La nozione di pena illegale si e’ attestata attraverso una progressiva elaborazione da parte della giurisprudenza e di plurimi interventi delle Sezioni Unite, che l’hanno valorizzata sia in funzione di deroga del principio devolutivo, sia, e soprattutto, per la definizione dei detti limiti di sindacabilita’, quanto alla determinazione della pena, della sentenza resa ex articolo 444 c.p.p., procedendo da un ambito che la correla ai casi di illegalita’ ab origine della pena, inflitta extra o contra legem perche’ non prevista dall’ordinamento giuridico ovvero non corrispondente, per specie ovvero per quantita’ (sia in difetto che in eccesso), a quella astrattamente prevista per la fattispecie incriminatrice concreta, cosi’ collocandosi al di fuori del sistema sanzionatorio delineato dal codice penale (tra le altre, Sez. 6, n. 32243 del 15/07/2014, Tanzi, Rv. 260326; Sez. 2, n. 20275 del 07/05/2013, Stagno, Rv. 255197; Sez. 2, n. 22136 del 19/02/2013, Nisi, Rv. 255729), ed estendendola anche alla pena determinata dal giudice attraverso un procedimento di commisurazione basato su una norma dichiarata costituzionalmente illegittima e, quindi, inesistente sin dalla sua origine (Sez. U, n. 37107 del 26/02/2015, Marcon Rv. 264857; Sez. U, n. 33040 del 26/2/2015, Jazouli, Rv. 264205; Sez. U, 18821 del 24/10/2013, dep. 2014, Ercolano, Rv. 258651), ovvero in violazione del principio di irretroattivita’ della legge penale piu’ sfavorevole sancito dall’articolo 24 Cost., comma 2, (Sez. U, n. 40986 del 19/7/2018, Pittala’, che ha anche dato conto degli approdi della giurisprudenza di legittimita’ e dei casi individuati come integranti ipotesi di pena illegale con riferimento al “patteggiamento”).
In linea con tale delineato ambito della illegalita’ della pena, si e’ quindi affermato che non vi rientra la pena che risulti complessivamente legittima, anche se determinata secondo un percorso argomentativo viziato.
La nozione di misura di sicurezza illegale e’ stata definita da tre contemporanee decisioni (Sez. 6, n. 3819 del 19/12/2018, Boutamara; Sez. 6, n. 5875 del 19/12/2018, Chtibi; Sez. 6, n. 7630 del 19/12/2018, Fall, gia’ citate quali espressive del primo orientamento oggetto del contrasto potenziale), mutuando le definizioni, gia’ maturate, di pena illegale, sulla premessa che “il principio di legalita’, enunciato per le misure di sicurezza dall’articolo 199 c.p. e sistematicamente composto con quello della legalita’ della pena, di cui all’articolo 1 c.p., nella previsione dell’articolo 25 Cost., comma 2, informa di se’ tutto il sistema penale e vieta che abbia esecuzione, con la pena illegale, anche una misura di sicurezza illegale”, e ritenendo tale la misura di sicurezza non prevista dall’ordinamento giuridico per il caso concreto oggetto di giudizio, ovvero quella eccedente, per specie e quantita’, i relativi limiti legali.
Distinta dalla illegalita’, che predica la totale estraneita’ a sistema della misura di sicurezza, come della pena, per una irrimediabile deviazione dal rilevante modello tipico, e’, per dette decisioni, la illegittimita’ conseguente a un vizio della motivazione, in una delle sintomatiche declinazioni di cui all’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), che, a differenza della illegalita’, e’ emendabile nel rapporto tra giudizio rescindente e giudizio rescissorio di rinvio.
Si e’ sostenuto in tal senso anche che “l’illegalita’ della pena o della misura di sicurezza sussiste solo quanto la sanzione irrogata non sia prevista dall’ordinamento giuridico ovvero quando, per specie e quantita’, risulti eccedente il limite legale, ma non quando risulti errato il calcolo attraverso il quale essa e’ stata determinata, salvo che non sia frutto di errore macroscopico, trattandosi di errore censurabile solo attraverso gli ordinari mezzi di impugnazione della sentenza”, giudicandosi estraneo alla nozione di illegalita’ il vizio relativo alla quantificazione del profitto (cosi’, Sez. 6, n. 52205 del 16/10/2018, Diaverum Italia s.r.l., Rv. 274292).
In altri casi si e’, invece, estesa la nozione di illegalita’ della misura di sicurezza, che consente il ricorso per cassazione ai sensi dell’articolo 448 c.p.p., comma 2-bis, ai casi in cui detta misura sia applicata in violazione dei presupposti e dei limiti stabiliti dalla legge anche in caso di motivazione mancante o meramente apparente, rilevante come “violazione di legge” ai sensi dell’articolo 111 Cost., comma 7, valorizzando i presupposti applicativi delle misure di sicurezza, personali e reali, e richiamando risalente arresto (Sez. 3, n. 1044 del 10/7/1967, Bertolini), che aveva ritenuto che tutto cio’ che si riferisce all’applicazione di una misura di sicurezza fuori dai casi consentiti, costituisce violazione del piu’ ampio principio di legalita’ di cui all’articolo 199 c.p. e articolo 25 Cost., cui e’ sottoposto anche il regime delle misure di sicurezza (in questo senso, Sez. 3, n. 15525 del 15/2/2019, Bozzi, Rv. 275862; Sez. 3, n. 4252 del 15/1/2019, Caruso, cit.).
A detta nozione di illegalita’ della misura di sicurezza si e’, infine, anche ricondotta l’ipotesi di omessa applicazione con la sentenza di “patteggiamento” della misura di sicurezza, ritenendosi ammissibile il ricorso per cassazione del pubblico ministero volto a denunciarla, perche’ “incidente sul complessivo trattamento sanzionatorio e percio’ rilevante come “violazione di legge” ai sensi dell’articolo 111 Cost., comma 7″ (Sez. 3, n. 20781 del 17/12/2018, dep. 2019, El Ghazzani, Rv. 275530, con riguardo alla espulsione dello straniero ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 86), ovvero “in quanto tale omissione determina una illegalita’ sul piano quantitativo delle statuizioni conseguenti alla realizzazione del reato per il quale (la) confisca e’ prevista come obbligatoria (Sez. 3, n. 29428 del 08/05/2019, Scarpulla, Rv. 275896, con riguardo alla confisca, diretta o per equivalente, prevista dal Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74, articolo 12-bis per il reato di omesso versamento di IVA), ovvero in quanto “l’omissione di qualsiasi statuizione sul punto integra un’ipotesi di illegalita’ della pena e della misura di sicurezza” (Sez. 5, n. 19735 del 11/01/2019, Rossi, Rv. 276986, con riguardo alla confisca prevista dalla L. 16 marzo 2006, n. 146, articolo 11).
5. Poste tali considerazioni, la soluzione della questione devoluta – che, in coerente rapporto con il thema decidendum, presuppone che, con la sentenza di “patteggiamento”, sia stata applicata una misura di sicurezza, personale o patrimoniale, obbligatoria o facoltativa, concordata o meno tra le parti – deve procedere apprezzando la portata dell’articolo 448-bis c.p.p. nel delineato contesto normativo e interpretativo e in rapporto all’istituto del “patteggiamento” e al tema piu’ generale, sotteso alla stessa prospettata questione, dell’attuale vigenza di un regime di impugnazione unitario della sentenza di applicazione di pena concordata, come delineato dall’articolo 448-bis c.p.p., ovvero della coesistenza con tale regime di quello “ordinario” di cui all’articolo 606 c.p.p., azionabile dalle parti per le statuizioni estranee al loro accordo.
