Oggetto di immediata impugnazione delle clausole del bando di gara

Consiglio di Stato, sezione quinta, Sentenza 17 gennaio 2019, n. 427.

La massima estrapolata:

Il principio secondo cui possono essere oggetto di immediata impugnazione (costituendo del resto quest’ultima un onere per la parte interessata) solo le clausole del bando di gara immediatamente escludenti o che comunque determinino l’imposizione di oneri palesemente incomprensibili, sproporzionati od abnormi a carico dei partecipanti alla gara. Per contro, le clausole del bando che non rivestano portata escludente devono essere impugnate unitamente al provvedimento lesivo e possono essere impugnate unicamente dall’operatore economico che abbia partecipato alla gara o manifestato formalmente il proprio interesse alla procedura.

Sentenza 17 gennaio 2019, n. 427

Data udienza 25 ottobre 2018

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quinta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 3547 del 2018, proposto da
G.E. – Ge. En. Im. – s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ma. Zo. e Ma. Vi. Ma., con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, via (…);
contro
Provincia di Cremona, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Lu. Gu., con domicilio eletto presso lo studio legale dell’avvocato An. Ma. in Roma, via (…);
Ministero dello sviluppo economico e Ministero per i rapporti con le Regioni e la coesione territoriale, in persona dei rispettivi Ministri pro tempore, nonché Comune di (omissis) ed altri, in persona dei rispettivi Sindaci pro tempore, non costituiti in giudizio;
Ld Re. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Fa. To. ed An. Co., con domicilio eletto presso lo studio legale dell’avvocato Gi. Co. in Roma, via (…);
nei confronti
Li. Di. s.r.l., nonché Ro. Si. di Ro. Gi. e Da. Ar., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia – sezione staccata di Brescia Sezione Seconda n. 00311/2018, resa tra le parti, concernente procedura aperta per l’affidamento della concessione del servizio di distribuzione del gas negli ambiti territoriali confinanti aggregati Cremona 2 e Cremona 3.
Visti il ricorso in appello ed i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Provincia di Cremona e di Ld Re. s.r.l.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 25 ottobre 2018 il Cons. Valerio Perotti ed uditi per le parti gli avvocati An. Li., in dichiarata delega dell’avvocato Ma. Zo., Pa. Ca. in dichiarata delega dell’avvocato Lu. Gu., nonché Gi. Co. in dichiarata delega dell’avvocato Fa. To.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Risulta dagli atti che la Provincia di Cremona aveva provveduto a pubblicare un bando di gara relativamente a procedura aperta “per l’affidamento della concessione del servizio di distribuzione del gas negli ambiti territoriali confinanti aggregati Cremona 2 e Cremona 3”, in attuazione a quanto previsto dall’art. 46-bis della legge n. 222 del 2007, il quale ha innovato la regolamentazione del settore della distruzione del gas naturale, passando da un sistema di affidamento del servizio mediante gara disposta dai singoli Comune ad uno incentrato sulle cd. gare d’ambito, aventi una dimensione necessariamente sovracomunale.
In forza del suddetto articolo 46-bis, la gara avrebbe dovuto essere bandita, per ciascun bacino ottimale di utenza, entro due anni dall’individuazione dell’estensione di questi ultimi, affidata al Ministero dello sviluppo economico ed a quello per gli affari regionali e le autonomie locali, su proposta dell’Autorità per l’energia elettrica ed il gas e sentita la Conferenza unificata, demandando ad un successivo decreto l’indicazione dei Comuni appartenenti a ciascun bacino.
A seguito della definizione degli ambiti territoriali minimi – di cui al d.m. 19 gennaio 2011 – la Provincia di Cremona, previa acquisizione della disponibilità dei Comuni appartenenti agli ambiti Atem Cremona 2 – Centro e Cremona 3 – Sud, provvedeva – onde rispettare i termini di legge e non incorrere in eventuali sanzioni – a pubblicare, nella G.U. del 30 dicembre 2015, un bando di gara per l’affidamento del servizio di distribuzione del gas.
