L’imprenditore che avendo incassato l’Iva non l’accantona per il successivo versamento

Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 12 luglio 2019, n. 30688.

La massima estrapolata:

L’imprenditore che avendo incassato l’Iva non l’accantona per il successivo versamento, non può invocare l’assenza di dolo nel reato, non essendo sufficiente che l’azienda versasse in una situazione di crisi, fosse stato avviato un piano di ristrutturazione e l’imprenditore stesso si fosse personalmente esposto sotto il profilo finanziario.

Sentenza 12 luglio 2019, n. 30688

Data udienza 21 maggio 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSI Elisabetta – Presidente

Dott. SOCCI Angelo Matteo – Consigliere

Dott. GAI Emanuela – rel. Consigliere

Dott. NOVIELLO Giuseppe – Consigliere

Dott. Andronio Alessandro M. – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 19/03/2018 della Corte d’appello di Ancona;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Emanuela Gai;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. MOLINO Pietro, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito per l’imputato l’avv. (OMISSIS), che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’impugnata sentenza, la Corte d’appello di Ancona, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Pesaro, ha assolto (OMISSIS) in relazione al reato di cui all’articolo 646 c.p., perche’ il fatto non costituisce reato (capo b) ed ha ridotto la pena inflitta, nella misura di mesi quattro di reclusione, in relazione al reato di cui al Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74, articolo 10 ter, per l’omesso versamento di Iva per Euro 2.055.250,00, dovuta in base alla dichiarazione annuale della societa’ (OMISSIS) srl, di cui era legale rappresentante, del 2011, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo all’anno successivo. In (OMISSIS).
2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso l’imputato, a mezzo del difensore di fiducia, e ne ha chiesto l’annullamento per i seguenti motivi enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1:
2.1. Con il primo motivo denuncia la violazione di legge in relazione all’articolo 420 ter c.p.p., per avere, la Corte d’appello, rigettato la richiesta di rinvio per legittimo impedimento dell’imputato a comparire all’udienza del 19/03/2018, per motivi di salute, come risultanti dal certificato medico che attestava che l’imputato era affetto da “sindrome ansioso depressiva reattiva dispepsia rachialgie dorso-lombari con prognosi di cinque giorni di riposo e cure mediche”, con motivazione illogica e in violazione di legge, dal momento che l’impossibilita’ assoluta non e’ limitata alla materiale impossibilita’ per l’imputato a comparire, ma ricorre anche nei casi in cui la partecipazione non sarebbe assistita dal lucidita’ mentale e capacita’ intellettiva tale da assicurare il suo diritto di difesa.
2.2. Con il secondo motivo denuncia la violazione di legge in relazione all’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera d), e il vizio di motivazione in relazione al rigetto della richiesta di rinnovazione dell’istruttoria per l’assunzione del teste Dott. (OMISSIS), funzionario della (OMISSIS) Agenzia di (OMISSIS), indicato nella lista dei testimoni ed escluso dal giudice di primo perche’ superfluo, la cui testimonianza era indispensabile per l’esclusione del dolo e segnatamente, per la dimostrazione che l’esito negativo della pratica di finanziamento richiesta nell’estate del 2011, non era dipeso dall’imputato.
2.3. Con il terzo motivo denuncia la violazione dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), in relazione all’esclusione del dolo per effetto della crisi economica che aveva investito la societa’. Argomenta il difensore del ricorrente di avere allegato la situazione di crisi economica e di avere assolto all’onere probatorio richiesta dalla giurisprudenza per escludere il dolo del reato. Sotto il primo profilo la crisi di liquidita’, che aveva investito la societa’, non era dipesa dal suo comportamento ma da precedente mala gestio, il prevenuto aveva messo in atto tutte le misure, anche sfavorevoli al proprio patrimonio, per far fronte alla crisi economica, si era dapprima nel 2011, rivolto al ceto bancario per avere un finanziamento che, inaspettatamente veniva negato dalla banca, nella primavera del 2012 aveva poste in essere una serie di operazioni di ricostituzione del capitale sociale mediante conferimento di un fabbricato del valore stimato di Euro 1.891.000 di proprieta’ della societa’ sta della famiglia (OMISSIS), e di ricostituzione del capitale sociale Euro 10.000, con un ulteriore aumento di capitale fino all’importo di