6. Le Sezioni Unite, che sotto diversi aspetti si sono occupate della sentenza di “patteggiamento”, ponendo la sua motivazione e la sua impugnazione in correlazione con l’accordo delle parti sulla pena del quale la stessa rappresenta l’epilogo decisorio e che ne giustifica le sue peculiari caratteristiche, hanno da tempo messo in rilievo il rapporto tra il profilo di negozialita’ di detto accordo e il profilo dei poteri del giudice sulla sua verifica.
L’equilibrio di tale rapporto ovvero il bilanciamento del controllo giurisdizionale e dell’assetto predisposto dalle parti, coinvolgenti anche il tema della natura della sentenza di “patteggiamento”, non richiedono approfondimenti in questa sede, essendo sufficiente rilevare che, pur a fronte degli interventi normativi che hanno modificato nel tempo l’istituto in esame, sono rimasti immutati, oltre alle modalita’ dell’accordo sulla pena previsto dall’articolo 444 c.p.p. (formato dalla richiesta di applicazione di pena, indicata al comma 1, e dal consenso, indicato al comma 2, della “parte che non ha formulato la richiesta”), i parametri del controllo giudiziario da compiersi sull’intero progetto di decisione, che, se e’ limitato a un accertamento negativo circa la possibilita’ di pronunciare sentenza di proscioglimento per una delle cause di non punibilita’ indicate dall’articolo 129 c.p.p., e’ positivo, e bilancia il profilo dispositivo dell’accordo, quanto alla correttezza della qualificazione giuridica del fatto, all’applicazione e alla comparazione delle circostanze prospettate dalle parti e alla congruita’ della pena, nonche’ quanto alla sussistenza delle condizioni che giustificano la concessione della sospensione condizionale, alla quale la richiesta sia stata subordinata.
Anche la Corte costituzionale, investita di questioni di legittimita’ costituzionale in tema di applicazione della pena su richiesta delle parti, ha affermato che il potere dispositivo delle parti, “concepito in funzione di collaborazione ad una rapida affermazione della giustizia con una effettiva ed immediata applicazione della pena”, si inserisce in un contesto edittale predeterminato dal legislatore in cui il giudice, senza rivestire un ruolo di carattere meramente “notarile”, esercita una funzione giurisdizionale determinante allorche’ procede al controllo sull’accordo raggiunto tra le parti e alle ulteriori valutazioni di merito (Corte Cost., sent. n. 313 del 1990), fermo restando il fondamento primario dell’istituto nell’accordo tra pubblico ministero e imputato sul merito dell’imputazione, responsabilita’ dell’imputato e pena conseguente (sent. n. 66 del 1990), che condiziona, circoscrive e indirizza il compito del giudice (sent. n. 155 del 1996), e la cui componente negoziale e’ resa evidente anche dalla facolta’ concessa al giudice di verificare la volontarieta’ della richiesta o del consenso (articolo 446 c.p.p., comma 5), in un “sistema costruito in modo che l’imputato possa determinarsi alla sua scelta con piena consapevolezza delle conseguenze giuridiche derivanti dall’applicazione della pena su richiesta, cosi’ da poterne adeguatamente ponderare i benefici e gli svantaggi” (sent. n. 394 del 2002).
7. Il tema del contenuto dell’accordo sulla pena e dei limiti del controllo giurisdizionale e con esso delle censure proponibili con il ricorso per cassazione e’ anche alla base del contrasto, denunciato in termini potenziali e come tale devoluto, seguito alla entrata in vigore della indicata legge alla luce della previsione del richiamato articolo 448 c.p.p., comma 2-bis.
7.1. Intendendo, invero, detta norma come introduttiva, in relazione a dati testuali e sistematici, di un regime di impugnazione specifico per la sentenza di applicazione di pena, giustificato “dall’origine concordata del provvedimento impugnato (e dalla conseguente preclusione della possibilita’ di contestare i termini fattuali dell’imputazione e la valutazione di merito sulle prove)”, tale regime, riferito a punti della decisione certamente estranei all’accordo delle parti, come quello relativo all’applicazione di misure di sicurezza (espressamente ricorribile solo in caso di illegalita’ della disposta misura), e’ ritenuto proprio a tutte le statuizioni espresse e contenute in sentenza, “rientrino o meno nel perimetro dell’accordo sulla pena”, con estraneita’ al sindacato di legittimita’ della diversa fattispecie della misura di sicurezza la cui applicazione sia denunciata per vizio di motivazione (Sez. 6, n. 3819 del 19/12/2018, Boutamara, cit.).
Al contrario, valorizzandosi la unicita’ del regime di impugnazione previsto dall’articolo 448 c.p.p., comma 2-bis, per le statuizioni recettive dell’accordo e per quelle estranee allo stesso, la nozione di illegalita’ della misura di sicurezza e’ ritenuta comprensiva di tutti i casi in cui la misura sia disposta in violazione dei presupposti e dei limiti stabiliti dalla legge per la sua applicazione e anche senza motivazione o con motivazione apparente (Sez. 3, n. 4252 del 15/01/2019, Caruso, cit.), ovvero, rimarcandosi la “estraneita’ strutturale della misura di sicurezza al concordato sanzionatorio”, il cui oggetto e’ tipizzato dall’articolo 444 c.p.p., l’aspetto estraneo all’accordo e’ ritenuto ricorribile secondo le regole generali (Sez. 3, n. 30064 del 23/05/2018, Lika, cit.; conforme, Sez. 4, n. 22824 del 17/04/2018, Daouk, cit.).
7.2. La lettura alternativa proposta dalla Sezione Sesta muove, a sua volta, anche dall’esame dell’accordo sotteso alla sentenza di applicazione di pena e delle sue caratteristiche strutturali, che lo rendono vincolato sul piano contenutistico a quanto stabilito dall’articolo 444 c.p.p., e valorizza, in rapporto ai limiti della sua controllabilita’, la possibilita’ che profili pertinenti a elementi che non hanno una base concordata siano oggetto di statuizione giudiziale, ovvero che il patto abbia un oggetto piu’ ampio e riguardi elementi accessori e comunque ulteriori rispetto al nucleo tipico ed essenziale dell’accordo sulla pena.
La prima possibilita’ e’ correlata all’applicabilita’, con la sentenza, unitamente alla pena delle misure di sicurezza patrimoniali o personali, di carattere obbligatorio o facoltativo, di diversa natura e fondamento, implicanti, per l’imputato, anche la probabile irreversibile disposizione di diritti fondamentali, senza alcuna rinuncia da parte sua ai diritti e alle garanzie che caratterizza, invece, la scelta di accedere al rito del “patteggiamento”, e soggette, per il giudice, all’onere di motivare e fornire una giustificazione esterna e razionale della decisione.
Le argomentazioni svolte al riguardo sono tese a dimostrare, da un lato, la sussistenza di questioni, non risolte, indotte dalla soluzione interpretativa, che, facendo riferimento all’integrale contenuto della sentenza di origine concordata, individua nel regime impugnatorio specifico, introdotto dall’articolo 448 c.p.p., comma 2-bis, i casi di impugnazione e i punti impugnabili, con esclusione di ogni diversa censura che non sia, quanto alle misure di sicurezza, la loro illegalita’, intesa come radicale estraneita’ a sistema per mancanza di elementi di struttura, e, dall’altro lato, la sussistenza di ragioni inducenti a diverso esito impugnatorio in relazione: alla natura negoziale del rito che da’ via a un accordo sulla pena, senza possibilita’ di recesso; alla estraneita’ a tale logica di statuizioni, implicanti l’accertamento dei presupposti giustificativi del loro oggetto, e non attivita’ meramente ricognitiva, e alla esigenza della controllabilita’ di tali statuizioni.
