Impossessarsi di reperti archeologici

Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 22 aprile 2020, n. 12653.

Massima estrapolata:

Impossessarsi, attraverso scavi clandestini, di reperti archeologici anche se di modesto valore non può mai integrare una causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto. Si tratta infatti di un “vero e proprio saccheggio di un patrimonio della collettività” che dunque va punito ai sensi del Codice dei beni culturali.

Sentenza 22 aprile 2020, n. 12653

Data udienza 21 febbraio 2020

Tag – parola chiave: ANTICHITA’ E BELLE ARTI – TUTELA

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSI Elisabetta – Presidente

Dott. CORBETTA Stefano – rel. Consigliere

Dott. GAI Emanuela – Consigliere

Dott. CORBO Antonio – Consigliere

Dott. ZUNICA Fabio – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nata a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 07/02/2019 della Corte di appello di Bari;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Stefano Corbetta;
letta le requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FIMIANI Pasquale, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito il difensore, avv. (OMISSIS) che ha concluso chiedendo l’accoglimento dei ricorsi.

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’impugnata sentenza, la Corte di appello di Bari Torino confermava la pronuncia resa dal Tribunale di Foggia e appellata dagli imputati, che aveva condannato (OMISSIS) e (OMISSIS) alla pena di giustizia, perche’ ritenuto responsabili di concorso nel reato di cui al Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 176, comma 1, loro contestato per esseri impossessati di beni culturali appartenenti allo Stato, in quanto da ritenersi reperti di interesse storico e archeologico, costituiti da cinque monete, di cui una in argento risalente al II secolo A.C. e un frammento di moneta in bronzo ossidato, nonche’ da una serie di oggetti (un orecchino in bronzo, un bracciale, una spilla, un peso da telaio in terracotta, due olle, uno stamnos, due cantaros integri, uno skphios, una bocchetta tribolata, una bocchetta integra, una olla rotta) tutti del IV secolo A.C. Con la medesima decisione, i due imputati venivano assolti dal reato di ricettazione di beni culturali appartenenti allo Stato perche’ il fatto non sussiste.
2. Avverso l’indicata sentenza, gli imputati, per il tramite del comune difensore di fiducia, con un unico atto propongono ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
2.1. Con il primo motivo si deduce la violazione dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), in relazione al Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articoli 10 e 13. Ad avviso dei ricorrenti, la Corte territoriale avrebbe erroneamente interpretato Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articoli 10 e 13, a cui fa rinvio l’articolo 176, in quanto, ai fini della sussistenza del reato sarebbe sempre necessaria la dichiarazione di interesse culturale prevista dell’articolo 10, comma 3, lettera a). In ogni caso, difetterebbe la prova sia dell’illegittimita’ del possesso dei beni culturali, sia dell’elemento soggettivo.
2.2. Con il secondo motivo si lamenta la violazione dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), in ordine alla valutazione delle prove. La Corte territoriale, argomentano i ricorrenti, avrebbe erroneamente rigettato la prospettazione difensiva, secondo cui i beni in esami sono stati acquisiti iure hereditario, in quanto, per un verso, la denuncia di successione era stata omessa in considerazione della tenuita’ del valore dei beni, e, per altro, verso, sui reperti sarebbe presente materiale di incrostazione, come dichiarato dal teste (OMISSIS), e non tracce di terriccio, come ritenuto dalla Corte territoriale.
2.3. Con il terzo motivo si deduce la violazione dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), in relazione all’articolo 131-bis c.p. Deducono i ricorrenti che la Corte d’appello avrebbe erroneamente negato il riconoscimento della causa di non punibilita’ in questione, nonostante l’eseguo valore dei reperti, stimato in soli 50 Euro.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi sono infondati.
2. Il primo motivo e’ infondato.
2.1. Ai sensi del Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 176, comma 1, chiunque si impossessa di beni culturali indicati nell’articolo 10, appartenenti allo Stato ai sensi dell’articolo 91, e’ punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa da Euro 31 a Euro 516,50.
2.2. L’articolo 10, prevede, al comma 1, che “Sono beni culturali le cose immobili e mobili appartenenti allo Stato, alle regioni, agli altri enti pubblici territoriali, nonche’ ad ogni altro ente ed istituto pubblico e a persone giuridiche private senza fine di lucro, ivi compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico”.
Il successivo comma 3, stabilisce, ai fini che qui rilevano, che “Sono altresi’ beni culturali, quando sia intervenuta la dichiarazione prevista dall’articolo 13: a) le cose immobili e mobili che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico particolarmente importante, appartenenti a soggetti diversi da quelli indicati al comma 1”.
