Impugnativa autonoma del bando proposta nella qualità di mero partecipante

Consiglio di Stato, sezione quinta, Sentenza 28 giugno 2019, n. 4463.

La massima estrapolata:

L’impugnativa autonoma del bando proposta nella qualità di mero partecipante alla procedura è inammissibile in mancanza della deduzione di vizi comportanti l’esclusione dalla partecipazione alla gara, per carenza di una lesione concreta e attuale (e quindi per carenza di interesse), considerato che, in tal caso, la lesione si verifica (e l’interesse sorge) solo a seguito dell’eventuale esito finale negativo della procedura: la lesione da cui deriva, ex art. 100 Cod. proc. civ., l’interesse a ricorrere deve infatti costituire “una conseguenza immediata e diretta del provvedimento dell’Amministrazione e dell’assetto di interessi con esso introdotto, deve essere concreta e non meramente potenziale, e deve persistere al momento della decisione del ricorso.

Sentenza 28 giugno 2019, n. 4463

Data udienza 14 marzo 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quinta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello numero di registro generale 1774 del 2018, proposto da
St. En. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati An. Be., Lu. Me. e Cl. Mo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso lo studio di questi ultimi in Roma, via (…);
contro
Sh.Be. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Gu. Ba., Ma. Al. Ba. e An. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso lo studio di questi ultimi in Roma, via (…);
nei confronti
Comune di Milano, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati An. Ma., St. Pa., Em. Lu. Pr., Da. Pa., Sa. Ma. Li., Sa. Pa. e Gi. Le., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via (…);

sul ricorso in appello numero di registro generale 1844 del 2018, proposto da
Comune di Milano, persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati An. Ma., St. Pa., Sa. Pa. e Gi. Le., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via (…);
contro
Sh.Be. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Gu. Ba., Ma. Al. Ba. e An. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via (…);
nei confronti
St. En. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati An. Be., Lu. Me. e Cl. Mo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso lo studio di questi ultimi in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia (sezione quarta) n. 02306/2017, resa tra le parti.
Visto il ricorso in appello n. 1774 del 2018 di St. En. s.r.l.;
Visto il ricorso in appello n. 1844 del 2018 del Comune di Milano;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Sh.Be. s.r.l. in entrambi gli appelli;
Vito l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Milano nell’appello n. 1174 del 2018;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di St. En. s.r.l. nell’appello n. 1844 del 2018;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del 14 marzo 2019 il Cons. Anna Bottiglieri e uditi per le parti gli avvocati Cl. Mo., Ma. Al. Ba., An. Ma. e An. Ma.;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

FATTO

1. Con bando n. 249 del 2016 il Comune di Milano, in attuazione delle linee di indirizzo espresse dalla Giunta comunale con deliberazione n. 724 del 2016, indiceva una procedura a evidenza pubblica per l’affidamento in concessione d’uso per attività culturali e di spettacolo, per dodici anni, del Teatro Li. sito in via (omissis), da aggiudicarsi secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
Partecipavano alla gara St. En. s.r.l. e Sh.Be. s.r.l., conseguendo un punteggio pari rispettivamente a 86,80, e 73,91 punti. St. En. si aggiudicava la procedura.
Sh.Be. impugnava l’aggiudicazione e tutti gli atti presupposti, ivi compreso il bando e la delibera giuntale n. 724/2016, innanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia. Domandava l’annullamento degli atti gravati, la declaratoria di inefficacia della convenzione eventualmente stipulata dal Comune con St. En., il subentro nella stessa e la condanna dell’Amministrazione al risarcimento del danno in suo favore.
Nel giudizio così instaurato il Comune di Milano si costituiva in resistenza e St. En. proponeva ricorso incidentale subordinato.
2. L’adito Tribunale, con sentenza n. 2306/2017 della sezione quarta, accoglieva il ricorso di Sh.Be., annullando tutti gli atti gravati. Dichiarava l’improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse del ricorso incidentale. Condannava le parti soccombenti alle spese di lite.
Nel giungere a tali conclusioni il primo giudice, in estrema sintesi:
– osservava che la gara aveva a oggetto una concessione in uso di un bene pubblico demaniale con vincolo di interesse culturale, ma le previsioni del bando facevano trasparire la sussistenza anche di una concessione di lavori pubblici (il completamento delle parti del Teatro “al rustico”) e di una concessione di servizi (la proposta artistica e gestionale);
– riteneva che le diverse parti della concessione mista di cui sopra non fossero oggettivamente separabili;
– rilevava la necessità di individuare il regime giuridico applicabile alla gara in base all’oggetto principale del contratto, ai sensi dell’art. 169, comma 8 del d.lgs. 50 del 2016. Tanto in ragione della censura subordinata svolta nell’ultimo motivo del ricorso di Sh.Be., che, esponendo trattarsi di una concessione di servizio pubblico, aveva denunziato la violazione delle norme procedurali del Codice dei contratti pubblici nonchè l’incompetenza della Giunta all’adozione delle linee di indirizzo della gara, trattandosi di attribuzione del Consiglio comunale, ex art. 42, comma 2 del d.lgs. 267/2000;
– riteneva, in applicazione dell’Adunanza Plenaria di questo Consiglio di Stato n. 5 del 2015, la priorità dell’esame della predetta censura di incompetenza rispetto a ogni altra censura del ricorso principale e del ricorso incidentale, perché idonea a travolgere tutti gli atti di gara per illegittimità derivata;
– osservava che la censura era retta dall’interesse strumentale della deducente corrispondente alla possibilità di partecipare a una nuova procedura avente a oggetto lo stesso bene;
– riteneva che l’oggetto principale della concessione mista fosse la concessione di un servizio pubblico;
– rilevava che il Consiglio comunale di Milano, pur avendo previsto nella deliberazione n. 20 del 2015 la futura “messa a bando” del Teatro, non aveva predisposto il quadro della disciplina della concessione del servizio, che era stata integralmente individuata dalla Giunta, e che, in ogni caso, anche nella opposta ipotesi, sarebbe residuato il vizio dello svolgimento della gara al di fuori delle regole del Codice dei contratti pubblici;
– riteneva, pertanto, fondato il motivo subordinato di cui sopra;
– riteneva, ad abundantiam, anche la fondatezza del primo motivo del ricorso principale, con cui Sh.Be. aveva lamentato che l’aggiudicataria, a fronte dell’inserimento nel proprio programma di un numero rilevante di produzioni proprie, non aveva indicato una corrispondente voce di costo nel piano di fattibilità economico-finanziaria.
3. St. En. ha proposto appello avverso la predetta sentenza, deducendo: I) Omessa rilevazione della tardività della doglianza volta a denunciare il vizio di incompetenza (relativo) che avrebbe inficiato la definizione delle regole di gara; II) Violazione e falsa applicazione degli artt. 164 e 169, comma 8 del d.lgs n. 50/2016, erronea, carente e contraddittoria motivazione; III) Violazione e falsa applicazione della lex specialis della procedura.
Ha poi riproposto le doglianze del ricorso incidentale subordinato dichiarato improcedibile (1. Violazione della lex specialis della selezione, eccesso di potere per contraddittorietà, perplessità, travisamento, erroneità, irragionevolezza e difetto di istruttoria, violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della legge n. 241/1990; 2. Violazione della lex specialis e dell’avviso di gara, punto 4, lett. B, pag. 9).
Ha indi domandato, in via principale, la riforma della sentenza appellata e la declaratoria di inammissibilità o di infondatezza del ricorso di primo grado della Sh.Be., in via subordinata, l’accoglimento dei motivi dedotti con il ricorso incidentale proposto in prime cure.
4. Il Comune di Milano si è costituito in giudizio e, rappresentato di aver proposto autonomo appello avverso la sentenza oggetto dell’appello di St. En., ha aderito alle domande principali formulate da quest’ultima.