La seconda possibilita’ e’, invece, correlata alla “compartecipazione” delle parti e del giudice nella “determinazione dalla sentenza”, che si trae dalla impostazione che si configura sulla base della interpretazione prescelta dalla Corte costituzionale (sent. n. 313 del 1990), alla cui stregua, in tema di applicazione concordata di pena, si individua nel giudice “l’organo del controllo di legalita’ che sovrintende all’accordo delle parti”, e al consolidato principio, affermato prima della riforma, della inseribilita’ nell’accordo sul trattamento sanzionatorio di pattuizione attinente alle misure di sicurezza, non vincolante per il giudice, tenuto a motivare le ragioni della sua diversa decisione.
Registrato detto principio, si osserva che il modello di compartecipazione delle parti e del giudice, legittimo con riferimento al tema principale della responsabilita’ e della sanzione, costituenti presupposti dell’accordo, puo’ essere estensibile anche alla parte relativa all’applicazione delle misure di sicurezza, in assenza di ostacoli a una estensione della logica negoziale ad altri punti della decisione e in presenza del previsto vaglio del giudice sulle prospettazioni delle parti, funzionale al rispetto dei canoni costituzionali di legalita’ e giurisdizionalita’.
La prima e la seconda possibilita’ fondano l’opzione interpretativa secondo cui, nella riaffermata centralita’ dell’accordo sulla pena, il riferimento contenuto nell’articolo 448 c.p.p., comma 2-bis, alla misura di sicurezza illegale e’ interpretabile come riferentesi alla ricorribilita’ della sentenza di “patteggiamento”, che recepisca un accordo relativo anche alla misura di sicurezza, solo se questa sia illegale, mentre, nell’ipotesi in cui tale accordo non sia recepito nella parte accessoria dal giudice, che non vi e’ obbligato, e nell’ipotesi in cui il giudice disponga una misura di sicurezza, patrimoniale e personale, su cui non e’ intervenuto alcun accordo tra le parti, il potere di impugnazione non potrebbe non ricomprendere anche il sindacato sulla motivazione del provvedimento, che deve pertanto essere specificamente svolta, e troverebbe il suo fondamento giustificativo nella norma generale di cui all’articolo 606 c.p.p., comma 1.
8. Le diverse interpretazioni proposte in ordine alla ricorribilita’ o no per cassazione per vizio di motivazione della sentenza di “patteggiamento” in ordine all’applicazione di misure di sicurezza, che delimita, come gia’ detto, il tema devoluto, si espongono a rilievi critici.
8.1. L’interpretazione, che valorizza il testo dell’articolo 448 c.p.p., comma 2-bis, e congiunte ragioni di natura sistematica e logica e di coerenza con i parametri costituzionali e convenzionali, non considera che il riferimento alla illegalita’ della misura di sicurezza come motivo di ricorso per cassazione, ove inteso come limitativo della possibilita’ di dolersi della statuizione a essa relativa, compresa o meno nell’accordo tra le parti, solo se la misura sia radicalmente estranea a sistema, prescinde da ogni riferimento coerente alla pur richiamata origine concordata del provvedimento, da un lato, e alla poliforme natura giuridica, ai presupposti applicativi, alle finalita’ delle misure di sicurezza, dall’altro lato, oltre che alle consolidate regulae iuris quanto alla motivazione, e per l’effetto alla impugnabilita’ dei suoi vizi, in punto di applicazione delle stesse misure.
In tale prospettiva la disciplina impugnatoria, se applicata come dedotto, piu’ che essere, come assunto, compatibile con i parametri costituzionali e convenzionali, si pone in contrasto, nel non consentire la ricorribilita’ delle statuizioni relative alle misure di sicurezza per vizio di motivazione, con esigenze di tutela dei diritti e, come ricordato nell’ordinanza rimettente, con il principio di proporzionalta’, che, affermato anche a livello sovranazionale dalle fonti dell’Unione (par. 3 e 4 dell’articolo 5 TUE, articolo 49 par. 3 a articolo 52 par. 1 della Carta dei diritti fondamentali) e dal sistema della CEDU, assolve “ad una funzione strumentale per un’adeguata tutela dei diritti individuali in ambito processuale penale, e ad una funzione finalistica, come parametro per verificare la giustizia della soluzione presa nel caso concreto”.
Ne’ aggiungono ragioni di concretezza alla indicata interpretazione la sua evocata favorevole rispondenza nella ratio dell’intervento riformatore, espressa nella Relazione governativa di accompagnamento dell’originario disegno di legge (A.Euro 2798 – XVII Legislatura), relativo alla predetta norma, posto, peraltro, l’espresso riferimento operato al “modulo consensuale di definizione del processo, proprio del cosiddetto patteggiamento” e al profilo transattivo, le cui condizioni sono stabilite negli articoli 444 e segg. c.p.p., ne’ il richiamo alla categoria, di incerto contenuto e di non agevole controllabilita’, della ragionevole prevedibilita’ del limitato regime impugnatorio delle misure di sicurezza all’atto della scelta del rito alternativo, comunque riferibile all’oggetto dell’accordo.
8.2. Anche l’opzione interpretativa, che riconduce alla nozione di misura di sicurezza illegale la misura applicata senza motivazione o con motivazione apparente (cui e’ anche estesa la sua omessa applicazione) rilevante come “violazione di legge” ai sensi dell’articolo 111 Cost., comma 7, non puo’ essere favorevolmente apprezzata.
Tale interpretazione, se risponde all’avvertita esigenza di cercare una soluzione ragionevole, scardina il chiaro riferimento della illegalita’, da parte della giurisprudenza di legittimita’ e delle stesse Sezioni Unite, alla pena irrogata non prevista dall’ordinamento giuridico per il caso concreto oggetto di giudizio, cosi’ collocandosi al di fuori del sistema sanzionatorio delineato dal codice penale, ovvero quella eccedente, per specie e quantita’, i relativi limiti legali, e in tali termini riferita alla misura di sicurezza
La riconduzione della illegalita’ a tutti i casi in cui le misure siano disposte (ovvero non disposte) in violazione dei presupposti e dei limiti stabiliti dalla legge, richiamando le valutazioni sottese alla loro applicazione, e’ anche in evidente contrasto con il testo normativo che utilizza il richiamo alla illegalita’ sia per la pena sia per le misure di sicurezza, salvo in ipotesi estendere anche alla pena la sindacabilita’ della violazione di legge derivante da vizio di motivazione, nella sua forma piu’ radicale di omessa o apparente motivazione, con le relative conseguenze anche in rapporto alla sindacabilita’ della pena concordata, costituente l’oggetto essenziale dell’accordo delle parti, in contrasto con la qui riaffermata distinzione delle categorie della illegittimita’ e della illegalita’ della pena e con la stessa modifica normativa dell’articolo 448 c.p.p..