Ciò però induceva la società G.E. s.p.a. a proporre ricorso al Tribunale amministrativo della Lombardia, deducendo l’illegittimità del bando sotto due profili che avrebbero precluso la possibilità di formulare un’offerta attendibile: il fatto che la gara fosse stata indetta congiuntamente da due ambiti, in asserita violazione dell’obbligo di affidare il servizio per ciascun singolo bacino, nonché l’incompletezza del bando (pubblicato in assenza della preventiva trasmissione all’Autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico – di seguito Aeegsi), inidoneo a consentire la compiuta formulazione di un’offerta.
Più precisamente, venivano dedotte le seguenti censure:
1. incompetenza assoluta e violazione dell’art. 46 bis del d. l. 159/2007, come convertito in legge 29 novembre 2007, n. 222.
La Provincia avrebbe infatti accorpato in un’unica procedura – e con assegnazione di un unico lotto – due dei tre ambiti territoriali cremonesi, così violando anche l’art. 2, comma 4 del d.m. 19 gennaio 2011.
2. Violazione degli artt. 41 e 117 della Costituzione, dell’art. 1 della legge 239/2004 e dell’art. 46 bis del d.lgs. 159/2007, degli artt. 1 e 2 della legge 11 novembre 2011, n. 180, dell’art. 24 del d.lgs. 1 giugno 2011, n. 93 e del d.m. 11 gennaio 2011.
Nella redazione degli atti censurati, la Provincia avrebbe violato il canone della concorrenza, fondamentale nella disciplina dei contratti pubblici e ispiratore del nuovo sistema di affidamento del servizio di distribuzione del gas, che avrebbe dovuto tendere, secondo la ricorrente, alla maggiore efficienza nel settore e alla riduzione dei costi per gli utenti finali, così da rimuovere le barriere che ostacolano lo sviluppo della concorrenza nel settore della vendita del gas e, in ultima analisi, conseguire la riduzione delle tariffe di distribuzione a vantaggio dei consumatori.
3. Violazione dell’art. 14 del d.lgs. 164/2000, dell’art. 46 bis del d.l. 159/2007, del regolamento per i criteri di gara e per la valutazione delle offerte di cui al DM 12 novembre 2011, n. 226, come modificato dal DM 20 maggio 2015, n. 106.
I dati e le informazioni che la stazione appaltante dovrebbe fornire sarebbero stati incompleti, il bando non sarebbe stato conforme agli schemi ed alle indicazioni del bando tipo e del disciplinare di gara tipo e non sarebbe stato acquisito il parere obbligatorio dell’Aeegsi.
La Provincia si costituiva in giudizio, eccependo la carenza di interesse al ricorso in ragione del fatto che il bando sarebbe stato comunque destinato “a subire, per espressa previsione, modifiche e integrazioni incisive, volte a rendere il set informativo fornito ai concorrenti il più completo possibile, al fine di garantire la più ampia concorrenzialità nella partecipazione alla procedura di gara”; nel merito deduceva comunque l’infondatezza del ricorso, dal momento che la ratio dell’art. 46-bis del d.l. n. 159 del 2007 – disciplinante la creazione degli ambiti territoriali minimi per lo svolgimento delle gare di affidamento del servizio di distribuzione del gas, definiti come “bacini ottimali di utenza, in base a criteri di efficienza e riduzione dei costi” – sarebbe in realtà di incentivare le operazioni di aggregazione per meglio perseguire lo scopo indicato dal preambolo del d.m. 19 gennaio 2011, che tende alla rimozione degli ostacoli posti allo sviluppo della concorrenza mediante l’ampliamento dell’area di gestione del servizio di distribuzione del gas naturale rispetto alle attuali concessioni e prevede che ciascun ambito territoriale minimo rappresenti “un insieme minimo di Comuni i cui relativi impianti di distribuzione, a regime, dovranno essere gestiti da un unico gestore”.
Inoltre, la Provincia evidenziava come il ricorso ad una sola gara per due ambiti sarebbe stato di per sé conforme ai principi ispiratori del d.m. 19 gennaio 2011, né comporterebbe obiettive preclusioni alla concorrenza, applicandosi la disposizione di cui all’art. 13, comma 2, lett. a) della legge n. 180 del 2011 ai soli appalti e non anche alle concessioni. Nel merito eccepiva l’infondatezza del ricorso, chiedendo che fosse respinto.