5. A sua volta, Sh.Be. si è costituita in resistenza, concludendo per la declaratoria della irricevibilità, inammissibilità e infondatezza dell’appello di St. En. e riproponendo, ai sensi dell’art. 101, comma 2, Cod. proc. amm., i motivi del suo ricorso di primo grado assorbiti o non esaminati nella sentenza appellata (1. Violazione della lex specialis come in esposizione, contraddittorietà, perplessità, travisamento, difetto di istruttoria, difetto di motivazione, erroneità, irragionevolezza, violazione art. 97 Cost., violazione art. 1 l. 241/1990, violazione r.d. 827/1924; 2. Violazione lex specialis come in esposizione, difetto di istruttoria, difetto di motivazione, contraddittorietà, travisamento, erroneità, irragionevolezza, violazione art. 97 Cost., violazione art. 1 l. 241/1990, violazione r.d. 827/1924, perplessità ; 3. Violazione lex specialis come in esposizione, difetto di istruttoria, violazione par condicio, violazione principio di buon andamento, contraddittorietà, violazione art. 97 Cost., violazione artt. 1 e 3 l. 241/1990, violazione r.d. 827/1924; 4. Violazione lex specialis come in esposizione, travisamento, difetto di istruttoria, violazione art. 97 Cost., violazione art. 1 l. 241/1990, violazione r.d. 827/1924; 5. Violazione lex specialis come in esposizione, travisamento, difetto di istruttoria, violazione art. 97 Cost., violazione art. 1 l. 241/1990, violazione r.d. 827/1924; 6. Violazione lex specialis come in esposizione, violazione art. 97 Cost., violazione trasparenza, violazione principi di pubblicità, violazione par condicio, violazione art. 1 l. 241/1990, violazione r.d. 827/1924; 7. Violazione d.lgs. 163/2006 e d.lgs. 50/2016, violazione r.d. 827/1924, violazione art. 42 d.lgs. 267/2000, incompetenza).
Sh.Be. ha indi rinnovato le domande istruttorie e demolitorie già formulate in primo grado e riproposto la domanda di risarcimento del danno per equivalente, per l’ipotesi di sospensione in sede di appello della sentenza impugnata, tale da non consentire il risarcimento in forma specifica.
6. Come sopra accennato, anche il Comune di Milano ha proposto appello autonomo avverso la sentenza del Tar Milano n. 02306/2017, deducendo: I) Inammissibilità del ricorso di primo grado; II) Insussistenza del servizio pubblico teatrale nella città di Milano; III) Sussistenza di una concessione d’uso del Teatro Li.; IV) Insussistenza degli indici qualificanti l’attività come pubblico servizio; V) Sull’offerta di St. En..
Ha concluso per l’annullamento della sentenza gravata e la conferma della legittimità degli atti impugnati da Sh.Be. S.r.l. in primo grado.
7. Sh.Be. si è costituita in resistenza anche in questo giudizio, riproponendo, ai sensi dell’art. 101, comma 2, Cod. proc. amm., i motivi del suo ricorso di primo grado assorbiti o non esaminati nella sentenza appellata, e formulando le medesime conclusioni già avanzate nell’ambito dell’appello di St. En..
8. St. En., a sua volta, si è costituita in giudizio concludendo per l’accoglimento dell’appello del Comune di Milano.
9. Le parti hanno affidato a memorie lo sviluppo delle tesi difensive avanzate nei predetti appelli.
10. Gli appelli autonomi in parola sono stati congiuntamente chiamati e trattenuti in decisione alla pubblica udienza del 14 marzo 2019

DIRITTO

1. Con sentenza n. 2306/2017 il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia (sezione quarta) ha qualificato la gara per l’affidamento in concessione d’uso del Teatro Li. bandita dal Comune di Milano con atto n. 249 del 2016, attuativo delle linee di indirizzo di cui alla delibera della Giunta comunale n. 724 del 2016, come finalizzata a una concessione mista (di uso; di lavori pubblici; di servizi) e ne ha individuato l’oggetto principale, ai sensi dell’art. 169, comma 8 del d.lgs. 50 del 2016, nella concessione del servizio pubblico teatrale.
Ha indi ritenuto fondata sia la doglianza subordinata assorbente con cui Sh.Be. s.r.l., nell’ambito del ricorso principale proposto avverso l’aggiudicazione della gara a St. En. s.r.l., ha denunziato l’illegittimità di tutti gli atti di gara per l’incompetenza della Giunta comunale di Milano a dettare le linee di indirizzo della procedura selettiva, trattandosi di attribuzione del Consiglio comunale, ex art. 42, comma 2 del d.lgs. 267/2000, sia, ad abundatiam, la prima censura dello stesso ricorso, diretta avverso l’aggiudicazione.
Ha pertanto accolto il ricorso di Sh.Be., annullando per l’effetto tutti gli atti impugnati e dichiarato conseguentemente l’improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse del ricorso incidentale subordinato proposto da St. En..
2. Avverso la predetta sentenza St. En. e il Comune di Milano hanno proposto gli autonomi appelli in trattazione.
Essi vanno riuniti ai sensi dell’art. 96, comma 1 del Codice del processo amministrativo, che stabilisce che tutte le impugnazioni proposte separatamente contro la stessa sentenza devono essere riunite in un solo processo.
3. Con il primo motivo dei rispettivi appelli St. En. e il Comune di Milano affermano l’erroneità della sentenza appellata nel non aver rilevato, d’ufficio, la tardività e la carenza di interesse delle censure che Sh.Be. ha diretto avverso il bando della gara de qua e l’atto a esso presupposto.
I mezzi non sono fondati.
3.1. Per la giurisprudenza, l’impugnativa autonoma del bando proposta nella qualità di mero partecipante alla procedura è inammissibile in mancanza della deduzione di vizi comportanti l’esclusione dalla partecipazione alla gara, per carenza di una lesione concreta e attuale (e quindi per carenza di interesse), considerato che, in tal caso, la lesione si verifica (e l’interesse sorge) solo a seguito dell’eventuale esito finale negativo della procedura: la lesione da cui deriva, ex art. 100 Cod. proc. civ., l’interesse a ricorrere deve infatti costituire “una conseguenza immediata e diretta del provvedimento dell’Amministrazione e dell’assetto di interessi con esso introdotto, deve essere concreta e non meramente potenziale, e deve persistere al momento della decisione del ricorso” (così Cons. Stato, Ad. Plen. 29 gennaio 2003, n. 1).
Infatti, a fronte di una clausola illegittima della lex specialis, il concorrente non è ancora titolare di un interesse attuale all’impugnazione, poiché non sa ancora se l’astratta e potenziale illegittimità della clausola si risolverà in un esito negativo della sua partecipazione alla procedura concorsuale, e quindi in una effettiva lesione della situazione soggettiva che solo da tale esito può derivare (Cons. Stato, V, 3 giugno 2015, n. 2713; 16 settembre 2011, n. 5188; 24 agosto 2010, n. 5919; VI, 8 febbraio 2016, n. 510; III, 10 dicembre 2013, n. 5909.
La predetta pronunzia n. 1 del 2003 è stata confermata dalle successive pronunzie dell’Adunanza plenaria 7 aprile 2011, n. 4 e 26 aprile 2018, n. 4. Quest’ultima, in particolare, ha rammentato che: a) la regola generale è quella per cui soltanto colui che ha partecipato alla gara è legittimato a impugnare l’esito della medesima, in quanto soltanto a quest’ultimo è riconoscibile una posizione differenziata; b) i bandi di gara e di concorso e le lettere di invito vanno normalmente impugnati unitamente agli atti che di essi fanno applicazione, dal momento che sono questi ultimi a identificare in concreto il soggetto leso dal provvedimento e a rendere attuale e concreta la lesione della situazione soggettiva dell’interessato; c) tuttavia, possono essere enucleate alcune eccezioni a tale principio generale, individuandosi taluni casi in cui deve essere impugnato immediatamente il bando di gara, nonché particolari fattispecie in cui a tale impugnazione immediata deve ritenersi legittimato anche colui che non ha proposto la domanda di partecipazione.
Tali ultime ipotesi eccezionali sono state tradizionalmente rinvenute dalla giurisprudenza laddove: I) si contesti in radice l’indizione della gara; II) all’inverso, si contesti che una gara sia mancata, avendo l’amministrazione disposto l’affidamento in via diretta del contratto; III) si impugnino direttamente le clausole del bando assumendo che le stesse siano immediatamente escludenti.
Come riconosciuto dall’Adunanza plenaria n. 4 del 2018, la giurisprudenza ha poi fatto rientrare nel genus delle “clausole immediatamente escludenti” anche le fattispecie di: clausole impositive, ai fini della partecipazione, di oneri manifestamente incomprensibili o del tutto sproporzionati per eccesso rispetto ai contenuti della procedura concorsuale; regole che rendano la partecipazione incongruamente difficoltosa o addirittura impossibile; disposizioni abnormi o irragionevoli che rendano impossibile il calcolo di convenienza tecnica ed economica ai fini della partecipazione alla gara, ovvero prevedano abbreviazioni irragionevoli dei termini per la presentazione dell’offerta; condizioni negoziali che rendano il rapporto contrattuale eccessivamente oneroso e obiettivamente non conveniente; clausole impositive di obblighi contra ius; bandi contenenti gravi carenze nell’indicazione di dati essenziali per la formulazione dell’offerta, ovvero che presentino formule matematiche del tutto errate; atti di gara del tutto mancanti della prescritta indicazione nel bando di gara dei costi della sicurezza “non soggetti a ribasso”.
L’Adunanza Plenaria n. 4 del 2018 non ha, invece, accolto la tesi di cui all’ordinanza di questo Consiglio di Stato, Sezione III, 2 maggio 2017, n. 2014 – qui invocata dalle parti appellanti – dell’ammissibilità di un ricorso autonomamente rivolto avverso un bando di gara per l’illegittima adozione del criterio di aggiudicazione, escludendo che l’evenienza possa essere ascritta al novero delle “clausole del bando immediatamente escludenti” anche per come delineate, in senso ampliativo, dalla giurisprudenza amministrativa.
3.2. Applicando tali coordinate al caso di specie, si osserva che il bando della gara per cui è causa non contiene clausole immediatamente escludenti, sicchè esso non sfugge alla regola generale secondo cui la lex specialis è impugnabile unitamente all’atto applicativo conclusivo del procedimento concorsuale: non ricorre, indi, l’ipotesi, ventilata dalle appellanti, della necessità di una sua impugnazione autonoma, che avrebbe reso tardiva quella proposta da Sh.Be. in uno all’aggiudicazione.
E’, pertanto, condivisibile che il primo giudice non abbia rilevato la tardività della censura di incompetenza proposta da Sh.Be. avverso il bando e la presupposta delibera giuntale.
E’ parimenti condivisibile il rilievo del primo giudice che l’interesse di Sh.Be. alla proposizione della censura è strumentale, e corrisponde alla possibilità della medesima di partecipare a una nuova gara avente a oggetto lo stesso bene.
3.3. Il primo motivo di entrambi gli appelli riuniti va, pertanto, respinto.
4. Con il secondo motivo del proprio appello St. En. sostiene l’erroneità di tutti i passaggi motivazionali con cui la sentenza appellata ha ritenuto trattarsi, nella specie, non di una concessione di un bene pubblico (il Teatro Li.), come espressamente previsto dalla ridetta richiamata deliberazione della Giunta del comune di Milano n. 724 del 2016 e dal bando della gara de qua, bensì di una concessione mista, avente a oggetto prevalente un servizio pubblico locale (teatrale).
La stessa tesi è sostenuta dal Comune di Milano con il secondo, il terzo e il quarto motivo del proprio appello.
Tutte tali censure impongono di accertare se il giudice di primo grado abbia correttamente individuato la natura giuridica dell’affidamento.
Esse, pertanto, possono essere trattate congiuntamente.
5. Ai sensi dell’art. 6 del d.-l. 28 febbraio 1983, n. 55, convertito dalla l. 26 aprile 1983, n. 131 e del decreto del Ministero dell’interno 31 dicembre 1983, articolo unico, n. 16), l’attività teatrale è contemplata, insieme ai musei, alle pinacoteche, alle gallerie e alle mostre, tra i servizi pubblici a domanda individuale: si tratta indi di un servizio che l’ente pubblico può scegliere o meno di istituire.
Una tale scelta, di carattere politico-amministrativa, pertiene nella fattispecie al Comune di Milano: si tratta infatti del Teatro Li., bene che il Comune ha acquistato nel 1927, e che, come emerge dagli atti di causa, è soggetto a vincolo architettonico ai sensi dell’art. 10 della legge n. 42/2004 e al regime del demanio pubblico.
Viene pertanto in rilievo il d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, che, all’art. 112, comma 1, stabilisce che “gli enti locali, nell’ambito delle rispettive competenze, provvedono alla gestione dei servizi pubblici che abbiano per oggetto produzione di beni ed attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali”, e all’art. 42 attribuisce la competenza alla organizzazione e concessione dei servizi pubblici al Consiglio comunale.
Rileva, altresì, la giurisprudenza amministrativa (per tutte, Adunanza plenaria n. 7 del 2014) che, per differenziarla dall’appalto, ha indicato gli indici ritenuti, nel tempo, come qualificanti una concessione di servizio pubblico locale, di rilievo economico e a domanda individuale.
Essi sono:
– la presenza di un autentico servizio pubblico locale rivolto alla produzione di beni e utilità per obiettive esigenze sociali, ovvero, secondo il linguaggio dell’Unione europea (artt. 16 e 86 del Trattato FUE), di un servizio di interesse economico generale che viene a svolgere una funzione essenziale nell’ambito della costituzione economica di tutti i Paesi membri, dovendosi intendere per tale quello rivolto all’utenza, capace di soddisfare interessi generali e di garantire una redditività, del quale i cittadini usufruiscono uti singuli e come componenti la collettività ;
– la prestazione a carico degli utenti, che si riscontra tipicamente nei servizi a domanda individuale;
– l’assunzione a carico del concessionario del rischio economico relativo alla gestione del servizio;
– la preordinazione dell’attività a soddisfare in modo diretto esigenze proprie di una platea indifferenziata di utenti, tendenzialmente a tempo indeterminato o comunque per un periodo di lunga durata;
– la sottoposizione del gestore a una serie di obblighi, tra i quali quelli di esercizio e tariffari, volti a conformare l’espletamento dell’attività a regole di continuità, regolarità, capacità tecnico-professionale e qualità, perché ciò che connota in modo rilevante la natura di servizio pubblico è il conseguimento di fini sociali a favore della collettività per il tramite dell’attività svolta dal gestore;
– la delega traslativa di poteri organizzatori dall’ente al privato, che deve esprimere, al di là del nomen iuris impiegato dalla legge di gara (concessione, assegnazione, affidamento, contratto di servizio, atto di incarico), la sostanza di un atto di organizzazione e, segnatamente, la proiezione esterna dell’utilitas perseguita con l’atto concessorio in ordine all’esternalizzazione del servizio affidato in gestione al privato, che, a sua volta, ottiene il vantaggio costituito dalla possibilità di esigere un prezzo (tariffa) nei confronti degli utenti, comprensivo del suo utile;
– la struttura trilaterale del rapporto (amministrazione; gestore; utenti).
6. Alla luce delle predette coordinate, i motivi in esame sono fondati.
7. Il giudice di primo grado è correttamente partito dal presupposto che il servizio teatrale è uno di quei servizi la cui gestione, in via diretta o tramite rapporto concessorio, ai sensi del citato art. 112 del Tuel, può essere assunta dall’Amministrazione comunale.
Ha poi richiamato, altrettanto correttamente, la giurisprudenza che richiede, nella verifica della presenza o meno di un servizio pubblico, la sussistenza dell’elemento soggettivo, oltre che quello oggettivo, della relativa fattispecie (Cons. Stato, V, 2 maggio 2013, n. 2396; VI, 13 settembre 2012, n. 4870; V, 13 dicembre 2006, n. 7369).
8. La ricostruzione del primo giudice non è però convincente laddove ha individuato nella procedura in esame l’elemento soggettivo e oggettivo della concessione di servizio pubblico.
9. Quanto all’elemento soggettivo, nessuno degli atti presi in considerazione dal primo giudice permette di rinvenire la scelta polito-gestionale dell’Amministrazione comunale di assumere il servizio pubblico teatrale di cui trattasi.
In particolare, tale scelta non è rinvenibile nel Piano di servizi allegato al Piano di governo del territorio-PGT del Comune di Milano, strumento pianificatorio disciplinato dagli artt. 6 e ss. della l.r. Lombardia 11 marzo 2005, n. 12.
Di tanto, del resto, si avvede lo stesso giudice di prime cure, che afferma sbrigativamente che le relative disposizioni “sembrano effettivamente inquadrare la gestione del Teatro Li. come gestione di pubblico servizio”, ma non chiarisce in alcun modo, a fronte del predetto Piano, che si limita a contemplare il bene a destinazione vincolata di cui trattasi tra i servizi “indispensabili” (elemento che la sentenza appellata non ha neanche richiamato), né i termini di tale ritenuto inquadramento né le ragioni che consentono di superare il pur evidenziato aspetto dubitativo.