8.3. Non puo’ ritenersi esaustiva l’impostazione ermeneutica che e’ favorevole alla deducibilita’ in cassazione del vizio di motivazione secondo le regole generali con riguardo al punto relativo all’applicazione delle misure di sicurezza, sostenendo la tesi del regime di impugnazione differenziato sulla base della estraneita’ delle misure di sicurezza al concordato sulla pena e della conformazione dell’onere di motivazione gravante sul giudice e del potere di impugnazione della parte al tipo di statuizione e al rapporto tra la stessa e il contenuto del patto.
L’apertura sul regime differenziato, invero, si arresta al rilievo della estraneita’ strutturale delle misure di sicurezza all’accordo che, ex articolo 444 c.p.p., puo’ riguardare solo la sanzione sostitutiva, la pena pecuniaria e la pena detentiva, si’ da indicarsi come imposta al giudice, anche in presenza di un accordo delle parti sull’applicazione della misura di sicurezza, la verifica in concreto della sussistenza dei relativi parametri applicativi, omettendosi ogni riferimento alla previsione dell’articolo 448 c.p.p., comma 2-bis.
8.4. Ne’ appare completa l’ultima opzione che, posta la fattibilita’ di un accordo a contenuto complesso in cui le parti abbiano concordato anche l’applicazione di misure di sicurezza, ipotizza che – mentre l’accoglimento dell’accordo nella sua interezza esonera il giudice dal motivare specificamente sul punto relativo all’applicazione della misura di sicurezza concordata tra le parti, e la sentenza sarebbe impugnabile entro i limiti previsti dall’articolo 448 c.p.p., comma 2-bis, – il mancato accoglimento dell’accordo nella parte accessoria imporrebbe una motivazione specifica, e una tale motivazione sarebbe richiesta anche se fosse applicata una misura di sicurezza non concordata, con deducibilita’ del relativo vizio di motivazione secondo la norma generale di cui all’articolo 606 c.p.p., comma 1.
Tale soluzione, che consente nel coerente sviluppo dato al gia’ affermato regime differenziato il controllo del vizio di motivazione delle statuizioni su punti estranei all’accordo, recuperando, riguardo alle stesse, il controllo di legalita’, e che permette una logica lettura del riferimento, nell’articolo 448 c.p.p., comma 2-bis, alla illegalita’ della misura di sicurezza, non spiega, invero, la ragione per cui l’inserimento nell’accordo di “eventuali, possibili, profili ulteriori (misura di sicurezza) (…) accidentalia negotii”, indicato come produttivo dell’esito decisionale di cui all’articolo 444 c.p.p., comma 2 se l’accordo e’ recepito nella sua interezza, con le pure indicate conseguenze quanto alla ricorribilita’ della sentenza, non determini l’effetto negativo, supposto dalla medesima norma, ove l’accordo sulla misura di sicurezza non sia accolto, piuttosto che il ricorso ex articolo 606 c.p.p. per vizio della motivazione mancante, contraddittoria o manifestamente illogica.
9. A questo punto, puo’ essere utile procedere da un piu’ ampio confronto con il significato e la incidenza dell’intervento normativo, rappresentato dall’articolo 448 c.p.p., nuovo comma 2-bis limitato nella forma al controllo della sentenza di “patteggiamento” in sede di legittimita’.
10. L’articolo 448 c.p.p., comma 2-bis, come piu’ volte rappresentato, ha introdotto per la prima volta un regime di impugnazione specifico per la sentenza resa ex articolo 444 c.p.p., disponendo, ferme restando le ulteriori disposizioni contenute nel titolo II del libro VI del codice di procedura penale, che il pubblico ministero e l’imputato possono proporre ricorso per cassazione contro detta sentenza “solo per motivi attinenti all’espressione della volonta’ dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalita’ della pena o della misura di sicurezza”.
10.1. Il riferimento specifico tra i casi di ricorso alla illegalita’ della misura di sicurezza, affiancata alla illegalita’ della pena, non e’ solo riducibile alla indicazione tassativa di un punto impugnabile, di non univoco ovvero limitato contenuto, e riconducibile a esigenze deflattive e per l’effetto limitative della ricorribilita’ per cassazione delle sentenze di applicazione della pena, avendo una valenza significante di piu’ ampia portata.
La norma si collega, invero, completandolo, a un percorso di rimodellamento del procedimento, gia’ in corso per pregressi interventi normativi con riguardo specifico, per quanto qui interessa, alla pena e alle misure di sicurezza.
10.2. Una prima rilevante innovazione e’ stata attuata, con la L. 16 dicembre 1999, n. 479, che ha introdotto, nell’articolo 444 c.p.p., innovato comma 2 la espressa previsione del giudizio sulla “congruita’ della pena”, “divenuto da criterio eccezionale operante solo in forza di un accertamento di responsabilita’ secondo lo schema delineato dall’articolo 448 c.p.p. (…) lo specimen, legislativamente predisposto, di ogni controllo del giudice, secondo uno schema costituzionalmente obbligato (…) da statuizioni demolitorie ultranovennali della Corte costituzionale (piu’ in particolare dalle sentenze 313 del 1990 e 443 del 1990)” (Sez. U, n. 17781 del 29/11/2005, Diop, cit.).
Un successivo intervento normativo, attuato con la L. 11 giugno 2003, n. 134, ha comportato che l’istituto dell’applicazione della pena su richiesta delle parti abbia “decisamente cambiato pelle” (Sez. U, Diop, cit.).
Con detta legge, ritenuta dalla Corte costituzionale (sent. n. 219 del 2004) non in contrasto con i richiamati principi costituzionali, si e’, tra l’altro, elevato il tetto di pena detentiva, previsto dall’articolo 444 c.p.p., comma 1, per l’introduzione del rito, da due a cinque anni e sono state introdotte per il nuovo patteggiamento (c.d. editio maior) preclusioni oggettive e soggettive in relazione alla gravita’ dei reati e ai casi di pericolosita’ qualificata dell’imputato, oltre alla esclusione di alcuni effetti premiali, rimasti a connotare l’applicazione della pena inferiore a due anni (c.d. editio minor).
Quanto agli effetti premiali, in particolare, si e’ prevista, nel nuovo articolo 445 c.p.p., comma 1, l’operativita’ della esenzione dal pagamento delle spese processuali, del divieto di applicare pene accessorie e misure di sicurezza (ad eccezione della confisca nei casi di cui all’articolo 240 c.p., e non piu’ solo nei casi di cui al suo comma 2) e della estinzione del reato nei termini rispettivamente previsti per i delitti e per le contravvenzioni solo nei casi in cui la pena detentiva “irrogata” non superi i due anni, soli o congiunti a pena pecuniaria, a cio’ conseguendo che, a contrario, l’editio maior comporta l’applicazione delle pene accessorie e delle misure di sicurezza, compresa la confisca nei casi previsti dall’articolo 240 c.p..
Pertanto, nel delineato contesto normativo il giudice “al verificarsi del presupposto per la confisca obbligatoria o di quella facoltativa (…) e’ tenuto ad applicarla, a prescindere dall’intervenuto accordo delle parti sul punto” (Sez. U, Diop, cit.), con la pronuncia della sentenza di applicazione della pena concordata, equiparata a una pronuncia di condanna, salve diverse disposizioni di legge, secondo il precetto che, gia’ contenuto nell’articolo 445 c.p.p., comma 1, e’ stato trasferito dalla stessa legge nel successivo nuovo comma 1-bis.