Con sentenza 12 marzo 2018, n. 311, il Tribunale adito in parte respingeva il gravame, in parte lo dichiarava inammissibile.
Avverso tale decisione la G.E. s.p.a. interponeva appello, articolato nei seguenti motivi di impugnazione:
1. Erroneità della sentenza: illegittimità degli atti gravati per incompetenza assoluta – Violazione dell’art. 46 bis del d.l. 1 ottobre 2007, n. 159, contraddittorietà – Difetto di motivazione e di istruttoria – Illogicità manifesta.
2. Erroneità della sentenza: illegittimità degli atti che in concreto hanno disposto l’accorpamento per violazione del principio di massima concorrenza, degli artt. 41 e 117 Cost., dell’art. 1 legge 23 agosto 2004, n. 239, dell’art. 46 bis d.l. 159/2007, degli artt. 1 e 2 legge 180/2011, dell’art. 24 d.lgs. 93/2011, del d.m. 11 gennaio 2011 – Eccesso di potere per illogicità manifesta, difetto di motivazione ed istruttoria, sviamento, violazione del principio di imparzialità e par condicio.
3. Erroneità della sentenza: illegittimità degli atti di gara per violazione dell’art. 14 del d.lgs. 164/2000, dell’art. 46 bis del d.l. 159/2007, del regolamento per i criteri di gara e per la valutazione dell’offerta (d.m. 12 novembre 2011, n. 226) – Difetto di istruttoria – Carenza assoluta di motivazione – Illogicità manifesta.
Riproponeva quindi le censure circa la presunta illegittimità degli atti di gara, già sollevati con il terzo motivo di ricorso, non esaminato dal primo giudice in ragione dell’intervenuta declaratoria di carenza di interesse in capo a G.E. s.p.a.
La Provincia di Cremona si costituiva in giudizio, eccependo l’infondatezza dell’appello e chiedendone pertanto la reiezione.
Si costituiva anche la controinteressata Ld Re. s.r.l. (già Li. Di. s.r.l.), concludendo invece per l’infondatezza dei primi due motivi di ricorso e per la fondatezza del terzo.
Successivamente le parti ulteriormente precisavano le proprie rispettive difese con apposite memorie difensive ed all’udienza del 25 ottobre 2018, dopo la rituale discussione, la causa veniva trattenuta in decisione.

DIRITTO

Con il primo motivo di appello viene dedotta l’illegittimità, alla luce della disciplina legislativa di riferimento: i) della decisione di accorpamento e, prima ancora, ii) dell’art. 2, comma 4, del d.m. 19 gennaio 2011 che l’avrebbe consentita.
Ad avviso dell’appellante, infatti, il potere di individuazione degli ambiti sarebbe riservato dalla legge all’esclusiva competenza ministeriale, ai sensi dell’art. art. 46-bis, comma 2, del d.l. n. 159 del 2007 (per cui “i Ministri […] su proposta dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas e sentita la Conferenza unificata, determinano gli ambiti territoriali minimi per lo svolgimento delle gare per l’affidamento del servizio di distribuzione del gas, a partire da quelli tariffari, secondo l’identificazione di bacini ottimali di utenza”). Per l’effetto, non residuerebbe alcuno spazio in capo agli enti locali per definirne di diversi, neppure mediante accorpamento.
In virtù di ciò, il d.m. 19 gennaio 2011 sarebbe stato assunto in violazione del riparto normativo di competenze stabilito dall’art. 46 cit.; sarebbe inoltre affetto da un’intrinseca contraddizione in quanto, dopo aver in premessa condiviso la necessità di suddividere gli ambiti provinciali di maggiori dimensioni, all’art. 2, comma 4 ne consentirebbe invece l’accorpamento per mero accordo degli Enti locali interessati.