2.3. Il quadro normativo e’ integrato dall’articolo 91, comma 1, il quale prevede che “Le cose indicate nell’articolo 10, da chiunque e in qualunque modo ritrovate nel sottosuolo o sui fondali marini, appartengono allo Stato e, a seconda che siano immobili o mobili, fanno parte del demanio o del patrimonio indisponibile, ai sensi degli articoli 822 e 826 c.c.”. Tale ultima disposizione prevede che fanno parte del patrimonio indisponibile dello Stato le cose di interesse storico, archeologico, paletnologico, paleontologico e artistico, da chiunque e in qualunque modo ritrovate nel sottosuolo.
Conseguentemente, la disposizione di cui all’articolo 10, comma 3, contiene una previsione residuale, che trova applicazione per quelle cose di interesse archeologico non ritrovate nel sottosuolo o sui fondali marini e che, quindi, non appartengono al patrimonio indisponibile dello Stato.
3. Da tale complesso di disposizioni deriva che esistono due categorie di cose di interesse archeologico (quali, come nella specie, monete, monili, vasellame) che devono essere considerate “beni culturali”, il cui impossessamento e’ sanzionato penalmente dal Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 176: 1) le cose ritrovate nel sottosuolo o sui fondali marini, perche’, in tal caso, esse appartengono al patrimonio indisponibile dello Stato, trattandosi, per definizione, di “cose d’interesse storico, archeologico, paletnologico, paleontologico o artistico”; 2) le cose per le quali, al di fuori del caso che precede (ossia per quelle non ritrovate nel sottosuolo o sui fondali marini e che, quindi, non appartengono allo Stato) sia intervenuta la dichiarazione di cui al Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 13.
4. Nel caso di specie, la Corte si e’ attenuta ai principi ora indicati, avendo correttamente escluso la necessita’ della dichiarazione di cui al Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 13, come opinato dal ricorrente, in quanto i beni in questione, in quanto rinvenuti nel sottosuolo, appartengono al patrimonio indisponibile dello Stato e, conseguentemente, essendo stati rinvenuti nella disponibilita’ dei ricorrenti, a costoro e’ stata correttamene ascritta la fattispecie di cui al Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 176, comma 1.
5. Il secondo motivo e’ inammissibile perche’ fattuale.
Invero, la Corte territoriale ha accertato, con apprezzamento fattuale logicamente motivato – e quindi insindacabile in questa sede di legittimita’ – che su alcuni reperti erano stati trovati del terriccio e delle incrostazioni, da cio’ desumendo la loro provenienza dagli scavi clandestini operanti in zona, nota per i suolo insediamenti risalenti anche ad epoca preromana.
E tanto basta per confutare la prospettazione difensiva secondo cui i reperti in esami erano stati acquisti dai ricorrenti per successione ereditaria, conclusione peraltro confermata, come correttamente rilevato dalla Corte territoriale, dall’assenza di qualsivoglia denuncia di successione ereditaria alle competenti autorita’.
6. Il terzo motivo e’ infondato.
6.1. La speciale causa di non punibilita’ prevista dall’articolo 131 bis c.p., applicabile, ai sensi del comma 1, ai soli reati per i quali e’ prevista una pena detentiva non superiore, nel massimo, a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta – e’ configurabile in presenza di una duplice condizione, essendo congiuntamente richieste la particolare tenuita’ dell’offesa e la non abitualita’ del comportamento. Il primo dei due requisiti richiede, a sua volta, la specifica valutazione della modalita’ della condotta e dell’esiguita’ del danno o del pericolo, da valutarsi sulla base dei criteri indicati dall’articolo 133 c.p., cui segue, in caso di vaglio positivo – e dunque nella sola ipotesi in cui si sia ritenuta la speciale tenuita’ dell’offesa -, la verifica della non abitualita’ del comportamento, che il legislatore esclude nel caso in cui l’autore del reato sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza, ovvero abbia commesso piu’ reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato sia di particolare tenuita’, nonche’ nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate.
6.2. Con riferimento, in particolare, alla speciale tenuita’ dell’offesa, come affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, il giudizio sulla tenuita’ del fatto richiede una valutazione complessa che prenda in esame tutte le peculiarita’ della fattispecie concreta riferite alla condotta in termini di possibile disvalore e non solo di quelle che attengono all’entita’ dell’aggressione del bene giuridico protetto, che comunque ricorre senza distinzione tra reati di danni e reati di pericolo (Sez. U., n. 13681 del 25/02/2016 – dep. 06/04/2016, Tushaj, Rv. 266590).
6.3. Nel caso in esame, la Corte territoriale, con apprezzamento fattuale logicamente motivato, ha escluso correttamente la sussistenza dei presupposti applicativi della speciale causa di non punibilita’ in esame, individuando, quale elemento ostativo presente nella fattispecie concreta, il fatto che i reperti in esame, pur di modesto valore economico, provengano da scavi clandestini, e quindi da una vero e proprio saccheggio di un patrimonio della collettivita’.
7. Per i motivi indicati, i ricorsi devono essere rigettati, con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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