Assume univoco rilievo dimostrativo della prosecuzione con la ridetta legge dell’intrapreso rimodellamento dell’assetto normativo riguardante il “patteggiamento” proprio il riferimento fatto dall’indicato articolo 445 c.p.p., comma 1, alla pena “irrogata”, laddove si prevede che “la sentenza prevista dall’articolo 444, comma 2, quando la pena irrogata non superi (…,) non comporta (…) l’applicazione di pene accessorie e di misure di sicurezza (…)”. Si e’ al riguardo condivisibilmente affermato “che mentre la pena “applicata” esprime il contrassegno della specialita’ del rito, la pena “irrogata” designa la risultante del principio di equiparazione reso palese – nell’ineludibile unitarieta’ dell’istituto – dall’applicazione, nell’editio maior, di un regime che non puo’ che conseguire da una sentenza di condanna, e che si concentra nella condanna alle spese del procedimento e nell’applicazione delle misure di sicurezza” (Sez. U, Diop, cit.).
11. La positivizzazione del regime di impugnazione delle sentenze di applicazione della pena con l’articolo 448 c.p.p., comma 2-bis, ha all’evidenza tenuto conto dei ridetti approdi della giurisprudenza di legittimita’, nella cui sequenza e’ individuabile un oggettivo diritto vivente, e della pertinente normativa complementare gia’ incisa dalle indicate interpolazioni prescrittive, intervenute in un ambito sistematico in cui – al di la’ delle linee interpretative volte a cogliere di volta in volta il mantenuto equilibrio, funzionale alla stessa legittimita’ dell’istituto, del controllo giurisdizionale e della regolamentazione pattizia – sono rimasti apparentemente immodificati nel loro nucleo essenziale la struttura e la funzione del “patteggiamento”.
11.1. Posta, infatti, la certa interpolazione, con la L. n. 134 del 2003, dell’istituto del “patteggiamento” con la eliminazione di ogni limite all’applicazione della confisca, sussistente nel testo originario e riferito alla sole ipotesi di cui all’articolo 240 c.p., comma 2, e con l’applicazione, prevista a contrario, delle misure di sicurezza in genere quando “la pena irrogata (…) superi i due anni (…)”, e posto l’approdo della giurisprudenza di legittimita’, gia’ registrato, con il quale si e’ riconosciuta la possibilita’ alle parti processuali di inserire nel perimetro negoziale pattuizioni, come quelle afferenti alle misure di sicurezza, non necessarie ai fini e per gli effetti di cui agli articoli 444 e segg. c.p.p., e’ desumibile dal testo normativo che la novella, andando anche oltre i contenuti riferiti dalle richiamate decisioni ai casi concreti e non univocamente rappresentati quanto agli effetti della inclusione della pattuizione relativa alle misure di sicurezza nell’accordo sulla pena, ha a sua volta interpolato l’articolo 444 c.p.p..
Detta interpolazione e’ stata operata introducendosi, con valenza precettiva, un contenuto innovativo nell’oggetto del “patteggiamento”, che e’ stato ampliato con la possibilita’ che l’accordo riguardi anche le misure di sicurezza, previste espressamente come applicabili con la sentenza resa ex articolo 444, comma 2, alla stregua del disposto dell’articolo 445 c.p.p., comma 1, e gia’ ritenute dalla giurisprudenza, antecedente alla novella, inseribili nel perimetro dell’accordo processuale.
Tale rimodellamento dell’articolo 444 c.p.p. comporta, poi, per coerenza interna del sistema, che, se le misure di sicurezza sono inserite nell’accordo, la relativa pattuizione e’ vincolante e non discutibile per le parti processuali, alla pari delle pattuizioni “necessarie” (sulla pena), ove ratificata dal giudice, salva la loro illegalita’, che – denunciabile in sede di legittimita’ ex articolo 448 c.p.p., comma 2-bis, – compromette, se denunciata e ritenuta, la permanente validita’ della base negoziale sulla quale e’ maturato l’accordo, viziando la sentenza che lo ha recepito, mentre al fatto stesso della possibile inseribilita’ nell’accordo di “pattuizioni facoltative” (sulle misure di sicurezza), ulteriori rispetto al nucleo essenziale dell’accordo sulla pena, consegue che se, a seguito della richiesta di misura di sicurezza inserita nell’accordo sulla pena, non vi e’ il consenso dell’altra parte, non si forma l’accordo e non vi e’ spazio per la pronuncia della sentenza di patteggiamento “complessa”.
Sorreggono dette considerazioni concordanti rilievi di natura sistematica e logica.
11.2. Si rileva, innanzitutto, che dell’articolo 448, il comma 2-bis rubricato “provvedimenti del giudice”, segue il primo e il comma 2, che attengono alla pronuncia della sentenza nella ricorrenza delle “condizioni per accogliere la richiesta prevista dall’articolo 444, comma 1” e alla disciplina del dissenso del pubblico ministero rispetto alla stessa richiesta e ai suoi effetti, in contesto riferito alla pronuncia sul patto di cui all’articolo 444 c.p.p..
Detta annotazione fonda anche un ulteriore rilievo, correlato alla rimodulata disciplina dell’articolo 448 c.p.p., comma 1 con L. n. 479 del 1999, e al trasferimento all’articolo 444 c.p.p., comma 2, del giudizio di congruita’ della misura della pena, assurto da parametro di valutazione di natura eccezionale per la pronuncia della sentenza “dopo la chiusura del dibattimento di primo grado o nel giudizio di impugnazione”, unitamente al giudizio di ingiustificato dissenso del pubblico ministero, a oggetto necessario di ogni controllo del giudice, condizionante lo stesso accesso all’istituto del “patteggiamento”.
Conferma ulteriormente le gia’ menzionate considerazioni la circostanza che l’indicato trasferimento del criterio di congruita’ della misura della pena, pur conseguito all’intervento della Corte costituzionale (sent. n. 313 del 1990), si pone in termini di univoca premessa sistematica rispetto alla previsione, quale motivo di ricorso, della illegalita’ della pena (gia’ ritenuta congrua dal giudice che l’ha applicata), da cio’ dovendo logicamente inferirsi che il richiamo normativo congiunto alla illegalita’ della pena e della misura di sicurezza – riaffermatone il comune riferimento alla stessa nozione – esprime la scelta del legislatore di porre anche la misura di sicurezza, ove inserita nell’accordo, come oggetto, tra gli altri, del controllo del giudice ai fini e per gli effetti di cui all’articolo 444 c.p.p., conformando il predisposto meccanismo di protezione alla nuova dimensione del patto processuale.
Ne’ puo’ trascurarsi di rilevare che il possibile consentito ampliamento dell’accordo in dipendenza del suo contenuto innovativo, indotto dall’interferente sistema impugnatorio predisposto dall’articolo 448 c.p.p., comma 2-bis, e segnatamente dalla previsione del ricorso per cassazione per illegalita’ della misura di sicurezza, consente di ritenere, disvelando – attraverso la “mediazione accertativa della giurisprudenza” (cosi’ espressa da Sez. U civ., n. 15144 del 11/07/2011) – le dinamiche evolutive interne all’ordinamento, che, in linea con la direzione in cui si sta sviluppando il processo penale nel quale si assiste alla espansione dei profili patrimoniali e preventivi, e con essi alla moltiplicazione soprattutto delle misure di sicurezza patrimoniali, anche l’istituto del “patteggiamento” si stia rinnovando, adeguandosi a tale tendenza, con il riconoscimento a ciascuna delle parti della facolta’ di chiedere l’applicazione, o di dare il consenso all’applicazione, di misure di sicurezza, e quindi inserire nell’accordo anche la pattuizione alle stesse relativa, con accettazione delle conseguenze connesse e conseguenti alla pronuncia sull’intero accordo, ratificato dal giudice, della sentenza resa ex articolo 444 c.p.p., e tra queste quelle correlate alle, gia’ enunciate, caratteristiche formali, strutturali, genetiche e funzionali di detta sentenza – riguardanti la sua motivazione e la sua impugnazione.
