Corte Costituzionale Sentenza 232/2018

Giudizio: GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE

Presidente: LATTANZI – Redattore: SCIARRA

Camera di Consiglio del 07/11/2018; Decisione del 07/11/2018

Deposito del 07/12/2018; Pubblicazione in G. U.
Norme impugnate: Art. 42, c. 5°, del decreto legislativo 26/03/2001, n. 151.
Massime:
Atti decisi: ord. 48/2018

SENTENZA N. 232
ANNO 2018

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Giorgio LATTANZI; Giudici : Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,

ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), promosso dal Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione terza, nel procedimento tra D. M. e il Ministero della giustizia, con ordinanza del 12 febbraio 2018, iscritta al n. 48 del registro ordinanze 2018 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 12, prima serie speciale, dell’anno 2018.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 7 novembre 2018 il Giudice relatore Silvana Sciarra.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 12 febbraio 2018, iscritta al n. 48 del registro ordinanze 2018, il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione terza, ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 4, 29, 32 e 35 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), «nella parte in cui richiede, ai fini dell’ottenimento del congedo, la preesistente convivenza dei figli con il soggetto da assistere».
1.1.– Il rimettente espone di dover decidere sul ricorso di un agente penitenziario, che ha chiesto di beneficiare del congedo straordinario retribuito per l’assistenza al padre malato.
Il Ministero della giustizia, dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, dopo avere riscontrato che il lavoratore e il genitore da assistere non convivono, ha rigettato l’istanza. Il ricorrente ha impugnato tale diniego con ricorso cautelare, accolto dal rimettente con ordinanza 13 luglio 2016, n. 901, poi riformata dal Consiglio di Stato, sezione quarta, con ordinanza 21 ottobre 2016, n. 4750, che ha richiamato a fondamento della decisione la «contestata sussistenza del requisito della convivenza con la persona disabile».
Il ricorrente ha instaurato il giudizio di merito per ottenere l’annullamento del provvedimento di rigetto e ha dedotto, in primo luogo, violazione di legge, eccesso di potere per travisamento dei fatti, difetto di istruttoria, motivazione errata e ingiustizia manifesta. A parere del ricorrente, l’amministrazione non avrebbe esaminato lo stato di famiglia, che dimostra come la residenza anagrafica del ricorrente coincida con quella del genitore e come nessun altro fratello benefici del congedo richiesto.
L’amministrazione, inoltre, avrebbe violato l’art. 10-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), poiché non avrebbe preventivamente comunicato il preavviso di rigetto.
Il giudice a quo evidenzia, preliminarmente, che tale ultimo motivo di ricorso deve essere disatteso, perché l’amministrazione ha fondato il rigetto sulla mancanza di una preesistente convivenza e, a fronte di tale motivazione, il ricorrente non potrebbe addurre elementi idonei a mutare il provvedimento adottato.
Quanto al primo motivo di ricorso, il rimettente reputa non fondati i rilievi del ricorrente, che conducono a identificare la convivenza nella mera residenza anagrafica. L’art. 42, comma 5, del d.lgs. n. 151 del 2001 subordina al requisito della pregressa convivenza la concessione del congedo straordinario retribuito, che non può essere esteso oltre le ipotesi tassativamente previste dalla legge. È su tale requisito che si incentrano i dubbi di legittimità costituzionale.
1.2.– In punto di rilevanza, il giudice a quo argomenta che la domanda dovrebbe essere respinta, poiché difetta il requisito della pregressa convivenza e la disposizione censurata non si presta a una diversa interpretazione, che superi il dato testuale e consenta di identificare convivenza e residenza anagrafica, in linea con il punto di vista del ricorrente.
1.3.– Ad avviso del rimettente, l’art. 42, comma 5, del d.lgs. n. 151 del 2001, «nella parte in cui richiede, ai fini dell’ottenimento del congedo ivi previsto, la preesistente convivenza del figlio richiedente il beneficio con il genitore da assistere, e non consente invece che la convivenza costituisca una condizione richiesta durante la fruizione del congedo», contrasterebbe con molteplici parametri della Carta fondamentale.