Infine, detto decreto sarebbe viziato anche laddove ammette l’accorpamento sulla base di un mero presupposto geografico, rappresentato dall’essere gli ambiti confinanti, a prescindere peraltro da qualsiasi indagine sull’effettivo miglioramento dello svolgimento del servizio e senza porre alcun limite numerico di ambiti aggregabili e di Comuni coinvolti, a dispetto del limite asseritamente fissato dalla Conferenza Stato-Regioni nella misura di 50 Comuni.
Il motivo non è fondato.
Ai sensi dell’art. 46-bis, comma 2, del d.l. 1° ottobre 2007, n. 159 (convertito, con modificazioni, con l. 29 novembre 2007, n. 222), “I Ministri dello sviluppo economico e per gli affari regionali e le autonomie locali, su proposta dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas e sentita la Conferenza unificata, determinano gli ambiti territoriali minimi per lo svolgimento delle gare per l’affidamento del servizio di distribuzione del gas, a partire da quelli tariffari, secondo l’identificazione di bacini ottimali di utenza, in base a criteri di efficienza e riduzione dei costi, e determinano misure per l’incentivazione delle relative operazioni di aggregazione”.
La norma di legge, da un lato, devolve alla competenza ministeriale solamente l’individuazione degli ambiti territoriali “minimi” (questione diversa rispetto all’oggetto dell’odierno ricorso), dall’altro non contiene alcuna previsione ostativa all’aggregazione tra ambiti, previo accordo tra enti locali. Piuttosto, all’opposto, dispone che i predetti Ministri determinino anche le “misure per l’incentivazione delle relative operazioni di aggregazione”, previsione con la quale non pare contrastare l’art. 2, comma 4 dell’impugnato d.m. 19 gennaio 2011 (a mente del quale “La gara unica di cui al comma 1 può essere estesa a due o più ambiti confinanti previo accordo degli enti locali degli ambiti interessati”).
Non è quindi pertinente il rilievo – evidentemente fondato su una lettura parziale della norma -secondo cui “a mente dell’articolo 46 bis, comma 2, i bacini sono ottimali, non minimi” (sicché, ad avviso dell’appellante, “minimi” sarebbe espressione utilizzata nel senso che l’obiettivo era ridurre l’ambito territoriale ottimale sino al minimo compatibile con le altre esigenze), in quanto oggetto della procedura erano degli “ambiti” e non dei “bacini”, ossia delle realtà territoriali e di popolazione che la norma sovra trascritta chiaramente ricomprende (quale sottoinsieme) nei secondi, i quali ultimi, dunque, necessariamente devono avere estensione più ampia dei primi.
Il fatto stesso che la legge si proponga – in termini generali ed a priori – di incentivare le forme di aggregazione tra ambiti diversi, senza predefinirne degli specifici contingenti massimi, contraddice le premesse di fondo su cui si regge il motivo di appello, compreso l’argomento secondo cui la previsione ministeriale censurata contraddirebbe l’indicazione del limite massimo di Comuni per ambito stabilito dalla Conferenza unificata e, comunque, presupporrebbe un’indebita rilevanza del mero presupposto geografico ai fini della decisione di accorpamento.
In questi termini, appare invece condivisibile quanto evidenziato nella sentenza appellata, per cui il superamento del limite (di per sé, puramente formale) di cinquanta sul numero massimo dei Comuni presenti in un ambito non sarebbe particolarmente significativo, dovendosi invece tener conto del dato sostanziale dato dal numero degli utenti concretamente residenti nell’ambito considerato, per accertare le reali dimensioni di esso e le relative conseguenze in termini economici di gestione.
Del resto (come risulta dall’undicesimo e dodicesimo “considerato” del d.m. 19 gennaio 2011), gli Atem rappresentano “un insieme minimo di Comuni” e non “massimo” – per tale tendenzialmente immodificabile – di talché “a seguito della determinazione degli ambiti territoriali minimi, rientra nella facoltà degli Enti locali l’accorpamento di più ambiti territoriali limitrofi […]”.
In ogni caso, va evidenziato che nel caso di specie – contrariamente a quanto sostenuto da G.E. s.p.a. – non erano stati “uniti” due ambiti per crearne uno di maggiori dimensioni, ma si era optato per la diversa soluzione (espressamente contemplata al punto A6 del disciplinare-tipo, come integrato dal d.m. 20 maggio 2015) di indire un’unica gara per due o più ambiti confinanti, come del resto previsto anche all’art. 2, comma 4, del d.m. 19 gennaio 2011 (per cui “La gara unica di cui al comma 1 può essere estesa a due o più ambiti confinanti previo accordo degli enti locali degli ambiti interessati”).
Va poi detto che la previsione del disciplinare (secondo cui “Nel caso in cui è effettuata un’unica gara per due o più ambiti confinanti, come previsto nell’articolo 2, comma 4, del decreto ministeriale 19 gennaio 2011, l’impegno preso in sede di gara è unico per l’unione degli ambiti, e l’obiettivo annuale è proporzionale alla somma delle quantità di gas distribuito in tutti i Comuni degli ambiti uniti gestiti nell’anno t-2 in concessione di ambito. Gli interventi validi sono quelli sull’intero territorio degli ambiti che si sono uniti. Non vi è alcun obbligo da rispettare a livello di singolo ambito”) neppure risulta essere stata impugnata dall’appellante.
Anche l’ulteriore profilo di censura (sub I.e), per cui erroneamente la sentenza impugnata avrebbe dichiarato il gravame inammissibile per non avere la ricorrente né chiarito, né dimostrato quali sarebbero state, in concreto ed in suo danno, le ripercussioni della gara sull’attività svolta, non è convincente.
Invero, a prescindere dal diverso rilievo della legittimazione al ricorso – che il primo giudice ha ritenuto sussistere, in quanto tale, in capo ad ogni operatore di settore quale è la società appellante – quest’ultima era comunque tenuta a dar atto anche di un concreto ed effettivo interesse ad agire in giudizio, nella specie chiarendo quale sarebbe stato l’eventuale pregiudizio derivantele dai provvedimenti impugnati.
Allegazione che però non è desumibile dal tenore dell’introduttivo gravame, nel quale non viene prospettata la lesione concreta ed attuale della sfera giuridica della ricorrente ovvero l’effettiva utilità che potrebbe derivarle dall’eventuale annullamento dell’atto impugnato (con ciò violando un principio generale ribadito, da ultimo, da Cons. Stato, VI, 15 giugno 2018, n. 3706).
Con il secondo motivo di appello (ripropositivo, nella sostanza, delle ragioni a suo tempo dedotte con il secondo motivo di ricorso) viene invece eccepito – in primo luogo – un difetto di istruttoria, in quanto la delibera di accorpamento sarebbe stata adottata dalla Provincia e dai Comuni degli ambiti interessati senza svolgere adeguate indagini sui possibili effetti tariffari (in grado di dimostrare, ad esempio, i benefici per l’utenza del presunto accorpamento).
La ricorrente, peraltro, aveva dedotto che l’aggregazione tra gli ambiti Cremona 2 (a densità bassa) e Cremona 3 (a densità media) avrebbe dato luogo ad un valore di densità di clientela bassa, per cui nei confronti degli utenti dell’ambito Cremona 3 sarebbero risultate applicabili le più alte tariffe di distribuzione operanti per l’ambito Cremona 2.
Sotto diverso aspetto, l’appellante sostiene poi che la riforma delle modalità di affidamento per ambiti territoriali non dovrebbe puntare solamente ad una maggiore efficienza gestionale (e, per tale via, alla riduzione delle tariffe per gli utenti), dovendosi altresì garantire l’accesso al mercato alla pluralità degli operatori economici di settore e non solamente a quelli di maggiori dimensioni.
Anche in tale ottica, l’originaria individuazione di 177 ambiti avrebbe rappresentato il punto di equilibrio di tali esigenze contrapposte, in quanto ogni ambito avrebbe integrato la dimensione ottimale per lo svolgimento della gara unica e per l’erogazione del servizio da parte di un unico gestore.
L’accorpamento di ambiti territoriali minimi, con conseguente incremento del territorio interessato dal servizio comporterebbe, secondo l’appellante, due effetti distorsivi:
1) un blocco all’accesso al mercato dei servizi per gli operatori medio-piccoli, in ragione della loro minore capacità di esposizione finanziaria, posto che ad un maggior numero di Comuni corrisponderebbe un maggiore valore di rimborso degli impianti da versare ai gestori uscenti;
2) un potenziale indebito vantaggio in favore dei concorrenti che già detengano una consistente quota di mercato nei due ambiti.
Sulla base di tali premesse, l’appellante contesta di aver mai affermato di non essere in grado di partecipare alla gara, avendo invece censurato il fatto che “lo svolgimento della gara unica per il macro ambito elide la posizione di sostanziale parità che avrebbe avuto con Li. Di.se la gara avesse riguardato solo l’ambito Cremona 1, così ingiustamente pregiudicando la sua specifica posizione competitiva”: nella specie, alle attuali condizioni G.E. s.p.a. dovrebbe reperire risorse per rimborsare altri gestori uscenti un valore non già riferito a soli 35 Comuni, di cui 21 di Li. Di. s.r.l., bensì a 71 Comuni, di cui 46 (oltre la metà di quelli messi a gara) a Linea Distribuzione, tra cui il l’impianto del Comune di Cremona (valorizzato in circa 70 milioni di euro).
Quanto sopra dimostrerebbe inoltre l’erroneità di quanto rilevato in sentenza circa la mancata allegazione di un oggettivo interesse a ricorrere.
A ciò aggiungasi il rischio di un indebito condizionamento delle amministrazioni nelle scelte effettuate, dovuto alla partecipazione indirettamente detenuta dal Comune di Cremona in Li. Di. s.r.l.
Infine, l’appellante contesta che alla disciplina delle gare per l’affidamento del servizio di distribuzione gas non si applichi l’art. 13, comma 2, lett. a) della l. 11 novembre 2011, n. 180 (Norme per la tutela della libertà d’impresa. Statuto delle imprese), per il quale le pubbliche amministrazioni, al fine di favorire la concorrenza, provvedono a “suddividere, nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 29 del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, gli appalti in lotti o lavorazioni ed evidenziare le possibilità di subappalto”.
Neppure questo motivo è fondato.
Va in primo luogo rilevato come il primo giudice abbia puntualmente e correttamente motivato – in merito alla presunta maggiore onerosità del subentro – che, sebbene il gestore entrante debba in astratto corrispondere un valore di rimborso tanto più elevato quanti più sono i Comuni dell’ambito interessato, tale potenziale esposizione finanziaria trova comunque un contemperamento nella previsione normativa – introdotta proprio all’evidente fine di garantire l’accesso alla gara a tutti gli operatori – della possibilità, per il gestore entrante, di vedersi riconosciuta in tariffa l’eventuale differenza tra il VIR ed il RAB per tutta la durata della concessione, così ammortizzando la spesa.
Smentita in tal modo una presunzione assoluta di maggiore onerosità, va detto che l’appellante non ha dedotto una concreta e circostanziata lesione della propria posizione di interesse, non sussistendo, per contro, un qualificato e differenziato interesse (processualmente tutelabile) in capo alla stessa a far valere censure volte a tutelare genericamente la concorrenza o la partecipazione alla procedura di gara di una pluralità di operatori.
Giustamente pertanto il primo giudice ha concluso che non fossero stati sottoposti alla sua attenzione elementi di prova sufficienti a ritenere che la partecipazione di G.E. alla gara risultasse preclusa (o gravemente ostacolata) dalle dimensioni dell’ambito.
Onere non certo soddisfatto dalla mera affermazione che lo svolgimento della gara avrebbe potuto produrre l’effetto di costringerla a corrispondere un VIR maggiore al gestore uscente, senza però provare che tale evenienza, quand’anche fosse stata dimostrata, si sarebbe concretamente tradotta in un effettivo ostacolo a partecipare alla gara.