Non soddisfa l’esigenza neanche il Documento unico di programmazione 2015-2017, approvato con deliberazione consiliare n. 20 del 15 maggio 2015, che, come pure rilevato dal primo giudice, ha previsto esclusivamente la messa a bando della “futura gestione” del Teatro Li., espressione che non esclude ex se la concessione in uso, trattandosi di un bene con attitudine produttiva.
Infine, non soccorre la deliberazione giuntale n. 724 del 2016, che, invece, per il primo giudice, è l’atto che ha compiuto la scelta di cui sopra: tale deliberazione si è infatti limitata a dettare, in conformità con il predetto Documento di programmazione, le linee di indirizzo da seguire nel bando della concessione dell’uso del bene pubblico.
Depone in tal senso – come meglio in seguito – la carenza in tali linee di indirizzo e nei relativi atti attuativi di obblighi tariffari e di gestione vincolanti per il privato e di effettivi poteri di indirizzo, vigilanza e intervento dell’Ente concedente, ovvero di quegli specifici elementi che concorrono a caratterizzare la concessione di un pubblico servizio.
Una tale conclusione è del resto conforme alle determinazioni sino a ora assunte nella materia dal Comune di Milano.
Riferisce infatti l’Amministrazione che il Comune di Milano, per altri immobili destinati a teatro (Ar.; Dal Ve.; Ma.; El.-Pu.; Pa.; Ou.-Of.), in virtù di una precisa strategia di gestione, non ha mai istituito un servizio pubblico teatrale, preferendo sempre lo strumento della concessione d’uso a terzi.
10. La ricostruzione contenuta nella sentenza appellata si rivela lacunosa, come detto, anche laddove ha individuato, esaminandoli in vari punti della sentenza (non suddivisa in capi), gli elementi ritenuti rivelatori di una concessione di servizio pubblico.
In particolare:
a) il primo giudice ha ritenuto “esorbitante” rispetto alla ordinaria attività riconnessa alla disponibilità del bene il collegamento operato, nelle linee di indirizzo della Giunta, tra la concessione in uso e l’obiettivo di “restituire” il Teatro Li. alla città e di “rilanciarlo” con programmazioni artistiche e culturali di qualità .
Il giudizio risulta sproporzionato e scollegato dal contesto nel quale si è collocata la delibera giuntale.
Dalla delibera giuntale emerge che “obiettivo della concessione è restituire il Teatro Li. alla città e promuovere lo stesso come nuovo polo di rilevanza nazionale e internazionale, al fine di offrire ai cittadini programmazioni di spettacolo articolate e di qualità ; al tal fine si ritiene necessario individuare un Concessionario altamente qualificato ricorrendo a procedura ad evidenza pubblica”.
La finalità assunta dall’indirizzo è, dunque, quella di selezionare un concessionario qualificato per garantire un uso del bene rispettoso della sua funzione: si tratta di un obiettivo ben compatibile con la concessione in uso di un bene pubblico demaniale.
La conclusione va confermata, a maggior ragione, quando trattasi di un bene che, come il Teatro Li., è stato oggetto di vicende gestionali nel recente passato di notevole complessità – partitamente descritte dall’Amministrazione appellante nelle proprie difese e sinteticamente riepilogate anche nelle premesse nella delibera giuntale de qua – che ne hanno causato la chiusura per un lungo periodo (circa quindici anni) ed è stato poi interessato da lavori di restauro e riqualificazione, tutt’ora in corso, che hanno comportato un rilevante investimento di fondi pubblici (Euro 16.510.000).
Il collegamento in parola non è pertanto suscettibile di elevare la gestione del Teatro Li. a pubblico servizio, trattandosi piuttosto di un indirizzo volto a delineare, al fine della sua ottimale messa a frutto, il contenuto delle future obbligazioni del gestore dell’immobile, che, del resto, alla luce di un altro indirizzo espresso nella stessa delibera giuntale, “potrà esercitare in totale autonomia organizzativa le attività di cui al Capitolato speciale”, previsione del tutto incompatibile con la determinazione di concedere un servizio pubblico, individuandone la prestazione in un servizio qualitativamente adeguato rispetto a ben individuate esigenze degli utenti;
b) il primo giudice ha ritenuto rilevante la previsione di bando della presentazione di una proposta artistica e gestionale, con la possibilità di attribuire alla stessa un massimo di 42 punti sui 70 punti previsti per l’offerta tecnica.
Anche tale valutazione non persuade, non esprimendo tale richiesta altro che un elemento di coerenza con l’obiettivo di una corretta utilizzazione di un bene avente una specifica funzione e con l’evidente scopo di non vanificare l’intervento di restauro sostenuto dall’Amministrazione e la conseguente decisione di concederlo in uso, non adeguatamente rappresentati da un criterio fondato sul solo corrispettivo economico;
c) il primo giudice ha ritenuto che la proposta artistica e gestionale comportasse veri e propri obblighi di servizio nei confronti della collettività .
Ha al riguardo valorizzato la delibera giuntale e il capitolato speciale di gara nella parte in cui indicano i seguenti “obblighi funzionali”: “garantire la costante qualità delle programmazioni artistiche e culturali, da rivolgere a un pubblico ampio e differenziato; consolidare costantemente i risultati raggiunti in ogni stagione, assicurando un’attività stabile ed efficiente del Teatro, al fine di rendere il Teatro Li. un palcoscenico di rilevanza nazionale e internazionale; offrire occasioni culturali e artistiche tali da contribuire anche all’integrazione sociale, nella prospettiva della città metropolitana, multietnica e multiculturale; promuovere una programmazione accessibile e fruibile a tutti, finalizzata a favorire la crescita di un nuovo pubblico, avvicinando le nuove generazioni tanto alle tradizionali forme di spettacolo, quanto ai nuovi linguaggi e alle più originali sperimentazioni contemporanee; promuovere proficue interazioni operative fra soggetti pubblici e privati, comprese le fondazioni culturali attive sul territorio metropolitano, nell’ottica di ottimizzare costi e risorse e razionalizzare e concertare l’offerta da parte dell’intero Sistema dello Spettacolo dal vivo, cittadino e metropolitano; connotare il Teatro Li. quale polo di riferimento per gli operatori e i produttori di settore, nazionali e internazionali, con i quali operare di concerto, anche con la formula delle collaborazioni e delle coproduzioni; conformare la programmazione all’insegna dell’interdisciplinarietà e dell’internazionalità, spaziando dalla musica alla danza, dal teatro musicale fino al cinema”.
La conclusione non è condivisibile.
Rileva in senso dirimente che le predette finalità sono esposte in ambedue gli atti citati in termini largamente programmatici, quali obiettivi ottimali di carattere tendenziale e “di vetrina”: nessuna di esse corrisponde infatti a un parametro di valutazione suscettibile di essere oggettivamente misurato, ex se o in quanto reso tale con la previsione di appositi parametri.
Va escluso, pertanto, che la mera esposizione di tali indirizzi programmatici possa ridondare nell’istituzione di obblighi di servizio, intendendosi per tali quegli impegni connotati da un contenuto concreto e puntuale, di cui può essere valutato l’assolvimento da parte dell’obbligato, anche in vista di una loro eventuale coercibilità e della sanzionabilità dell’inadempimento.
Inoltre, il capitolato speciale elenca le predette finalità nell’ambito degli “obiettivi della concessione” di cui all’art. 2, mentre le “prestazioni del concessionario” sono autonomamente indicate al successivo art. 3.
Detto art. 3 si limita a prevedere che “Il Concessionario si impegna a realizzare una programmazione di qualità e una efficace conduzione generale, nel rispetto di quanto offerto in sede di gara”, e, pur chiarendo, nel prosieguo, in cosa possa consistere tale programmazione, ma sempre mediante previsioni di larga massima, che ne evidenziano l’amplissima latitudine sia sotto il profilo delle discipline culturali che dei moduli organizzativi, dispone in finale, in coerenza con la delibera di indirizzo, che “Il Concessionario può esercitare in totale autonomia organizzativa le attività di cui sopra”.
In altre parole, tra gli obiettivi programmatici elencati all’art. 2 e le prestazioni poste a carico del concessionario dall’art. 3 non vi è alcun collegamento giuridicamente rilevante.
Né tale collegamento, contrariamente a quanto ritenuto dal primo giudice, è rinvenibile nel capitolato speciale, laddove all’art. 5, nell’indicare gli obblighi del concessionario, prevede l’obbligo del medesimo di assicurare “idonee condizioni per la conservazione e fruizione pubblica del bene concesso in uso, con le modalità di cui alla proposta artistica e culturale presentata in sede di offerta”: si tratta infatti di una generica previsione di tutela, che costituisce, per un verso, una mera premessa agli obblighi veri e propri del concessionario, che sono poi partitamente specificati nello stesso art. 5, e, per altro verso, lo vincola alla realizzazione dell’offerta presentata, senza che, per ciò solo, tale offerta possa ritenersi richiesta nell’ambito di una concessione di servizio pubblico;
d) il primo giudice ha ritenuto che alcuni obblighi del concessionario siano direttamente riconnessi allo scopo di garantire alla collettività una “gestione controllata di un servizio” offerto alla collettività .
La conclusione è ridondante.
Gli oneri e obblighi del concessionario sono previsti, oltre che dal già citato art. 3, dal pure citato art. 5 del capitolato speciale, che ne elenca, complessivamente, più di venti.
La sentenza appellata ne prende in considerazione solo tre.
Si tratta, quindi, di previsioni che rivestono, numericamente, una limitata significatività, ma che, ciononostante, sono stati ritenuti idonei a imprimere alla concessione una natura diversa da quella indicata nei relativi atti.
Tanto chiarito, neanche tali obblighi fanno trasparire la gestione controllata del servizio rinvenuta dalla sentenza appellata.
Il primo di essi è contenuto all’art. 3, che recita: “Il Concessionario dovrà, a propria cura e spese, completare le parti consegnate al rustico, nonché allestire e arredare gli spazi dati in concessione in base alle indicazioni tecniche fornite dall’Amministrazione e nel rispetto dell’offerta tecnica presentata in sede di gara”.
Al riguardo, va rilevato che tale obbligo si riferisce, palesemente, alla gestione dell’immobile e non all’attività teatrale.
Tant’è che lo stesso primo giudice lo ha considerato anche per affermare che nella concessione in esame ricorrono elementi tipici della concessione di lavori pubblici.
Sicchè, sul punto, la sentenza risulta anche contraddittoria.
Gli altri due obblighi [lettere a) e d) della seconda parte dell’art. 5 del capitolato speciale] sono quelli afferenti alla previsione di un numero minimo di alzate di sipario e di un numero minimo di giornate riservate gratuitamente a spettacoli gestiti in proprio dal Comune.
Al riguardo, va rilevato che essi non risultano porsi in contraddizione con la concessione in uso di un bene che, come precedentemente rilevato, è conformato da una specifica funzione ed è rimasto rimasto per lungo tempo inutilizzato, e con l’obiettivo dell’Amministrazione di prevederne finalmente una proficua utilizzazione.
In particolare, gli obblighi di un numero minimo di alzate di sipario e di spettacoli riservato all’Amministrazione, per come rappresentati nel capitolato speciale, non permettono di concludere che la corrispondente attività del gestore costituisca il tramite per raggiungere un fine sociale a favore della collettività, trattandosi, piuttosto, di impegni correlati alla effettiva messa a frutto del bene e alla volontà dell’Ente concedente di potersene, ogni tanto, avvalere senza sopportare la corrispondente spesa.
In altre parole, tali obblighi, sia singolarmente che complessivamente considerati, sono del tutto inidonei a rivelare l’esistenza di una concessione di servizio, e, segnatamente, di un “obbligo di esercizio”, anche perché carenti di qualsiasi elemento di corredo che consenta di rinvenire la proiezione esterna della sottostante utilitas pubblica, che, per la giurisprudenza, va collegata, come visto, non a impegni di carattere singolare quali quelli in esame, bensì a un programma dettagliato di gestione nel tempo, rispetto al quale rileva non solo il vincolo del privato, ma anche la previsione in capo all’Ente concedente di poteri di indirizzo, vigilanza e intervento, qui – come meglio in seguito – del tutto inesistenti.
11. Deve pertanto concludersi che nella fattispecie, al di là di ogni manifestazione della volontà dell’Amministrazione comunale che il Teatro Li. cittadino possa rappresentare, dopo la ristrutturazione e la concessione in uso, un polo stabile di riferimento culturale – e sarebbe ben singolare che nella concessione in uso di un bene di rilevanza pari a quella del Teatro Li. la rappresentazione di un siffatto interesse fosse inesistente o priva dell’enfasi e del richiamo a parametri propri dell’uso cui la concessione inerisce, soprattutto dopo le cennate vicissitudini che hanno interessato il Teatro – sono del tutto assenti gli indici rivelatori della specifica utilitas del servizio pubblico, e, primi tra essi, gli obblighi di servizio e il connesso rapporto trilaterale con l’utenza.
Quanto agli obblighi tariffari, poi, è pacifico che la procedura in esame non li abbia previsti, prevedendosi solo il diritto del Comune alla percezione di un canone di utilizzo, oggetto nell’offerta economica di rialzo rispetto a quello posto a base di gara.
12. Le conclusioni raggiunte trovano del resto sicura conferma negli obblighi e nelle sanzioni previste dal capitolato speciale.
Anche in tal caso la sentenza appellata non ha correttamente valutato gli atti di gara.
12.1. Il primo giudice ha ritenuto coerente con il modulo della concessione di servizio pubblico la previsione del capitolato speciale secondo cui il concessionario è tenuto a inviare al Comune un documento di programmazione di ciascuna stagione e una relazione annuale sulle attività svolte.
Non si è avveduto, però, che l’invio della programmazione di ciascuna stagione teatrale è stato previsto a mero “titolo informativo”, come espressamente dispone la lettera b) dell’art. 5 del capitolato speciale.
Del resto, come già precedentemente rilevato, l’art. 3 dello stesso capitolato speciale stabilisce che il concessionario eserciti l’attività teatrale “in totale autonomia”.
Sicchè, alla luce di tale autonomia, e una volta esclusa l’obbligatorietà dell’invio del programma stagionale, l’invio della relazione annuale sulle attività svolte non può certo dirsi indicativa dell’esercizio controllato dell’attività, che postula una vigilanza continua sulla base di un programma puntuale definito a priori.
12.2. Il primo giudice ha ritenuto la sussistenza di una concessione di servizio pubblico anche in relazione alle previste verifiche da parte del Comune sul rispetto degli obblighi assunti dal concessionario, e al conseguente sorgere di responsabilità contrattuali e di applicazioni di penali pel caso di loro inadempimento (art. 17, 14 e 18 del capitolato speciale).
Sul punto, va osservato, in linea generale, che tale tipologia di previsioni in un atto concessorio ai fini della verifica in esame sono di per sé neutre, ove non ne risulti l’attinenza a obblighi ascrivibili a un servizio pubblico.
E tale condizione nel caso di specie è del tutto insussistente.
