Dell’anzianità deve “tenersi conto” “complessivamente”

Consiglio di Stato, sezione quarta, Sentenza 3 luglio 2019, n. 4542.

La massima estrapolata:

L’espressione dell’art. 26, comma 5, del d.lgs. n. 63/2006, per la quale dell’anzianità deve “tenersi conto” “complessivamente”, deve intendersi non come un complessivo computo nei due diversi ruoli, ma come salvaguardia del trattamento economico già goduto e della posizione di ruolo già acquisita nella carriera precedente.

Sentenza 3 luglio 2019, n. 4542

Data udienza 6 giugno 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5726 del 2015, proposto dal signor An. Se. Be., rappresentato e difeso dall’avvocato Do. Pa., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Lu. Gr. in Roma, via (…);
contro
Ministero della Giustizia – Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, on domicilio ex lege in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Prima n. 5096/2015, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia – Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 6 giugno 2019 il Cons. Alessandro Verrico e uditi per le parti l’avvocato Do. Pa. e l’avvocato dello Stato Em. Da.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso dinanzi al T.a.r. Lazio, la parte ricorrente dipendente della Polizia penitenziaria, nominata ex legge n. 154/2005 nella qualifica dirigenziale, con attribuzione del trattamento economico di cui al decreto ministeriale 30 settembre 2005, a decorrere dal 16.8.2005, ha chiesto l’accertamento ed il riconoscimento di anzianità di servizio maturata nelle pregresse qualifiche dirigenziali e direttive con corresponsione delle differenze retributive a far data dalla nomina a dirigente penitenziario, nonché l’annullamento dei provvedimenti direttoriali con cui è stato attribuito il trattamento economico di dirigente della Polizia di Stato senza il riconoscimento di tutta l’anzianità maturata con riferimento alle pregresse qualifiche dirigenziali o posizioni economiche di provenienza ex art. 1 della legge n. 154 del 2005 e dell’art. 28 del decreto legislativo n. 63/2006..
2. Il T.a.r. Lazio, Sede di Roma, Sezione I-quater, con la sentenza n. 5096/2015, ha dichiarato inammissibile il ricorso e ha compensato le spese di giudizio tra le parti. Secondo il Tribunale, in particolare:
a) per consolidata giurisprudenza, in materia di inquadramento di pubblici dipendenti non sono proponibili azioni di accertamento ma solo di impugnazione degli atti autoritativi di assegnazione della qualifica o posizione funzionale e del corrispondente livello retributivo, poiché la posizione giuridica del dipendente è di interesse legittimo;
b) l’azione di accertamento è ammissibile in sede di giurisdizione esclusiva solo quando si fa valere un diritto soggettivo;
c) nel caso di specie vi è invece interesse legittimo perché l’atto di inquadramento ha natura autoritativa;
d) ne consegue l’inammissibilità del ricorso, in ragione della mancata tempestiva impugnativa del provvedimento di inquadramento avente natura autoritativa.
3. La parte ricorrente in primo grado ha proposto appello, per ottenere la riforma della sentenza impugnata e il conseguente accoglimento integrale del ricorso originario. In particolare, l’appellante ha sostenuto le censure in tal modo rubricate:
i) “Violazione di legge in particolare degli artt. 1 e 4 della legge 27 luglio 2005, n. 154 ed art. 28 del d.lgs. 15 febbraio 2006, n. 63. Impugnazione della sentenza per avere dichiarato inammissibile il ricorso per decadenza. Diritto soggettivo ed interesse legittimo”;
ii) “Difetto assoluto e mancanza di motivazione della sentenza in merito alla questione di diritto soggettivo ed interesse legittimo”.
3.1. Si è costituito in giudizio il Ministero della Giustizia, il quale si è opposto all’appello e ne ha chiesto l’integrale rigetto.
4. All’udienza del 6 giugno 2019 la causa è stata trattenuta in decisione dal Collegio.
5. L’appello è infondato, seppure per ragioni diverse da quelle indicate dal T.a.r. nella sentenza impugnata.
6. Il ricorso di primo grado non può, infatti, ritenersi inammissibile, atteso che, diversamente da quanto osservato dal giudice di primo grado, con il ricorso introduttivo, piuttosto che chiedere l’accertamento del diritto, si è agito essenzialmente per ottenere il riconoscimento di una diversa classe stipendiale, e quindi il riconoscimento di diritti patrimoniali regolati da determinazioni dell’Amministrazione aventi natura di atti paritetici.
7. Ciò premesso, il Collegio rileva tuttavia l’infondatezza nel merito del ricorso introduttivo, quindi dell’atto di appello in quanto sostanzialmente ripetitivo dei motivi sviluppati in primo grado.
8. Preliminarmente, occorre ricostruire sul piano sistematico il recente quadro ordinamentale in cui trova disciplina la figura del dirigente penitenziario, secondo i seguenti punti:
a) la legge 27 luglio 2005, n. 154 (“Delega al Governo per la disciplina dell’ordinamento della carriera dirigenziale penitenziaria” – c.d. legge Meduri) ha disposto il riordino della carriera del personale inquadrato come dirigente penitenziario, conferendo al Governo la delega per la relativa disciplina;
a.1) in particolare, secondo quanto statuito dall’art. 2, comma 1, della citata legge, il rapporto di lavoro del personale appartenente alla carriera dirigenziale penitenziaria è riconosciuto come rapporto di diritto pubblico ed il relativo personale è inserito fra le categorie escluse dall’applicazione del regime privatistico;