Per l’effetto, non è neppure fondata l’obiezione preliminare secondo cui la sentenza non si sarebbe pronunciata in merito all’assunzione del provvedimento di accorpamento in difetto di una istruttoria specifica che ne evidenzi i benefici per l’interesse generale, trattandosi di censura assorbita dal rilevato difetto di interesse al ricorso: in questi termini è corretta la sintesi fornita dalla Provincia di Cremona, secondo cui l’accorpamento degli ambiti non introduce effetti distorsivi della concorrenza che si traducano in una lesione per G.E., la quale d’altro canto non è legittimata a far valere censure a tutela della partecipazione generalizzata di una pluralità di operatori diversi dalla società stessa.
Del resto, ad un complessivo esame delle risultanze di causa appare evidente – come già al primo giudice – che la predette censure non tendono tanto a perseguire una maggiore concorrenzialità del mercato, quanto piuttosto a conservare alla ricorrente i vantaggi derivanti dalla posizione di gestore uscente nell’ambito Cremona 2.
In merito poi al presunto effetto distorsivo della concorrenza derivante dalla partecipazione indiretta del Comune di Cremona in Ld Re. s.r.l. (già Li. Di. s.r.l.), la conclusione cui giunge la sentenza impugnata appare coerente con le risultanze degli atti di causa, nell’evidenziare come la ricorrente non avesse neppure chiarito “come potrebbe incidere sulla legittimità dell’accorpamento degli ambiti il fatto che la Li. Di. sia controllata al 90 % dalla Li. Gr. Ho., a sua volta partecipata (con una percentuale in realtà molto ridotta) dal Comune di Cremona, che, in tal modo, potrebbe influenzare le scelte relative all’affidamento del servizio, avendo conoscenza dei potenziali concorrenti e dei valori economici in gioco”.
Piuttosto, come già evidenziato dal primo giudice, dovrebbe invece presumersi che un ampliamento dell’ambito determini, semmai, una diluizione dell’effetto di tale riferita circostanza, per quanto la detta partecipazione non sia significativa in termini di possibile influenza sul mercato (nella specie, il Comune di Cremona non detiene alcuna partecipazione diretta in Ld Re. s.r.l., che è soggetta alla direzione ed al coordinamento di Li. Gr. Ho. s.p.a., quest’ultima partecipata da AE. Cr. s.p.a., società del Comune, per una percentuale del 15%; Li. Gr. Ho. s.p.a., a sua volta, è controllata al 51% da A2. s.p.a.).
Per quanto infine concerne il profilo dell’applicabilità delle disposizioni di legge poste a tutela delle piccole e medie imprese (e, segnatamente, dell’art. 13, comma 2, lett. “a” della l. 11 novembre 2011, n. 180, norma poi abrogata dall’art. 217, comma 1, lettera v-bis del d.gs. 18 aprile 2016, n. 50, come modificato dall’art. 129, comma 1, lettera a del d.lgs. 19 aprile 2017, n. 56, con confluenza della relativa disciplina nel Codice dei contratti pubblici), va detto che tale disposizione si applica testualmente ai soli appalti pubblici di lavori, servizi e forniture, ma non anche – quale è invece il caso di specie – alle concessioni di servizi.
Con il terzo motivo di appello, infine, G.E. s.p.a. ribadisce la censura degli atti di gara per contrasto con la disciplina sulle gare d’ambito, rilevando: 1) l’incompletezza dei dati e delle informazioni essenziali; 2) la mancata acquisizione dei pareri preventivi di ARERA; 3) la difformità rispetto agli schemi ed alle indicazioni del disciplinare “tipo” e dello schema di contratto di servizio.
La sentenza impugnata ha ritenuto il motivo inammissibile per carenza di interesse, in quanto la ricorrente non avrebbe avuto un interesse attuale all’impugnazione, avendo l’amministrazione sospeso il termine per la presentazione delle offerte fino all’avvenuta integrazione dei dati mancati ed all’ottenimento dei pareri obbligatori dell’Autorità regolatoria di settore.
Ad avviso dell’appellante, invece, un interesse al ricorso sarebbe individuabile nella fatto che l’incompletezza del bando, prima ancora che impedire la stessa formulazione delle offerte, determinerebbe una intollerabile incertezza su aspetti indispensabili per valutare l’opportunità di partecipare alla gara (con conseguente asimmetria informativa tra i potenziali partecipanti, ad indebito vantaggio del gestore uscente).
