In base al principio di effettività

Consiglio di Stato, sezione sesta, Sentenza 2 dicembre 2019, n. 8236.

La massima estrapolata:

In base al principio di effettività, una volta che l’ente locale abbia esercitato i propri poteri aventi per oggetto un bene immobile ritenuto rientrante nel proprio territorio, il medesimo ente locale ben può continuare ad esercitare i suoi poteri.

Sentenza 2 dicembre 2019, n. 8236

Data udienza 26 novembre 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sull’appello n. 8848 del 2013, proposto dai signori Ab. Lu. ed Emanuela Stampeggioni, rappresentati e difesi dagli avvocati Ri. Bi. e Al. Bi., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Al. Bi. in Roma, via (…);
contro
Il Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Gi. Gi., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Ba. Gi. in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Prima n. 6723/2013, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis);
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza del giorno 26 novembre 2019 il pres. Luigi Maruotti e uditi l’avvocato Al. Bi. e l’avvocato Pa. St. Ri., su delega dell’avocato Gi. Gi.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Il Comune di (omissis), con l’ordinanza n. 364 del 30 novembre 2000, ha ordinato agli appellanti di demolire due baracche e un muro di confine, realizzati in assenza di concessione edilizia in via (omissis).
Gli interessati hanno effettuato ulteriori opere senza titolo, realizzando un fabbricato avente le dimensioni di circa 200 metri quadrati, per il quale in data 10 dicembre 2004 è stata presentata una domanda di condono edilizio.
Il Comune ha respinto la domanda di condono in data 26 marzo 2007 e, con l’ordinanza n. 17bis del 10 aprile 2007, ha ordinato la demolizione del manufatto e il ripristino dei luoghi.
2. Il Comune, con il provvedimento impugnato n. 11497 del 25 marzo 2013, ha poi constatato che non è stata data esecuzione all’ordine di demolizione di data 10 aprile 2007 ed ha disposto l’acquisizione dei manufatti al patrimonio comunale e il loro sgombero.
3. Con il ricorso di primo grado n. 5837 del 2013 (proposto al TAR per il Lazio, Sede di Roma), gli interessati hanno impugnato l’atto di acquisizione di data 25 marzo 2013, chiedendone l’annullamento.
4. Il TAR, con la sentenza n. 6723 del 2013, ha respinto il ricorso ed ha condannato i soccombenti al pagamento delle spese del giudizio.
5. Con l’appello in esame, gli interessati hanno impugnato la sentenza del TAR ed hanno chiesto che, in sua riforma, il ricorso di primo grado sia accolto.
Il Comune di (omissis) si è costituito in giudizio e, con una memoria depositata in data 29 ottobre 2019, ha chiesto che l’appello sia respinto.
6. L’atto d’appello, dopo aver esposto i fatti accaduti (pp. 1-8), si compone di tre motivi.
7. Col primo motivo, è dedotta l’incompetenza dell’autorità emanante, poiché l’immobile in questione si troverebbe nel territorio del Comune di (omissis).
Ciò risulterebbe dalle visure e dalle planimetrie catastali, il che avrebbe determinato vari profili di eccesso di potere e la violazione dell’art. 31 del testo unico n. 380 del 2001 e dell’art. 8 della legge della Regione Lazio n. 15 del 2015.
8. Così sintetizzate le deduzioni degli appellanti, esse vanno respinte perché infondate.
8.1. Va condivisa la statuizione del TAR, secondo cui risulta inammissibile la corrispondente censura di primo grado, dal momento che non è stata impugnata la precedente ordinanza comunale n. 17bis del 10 aprile 2007, emessa dallo stesso Comune di (omissis).
8.2. La censura risulta inoltre infondata, poiché non hanno rilievo le risultanze catastali, richiamate dagli interessati.
La legge della Regione Lazio n. 69 del 25 settembre 1974 ha disposto la separazione del Comune di (omissis) dal Comune di (omissis).
Da molteplici univoci elementi, risulta che il manufatto in questione ricade attualmente nel territorio del Comune di (omissis):