a.2) l’art. 4 della suddetta legge n. 154 del 2005 dispone che “il personale che alla data di entrata in vigore della presente legge è inquadrato nella posizione economica C3, già appartenente ai profili professionali di direttore coordinatore di istituto penitenziario, di direttore medico coordinatore e di direttore coordinatore di servizio sociale dell’Amministrazione penitenziaria, ai quali hanno avuto accesso mediante concorso pubblico, nonché gli ispettori generali del ruolo ad esaurimento, sono nominati dirigenti secondo la posizione occupata da ciascuno nel rispettivo ruolo, in considerazione della esperienza professionale maturata nel settore avendo già svolto funzioni riconosciute di livello dirigenziale”;
a.3) in via transitoria e nelle more dell’entrata in vigore dei decreti legislativi diretti a disciplinare l’ordinamento della carriera dirigenziale penitenziaria ed il relativo trattamento giuridico ed economico, il rapporto di lavoro dei dirigenti penitenziari sarebbe stato regolato “dalle disposizioni previste per il personale statale in regime di diritto pubblico” (art. 4, comma 3), che è stato individuato dall’Amministrazione penitenziaria in quello delle Forze di Polizia ad ordinamento civile;
b) il d.lgs. n. 63 del 2006 (“Ordinamento della carriera dirigenziale penitenziaria, a norma della L. 27 luglio 2005, n. 154”), con cui è stata data attuazione alla suddetta delega legislativa al Governo provvedendo a disciplinare la carriera dirigenziale penitenziaria, all’art. 28, comma 1, stabilisce testualmente che “ai fini dell’applicazione di tutti gli istituti giuridici ed economici di cui al presente decreto, i funzionari conservano l’anzianità maturata con riferimento alle pregresse qualifiche dirigenziali e direttive ovvero posizioni economiche di provenienza”.
9. Ciò considerato sul piano normativo, il Collegio rammenta che il Consiglio di Stato:
a) inizialmente, con i pareri della Sezione III nn. 551, 552, 553, 554 e 555 del 2009, ha interpretato l’art. 28, comma 1, del d.lgs. n. 63/2006 nel senso di riconoscere anche ai fini economici tutta l’anzianità maturata dai direttori di penitenziari a prescindere dalla loro appartenenza alla classe stipendiale C3 o C2;
b) in seguito, con il parere n. 258/2016 del 4 febbraio 2016 reso dalla seconda Sezione, si è espresso nuovamente sulla questione attinente alla rilevanza da riconoscere, in sede di individuazione del trattamento economico-giuridico spettante al personale dirigenziale penitenziario, all’anzianità maturata dal medesimo personale nelle qualifiche dell’ex carriera direttiva penitenziaria precedentemente ricoperte. Ebbene, in tale occasione la Sezione II, alla stregua di un’interpretazione sistematica, leggendo le disposizioni nel contesto dell’intero sistema normativo, ha affermato che:
b.1) “il comma 1 non può che interpretarsi nel senso che il riconoscimento dell’anzianità debba avvenire con riferimento alla necessità che l’acquisizione della qualifica di dirigente non vada a scapito del trattamento economico già goduto e della posizione di ruolo già acquisita nella carriera precedente”;
b.2) “l’art. 28, co. 1, quindi, deve essere interpretato nel senso del mantenimento e riconoscimento in sede di inquadramento nella nuova carriera dirigenziale dell’anzianità giuridica ed economica maturata e non anche con il riconoscimento del trattamento economico-retributivo proprio del nuovo inquadramento con effetto retroattivo, senza, perciò, che nella nuova qualifica dirigenziale vi sia un trascinamento di anzianità giuridica ed economica maturata in altra carriera”.
10. Il Collegio, conformemente a quanto già espresso da questa Sezione con la recente sentenza n. 21/2019 pubblicata in data 2 gennaio 2019, ritiene condivisibili le statuizioni di cui al citato parere n. 258/2016, ritenendo pertanto che:
a) l’anzianità maturata dai direttori di penitenziario nella soppressa carriera direttiva (caso di parte ricorrente) non possa considerarsi alla stessa stregua dell’anzianità nel nuovo ruolo unico dirigenziale del riordino, perché la disposta equiparazione delle funzioni direttive con quelle dirigenziali valeva unicamente a giustificare la nomina a dirigente in deroga al principio generale del concorso;
b) il riconoscimento ai fini della carriera nel ruolo dirigenziale dell’anzianità maturata nella carriera direttiva avrebbe potuto determinare uno scavalcamento economico dei dirigenti che già ricoprivano in precedenza tale qualifica, in aperta contraddizione con “l’ordine di ruolo” di cui all’art. 26 della legge n. 154/2005 e con la “clausola di salvaguardia” prevista dal successivo art. 28;
c) in definitiva, l’espressione dell’art. 26, comma 5, del d.lgs. n. 63/2006, per la quale dell’anzianità deve “tenersi conto” “complessivamente”, deve dunque intendersi non come un complessivo computo nei due diversi ruoli, ma come salvaguardia del trattamento economico già goduto e della posizione di ruolo già acquisita nella carriera precedente (in sostanza, nel senso del mantenimento e del riconoscimento in sede di inquadramento nella nuova carriera dirigenziale dell’anzianità giuridica ed economica maturata e non anche ai fini di un nuovo inquadramento con effetto retroattivo).
11. In conclusione, in ragione di quanto esposto, l’appello va respinto e, per l’effetto, va confermata la sentenza impugnata seppure sulla base di una diversa motivazione.
12. Si dispone l’integrale compensazione delle spese del grado di giudizio, in considerazione del preesistente contrasto giurisprudenziale.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge, nei sensi indicati in motivazione.
Compensa tra le parti le spese del grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 6 giugno 2019, con l’intervento dei magistrati:
Antonino Anastasi – Presidente
Daniela Di Carlo – Consigliere
Alessandro Verrico – Consigliere, Estensore
Silvia Martino – Consigliere
Giuseppa Carluccio – Consigliere

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