Anche questo motivo, nel suo complesso, non risulta fondato.
Va infatti confermato il principio secondo cui possono essere oggetto di immediata impugnazione (costituendo del resto quest’ultima un onere per la parte interessata) solo le clausole del bando di gara immediatamente escludenti o che comunque determinino l’imposizione di oneri palesemente incomprensibili, sproporzionati od abnormi a carico dei partecipanti alla gara. Per contro, le clausole del bando che non rivestano portata escludente devono essere impugnate unitamente al provvedimento lesivo e possono essere impugnate unicamente dall’operatore economico che abbia partecipato alla gara o manifestato formalmente il proprio interesse alla procedura (ex plurimis, Cons. Stato, Ad. plen. 26 aprile 2018, n. 4).
Il vago ed ipotetico interesse indicato dall’appellante, per contro, non è riconducibile alle ipotesi legittimanti delineate dalla giurisprudenza, ossia:
a) clausole impositive, ai fini della partecipazione, di oneri manifestamente incomprensibili o del tutto sproporzionati per eccesso rispetto ai contenuti della procedura concorsuale (Cons. Stato, IV, 7 novembre 2012, n. 5671);
b) regole che rendano la partecipazione incongruamente difficoltosa o addirittura impossibile (Cons. Stato, Ad. plen. 11 giugno 2001, n. 3);
c) disposizioni abnormi o irragionevoli che rendano impossibile il calcolo di convenienza tecnica ed economica ai fini della partecipazione alla gara, ovvero prevedano abbreviazioni irragionevoli dei termini per la presentazione dell’offerta (Cons. Stato, V, 24 febbraio 2003, n. 980);
d) condizioni negoziali che rendano il rapporto contrattuale eccessivamente oneroso ed obiettivamente non conveniente (Cons. Stato, V, 21 novembre 2011, n. 6135; III, 23 gennaio 2015, n. 293);
e) clausole impositive di obblighi contra ius (quale la prestazione di una cauzione definitiva pari all’intero importo dell’appalto: Cons. Stato, II, 19 febbraio 2003, n. 2222);
f) atti di gara del tutto mancanti della prescritta indicazione nel bando di gara dei costi della sicurezza “non soggetti a ribasso” (Cons. Stato, III, 3 ottobre 2011, n. 5421).
Ciò premesso, ritiene il Collegio che il “bado di gara” di cui si discute sia tale solo sotto il profilo nominalistico, dovendo essere considerato, nella sostanza, una sorta di atto preparatorio di una gara futura, ancora non individuata in tutti i suoi elementi.
Del resto, come già rilevato nella sentenza impugnata, essendo i relativi termini sospesi ab origine per espressa previsione del “bando”, non solo nessun concorrente potrebbe attualmente presentare un’offerta ma neppure – per l’evidente ragione che ancora non sono stati pubblicati gli atti di gara nella forma definitiva – avrebbe un obiettivo interesse a svolgere valutazioni in merito all’opportunità di partecipare ad una gara futura che ancora non è definita nelle sue componenti essenziali.
Interesse che invece eventualmente potrà sorgere, come di consueto, se e quando verranno adottati e, quindi, definitivamente resi pubblici gli atti costituenti la lex specialis di gara.
Tale conclusione, di carattere processuale, è assorbente degli specifici profili di censura articolati dall’appellante nel motivo di gravame, con conseguente non rilevanza degli stessi ai fini del presente giudizio.
Conclusivamente, alla luce dei rilievi che precedono l’appello va respinto.
La particolarità delle questioni esaminate giustifica peraltro l’integrale compensazione, tra le parti, delle spese di lite del grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Compensa tra le parti le spese di lite del grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 ottobre 2018 con l’intervento dei magistrati:
Francesco Caringella – Presidente
Alessandro Maggio – Consigliere
Valerio Perotti – Consigliere, Estensore
Federico Di Matteo – Consigliere
Giuseppina Luciana Barreca – Consigliere

Avv. Renato D’Isa

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