Peraltro, nell’indicato segnato contesto relativo all’istituto del “patteggiamento” permane un rapporto tra il patto e la giurisdizione non sbilanciato a favore della componente pattizia, rivestendo essenziale rilievo anche il controllo che il giudice, secondo il modello codicistico congruente con il suo oggetto, compie sulle richieste e prospettazioni congiunte delle parti, e quindi sull’intero progetto di decisione a contenuto complesso, e che, in collegamento con il regolamentato sindacato di legittimita’ della decisione finale, se e’ un accertamento negativo in relazione alla responsabilita’, e’ positivo quanto alla verifica – oltre che in ordine alla correttezza della qualificazione giuridica del fatto, all’applicazione e alla comparazione delle circostanze e alla congruita’ della pena – anche quanto al riscontro della legalita’ della pena e della misura di sicurezza, oggetto di accordo, bilanciando il ridetto contenuto pattizio del rito.
11.3. Dall’esame delle “connotazioni testuali” dell’articolo 448 c.p.p., comma 2-bis, (Sez. U, n. 3464 del 30/11/2017, dep. 2018, Matrone, Rv. 271831), che rappresentano l’oggetto prioritario dell’attivita’ interpretativa e segnano il limite “esterno”, indicato, in ambito civile, come il limite di “tolleranza ed elasticita’ del significante testuale” (Sez. U civ., n. 15144 del 11/07/2011; Sez. U civ., n. 27341 del 23/12/2014), senza esonerare il giudice dalla ricerca dei possibili e coerenti significati autorizzati dal testo “anche alla luce del sistema normativo in cui (la norma) e’ inserita (… e) della disciplina legale dell’istituto di cui la norma e’ parte” (Sez. U, n. 40986 del 19/07/2018, Pittala’, cit.), si trae, pertanto, un coerente significato del riferimento, nel testo, alla illegalita’ della misura di sicurezza.
Tale significato della norma, come individuato, e la sua incidenza rispetto all’istituto del “patteggiamento” confermano la logica coerenza del quadro normativo, che – a fronte della riaffermata legittimita’ dello stesso istituto, del piu’ volte ribadito giudizio della sua complessiva armonia costituzionale e della riconosciuta aderenza della sua applicazione ai principi CEDU – limita a ipotesi specifiche la ricorribilita’ della sentenza di applicazione della pena, correlandole, sotto l’aspetto strutturale-sistematico, a profili particolari che hanno comunque riguardo all’aspetto negoziale del rito e anche a un oggetto, quale la misura di sicurezza, che, una volta ricompreso nell’accordo, non e’ “a peso intermedio” ma vincola il giudice a recepire l’intero accordo complesso ovvero a non pronunciare la sentenza di “patteggiamento” e prendere i consequenziali provvedimenti.
11.4. Puo’ quindi trarsi la seguente sintesi:
– se la misura di sicurezza e’ parte dell’accordo tra le parti, il giudice, nel ratificare tale accordo complesso, potra’ ricorrere a una motivazione sintetica, tipica del rito, e comunque la sentenza sara’ ricorribile per cassazione nei limiti previsti dall’articolo 448 c.p.p., comma 2-bis;
– se, a seguito del ricorso per cassazione, l’applicazione concordata della misura di sicurezza dovesse risultare “illegale”, la conseguenza sara’ l’annullamento senza rinvio della sentenza di “patteggiamento”, dal momento che la rilevata illegalita’ rende invalido l’intero accordo.
12. Discende da quanto esposto che l’applicazione, obbligatoria o facoltativa, di una misura di sicurezza, personale o patrimoniale, non concordata fra le parti, puo’ essere comunque disposta, ai sensi dell’articolo 445 c.p.p., comma 1, con la sentenza prevista dall’articolo 444, comma 2, in relazione al quantum della “pena irrogata”.
E, in tal caso, se la sentenza dispone una misura di sicurezza, sulla quale non e’ intervenuto accordo tra le parti, la statuizione relativa – che richiede accertamenti circa i previsti presupposti giustificativi e una pertinente motivazione che non ripete quella tipica della sentenza di “patteggiamento”, ed e’ inappellabile, alla luce del disposto del, tuttora vigente, articolo 448 c.p.p., comma 2, – e’ impugnabile, per coerenza dello sviluppo del ragionamento giuridico non disgiunto da esigenze di tenuta del sistema secondo postulati di unitarieta’ e completezza, con ricorso per cassazione anche per vizio della motivazione, ex articolo 606 c.p.p., comma 1.
Del resto, militano in tal senso le stesse previsioni delle richiamate norme, poiche’ non appare senza significato che la formula di cui al ridetto articolo 444 c.p.p., comma 2, (il giudice “dispone con sentenza l’applicazione (della pena) enunciando nel dispositivo che vi e’ stata la richiesta delle parti”) rinvia alla specialita’ del rito, connotato, tra l’altro, da un regime di impugnazione limitato, quanto alle misure di sicurezza, alla loro illegalita’; il riferimento alla pena irrogata nell’articolo 445 c.p.p., comma 1, rinvia piu’ direttamente al principio di equiparazione della sentenza a una pronuncia di condanna, attestato dal regime applicabile (condanna alle spese del procedimento e applicazione delle misure di sicurezza) quando la pena supera i due anni; l’articolo 448 c.p.p., comma 2, seconda parte, prevede tuttora l’inappellabilita’ della sentenza “negli altri casi”, diversi dalla ipotesi in cui e’ il pubblico ministero dissenziente legittimato all’appello, e quindi ammette il ricorso per cassazione ai sensi del vigente articolo 568 c.p.p., comma 2, nella vigenza dello stesso articolo 448 c.p.p., nuovo comma 2-bis.
13. Le ragioni esposte e le conclusioni cui si e’ pervenuti escludono che possa formare oggetto di ricorso per cassazione, a norma dell’articolo 448 c.p.p., comma 2-bis, la censura relativa alla omessa applicazione – con la sentenza di applicazione della pena concordata – di una misura di sicurezza, salvo, come e’ chiaro, che essa sia prevista per legge come obbligatoria in relazione al titolo di reato, oggetto di imputazione, soccorrendo in tal caso la disciplina generale di cui all’articolo 606 c.p.p., ovvero le possibili alternative tutele offerte dall’ordinamento, la cui natura e i cui limiti trovano la loro disciplina nelle pertinenti disposizioni che le prevedono.
14. Deve, conseguentemente, essere enunciato, a norma dell’articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 3il seguente principio di diritto:
“A seguito della introduzione della previsione di cui all’articolo 448 c.p.p., comma 2-bis, e’ ammissibile il ricorso per cassazione per vizio di motivazione contro la sentenza di applicazione di pena con riferimento alle misure di sicurezza, personali o patrimoniali, che non abbiano formato oggetto dell’accordo delle parti”.
15. Passando al caso in esame e alle posizioni dei ricorrenti con riferimento alle censure svolte contro la sentenza di applicazione della pena si osserva quanto segue, tenendo conto del principio di diritto enunciato per le parti in cui rileva.