Euro 1.250.000,00 attraverso il conferimento di crediti in capo ad una societa’ anch’essa della famiglia (OMISSIS). Aveva predisposto un piano, L. Fall., ex articolo 67, non approvato dal credito bancario, con successivo accordo L. Fall., ex articolo 182 bis, e successiva dichiarazione di fallimento. In tale situazione alcun rimprovero a titolo di dolo sarebbe sostenibile, e la motivazione, sul punto sarebbe manifestamente illogica e frutto di un travisamento del fatto laddove la sentenza impugnata avrebbe affermato l’avvenuto pagamento di compensi all’amministratore, avendo il (OMISSIS) percepito emolumenti sino al 2011, circostanza confermata dall’assoluzione di cui al capo b), e non in epoca successiva.
3. Il Procuratore Generale ha concluso chiedendo l’inammissibilita’ del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il ricorso, che riproduce le medesime censure gia’ devolute ai giudici dell’impugnazione e da quei giudici disattese con motivazione congrua e corrette in diritto, e’ inammissibile.
5. Il primo motivo di ricorso, di natura processuale, e’ manifestamente infondato.
Dagli atti a cui la Corte ha accesso, in presenza di un error in procedendo, risulta che l’istanza di rinvio per legittimo impedimento dell’imputato era stata disattesa, in presenza di un certificato medico con diagnosi di “sindrome ansioso depressiva reattiva dispepsia rachialgie dorso-lombari con prognosi di cinque giorni di riposo e cure mediche”, non configurando, secondo la corte territoriale, un assoluto impedimento a comparire. Tale decisione e’ corretta in diritto e congruamente argomentata.
La semplice diagnosi di “cinque giorni di riposo e cure mediche” non meglio specificate non qualifica, per la sua genericita’, la condizione di assoluto impedimento che legittima il rinvio ai sensi dell’articolo 420 ter c.p.p.. La genericita’ dell’indicazione contenuta nel certificato medico sulla tipologia di cure, per verificare il requisito dell’assolutezza dell’impedimento, non consente la valutazione del grado di impedimento, sia quale materiale impossibilita’ per l’imputato di essere presente nel luogo ove si svolge il processo, sia quale condizione mentale per assicurare la partecipazione con effettivo esercizio del diritto di difesa; a nulla rilevando, in tale ultimo ambito, la certificazione prodotta (relazione psichiatrica di parte ai fini della compatibilita’ delle condizioni di salute con la detenzione in carcere) datata oltre un anno prima nella quale, peraltro, viene evidenziata la ricorrenza di una sindrome ansioso depressiva complicata dalla detenzione in carcere la cui compatibilita’ non era neppure esclusa.
Concorda il Collegio con l’affermazione difensiva secondo cui il legittimo impedimento ex articolo 420 ter c.p.p., che giustifica il rinvio del processo, non deve essere limitato all’impossibilita’ fisica, come, del resto, questa Corte di legittimita’ ha gia’ da tempo affermato. Ma, nel caso in esame, non sussistevano i presupposti di assolutezza richiesta dalla norma processuale.
Ed infatti, la giurisprudenza di legittimita’, ha da tempo affermato che l’assoluta impossibilita’ a comparire derivante da infermita’ fisica non va intesa in senso esclusivamente meccanicistico, come impedimento materiale che risulti superiore a qualsiasi sforzo umano, prescindendo dalle condizioni psico-fisiche in cui versa l’imputato, in quanto la garanzia sottesa all’esercizio del diritto di difesa comporta che egli sia in grado di presenziare al processo a suo carico come parte attiva della vicenda che lo coinvolge (Sez. 6, n. 11678 del 19/03/2012, Bracchi, Rv. 252318 – 01). Tuttavia, ha precisato, in tempi recenti, che l’impedimento a comparire dell’imputato di cui all’articolo 420 ter c.p.p., che concerne non solo la capacita’ di recarsi fisicamente in udienza, ma anche quella di parteciparvi attivamente per l’esercizio del diritto costituzionale di difesa, puo’ essere integrato anche da una malattia a carattere cronico, purche’ determinante un impedimento effettivo, legittimo e di carattere assoluto, riferibile ad una situazione non dominabile dall’imputato e a lui non ascrivibile (Sez. 3, n. 6357 del 16/10/2018, Santi, Rv. 275000 – 01), situazione non ricorrente sulla scorta del certificato medico prodotto alla Corte d’appello.
6. Manifestamente infondato e’ il secondo motivo di ricorso con cui si censura la mancata rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, ex articolo 603 c.p.p., in relazione alla mancata assunzione della testimonianza del Dott. (OMISSIS), funzionario della (OMISSIS)., che avrebbe confermato, nella prospettazione difensiva, che la richiesta di finanziamento non era andata a fuori fine per causa imprevedibili e non imputabili al ricorrente.