Il rimettente, dopo avere passato in rassegna la giurisprudenza costituzionale, che ha individuato la ratio del congedo straordinario nell’esigenza di garantire la continuità delle cure e dell’assistenza al disabile nell’àmbito familiare (si menzionano le sentenze n. 233 del 2005, n. 158 del 2007, n. 19 del 2009 e n. 203 del 2013), osserva che la scelta di concedere il congedo straordinario al figlio, solo quando sia già convivente con il genitore da assistere, si pone in contrasto con gli artt. 2, 3, 4, 29, 32 e 35 Cost.
In particolare, tale limitazione sarebbe lesiva del «combinato disposto di cui agli artt. 2, 29 e 32 Cost.», che presuppone «una legittimazione della famiglia nel suo insieme – come insieme di rapporti affettivi – a divenire strumento di assistenza del disabile», in virtù del dovere di solidarietà che grava su ogni componente della comunità familiare e del «corrispondente diritto del singolo di provvedere all’assistenza materiale e morale degli altri membri, ed in particolare di quelli più deboli e non autosufficienti, secondo le proprie infungibili capacità».
L’attribuzione del congedo straordinario ai soli familiari già conviventi rispecchierebbe «una visione statica e presuntiva dell’organizzazione familiare, che può rivelarsi incompatibile con la necessità di prendersi cura, dall’oggi al domani, di una persona divenuta gravemente disabile, nonché non coerente con il moderno dispiegarsi dell’esistenza umana». Le necessità che conducono i figli ad allontanarsi dal nucleo familiare di origine non possono «costituire ostacolo alla concreta attuazione dell’inderogabile principio solidaristico di cui all’art. 2 Cost.», giacché è proprio l’assenza di convivenza a imporre al figlio «di richiedere il congedo straordinario, non avendo altro modo di prestare assistenza continuativa al genitore disabile che si trovi nella situazione di non avere nessun altro famigliare in grado di fornire adeguato sostegno».
Il rimettente soggiunge che il principio di solidarietà ben potrebbe essere attuato imponendo l’obbligo di convivenza durante la fruizione del congedo.
L’assetto restrittivo delineato dal legislatore si porrebbe in conflitto anche con l’art. 3 Cost., poiché determinerebbe «un’evidente disparità di trattamento […] tra coloro che liberamente possono scegliere il luogo in cui risiedere (e dunque convivere con il genitore) e quanti, invece, per ragioni indipendenti dalla loro volontà, non possono compiere tale scelta, come avviene nel caso di specie».
Il rimettente, a tale riguardo, denuncia anche la violazione degli artt. 4 e 35 Cost. L’individuazione dei beneficiari in base al requisito della convivenza sarebbe all’origine di una discriminazione arbitraria, legata alla tipologia del lavoro svolto.
La disposizione censurata, inoltre, nel subordinare la concessione del congedo straordinario al requisito della convivenza, si porrebbe «in contrasto con il combinato disposto di cui agli artt. 2 e 3 Cost.». La normativa in esame richiederebbe «un requisito ulteriore rispetto a quanto previsto dalla disciplina di altri istituti aventi la medesima finalità assistenziale», come i permessi disciplinati dall’art. 33, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate), che prescindono dal presupposto della convivenza.
Sarebbe irragionevole una disciplina difforme «di istituti preordinati alla tutela dei medesimi valori costituzionali, attuati attraverso il medesimo strumento solidaristico della famiglia» e tale irragionevolezza sarebbe palese nel caso di specie, che vede il ricorrente, pur beneficiario dei permessi di cui all’art. 33, comma 3, della legge n. 104 del 1992, escluso dal congedo straordinario in ragione della mancanza di una convivenza preesistente.
2.– È intervenuto in giudizio, con atto depositato il 10 aprile 2018, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, e ha chiesto di dichiarare inammissibile o comunque non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dal TAR Lombardia.
La difesa dell’interveniente, in linea preliminare, lamenta che il giudice a quo non abbia descritto la patologia del genitore del ricorrente e non abbia chiarito se l’infermità rientri tra quelle gravi, le sole che danno titolo al beneficio, in base all’art. 4, commi 2 e 4, della legge 8 marzo 2000, n. 53 (Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città). Tale lacuna nella descrizione della fattispecie concreta si tradurrebbe nella manifesta inammissibilità della questione per omessa motivazione sulla rilevanza.
Nel merito, la questione sarebbe manifestamente infondata.