16. Il ricorso di (OMISSIS), che attiene alla contestata disposta applicazione della misura di sicurezza della espulsione dal territorio dello Stato a pena espiata, merita accoglimento.
16.1. Detta misura, e’ stata disposta dal Giudice della udienza preliminare del Tribunale di Reggio Emilia con la sentenza impugnata, emessa il 9 novembre 2017 ex articolo 444 c.p.p., sul presupposto che l’imputata, alla quale era stata applicata la pena concordata di anni quattro di reclusione e di Euro diciottomila di multa per il delitto di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 1, fosse attualmente pericolosa, trovandosi agli arresti domiciliari.
Il ricorso, successivo come la richiesta di “patteggiamento”, alla introduzione, con L. n. 103 del 2017, dell’articolo 448 c.p.p., comma 2-bis, e’ ammissibile ai sensi dell’articolo 606 c.p.p. alla luce dell’enunciato principio di diritto, non avendo la disposta misura di sicurezza formato oggetto dell’accordo delle parti, ed e’ fondato, essendo stato omesso il necessario accertamento della pericolosita’ dell’imputata, si’ come denunciato dalla stessa anche rappresentando di essere stata anche autorizzata al lavoro in relazione alla disposta misura cautelare.
Il giudice di merito deve, invero, effettuare, anche con la sentenza di “patteggiamento” – se la misura, prevista per il reato ascritto e applicabile in relazione alla entita’ della pena irrogata e’ rimasta estranea all’accordo sulla pena – la verifica circa la sussistenza dei relativi presupposti giustificativi, dando, a sostegno dell’adottata statuizione, la pertinente e adeguata motivazione.
La verifica attiene segnatamente alla sussistenza in concreto del presupposto della pericolosita’ sociale, necessaria per la misura in oggetto, come gia’ detto, richiesta dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 86, comma 1, nei termini in cui e’ stato inciso dalla dichiarazione di parziale illegittimita’ costituzionale con sentenza n. 58 del 1995 della Corte costituzionale, e ritenuta tale dalla costante giurisprudenza di legittimita’, che, ripresa anche in sede civile (Sez. U civ., n. 15750 del 12/06/2019, Rv. 654215), ha rimarcato che, ai fini dell’applicazione di tale misura di sicurezza, si impongono il previo accertamento della sussistenza in concreto della pericolosita’ sociale del condannato sulla base delle “circostanze indicate dall’articolo 133”, cui fa rinvio l’articolo 203 c.p., comma 2, (tra le altre, Sez. 4, n. 24427 del 20/04/2018, Er Radi, Rv. 273743; sez. F, n. 35432 del 14/08/2013, Weng, Rv. 255815; Sez. 6, n. 45468 del 23/11/2010, Gjondrekaj, Rv. 248961; Sez. 4, n. 46759 del 25/10/2007, Rv. 238359), e anche, ove la pericolosita’ sussista, un esame comparativo della condizione familiare dell’imputato, se ritualmente prospettata, con gli altri criteri di valutazione indicati dall’articolo 133 c.p., in una prospettiva di bilanciamento tra l’interesse generale alla sicurezza e l’interesse del singolo alla vita familiare (tra le altre, Sez. 3, n. 20781 del 17/12/2018, El Ghazzani, cit., non mass. sul punto; Sez. 4, n. 52137 del 17/10/2017, Talbi Rv. 271257; Sez. 4, n. 50379 del 25/11/2014, Xhaferri, Rv. 261378).
16.2. La motivazione non soddisfa nella specie il criterio dell’adeguatezza e della congruenza.
Essa – e anche prescindendo dal rilievo che la ricorrente ha pure evocato documentazione inammissibilmente allegata ai motivi nuovi, e comunque relativa a fatti sopravvenuti alla pronuncia della sentenza impugnata che segna il momento dell’accertamento della condizione di pericolosita’ sociale, salva la successiva verifica della sua permanenza (tra le altre, Sez. 1, n. 1027 del 31/10/2018, dep. 2019, Argento, Rv. 274790) – e’, invero, limitata al mero richiamo, per dare contenuto al giudizio di attualita’ della pericolosita’, alla circostanza della sottoposizione della imputata alla misura degli arresti domiciliari.
Detto riferimento e’, nei termini enunciati, palesemente inconferente, tanto da potersi ritenere apparente il discorso giustificativo della decisione, risolvendosi nel rinvio a un atto extra-processuale, non allegato, ne’ descritto nel suo contenuto, e contenente, verosimilmente e per sua natura, valutazioni giustificative dell’adozione della misura cautelare degli arresti domiciliari e relative alle esigenze cautelari ex articolo 274 c.p.p., alle quali, anche quando attingono il giudizio di pericolosita’, non e’ assimilabile, per diversita’ dei parametri di riferimento, l’accertamento della condizione di pericolosita’ sociale, da compiersi, ai fini e per gli effetti dell’applicazione di una misura di sicurezza, alla stregua degli indici contenuti nell’articolo 133 c.p., commi 1 e 2 globalmente valutati.
16.3. Quanto alla questione di legittimita’ costituzionale del Decreto Legislativo n. 286 del 1998, articolo 19, comma 2 e Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 86, comma 1, per contrasto con l’articolo 3 Cost. e articolo 27 Cost., comma 3, e dell’articolo 86 anche in relazione all’articolo 4 Cost. – non preclusa solo perche’ posta con i motivi nuovi presentati nel termine di cui all’articolo 585 c.p.p., comma 4, potendo comunque valere la sua deduzione a sollecitarne l’apprezzamento, e in cio’ non vi e’ limite salvo quello posto dalla L. 11 marzo 1953, n. 87, articolo 24, comma 2, (Sez. 1, n. 36231 del 08/11/2016, dep. 2017, Curea Rv. 271042) – si rileva che gli argomenti che la sostengono sono astratti da ogni confronto con le previste regole generali presupposte dalle indicate norme.
Tali regole, secondo convergenti linee interpretative, mentre richiedono che tutte le misure di sicurezza personali devono essere ordinate con la sentenza salvo ipotesi derogatorie, nella specie non sussistenti – soltanto dopo l’accertamento in concreto, da parte del giudice procedente, che colui il quale ha commesso il fatto di rilevanza penale e’ persona socialmente pericolosa, prevedono, infatti, che l’applicazione di una misura di sicurezza diversa dalla confisca – quando, come nella specie, la sua esecuzione sia differita “a pena espiata” – postula la rivalutazione di tale accertamento, ovvero la verifica da parte del magistrato di sorveglianza della persistenza, al momento della decisione, delle condizioni di un giudizio positivo sulla pericolosita’ sociale del sottoposto avendo riguardo anche al comportamento dallo stesso tenuto durante e dopo l’espiazione della pena, pregiudicando, oltre alla fondatezza, la stessa rilevanza nel giudizio in corso della questione prospettata.
16.4. La rilevata carenza di motivazione comporta l’annullamento della sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) limitatamente alla disposta espulsione e il rinvio per nuovo giudizio, secondo la previsione dell’articolo 623 c.p.p., comma 1, lettera d), al Tribunale di Reggio Emilia, che l’ha pronunciata, individuato quale giudice del rinvio, non potendo a tal fine farsi riferimento al disposto dell’articolo 680 c.p.p., comma 2, richiamato dall’articolo 579 c.p.p., comma 2, stante la inappellabilita’ della sentenza per espressa previsione normativa.
17. I ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS), proposti congiuntamente con due distinti successivi atti, presentati nei termini di legge, sono accoglibili solo in parte.