In particolare, nello stesso ordine delle disposizioni del capitolato speciale come considerato nella sentenza appellata:
– le verifiche del concedente previste dall’art. 17 attengono esclusivamente all’uso e alla manutenzione dell’immobile, degli spazi di pertinenza, degli arredi e delle attrezzature, con particolare riferimento al loro stato di conservazione (“L’Amministrazione Comunale ha la facoltà di verificare nel corso della Concessione, il corretto adempimento degli obblighi previsti dal presente Capitolato, anche mediante un organo tecnico che verrà individuato successivamente all’aggiudicazione della Concessione. Funzionari Tecnici dell’Amministrazione Comunale potranno accedere all’immobile e agli spazi di pertinenza concessi per gli accertamenti inerenti l’uso e la manutenzione dell’immobile e degli spazi di pertinenza, degli arredi e delle attrezzature. In particolare, i Tecnici Comunali effettueranno visite periodiche per controllare lo stato di conservazione degli spazi, nonché la buona conservazione degli impianti tecnologici. Qualora i Tecnici Comunali riscontrassero, nel corso di tali controlli, la necessità di qualsivoglia intervento fra quelli posti a carico del Concessionario, l’Amministrazione potrà imporre a quest’ultimo di provvedervi entro un termine massimo che verrà direttamente concordato tra le parti. In caso di mancata esecuzione da parte del Concessionario degli interventi indicati dai Tecnici Comunali entro i termini indicati, l’Amministrazione provvederà direttamente, a spese del Concessionario, con rivalsa sul deposito cauzionale di cui all’art. 11”);
– nessuna delle tre previsioni contenute nell’art. 14 individua una responsabilità del concessionario quale gestore di un servizio pubblico (“Il Concessionario è responsabile nei confronti dell’Amministrazione dell’esatto adempimento delle prescrizioni contenute nel presente Capitolato e nella Convenzione di Concessione. Il Concessionario è altresì responsabile nei confronti dell’Amministrazione e dei terzi per i danni di qualsiasi natura, materiali e immateriali, diretti e indiretti, causati a cose o persone e connessi all’esecuzione della Convenzione di Concessione, anche se derivanti dall’operato dei suoi dipendenti, consulenti e contraenti. Il Concessionario ha l’obbligo di mantenere l’Amministrazione Comunale sollevata e indenne da richieste di risarcimento dei danni e da eventuali azioni promosse da terzi”);
– tre delle sei sanzioni previste dall’art. 18 riguardano specificamente l’uso dell’immobile (vendita di generi merceologici, pagamento del canone; ritardata esecuzione degli interventi conseguenti alle verifiche tecniche di cui al predetto art. 17);
– le altre tre fattispecie sanzionatorie dell’art. 18, riguardanti l’attività teatrale, si riferiscono a eventualità (ritardo nell’avvio dell’attività di spettacolo; alzate di sipario inferiori a quelle minime previste; interruzione della programmazione per fatto imputabile al concessionario) che fanno emergere che l’oggetto della protezione convenzionale, per il tramite delle stesse, non è la programmazione teatrale ovvero la sua conformazione in vista dell’espletamento dell’attività secondo canoni prestabiliti (in altre parole, il “servizio pubblico teatro”), bensì, molto più limitatamente, e coerentemente con il titolo dell’affidamento in parola, l’uso proficuo del bene Teatro Li. di Milano, che corrisponde all’interesse pubblico, che ben può essere azionato dall’Ente proprietario concedente, di evitare che lo stesso bene, avente una indubbia e oggettiva destinazione specifica, possa restare inutilizzato o sottoutilizzato, nonostante l’ingente investimento economico pubblico resosi necessario per la sua ristrutturazione.
In altre parole, non è prevista alcuna penale attinente alla programmazione teatrale in sé e alle modalità della sua ricaduta nei confronti degli utenti.
13. In definitiva, la sentenza appellata va riformata laddove ha ravvisato l’esistenza nella fattispecie di una concessione di servizi.
14. La ricostruzione del primo giudice non può essere seguita neanche laddove ha ravvisato nell’affidamento di cui in oggetto anche elementi di una concessione di lavori pubblici.
Le censure svolte dagli appellanti principali al riguardo vanno indi accolte.
Rileva sul punto il fatto che la riqualificazione e il risanamento della struttura del Teatro Li. sono stati oggetto, come già sopra accennato, e come anche rimarcato dall’avviso pubblico della gara in esame, di un autonomo intervento, retto da una gara a evidenza pubblica bandita nel 2015, con contratto stipulato il 18 marzo e allo stato in via di ultimazione.
Al riguardo, nessun elemento rinveniente dalla sentenza appellata consente di ritenere che tale intervento non sia esaustivo delle necessità strutturali del bene di cui trattasi.
Rileva inoltre che le prescrizioni dettate al riguardo dallo stesso avviso pubblico, come evidenziato dal secondo motivo di appello di St. En., riguardano pressochè integralmente l’arredamento del Teatro Li..
L’avviso pubblico, premesso infatti che “il teatro è attualmente oggetto di completo restauro e riqualificazione da parte del Comune di Milano” e che “il Concessionario dovrà, a propria cura e spese, completare le parti consegnate al rustico, nonché allestire e arredare gli spazi dati in concessione”, prescrive che la relazione da allegare all’offerta tecnica dei partecipanti alla procedura concerna gli “interventi di finitura, degli arredi e degli impianti scenotecnici previsti” da sviluppare secondo i seguenti punti: “caratteristiche dei materiali di finitura per le parti al rustico (commerciale) in coerenza con il contesto storico e architettonico dell’edificio e con la sua destinazione d’uso”; “qualità, funzionalità e manutenibilità degli arredi fissi e mobili, complementi di arredo e finiture in coerenza con il contesto storico e architettonico dell’edificio e con la destinazione d’uso degli spazi”; “qualità, funzionalità e manutenibilità degli impianti scenotecnica/audio e di palcoscenico”.
L’esecuzione di opere attiene, pertanto, a minimi interventi di finitura delle zone a destinazione commerciale, che non risultano sufficienti a qualificare l’oggetto della gara come parziale appalto di lavori, in quanto i relativi impegni accedono al rapporto concessorio dell’uso del bene pubblico, da cui solo traggono causa.
15. Le censure in esame vanno, conseguentemente, accolte.
16. La sentenza appellata ha ritenuto, ad abundantiam, anche la fondatezza del primo motivo del ricorso con cui Sh.Be. ha lamentato che l’aggiudicataria St. En., a fronte dell’inserimento nel proprio programma di un numero rilevante di produzioni proprie, non abbia indicato una corrispondente voce di costo, con conseguente criticità del piano di fattibilità economico-finanziaria, che, per il primo giudice, “andrebbe quanto meno riesaminata dalla commissione giudicatrice”.
Anche tale conclusione deve essere riformata, in accoglimento del quinto e ultimo motivo dell’appello del Comune di Milano e del terzo motivo di appello di St. En..
15.1. Va premesso che, ai sensi dell’avviso di gara, per la redazione del “piano di fattibilità economico-finanziario” i concorrenti alla gara erano facoltizzati (“preferibilmente”) e non obbligati a utilizzare la modulistica predisposta dall’Amministrazione.
Ne consegue la carenza di una qualsiasi previsione della lex specialis volta a prescrivere la compilazione di tutte le voci elencate nel modello, e, ulteriormente, la possibilità di allocare specifici costi nelle voci ritenute maggiormente corrispondenti dal deducente.
Di tanto si è avveduto il primo giudice, che non ha infatti evidenziato l’irritualità del piano economico finanziario di stage Entertaiment in punto di evidenziazione dei costi delle produzioni proprie, ma si è limitato a dubitare della sua corretta valutazione da parte della commissione valutatrice.
Ciò non comprendendo perchè tale voce di costo “avrebbe dovuto essere ‘spalmatà su altre voci di contenuto generico”, nessuna delle quali, peraltro, ha ritenuto correlata ai compensi dell’attività .
Il Collegio non può convenire con tali rilievi: essi, non oltre a impingere nelle valutazioni discrezionali della commissione valutatrice, che ha valutato tale piano di fattibilità “economicamente conveniente e finanziariamente sostenibile” (verbale n. 4 del 23 gennaio 2017) non sono coerenti con il modello di gara assunto dalla lex specialis.
Al riguardo, si osserva che nella relazione economica allegata all’offerta Stage Entertaiment ha specificato di investire nelle produzioni proprie facendosi carico dei costi di allestimento, produzione e messa in scena e occupandosi della commercializzazione dei relativi biglietti, trattenendo per se il totale degli incassi al netto delle competenze SIAE.
Nel descritto contesto, la voce “costi delle produzioni proprie”, dato aggregato la cui esposizione autonoma, come visto, non era prevista a pena di inammissibilità, ben poteva essere considerata nel piano di fattibilità tra le altre voci comunque attinenti ai relativi costi, quali a esempio quelle, previste, di “costi per servizi”, “costi per godimento beni di terzi”, “costi del personale” e “costi per compagnie e artisti”.
16. Le censure appena esaminate degli appelli autonomi riuniti di St. En. e del Comune di Milano hanno valenza assorbente di ogni altra doglianza pure svolta dalle appellanti, ivi comprese quelle con cui St. En. ha riproposto, in via subordinata, i motivi del suo ricorso incidentale subordinato di prime cure, che la sentenza appellata ha dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse.
La loro riscontrata fondatezza, in quanto conducente alla riforma della sentenza appellata, impone la disamina dei motivi del ricorso principale di primo grado di Sh.Be. assorbiti dal primo giudice e qui riproposti da quest’ultima, ai sensi dell’art. 101, comma 2, Cod. proc. amm..
17. Sh.Be. ha prudenzialmente riproposto il primo motivo del ricorso di primo grado, rivolto avverso l’aggiudicazione, che la sentenza appellata ha accolto ad abundantiam.