La giurisprudenza costituzionale richiamata dal rimettente avrebbe progressivamente esteso i beneficiari del congedo straordinario, sempre sul presupposto di una preesistente convivenza con il disabile, funzionale ad assicurare un’assistenza continuativa al congiunto disabile e a «verificare nella sua effettività la funzione di supplenza affidata alla famiglia».
La scelta di subordinare a tale requisito il godimento di un beneficio, che implica pur sempre «una deroga alla disciplina generale del rapporto di lavoro», varrebbe a contemperare le esigenze della tutela del disabile all’interno della famiglia con la necessità di salvaguardare la regolarità del rapporto di lavoro e di servizio.
Quanto ai permessi retribuiti, che raggiungono l’ammontare massimo di tre giorni mensili, non sarebbero comparabili con il congedo straordinario retribuito fino a due anni, che non mira a garantire «forme di assistenza temporanee», ma «un’assistenza stabile da parte dei componenti del nucleo familiare».

Considerato in diritto

1.– Il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione terza, dubita della legittimità costituzionale dell’art. 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), con specifico riguardo alla disciplina del congedo straordinario retribuito concesso al figlio per l’assistenza al padre gravemente disabile.
1.1.– Il rimettente assume che la disposizione censurata attribuisca al figlio tale congedo, a condizione che già conviva con il padre al momento della presentazione della domanda.
A favore dell’interpretazione prescelta dal rimettente e accreditata dal Consiglio di Stato (Consiglio di Stato, sezione seconda, parere n. 2584, reso il 1° agosto 2014, in relazione a un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica proposto da un agente di polizia penitenziaria), militano il dettato letterale e l’argomento teleologico.
Quanto alla lettera della legge, il riferimento al «figli[o] convivent[e]» evoca una convivenza già instaurata al momento della formulazione della richiesta. Il dato testuale è poi corroborato dalla finalità dell’istituto del congedo straordinario, che si prefigge di tutelare la continuità dell’assistenza e in quest’ottica presuppone la prossimità del beneficiario al familiare disabile.
Il rimettente censura, in riferimento a molteplici parametri costituzionali, la scelta di subordinare la concessione del congedo straordinario al presupposto della «preesistente convivenza del figlio richiedente il beneficio con il genitore da assistere».
Sarebbe violato, anzitutto, «il combinato disposto di cui agli artt. 2, 29 e 32 Cost.», che affida a ogni componente della famiglia il compito di assistere il disabile. Al «dovere di solidarietà, che vincola comunitariamente ogni congiunto» fa riscontro il «corrispondente diritto del singolo di provvedere all’assistenza materiale e morale degli altri membri, ed in particolare di quelli più deboli e non autosufficienti, secondo le proprie infungibili capacità».
La scelta di porre la preesistente convivenza come «prerequisito» indispensabile per il godimento del beneficio rispecchierebbe, per un verso, una concezione restrittiva dell’assistenza familiare, limitata al solo nucleo convivente, e, per altro verso, «una visione statica e presuntiva dell’organizzazione familiare, che può rivelarsi incompatibile con la necessità di prendersi cura, dall’oggi al domani, di una persona divenuta gravemente disabile».
Il figlio che non convive con il genitore non avrebbe altra scelta che richiedere un congedo straordinario, «non avendo altro modo di prestare assistenza continuativa al genitore disabile che si trovi nella situazione di non avere nessun altro famigliare in grado di fornire adeguato sostegno».
Le necessità che, secondo «il moderno dispiegarsi dell’esistenza umana», conducono i figli ad allontanarsi dalla famiglia d’origine non potrebbero in nessun caso ostacolare la «concreta attuazione dell’inderogabile principio solidaristico di cui all’art. 2 Cost.», attuazione che ben potrebbe essere garantita mediante l’imposizione di un obbligo di convivenza «durante la fruizione del congedo».
La scelta legislativa di subordinare il beneficio del congedo straordinario a una convivenza «che deve sussistere al momento della presentazione della domanda» è censurata anche per il contrasto con l’art. 3 Cost. Il rimettente ravvisa un’ingiustificata disparità di trattamento «tra coloro che liberamente possono scegliere il luogo in cui risiedere (e dunque convivere con il genitore) e quanti, invece, per ragioni indipendenti dalla loro volontà, non possono compiere tale scelta».
Una disciplina così congegnata sarebbe lesiva, in pari tempo, degli artt. 4 e 35 Cost., poiché discriminerebbe «i soggetti legittimati ad ottenere il beneficio in questione in ragione del tipo di lavoro svolto».