a) gli appellanti risultano residenti nel medesimo manufatto e si sono dichiarati residenti nel territorio del Comune di (omissis), anche col ricorso d’appello;
b) essi hanno chiesto al Comune di (omissis) il rilascio di un condono edilizio;
c) il Comune di (omissis) ha emesso tutti gli atti che hanno riguardato l’area in questione, sia gli ordini di demolizione, sia il diniego di condono, sia l’atto – impugnato in primo grado – di acquisizione del bene al patrimonio comunale.
8.3. Va inoltre richiamato il principio di effettività, che riguarda l’esercizio dei poteri pubblici con riferimento alla determinazione del territorio degli enti locali.
In base a tale principio, una volta che l’ente locale abbia esercitato i propri poteri aventi per oggetto un bene immobile ritenuto rientrante nel proprio territorio, il medesimo ente locale ben può continuare ad esercitare i suoi poteri.
Di tale ulteriore esercizio si può dolere unicamente l’ente locale che, in ipotesi, ritenga violato l’atto che abbia riguardato nel passato la determinazione dei confini tra i Comuni e che, dunque, proponga un ricorso in sede di giurisdizione amministrativa per la corretta determinazione dei medesimi confini.
Nella specie, il Comune di (omissis) non ha posto in essere alcuna iniziativa per contestare l’esercizio dei poteri da parte del Comune di (omissis) con riferimento all’area in questione, sicché anche tale circostanza comporta la reiezione della censura.
9. Col secondo motivo, è dedotto che uno degli appellanti non avrebbe ricevuto la notifica del precedente ordine di demolizione.
Col terzo motivo, è dedotto che l’acquisizione non poteva essere disposta nei confronti di uno degli appellanti, che non potrebbe essere considerato responsabile dell’abuso, anche in considerazione dell’art. 15, comma 5, della legge regionale n. 15 del 2008.
10. Le censure vanno esaminate congiuntamente, per la loro connessione.
Esse vanno respinte, perché infondate.
Come ha correttamente rilevato il TAR, l’atto di acquisizione è legittimamente rivolto nei confronti di due comproprietari, quando risulti che essi abbiano concausato l’illecito.
Il contributo causale può esservi o con una attività materiale riconducibile ad entrambi, o anche con una attività materiale riconducibile ad uno di essi, avverso la quale l’altro comproprietario non si sia opposto, pur avendone la possibilità di farlo.
Nella specie, è incontrovertibile che entrambi gli appellanti vadano considerati responsabili dell’abuso.
Essi risultano comproprietari del bene e nel corso del tempo hanno entrambi gestito il bene.
L’appellante che in questa sede ha dichiarato di non essere responsabile degli abusi non solo non ha fornito alcun elemento tale da evidenziare come abbia cercato di impedire la loro realizzazione, ad es., una iniziativa innanzi all’autorità giudiziaria (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, n. 4547 del 2017; Sez. VI, 358 del 2016), ma ha anche a suo tempo presentato la domanda di condono (tale circostanza è stata riferita dal Comune nella sua memoria difensiva e non è stata oggetto di contestazione).
11. Per le ragioni che precedono, l’appello va respinto.
La condanna al pagamento delle spese del secondo grado segue la soccombenza. Di essa è fatta liquidazione nel dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta respinge l’appello n. 8848 del 2019.
Condanna gli appellanti, in solido tra loro, al pagamento di euro quattromila, oltre agli accessori di legge, per spese ed onorari del secondo grado del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, presso la sede del Consiglio di Stato, Palazzo Sp., nella camera di consiglio del giorno 26 novembre 2019, con l’intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti – Presidente, Estensore
Oreste Mario Caputo – Consigliere
Francesco Gambato Spisani – Consigliere
Giovanni Sabbato – Consigliere
Davide Ponte – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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