Consiglio di Stato, sezione terza, Sentenza 28 febbraio 2019, n. 1408.

La massima estrapolata:

L’impianto motivazionale dell’informazione antimafia deve fondarsi su una rappresentazione complessiva, imputabile all’autorità prefettizia, degli elementi di permeabilità criminale che possano influire anche indirettamente sull’attività dell’impresa, la quale si viene a trovare in una condizione di potenziale asservimento rispetto alle iniziative della criminalità organizzata di stampo mafioso.

Sentenza 28 febbraio 2019, n. 1408

Data udienza 14 febbraio 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7629 del 2018, proposto da
-OMISSIS-., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocato Ma. Ca. con domicilio digitale come da PEC indicata in atti e domicilio fisico presso il suo studio in (…);
contro
Ufficio Territoriale del Governo Caserta e Ministero dell’Interno, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, e presso la stessa domiciliati ex lege in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza n. -OMISSIS- emessa dal Tribunale amministrativo regionale per la Campania, Sede di Napoli, Sez. I, pubblicata in data 14 febbraio 2018, con la quale era respinto il ricorso per l’annullamento:
1.dell’informativa antimafia interdittiva emessa dal Prefetto della Provincia di Caserta recante protocollo di uscita n. -OMISSIS-(Cat. -OMISSIS-/ANT/AREA 1^);
2. nota di cat. Q2/2ANT/B.N. datate -OMISSIS-, -OMISSIS-e -OMISSIS-della Questura di Caserta;
3. note nn. -OMISSIS-” datate -OMISSIS-del Comando provinciale Carabinieri di Caserta;
4. note nn. -OMISSIS-del nucleo polizia tributaria della guardia di Finanza di Caserta;
5. note nn. -OMISSIS-della direzione investigativa antimafia di Napoli;
6. relazioni redatte in data 14 ottobre 2016 e 3 febbraio 2017 dai rappresentanti delle forze dell’ordine;
7. di tutti gli atti precedenti e presupposti, antecedenti e susseguenti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Ufficio Territoriale del Governo Caserta e del Ministero dell’Interno;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 14 febbraio 2019 il Cons. Solveig Cogliani e uditi per le parti l’Avvocato Ro. La. su delega dell’Avvocato Ma. Ca. e l’Avvocato dello Stato Ca. Pl.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