17.1. Il primo motivo del primo atto di ricorso e’ inammissibile.
Si tratta, invero, di un motivo non deducibile con il ricorso per cassazione, attingendo la sentenza in relazione alla denunciata omessa valutazione delle condizioni per la pronuncia di sentenza di proscioglimento ai sensi dell’articolo 129 c.p.p., peraltro sinteticamente espressa, e, pertanto, per vizio non riconducibile ad alcuna delle ipotesi per le quali l’articolo 448 c.p.p., comma 2-bis, prevede il ricorso per cassazione, come in piu’ punti gia’ affermato.
Ne’ i ricorrenti, che genericamente evocano decisioni della giurisprudenza di legittimita’ antecedenti alle L. n. 103 del 2017, si correlano con il rinnovato consentito perimetro devolutivo e riconducono allo stesso il vizio dedotto.
17.2. E’ destituito di fondamento il secondo motivo del primo atto di ricorso con il quale – contestualmente impugnandosi per violazione dell’articolo 234 c.p.p. l’ordinanza, che, in data 9 novembre 2017, ha rigettato l’istanza difensiva di acquisizione della documentazione offerta in produzione per dimostrare la liceita’ della provenienza del denaro in sequestro, oggetto della richiesta di confisca del Pubblico ministero – si oppone l’omessa motivazione circa le ragioni della disposta confisca del denaro L. n. 356 del 1992, ex articolo 12-sexies.
Il motivo, che e’ ammissibile, afferendo a statuizione adottata con riguardo a misura di sicurezza non concordata fra le parti e non soggetta, pertanto, alle limitazioni della ricorribilita’ per cassazione introdotte con il predetto articolo 448 c.p.p., comma 2-bis, alla stregua del gia’ enunciato principio di diritto, non ha giuridico pregio.
17.2.1. Non sussiste, invero, la dedotta violazione dell’articolo 234 c.p., che i ricorrenti denunciano assumendo la rilevanza “di per se'” come fatto storico della documentazione, della quale hanno chiesto la produzione, rappresentata da due dichiarazioni rese davanti a un notaio in Albania da un loro cugino e da un loro fratello e da una ricevuta bancaria in lingua albanese, e la sua valenza probativa della liceita’ della somma in sequestro.
Si rileva in diritto che la Corte costituzionale, con sentenza n. 142 del 1992, con la quale ha dichiarato non fondata la questione di legittimita’ costituzionale dell’articolo 431 c.p.p., sollevata in riferimento agli articoli 76, 24 e 97 Cost., ha osservato che “l’articolo 234 c.p.p., nel consentire l’acquisizione nel processo come prove documentali “di scritti o di altri documenti che rappresentano fatti, persone o cose mediante la fotografia, la cinematografia, la fonografia o qualsiasi altro mezzo”, identifica e definisce il documento – cosi’ come precisato nella Relazione al progetto preliminare del nuovo codice – “in ragione della sua attitudine a rappresentare”, senza discriminare tra i diversi mezzi di rappresentazione e le differenti realta’ “rappresentate” e, in particolare, senza operare una distinzione (…) tra rappresentazione di fatti e rappresentazione di dichiarazioni”.
Puo’ costituire, pertanto, prova documentale anche il documento rappresentativo di una dichiarazione di scienza, ma, ferma la distinzione tra la natura e l’attitudine del documento “a rappresentare” e il contenuto della dichiarazione incorporata nel documento, la prova del contenuto, ovvero del fatto attestato nella dichiarazione, non si risolve nella prova del contenente, ovvero del documento che la contiene.
E’, in tal senso, coerente la motivazione dell’ordinanza, che, rilevata anche la mancanza di un consenso di tutte le parti, non ha ammesso la produzione documentale, osservando che le “dichiarazioni prodotte (,…) nella sostanza testimonianze”, non corrispondevano a “nessuna forma processuale nemmeno quella (relativa) alle indagini difensive” e che, rispetto alle stesse, i dichiaranti non avevano assunto nessuna responsabilita’.
17.2.2. Ne’ sono ravvisabili i denunciati vizi della sentenza, il cui corredo giustificativo della disposta confisca del denaro in sequestro ha il suo fondamento univoco nella predetta ordinanza, che, espressamente e contestualmente impugnata dagli imputati e implicitamente richiamata e confermata dal giudice, correttamente non ha ammesso la offerta produzione documentale, funzionale – nella prospettazione dei deducenti – alla dimostrazione della lecita provenienza e disponibilita’ del denaro, e nella rappresentata ammissione degli stessi imputati circa il mancato espletamento da parte loro di attivita’ lavorativa e il mancato possesso di “beni di fortuna”.
L’espresso giudizio conclusivo di totale sproporzione del denaro con il reddito dei due imputati non e’, pertanto, privo di motivazione in relazione alla pertinente previsione normativa, ne’ i ricorrenti, che inammissibilmente reclamano una rinnovata lettura della documentazione non acquisita, che allegano al ricorso, si correlano con la esaustivita’ delle argomentazioni svolte, limitandosi a evocarne in termini generici la sinteticita’ come espressione di generalizzata omissione.
17.3. Deve, invece, essere accolto l’unico motivo del secondo atto di ricorso, con il quale (OMISSIS) e (OMISSIS) si dolgono della omessa motivazione in ordine all’applicazione nei loro confronti della misura di sicurezza della espulsione dal territorio dello Stato a pena espiata, ordinata sulla base del solo rilievo che per essi – cui e’ stata applicata la pena di anni quattro di reclusione e di Euro diciottomila di multa per il delitto di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 1, – fosse ancora attuale la pericolosita’, in quanto “si trovano tutti agli arresti domiciliari”.
Detti ricorrenti anche per questa misura non hanno inserito alcuna pattuizione nell’accordo sulla pena e, per l’effetto, non e’ loro precluso, avuto riguardo all’enunciato principio, il ricorso per cassazione secondo la disciplina generale di cui all’articolo 606 c.p.p..
La sostanziale mancanza di motivazione, che connota la decisione, gia’ rilevata con riferimento alla ricorrente (OMISSIS), conduce allo stesso epilogo decisorio, e, per l’effetto, all’annullamento della sentenza limitatamente alla loro disposta espulsione, con rinvio per nuovo giudizio sul punto al Tribunale di Reggio Emilia.
17.4. I ricorsi, in tali limiti accolti, devono essere, in definitiva, rigettati nel resto.
A detta statuizione di rigetto non segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali per effetto dell’accoglimento dell’ultimo motivo della impugnazione. Trova, infatti, applicazione il principio secondo il quale “al parziale accoglimento dell’impugnazione dell’imputato deve conseguire l’esclusione della sua condanna alle spese del procedimento di impugnazione” (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207947).
18. L’applicazione della regola della formazione progressiva del giudicato e l’autonomia della disposizione annullata, relativa alla sola misura di sicurezza della espulsione, comportano, infine, per tutti i ricorrenti, la irrevocabilita’ della sentenza impugnata, che si dichiara, quanto all’accertamento di responsabilita’, alle pene applicate e alla confisca (Sez. U, n. 20 del 09/10/1996, Vitale, Rv. 206170).

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla disposta espulsione e rinvia per nuovo giudizio sul punto al Tribunale di Reggio Emilia.
Rigetta nel resto i ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS).
Dichiara irrevocabile la sentenza quanto all’accertamento di responsabilita’, alle pene applicate e alla confisca.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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