Nel giudizio d’appello, la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, prevista dall’articolo 603 c.p.p., comma 1, e’ subordinata alla verifica dell’incompletezza dell’indagine dibattimentale e alla conseguente constatazione del giudice di non poter decidere allo stato degli atti senza una rinnovazione istruttoria; tale accertamento e’ rimesso alla valutazione del giudice di merito, incensurabile in sede di legittimita’ se correttamente motivata (Sez. 6, n. 48093 del 10/10/2018, G., Rv. 274230 – 01; Sez. 6, Sentenza n. 8936 del 13/01/2015, Rv. 262620 – 01; Sez. 4, n. 4981 del 05/12/2003, P.G. in proc. Ligresti ed altri. P.M. Iannelli M., Rv. 229666 – 01).
Nel caso in esame, la corte territoriale ha respinto l’istanza difensiva, in assenza della decisivita’ della prova richiesta, motivazione del tutto congrua alla luce della stessa motivazione della sentenza impugnata che ha ritenuto accertata, sulla scorta del compendio probatorio, la non imputabilita’ della crisi economica in cui versava la societa’ amministrata dall’imputato e la dimostrazione che il (OMISSIS) aveva posto in essere misure volte a fronteggiare la stessa. Dunque, l’assunzione della testimonianza, diretta a dimostrare cio’ che la corte territoriale gia’ riteneva provato, e’ senz’altro superflua. Da cui la manifesta infondatezza del motivo di ricorso.
7. Nel merito, il ricorso non ha miglior sorte.
Il terzo motivo di ricorso e’ meramente ripetitivo delle stesse questioni gia’ devolute in appello, con riguardo alla rilevanza della situazione di crisi economica e finanziaria ai fini di esclusione dell’elemento soggettivo del reato, puntualmente esaminate e disattese dal giudice dell’impugnazione con motivazione del tutto coerente e adeguata.
La sentenza impugnata, in risposta alle censure difensive con le quali l’imputato allegava la non imputabilita’ della crisi economica e rappresentava di aver fatto ricorso a misure, anche sfavorevoli al proprio patrimonio, per fronteggiare la crisi di liquidita’, ai fini dell’esclusione del dolo del reato, rilevava, in primo luogo, che il debito Iva si era formato nell’anno 2011, quanto il (OMISSIS) era amministratore della societa’, e che l’imputato aveva ammesso di avere ricevuto l’Iva con il pagamento delle fatture, e da cio’ ha tratto la conclusione che l’assenza nel patrimonio sociale delle somme di denaro, ricevute e non accantonate, in vista dell’adempimento dell’obbligazione tributaria non scusava e non rilevava ai fini dell’esclusione del dolo del reato.
La Corte d’appello, ha ritenuto provato che la societa’ versasse in una situazione di crisi economica finanziaria e che questa fosse imputabile alla mala gestio della compagine precedente, e che l’imputato aveva fatto richiesta di finanziamento al ceto bancario, aveva assunto impegni di capitalizzazione della societa’ con beni anche personali, aveva fatto ricorso al piano per la ristrutturazione del debito ai sensi della L. Fall., articolo 67, non di meno, ha ritenuto che l’omesso accantonamento della somme ricevute, e che dovevano essere accantonate in vista dell’adempimento dell’obbligazione tributaria, non valevano ad escludere il dolo.
La Corte d’appello ha fatto corretta applicazione dello ius receptum di questa Corte e lo ha argomentato in modo congruo e privo di illogicita’.
Deve rammentarsi che all’imputato e’ contestato l’omesso versamento dell’iva; il tributo da versare (l’iva) e’ costituito da una somma che il contribuente ha comunque ricevuto dalla controparte dell’operazione commerciale, e che avrebbe dovuto accantonare in vista della scadenza del debito erariale. E’ ben vero che non vi e’ norma giuridica che imponga di accantonare la somma ricevuta e da versare, e che il reato sussiste allorche’, entro il termine per il pagamento dell’acconto per l’anno di imposta successivo, non vengono versate le somme dovute in base alla dichiarazione Iva per l’anno di imposta di riferimento. Ma certamente la scelta di accantonare la somma, che il contribuente ha ricevuto in controparte dell’operazione commerciale, costituisce scelta prudenziale, nel senso che onera il contribuente del rischio del mancato versamento alla scadenza del termine per l’adempimento dell’obbligazione tributaria, termine che, riferito all’anno di imposta successivo, costituisce il momento consumativo del reato, rispetto al quale sussistono gli elementi soggettivi e oggettivi.
8. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’articolo 616 c.p.p.. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi e’ ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

 

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