Il principio di eguaglianza sarebbe leso anche sotto un distinto profilo, che riguarda l’ingiustificata disparità di trattamento tra il congedo straordinario e i permessi previsti dall’art. 33, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate).
Pur trattandosi di istituti «preordinati alla tutela dei medesimi valori costituzionali, attuati attraverso il medesimo strumento solidaristico della famiglia», il legislatore, senza una ragionevole giustificazione, differenzierebbe i requisiti per godere dei rispettivi benefici, in violazione del «combinato disposto di cui agli artt. 2 e 3 Cost.». Per accedere ai permessi non sarebbe più necessaria la convivenza, per contro richiesta con riguardo al congedo straordinario retribuito. L’irragionevolezza emergerebbe in maniera nitida nel caso di specie, che vede il ricorrente, pur ammesso a fruire dei permessi, escluso dalla possibilità di beneficiare del congedo straordinario.
1.2.– La questione di legittimità costituzionale è stata sollevata nel corso di un giudizio instaurato da un agente penitenziario, che ha rivendicato il diritto a un periodo di congedo straordinario retribuito per l’assistenza al padre in condizioni di disabilità grave e ha dedotto l’illegittimità del provvedimento dell’amministrazione, che ha rigettato l’istanza per la mancanza di una preesistente convivenza.
2.– L’Avvocatura generale dello Stato, per l’intervenuto Presidente del Consiglio dei ministri, ha eccepito la manifesta inammissibilità della questione in ragione dell’omessa motivazione sulla rilevanza. Il rimettente non avrebbe offerto alcun ragguaglio sulle patologie del padre del ricorrente nel giudizio principale e tale profilo sarebbe determinante ai fini dell’accoglimento della domanda, poiché soltanto una disabilità grave potrebbe giustificare la concessione del congedo straordinario. La lacuna segnalata dall’Avvocatura generale dello Stato, pertanto, non potrebbe che riverberarsi sulla stessa adeguatezza della motivazione in ordine al profilo preliminare della rilevanza.
L’eccezione non è fondata.
Il giudice a quo argomenta che il ricorrente già gode dei permessi previsti dall’art. 33, comma 3, della legge n. 104 del 1992, che presuppongono pur sempre, al pari del congedo straordinario, l’assistenza a una persona «con handicap in situazione di gravità».
Alla luce di tale dato di fatto, ovvero della fruizione dei permessi, che il rimettente ha posto in risalto e che l’amministrazione non ha contestato in alcun modo, non si può ritenere lacunosa la motivazione sul presupposto della disabilità grave del genitore bisognoso di assistenza.
Come si evince dalla puntuale ricostruzione degli antecedenti della controversia, le contestazioni vertono sul solo requisito della pregressa convivenza e non investono gli altri presupposti per la concessione del beneficio, peraltro vagliati nella fase cautelare di primo grado con esito favorevole al ricorrente.
Alla stregua delle allegazioni acquisite nel giudizio principale, richiamate dal rimettente, la motivazione sulla rilevanza è sufficiente e supera lo scrutinio di ammissibilità demandato a questa Corte.
3.– La questione è fondata, nei termini e per i motivi di séguito esposti.
4.– Per l’assistenza a persona disabile il legislatore prevede, oltre alle provvidenze dei permessi e del trasferimento, disciplinate dall’art. 33 della legge n. 104 del 1992, l’istituto del congedo straordinario, circoscritto a ipotesi tassative e contraddistinto da presupposti rigorosi.
Il congedo spetta solo per l’assistenza a persona in condizioni di disabilità grave, debitamente accertata, che si ravvisa solo in presenza di una minorazione, «singola o plurima», che «abbia ridotto l’autonomia personale, correlata all’età, in modo da rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione» (art. 3, comma 3, della legge n. 104 del 1992).
Il legislatore predetermina i limiti temporali del congedo, che «non può superare la durata complessiva di due anni per ciascuna persona portatrice di handicap e nell’arco della vita lavorativa» (art. 42, comma 5-bis, del d.lgs. n. 151 del 2001), e definisce la misura del trattamento economico spettante al lavoratore.
Il congedo straordinario è retribuito con «un’indennità corrispondente all’ultima retribuzione, con riferimento alle voci fisse e continuative del trattamento» e si configura come un periodo di sospensione del rapporto di lavoro, coperto da contribuzione figurativa. L’indennità e la contribuzione non possono superare «un importo complessivo massimo di euro 43.579,06 annui per il congedo di durata annuale», importo che è «rivalutato annualmente, a decorrere dall’anno 2011, sulla base della variazione dell’indice Istat dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati» (art. 42, comma 5-ter, primo e secondo periodo, del d.lgs. n. 151 del 2001).
La concessione di tale beneficio si accompagna a ulteriori limitazioni, che sanciscono l’irrilevanza del relativo periodo «ai fini della maturazione delle ferie, della tredicesima mensilità e del trattamento di fine rapporto» (art. 42, comma 5-quinquies, primo periodo, del d.lgs. n. 151 del 2001).
Sul versante soggettivo, il legislatore stabilisce che il congedo straordinario, al pari dei permessi di cui all’art. 33, comma 3, della legge n. 104 del 1992, non possa essere riconosciuto a più di un lavoratore per l’assistenza alla stessa persona (art. 42, comma 5-bis, terzo periodo, del d.lgs. n. 151 del 2001) e delinea una precisa gerarchia dei beneficiari (art. 42, comma 5).
Il congedo spetta, in primo luogo, al coniuge convivente, che è legittimato a goderne «entro sessanta giorni della richiesta». In caso di mancanza, di decesso o di patologie invalidanti del coniuge convivente, subentrano «il padre o la madre anche adottivi». La mancanza, il decesso o le patologie invalidanti dei genitori conferiscono a uno dei figli conviventi il diritto di richiedere il congedo straordinario, che è poi riconosciuto in favore di uno dei fratelli o delle sorelle conviventi quando anche i figli conviventi manchino, siano deceduti o soffrano di patologie invalidanti.
Con la sentenza n. 203 del 2013, questa Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 42, comma 5, del d.lgs. n. 151 del 2001, nella parte in cui non annoverava tra i beneficiari del congedo straordinario anche i parenti o gli affini entro il terzo grado conviventi, in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti degli altri soggetti individuati dalla disposizione censurata.
5.– Dapprima riconosciuto ai soli genitori e, in caso di loro scomparsa, ai fratelli o alle sorelle conviventi con la persona in condizioni di disabilità grave in atto da almeno cinque anni e che abbiano titolo a fruire dei permessi retribuiti di cui all’art. 33 della legge n. 104 del 1992 (art. 80, comma 2, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2001»), il congedo straordinario ha visto progressivamente estendersi l’àmbito di applicazione, per impulso del legislatore e della giurisprudenza di questa Corte.
Con l’introduzione dell’art. 3, comma 106, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2004)», il legislatore ha svincolato il beneficio dal presupposto della permanenza da almeno cinque anni della situazione di disabilità grave.
Questa Corte, nel sindacare la legittimità costituzionale dell’art. 42, comma 5, del d.lgs. n. 151 del 2001, ha gradualmente ampliato la platea dei beneficiari e vi ha incluso dapprima i fratelli o le sorelle conviventi con il disabile, anche nell’ipotesi in cui i genitori siano impossibilitati a provvedere all’assistenza del figlio perché a loro volta inabili (sentenza n. 233 del 2005), e successivamente, in via prioritaria rispetto agli altri congiunti, il coniuge convivente (sentenza n. 158 del 2007) e, nell’ipotesi di assenza di altri soggetti idonei a prendersi cura del disabile, il figlio convivente (sentenza n. 19 del 2009).
Con il decreto legislativo 18 luglio 2011, n. 119 (Attuazione dell’articolo 23 della legge 4 novembre 2010, n. 183, recante delega al Governo per il riordino della normativa in materia di congedi, aspettative e permessi), il legislatore ha recepito le indicazioni offerte dalle pronunce citate e ha innovato i tratti distintivi dell’istituto, originariamente «concepito come strumento di tutela rafforzata della maternità in caso di figli portatori di handicap grave» (sentenza n. 203 del 2013, punto 3.4. del Considerato in diritto). Anche in conseguenza dell’estensione del novero dei beneficiari, il congedo straordinario ha finito così con l’assumere una portata via via più ampia, in armonia con l’esigenza di salvaguardare «la cura del disabile nell’àmbito della famiglia e della comunità di vita cui appartiene» e così di «tutelarne nel modo più efficace la salute, di preservarne la continuità delle relazioni e di promuoverne una piena integrazione» (sentenza n. 158 del 2018, punto 7.2. del Considerato in diritto).
Il congedo straordinario, riconducibile agli «interventi economici integrativi di sostegno alle famiglie» (sentenze n. 158 del 2007, punto 2.3. del Considerato in diritto, e n. 233 del 2005, punto 2.3. del Considerato in diritto), ne avvalora e ne incentiva il ruolo primario nell’assistenza al disabile e valorizza quelle «espressioni di solidarietà esistenti nel tessuto sociale e, in particolare, in ambito familiare, conformemente alla lettera e allo spirito della Costituzione, a partire dai principi di solidarietà e di sussidiarietà di cui agli artt. 2 e 118, quarto comma, Cost.» (sentenza n. 203 del 2013, punto 3.4. del Considerato in diritto).
Il diritto del disabile di «ricevere assistenza nell’àmbito della sua comunità di vita» (sentenza n. 213 del 2016, punto 3.4. del Considerato in diritto), inscindibilmente connesso con il diritto alla salute e a una integrazione effettiva, rappresenta il fulcro delle tutele apprestate dal legislatore e finalizzate a rimuovere gli ostacoli suscettibili di impedire il pieno sviluppo della persona umana.
Nella disciplina di sostegno alle famiglie che si prendono cura del disabile convergono non soltanto i valori della solidarietà familiare, ma anche «un complesso di valori che attingono ai fondamentali motivi ispiratori del disegno costituzionale» e impongono l’interrelazione e l’integrazione «tra i precetti in cui quei valori trovano espressione e tutela» (sentenza n. 215 del 1987, punto 6. del Considerato in diritto).
Sono coerenti con il descritto disegno costituzionale anche la Carta sociale europea, riveduta, con annesso, fatta a Strasburgo il 3 maggio 1996, ratificata e resa esecutiva con la legge 9 febbraio 1999, n. 30, che garantisce al disabile «l’effettivo esercizio del diritto all’autonomia, all’integrazione sociale ed alla partecipazione alla vita della comunità» (art. 15), la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, che tutela «il diritto delle persone con disabilità di beneficiare di misure intese a garantirne l’autonomia, l’inserimento sociale e professionale e la partecipazione alla vita della comunità» (art. 26) e la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, con Protocollo opzionale, fatta a New York il 13 dicembre 2006 e ratificata con legge 3 marzo 2009, n. 18, che, nel preambolo (punto x), prescrive di assicurare alle famiglie, «nucleo naturale e fondamentale della società», la protezione e l’assistenza indispensabili per «contribuire al pieno ed uguale godimento dei diritti delle persone con disabilità».
Nell’apprestare le misure necessarie a rendere effettivo il godimento di tali diritti e a contemperare tutti gli interessi costituzionali rilevanti, la discrezionalità del legislatore incontra dunque un limite invalicabile nel «rispetto di un nucleo indefettibile di garanzie per gli interessati» (sentenza n. 251 del 2008, punto 16. del Considerato in diritto).
6.– È alla luce di questi principi, enunciati dalla giurisprudenza costante di questa Corte, che occorre scrutinare la legittimità costituzionale della disposizione censurata.
6.1.– Nell’estendere il congedo straordinario oltre l’originaria cerchia dei genitori, il legislatore ha attribuito rilievo esclusivo alla preesistente convivenza con il disabile, al fine di salvaguardare quella continuità di relazioni affettive e di assistenza che trae origine da una convivenza già in atto. La convivenza non si esaurisce in un dato meramente formale e anagrafico, ma esprime, nella quotidiana condivisione dei bisogni e del percorso di vita, una relazione di affetto e di cura.
Tale presupposto, ispirato a una finalità di preminente tutela del disabile, rischia nondimeno, per una sorta di eterogenesi dei fini, di pregiudicarlo, quando manchino i familiari conviventi indicati in via prioritaria dalla legge e vi sia solo un figlio, all’origine non convivente, pronto a impegnarsi per prestare la necessaria assistenza.
In questa specifica circostanza, l’ancoraggio esclusivo al criterio della convivenza finisce con il vanificare la finalità del congedo straordinario. Quest’ultimo mira a colmare le lacune di tutela e a far fronte «alle emergenti situazioni di bisogno e alla crescente richiesta di cura che origina, tra l’altro, dai cambiamenti demografici in atto», in particolare, a «quelle situazioni di disabilità che si possono verificare in dipendenza di eventi successivi alla nascita o in esito a malattie di natura progressiva o, ancora, a causa del naturale decorso del tempo» (sentenza n. 203 del 2013, punto 3.4. del Considerato in diritto).
Un criterio selettivo così congegnato compromette il diritto del disabile di ricevere la cura necessaria dentro la famiglia, proprio quando si venga a creare una tale lacuna di tutela e il disabile possa confidare – come extrema ratio – soltanto sull’assistenza assicurata da un figlio ancora non convivente al momento della richiesta di congedo.
Tali situazioni sono ugualmente meritevoli di adeguata protezione, poiché riflettono i mutamenti intervenuti nei rapporti personali e le trasformazioni che investono la famiglia, non sempre tenuta insieme da un rapporto di prossimità quotidiana, ma non per questo meno solida nel suo impianto solidaristico. Può dunque accadere che la convivenza si ristabilisca in occasione di eventi che richiedono la vicinanza – in questo caso fra padre e figlio – quale presupposto per elargire la cura al disabile. Il ricomporsi del nucleo familiare si caratterizza in questi casi per un ancor più accentuato vincolo affettivo.
Il requisito della convivenza ex ante, inteso come criterio prioritario per l’identificazione dei beneficiari del congedo, si rivela idoneo a garantire, in linea tendenziale, il miglior interesse del disabile. Tale presupposto, tuttavia, non può assurgere a criterio indefettibile ed esclusivo, così da precludere al figlio, che intende convivere ex post, di adempiere in via sussidiaria e residuale i doveri di cura e di assistenza, anche quando nessun altro familiare convivente, pur di grado più lontano, possa farsene carico.
Tale preclusione, in contrasto con gli artt. 2, 3, 29 e 32 Cost., sacrifica in maniera irragionevole e sproporzionata l’effettività dell’assistenza e dell’integrazione del disabile nell’àmbito della famiglia, tutelata dal legislatore mediante una disciplina ispirata a presupposti rigorosi e contraddistinta da obblighi stringenti.
6.2.– Il figlio che abbia conseguito il congedo straordinario ha difatti l’obbligo di instaurare una convivenza che garantisca al genitore disabile un’assistenza permanente e continuativa.
7.– Si deve dichiarare, pertanto, l’illegittimità costituzionale dell’art. 42, comma 5, del d.lgs. n. 151 del 2001, nella parte in cui non annovera tra i beneficiari del congedo straordinario ivi previsto, e alle condizioni stabilite dalla legge, il figlio che, al momento della presentazione della richiesta, ancora non conviva con il genitore in situazione di disabilità grave, ma che tale convivenza successivamente instauri, in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti del coniuge convivente, del padre e della madre, anche adottivi, dei figli conviventi, dei fratelli e delle sorelle conviventi, dei parenti o affini entro il terzo grado conviventi, legittimati a richiedere il beneficio in via prioritaria secondo l’ordine determinato dalla legge.
Restano assorbite le ulteriori censure prospettate dal rimettente in riferimento all’art. 3 Cost., sotto il profilo dell’arbitraria discriminazione dei lavoratori, censurata anche per violazione degli artt. 4 e 35 Cost., e dell’ingiustificata disparità di trattamento tra chi reclami il beneficio dei permessi riconosciuti dall’art. 33, comma 3, della legge n. 104 del 1992 e chi richieda il congedo straordinario.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), nella parte in cui non include nel novero dei soggetti legittimati a fruire del congedo ivi previsto, e alle condizioni stabilite dalla legge, il figlio che, al momento della presentazione della richiesta del congedo, ancora non conviva con il genitore in situazione di disabilità grave, ma che tale convivenza successivamente instauri, in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti del coniuge convivente, del padre e della madre, anche adottivi, dei figli conviventi, dei fratelli e delle sorelle conviventi, dei parenti o affini entro il terzo grado conviventi, legittimati a richiedere il beneficio in via prioritaria secondo l’ordine determinato dalla legge.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 novembre 2018.
F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente
Silvana SCIARRA, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 7 dicembre 2018.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA

Avv. Renato D’Isa

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