I – Con il ricorso in appello, indicato in epigrafe, la -OMISSIS- chiede la riforma della sentenza di prime cure, che ha respinto il ricorso teso all’annullamento de provvedimento prefettizio, ritenendo la fondatezza e la completezza dell’interdittiva, in quanto fondata su seri elementi indiziari da cui arguire la possibile permeabilità malavitosa della società ricorrente, in ragione del pericolo di infiltrazione mafiosa considerati i rapporti tenuti dal legale rappresentante e dal direttore tecnico con il sig. -OMISSIS-, ritenuto continuo con ambienti criminali e mafiosi.
L’appellante sostiene che, al contrario, il provvedimento gravato non sia idoneamente supportato.
A riguardo deduce la nullità e l’illegittimità della sentenza per error in iudicando, difetto di valutazione, violazione dell’art. 84 d.lgs. n. 159 del 2011, motivazione perplessa, erroneità, violazione del giusto procedimento, carenza di istruttoria e mancata valutazione di elementi fondamentali, poiché la sentenza di prime cure non avrebbe tenuto in considerazione che:
– il sig. -OMISSIS-, coinvolto da un procedimento penale per violazione dell’art. 12 quinquies l. n. 356 del 1992, con contestazione dell’aggravante di cui all’art. 7, l. n. 203 del 1991 era assolto con sentenza del 6 dicembre 2016 dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere;
– quanto ai rapporti tra -OMISSIS- per i medesimi reati, in quanto soci della -OMISSIS-, si tratterebbe di società inattive, che non hanno mai presentato i bilanci, né prodotto reddito, né in possesso di posizioni INAIL o INPS;
– ancora apparterrebbero alle normali dinamiche societarie, gli unici due episodi avvenuti nel corso degli anni: una sostituzione nella rappresentanza legale della società nel 2005, quando-OMISSIS-sostituiva come amministratore -OMISSIS-; e la cessione di quote societarie da -OMISSIS-a -OMISSIS- s.r.l.s;
– peraltro, il sig. -OMISSIS-aveva sporto denunzia per estorsione in data 6 marzo 2017 a carico di soggetti affiliati alla criminalità organizzata.
Si è costituita per resistere l’Amministrazione, evidenziando la finalità preventiva dell’istituto dell’interdittiva.
All’udienza del 14 febbraio 2019, la causa è stata trattenuta in decisione.
II – Osserva il Collegio che dall’interdittiva in atti emerge un quadro fattuale assai differente da quanto rappresentato da parte appellante:
– il 25 luglio 2016 l’intero capitale della società appellante era acquistato dalla società “-OMISSIS- srl.”, costituita in data 13 aprile 2016, con Socio unico -OMISSIS-, che ha assunto la carica anche di amministratore in data 16 maggio 2016, detenuta fino ad allora da -OMISSIS-;
– -OMISSIS- risulta avere cointeressenze economiche in società delle cui compagini sociali fanno parte soggetti controindicati ai fini antimafia; infatti, la società “-OMISSIS-“, ha come uno dei soci accomandanti il predetto -OMISSIS-; egli è anche socio della società “-OMISSIS-” insieme al menzionato -OMISSIS-; ma ancora il sig. -OMISSIS-risulta essere stato socio e amministratore (sino al 12 febbraio 2016) della società “-OMISSIS-.”, il cui procuratore speciale dal 27 gennaio 1017, -OMISSIS-, è destinatario di una ordinanza di custodia cautelate in carcere per diversi reati, tra cui l’art. 629 cp. (estorsione) con l’aggravante di cui all’art. 7 della l. n. 203/1991.
III – Orbene vale osservare che – secondo quanto affermato costantemente da questa Sezione – “l’impianto motivazionale dell’informazione antimafia deve fondarsi su una rappresentazione complessiva, imputabile all’autorità prefettizia, degli elementi di permeabilità criminale che possano influire anche indirettamente sull’attività dell’impresa, la quale si viene a trovare in una condizione di potenziale asservimento rispetto alle iniziative della criminalità organizzata di stampo mafioso”. Ne discende che il quadro indiziario dell’infiltrazione mafiosa posto a base dell’informativa deve dar conto in modo organico e coerente, ancorché sintetico, di quei fatti aventi le caratteristiche di gravità, precisione e concordanza, dai quali, sulla base della regola causale del “più probabile che non”, il giudice amministrativo, chiamato a verificare l’effettivo pericolo di infiltrazione mafiosa, possa pervenire in via presuntiva alla conclusione ragionevole che tale rischio sussiste tenuto conto di tutte le circostanze di tempo, di luogo e di persona specificamente dedotte a sostegno dell’adottato provvedimento amministrativo” (tra le altre, da ultimo, n. 965/2018).
La Prefettura ha evidenziato, nel provvedimento gravato, i legami societari e le interessenze economiche con soggetti legati alla criminalità organizzata.