Tale motivo va respinto per le ragioni già indicate al precedente capo 15, non essendo riscontrabile alcuna contraddittorietà nell’offerta di St. En. laddove, per un verso, ha rappresentato l’intendimento di realizzare produzioni proprie e, dall’altro, non ha indicato la correlata voce complessiva di spesa, atteso che, come visto, la lex specialis non imponeva di calcolare tale dato aggregato, sicchè i costi legati a tali produzioni ben potevano essere ricompresi in altre voci di costo afferenti alla sua scomposizione.
Tale mancato calcolo non ridonda, pertanto, nè nella inaffidabilità complessiva dell’offerta di St. En. né attesta un errore valutativo da parte della commissione giudicatrice, come Sh.Be. torna a denunziare in sede di appello.
Non possono trovare conseguentemente ingresso neanche le articolate considerazioni relative alla carenza di convenienza economica e di sostenibilità finanziaria dell’offerta di St. En. formulate da Sh.Be. sull’errato presupposto che all’offerta della prima non sia riferibile l’effettuazione in concreto di produzioni proprie o che le stesse non siano state effettivamente quotate.
18. Con il secondo motivo del ricorso di primo grado pure riproposto in appello Sh.Be. sostiene che la commissione valutatrice non si sarebbe avveduta che l’offerta di St. En. avrebbe dovuto essere esclusa per indeterminatezza, ex art. 72, r.d. n. 827/1924, o comunque meditata molto più attentamente, in quanto la relazione allegata al Piano di fattibilità, lungi dal suffragare, come richiesto dalla lex specialis, le stime del Piano in termini di attendibilità e realismo, sarebbe sommamente generica e affidata sostanzialmente alla bontà del modello di gestione impresso da quest’ultima al Teatro Nazionale, il quale, peraltro, non si dimostrerebbe neanche vantaggioso, come attesterebbero i bilanci di Stage Entertaiment degli anni 2008-2016 riferiti a tale gestione, e si discosterebbe inoltre, contrariamente a quanto affermato, da quello proposto nella relazione economica e nel prospetto artistico per il Teatro Li., essendo stata ivi sospesa la produzione di spettacoli propri che caratterizzano, invece, l’offerta presentata per il Teatro Li..
La censura non può essere favorevolmente valutata, sia perché impingente nelle valutazioni discrezionali rimesse alla commissione valutatrice, come dimostrano le ampie considerazioni sul merito dell’offerta avversaria formulate dalla deducente a sostegno della esposta tesi, sia perché fondata su erronei presupposti.
Come correttamente osservato dal Comune di Milano, nella gara di cui trattasi non era richiesta né la presentazione di un progetto esecutivo nè la predisposizione di un piano economico-finanziario, in quanto la procedura non vincolava gli offerenti all’adozione di un particolare modello di programmazione né imponeva al riguardo vincoli di altro genere.
In particolare, l’avviso, in relazione all’offerta economica, ha previsto la presentazione di un Piano di fattibilità economico-finanziaria, volto a consentire la “valutazione preventiva della convenienza economica e della sostenibilità finanziaria della concessione”, mediante l’esposizione delle “previsioni dei ricavi e dei costi (di investimento e gestione) relativi a ciascuna annualità dell’intero periodo di durata della concessione”, composto da: “i prospetti contabili di “Conto Economico”, “Stato Patrimoniale” e “Rendiconto Finanziario” . Nei predetti prospetti dovranno essere indicati, tra gli altri, le fonti dì finanziamento degli investimenti previsti nonché il relativo valore di questi ultimi. La predisposizione del Piano dovrà essere fatta utilizzando preferibilmente la modulistica predisposta dall’Amministrazione”; “una relazione economica che dovrà suffragare le stime contenute nel predetto Piano con motivazioni di mercato che ne dimostrino attendibilità e realismo. Per la relazione, esclusi i prospetti contabili, si consiglia di non superare le 5 pagine in formato A4 – 10 facciate – con carattere non inferiore a 12 (interlinea 1)”.
Indi, la lex specialis non contemplava tra la documentazione da presentare i bilanci societari delle offerenti.
Nel descritto contesto, la circostanza che nella propria offerta St. En. abbia fatto riferimento alla gestione del Teatro Na., nell’ambito di tutti gli elementi altri elementi al riguardo prospettati secondo quanto richiesto dalla legge di gara, non può ridondare, sia sotto il profilo giuridico, per quanto sopra, sia sotto quello logico, trattandosi, evidentemente, di due diverse esperienze gestionali, nella possibilità o addirittura nella necessità della commissione valutatrice, ventilate da Sh.Be., di estendere le valutazioni connesse al giudizio di affidabilità e di equilibrio del predetto Piano, da effettuarsi sulla stretta base della sostenibilità della proposta conduzione del Teatro Li., sino a ricomprendervi dati afferenti alla diversa gestione di cui sopra. Un siffatto apprezzamento, avendo a oggetto solo St. En., si sarebbe inoltre evidentemente posto in violazione della par condicio tra i partecipanti alla procedura.
Pertanto, al di là di ogni giudizio sulla correttezza delle valutazioni espresse al riguardo da Sh.Be., la pretesa di scorgere un vizio valutativo della commissione nella mancata considerazione dell’andamento della gestione del Teatro Nazionale è completamente destituita di fondamento.
18.1. Nello stesso motivo Sh.Be. lamenta che St. En. non abbia indicato, nella voce “descrizione della struttura organizzativa e gestionale del teatro” il numero del personale previsto e le tipologie dei relativi contratti, e non abbia comprovato la proposta artistica e l’ipotesi di programmazione del primo anno di concessione, che afferma essere irrealizzabile, anche perché in essa vi figurano artisti e spettacoli già legati a Sh.Be..
Anche tali rilievi non sono conducenti.
Si tratta, infatti, sia quanto al primo che al secondo rilievo, di elementi la cui esposizione non era prevista dalla legge di gara.
Quest’ultima ha richiesto esclusivamente, ai punti 1 e 2 della sezione “Progetto artistico e culturale”, la “descrizione della struttura organizzativa e gestionale del teatro, comprensiva della gestione dei servizi di accoglienza ai pubblico, biglietteria, guardaroba, bar/caffetteria/ristorazione” e una “ipotesi di programmazione del primo anno di concessione”.
In particolare, quest’ultima, proprio in quanto ipotesi, non necessitava di essere dimostrata mediante la rappresentazione del grado della sua concretezza.
19. Non rinvenendosi, alla luce della lex specialis, i denunziati profili di genericità dell’offerta tecnico-artistica ed economica di St. En., va respinto sia il rilievo subordinato con cui, nel secondo motivo, Sh.Be. sostiene l’illegittimità della legge di gara e della presupposta delibera giuntale, ove interpretabile nel senso di avallare tale genericità, sia il terzo motivo, con cui la deducente torna a sostenere che il Comune di Milano è venuto meno al dovere di verificare la convenienza economica e la sostenibilità dell’offerta di St. En..
20. Con il quarto motivo Sh.Be. afferma che Stage Entertaiment avrebbe disatteso tutte le prescrizioni della legge di gara relative alla firma della sua offerta, che è stata sottoscritta dall’amministratore delegato della società, e che si assume, alla luce dello statuto, non investito della legale rappresentanza della medesima.
La censura è infondata.
St. En. ha infatti depositato nel giudizio di primo grado il verbale del Consiglio di amministrazione della società del 1° novembre 2016, precedente alla data di scadenza prevista dalla lex specialis di gara per la presentazione delle domande di partecipazione (7 novembre 2016), che ha conferito al predetto amministratore delegato il potere di presentare l’offerta per la partecipazione alla procedura.
L’investitura si appalesa coerente con i principi generali che governano i poteri di rappresentanza delle società, che consentono l’attribuzione all’amministratore delegato di ampi poteri, in coerenza con l’oggetto sociale: non rileva, pertanto, la circostanza, pure evidenziata da Sh.Be., che la delibera di cui sopra sia stata depositata senza dare contezza della sua estrazione dal libro verbali del consiglio di amministrazione.
Consegue, contrariamente a quanto affermato da Sh.Be., la veridicità delle dichiarazioni nella quali l’amministratore delegato si è qualificato, oltre che come tale, anche come rappresentante della società .
21. La disamina del quinto motivo qui riproposto del ricorso di primo grado Sh.Be. richiede la previa illustrazione della lex specialis che, a pag. 10, ha previsto che “Qualora il deposito cauzionale sia costituito in contanti o assegno circolare o qualora non sia contenuta nella polizza/fideiussione, deve essere allegata una dichiarazione fornita da un fideiussore con la quale i medesimi si impegnano a rilasciare la garanzia fidejussoria per l’esecuzione della concessione, qualora il concorrente risultasse aggiudicatario della stessa”.
A sua volta, l’art. 11 del capitolato speciale ha prescritto in capo al concessionario “una cauzione, sotto forma di fidejussione bancaria o assicurativa, pari a Euro 800.000,00 a garanzia del corretto adempimento di tutte le prestazioni previste nel presente Capitolato dalla stipulazione della Convenzione di Concessione o, in pendenza, dalla consegna dell’immobile fino al termine della Concessione, ivi compreso il pagamento del canone e degli importi previsti a titolo di penale dal presente Capitolato e del risarcimento dei danni causati al Comune, a qualunque titolo, nel corso del rapporto di Concessione” di durata pari a quella della Concessione.
Ciò posto, Sh.Be. afferma che St. En.i avrebbe dovuto essere estromessa dalla gara per non aver prodotto un documento idoneo allo scopo, in quanto la garanzia di AB. AM. Bank allegata alla sua domanda di partecipazione:
– riguardava esclusivamente la partecipazione alla procedura e gli adempimenti prodromici alla stipula della convenzione, tanto che la sua durata era limitata al 1° maggio 2017;
– non era accompagnata dalla fotocopia del documento di identità del sottoscrittore, pure richiesto dall’avviso di gara.
Entrambi i rilievi non sono persuasivi.
Va preliminarmente rilevato che la pretesa all’esclusione dalla gara di St. En. qui avanzata è completamente destituita di fondamento, atteso che nessuna sanzione, né tantomeno l’esclusione, è stata prevista dalla legge di gara nel caso di irregolarità nella presentazione della garanzia di cui trattasi o di mancata allegazione della copia del documento di identità del sottoscrittore, e che, ad ogni buon conto, Stage Entertaiment nel corso del giudizio di primo grado ha depositato documentazione atta a confermare la validità dell’impegno fideiussorio.
Inoltre, in capo a St. En. non sono neanche ravvisabili irregolarità sostanziali.
La società ha versato il deposito cauzionale provvisorio.
Ha altresì prodotto un BID BOND della AB. AM., che si è impegnata a pagare a prima richiesta la somma di Euro 800.000,00 in favore del Comune di Milano per l’ipotesi di ritiro dell’offerta da parte di St. En. e per quella di impossibilità o rifiuto della medesima, in caso di aggiudicazione, di dare esecuzione al contratto o di prestare la garanzia di cui all’art. 11 del capitolato speciale.
La giurisprudenza di questa Sezione (Cons. Stato, V, 12 giugno 2017, n. 2851) ha chiarito che il Bid Bond è una garanzia bancaria a “prima domanda” costituente un contratto da cui deriva un impegno autonomo a garanzia sulla serietà dell’offerta, con il quale la stessa banca emittente si impegna nei confronti della stazione appaltante in caso di inadempimento della ditta concorrente.
Si tratta, infatti, di una figura che presenta tutte le caratteristiche del contratto autonomo di garanzia, come individuato dalla giurisprudenza civile (Cass., Sez. Un., 18 febbraio 2010, n. 394) e che risponde alle caratteristiche e criteri individuati nella Pubblicazione n. 458 del 2010 della Camera di Commercio Internazionale di Parigi “Uniform Rules for Demand Guarantees” (URDG), tale da renderlo forma di garanzia alternativa al deposito cauzionale.
In particolare, esso comprende in sé anche l’impegno a prestare la garanzia a copertura della cauzione definitiva in caso di aggiudicazione del contratto, poiché implica la garanzia complessiva del “buon fine dell’operazione sottostante”, id est l’aggiudicazione e l’esecuzione del contratto (così . Cons. Stato, V. n. 2851 del 2017, cit.).
Consegue che nella fattispecie l’obiettivo di bando di ottenere la garanzia del futuro adempimento della prescrizione dell’art. 11 del capitolato speciale è stata raggiunta.
Né rileva che la durata di tale garanzia non sia quella della concessione, dal momento che il garante si è impegnato a pagare l’importo di cui sopra anche nel caso in cui il concorrente non dovesse prestare le prescritte garanzie contrattuali.
22. Con il sesto motivo di ricorso riproposto Sh.Be. afferma che la commissione di gara non avrebbe adempiuto all’obbligo di cui all’art. 8 dell’avviso di aprire in seduta pubblica i plichi delle offerte al fine del controllo formale del prescritto corredo documentale, adempimento che per quanto concerne le offerte tecniche sarebbe stato effettuato in seduta riservata.
La censura è infondata, essendo basata su una lettura fuorviata dei verbali della procedura.
Se infatti è vero che la commissione ha elencato il contenuto delle offerte tecniche dei partecipanti solo nel verbale della prima seduta riservata, come emerge dal relativo verbale, è indubbio che il controllo della regolarità formale delle domande di partecipazione, anche per quanto attiene alle offerte tecniche, era già avvenuto in seduta pubblica.
Il verbale della prima seduta pubblica della gara, dell’8 novembre 2016, dà infatti atto che “Il Presidente, alla presenza del pubblico di cui all’elenco allegato, procede al controllo della documentazione presentata dai concorrenti e verificata la corretta formulazione della domanda di partecipazione nonché la presentazione delle dichiarazioni espressamente richieste dagli atti di gara, ammette entrambi gli operatori economici al prosieguo della gara.
Si procede, quindi, all’apertura delle buste contenenti le offerte tecniche per verificare il contenuto delle stesse seguendone l’ordine di arrivo, come di seguito indicato: 1.St. En. SRL – 2.Sh.Be. SRL.
Sulla documentazione delle offerte tecniche viene apposta la sigla del Presidente della Commissione di Gara.
Non essendovi domande, il Presidente comunica che le offerte tecniche saranno custodite in apposito armadio e che saranno successivamente inoltrate alla Commissione Giudicatrice per la valutazione tecnico/qualitativa.
Il Presidente procede quindi a chiudere in un plico le buste contenenti le offerte economiche degli operatori ammessi che verrà custodito in cassaforte.
Detto plico viene sigillato e controfirmato dal Presidente stesso nonché da referenti di entrambi i soggetti partecipanti presenti fra il pubblico”.
A sua volta, coerentemente con le predette attestazioni, il verbale della prima seduta riservata dà atto che il plico delle offerte tecniche era già stato aperto dalla commissione in seduta pubblica e poi custodito in apposito armadio
Pertanto non è ravvisabile la violazione alle regole di trasparenza, pubblicità e par condicio denunziata da Sh.Be..
23. Sh.Be. ripropone infine anche il settimo motivo di ricorso, facendo riferimento alla parte della doglianza che contiene, oltre alla censura di incompetenza accolta dalla sentenza appellata, anche quella di errata qualificazione della procedura di gara, ed esponendo nuovamente l’erroneità della scelta della procedura di affidamento.
La doglianza riproposta, con la quale la deducente torna a sostenere che l’affidamento per cui è causa è sussumibile nella fattispecie della concessione di servizio, va respinta per le stesse ragioni già indicate ai precedenti capi da 5 a 13.
24. Alla luce di quanto sopra, e anche in disparte ogni questione inerente alla tempestività di talune di esse, sollevata da St. En., tutte le doglianze proposte da Sh.Be., risultate infondate, non possono trovare accoglimento, comportando la reiezione di ogni connessa domanda giudiziale dalla medesima formulata.
25. Per tutto quanto precede, gli appelli autonomi riuniti del Comune di Milano e di St. En. in esame devono essere accolti, con conseguente riforma della sentenza appellata e reiezione del ricorso proposto in primo grado da Sh.Be..
26. Sussistono giusti motivi, tenuto conto della complessità e della particolarità delle questioni trattate nonché dell’andamento complessivo del giudizio, per disporre la compensazione integrale tra le parti delle spese di lite del doppio grado.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sugli appelli di cui in epigrafe, li riunisce e li accoglie, disponendo per l’effetto la riforma della sentenza appellata e la reiezione del ricorso proposto in primo grado.
Compensa tra le parti delle spese di lite del doppio grado.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 14 marzo 2019 con l’intervento dei magistrati:
Francesco Caringella – Presidente
Paolo Giovanni Nicolò Lotti – Consigliere
Raffaele Prosperi – Consigliere
Giovanni Grasso – Consigliere
Anna Bottiglieri – Consigliere, Estensore

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