IV – Pertanto, risulta priva di fondamento la censura riferita all’esito del procedimento penale; la mancata condanna penale non fa venir meno – come più volte ricordato da questo Consiglio – il pericolo del condizionamento mafioso che è posto alla base del provvedimento impugnato e che proprio sull’esistenza di tali rapporti di affari trova fondamento.
Quanto dedotto da parte appellante, dunque, non ha alcun rilievo sul pericolo di condizionamento nell’ambito dell’evidenziata lettura sinergica del quadro fattuale posto a fondamento dei provvedimenti impugnati, tesi per l’appunto a prevenire l’infiltrazione criminale.
V – Con riferimento alla posizione di -OMISSIS-vale ricordare, per completezza, che la Sezione ha avuto, inoltre, modo di precisare che “Anche soggetti semplicemente conniventi con la mafia (dovendosi intendere con tale termine ogni similare organizzazione criminale “comunque localmente denominata”), per quanto non concorrenti, nemmeno esterni, con siffatta forma di criminalità, e persino imprenditori soggiogati dalla sua forza intimidatoria e vittime di estorsioni sono passibili di informativa antimafia. Infatti, la mafia, per condurre le sue lucrose attività economiche nel mondo delle pubbliche commesse, non si vale solo di soggetti organici o affiliati ad essa, ma anche e sempre più spesso di soggetti compiacenti, cooperanti, collaboranti, nelle più varie forme e qualifiche societarie, sia attivamente, per interesse, economico, politico o amministrativo, che passivamente, per omertà o, non ultimo, per il timore della sopravvivenza propria e della propria impresa. Le situazioni relative ai tentativi di infiltrazione mafiosa, tipizzate dal legislatore, comprendono dunque una serie di elementi del più vario genere e, spesso, anche di segno opposto, frutto e cristallizzazione normativa di una lunga e vasta esperienza in questa materia, situazioni che spaziano dalla condanna, anche non definitiva, per taluni delitti da considerare sicuri indicatori della presenza mafiosa (art. 84, comma 4, lett. a), del d.lgs. n. 159 del 2011), alla mancata denuncia di delitti di concussione e di estorsione, da parte dell’imprenditore, dalle condanne per reati strumentali alle organizzazioni criminali (art. 91, comma 6, del d.lgs. n. 159 del 2011), alla sussistenza di vicende organizzative, gestionali o anche solo operative che, per le loro modalità, evidenzino l’intento elusivo della legislazione antimafia. Esistono poi, come insegna l’esperienza applicativa della legislazione in materia e la vasta giurisprudenza formatasi sul punto nel corso di oltre venti anni, numerose altre situazioni, non tipizzate dal legislatore, che sono altrettante ‘spiè dell’infiltrazione (nella duplice forma del condizionamento o del favoreggiamento dell’impresa). Gli elementi di inquinamento mafioso, ben lungi dal costituire un numerus clausus, assumono forme e caratteristiche diverse secondo i tempi, i luoghi e le persone e sfuggono, per l’insidiosa pervasività e mutevolezza, anzitutto sul piano sociale, del fenomeno mafioso, ad un preciso inquadramento. Quello voluto dal legislatore, ben consapevole di questo, è dunque un cata aperto di situazioni sintomatiche del condizionamento mafioso” (Consiglio di Stato Sez. III del 9 maggio 2016 n. 1846).
VI – Ne consegue che correttamente la sentenza di prime cure ha individuato l’idoneità della motivazione del provvedimento prefettizio gravato. Ne discende che l’appello deve essere respinto e, per l’effetto, deve essere confermata la sentenza n. 995 del 2018.
La parte appellante è condannata, in virtù del principio della soccombenza, al pagamento, in favore dell’Amministrazione resistente, delle spese del presente grado, che sono determinate in complessivi euro 5.000,00 (cinquemila/00).

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e per l’effetto, conferma la sentenza n. 995 del 2018.
Condanna la Società appellante al pagamento, in favore dell’Amministrazione resistente, delle spese del presente grado, che sono determinate in complessivi euro 5.000,00 (cinquemila/00).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare le parti private.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 febbraio 2019 con l’intervento dei magistrati:
Franco Frattini – Presidente
Pierfrancesco Ungari – Consigliere
Giovanni Pescatore – Consigliere
Giulia Ferrari – Consigliere
Solveig Cogliani – Consigliere, Estensore

Per aprire la pagina facebook @avvrenatodisa
cliccare qui

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *