Il termine di prescrizione della pena

Corte di Cassazione, penale, Sentenza|26 gennaio 2021| n. 3189.

Il termine di prescrizione della pena, nel caso in cui l’esecuzione sia condizionalmente sospesa, decorre dalla data di irrevocabilità della sentenza di condanna che costituisce presupposto per la revoca del beneficio.

Sentenza|26 gennaio 2021| n. 3189

Data udienza 26 ottobre 2020

Integrale

Tag – parola chiave: Bancarotta fraudolenta patrimoniale – Prelevamenti di importi dalle casse sociali – Distrazione per fini personali – Presunzione – Mancato rinvenimento al momento della dichiarazione di fallimento – Termine di prescrizione della pena – Decorrenza dalla data di irrevocabilità della sentenza di condanna quale presupposto della revoca della sospensione condizionale – Rigetto

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CATENA Rossella – Presidente

Dott. GUARDIANO Alfredo – Consigliere

Dott. BELMONTE Maria T. – rel. Consigliere

Dott. CALASELICE Barbara – Consigliere

Dott. SESSA Renata – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 01/07/2019 della CORTE APPELLO di TORINO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. MARIA TERESA BELMONTE;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dr. MIGNOLO OLGA, che ha concluso chiedendo l’inammissibilita’ del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1.Con la sentenza impugnata, la Corte di Appello di Torino, in parziale riforma della decisione del Tribunale di Novara – che aveva ritenuto (OMISSIS), nella qualita’ di socio accomandatario della societa’ (OMISSIS) s.a.s., colpevole di bancarotta patrimoniale (capo A), e revocato la sospensione condizionale precedentemente concessa per altra condanna, inflitta dal Tribunale di Novara con sentenza del 31/10/2007, irrevocabile il 21/12/2007 – ha ridotto la pena accessoria, commisurandola a quella principale, confermando, nel resto, la decisione del primo giudice.
2. Propone ricorso l’imputato, per il tramite del difensore, il quale svolge due motivi.
2.1. Vizio della motivazione, perche’ contraddittoria e manifestamente illogica, nella parte in cui ha ritenuto configurabile la distrazione attraverso prelevamenti dalle casse sociali in acconto utili mai maturati. Deduce il ricorrente che la fallita non ebbe alcun utile poiche’ il bilancio annuale fu sempre passivo, che non vi e’ prova della destinazione dei prelievi a finalita’ estranee all’attivita’ sociale, e che il prelievo dalle casse sociali fu immediatamente denunciato dal ricorrente al momento della dichiarazione di fallimento, attraverso la indicazione di credito sociale pari all’importo prelevato. Donde, l’insussistenza del reato o, comunque, del dolo, rilevando un mero indizio, insufficiente a configurare la distrazione, e potendosi trarre dal comportamento dell’imputato segni significativi della buona fede.
2.2. Vizio della motivazione anche con riguardo alla revoca, ex articolo 168 c.p., della sospensione condizionale, trattandosi di pena oramai prescritta, e, dunque, estinta. DA qui la possibilita’ del ricorrente di beneficiare della sospensione condizionale della pena nel presente giudizio.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Entrambi i motivi di ricorso sono infondati.
1.La Corte di appello, incontestato il fatto nella sua oggettivita’ – costituito dal prelevamento, in tempi diversi, di cospicue somme di danaro dalle casse sociali – ha dato atto della assenza di giustificazioni di tale condotta, rilevando, invece, che la societa’ non aveva mai conseguito alcun utile nei vari esercizi dei pochi anni di vita; non era mai stata autorizzata la liquidazione di compensi in favore degli amministratori; non era stata fornita alcuna prova della reale destinazione del denaro a finalita’ proprie dell’impresa. Cosi’ ricostruito il quadro indiziario, ha concluso, conformemente al primo giudice, nel senso che gli importi prelevati fossero stati distratti per fini personali.
1.1. Replicando, poi, alla deduzione difensiva circa l’insussistenza dell’elemento soggettivo – fatta palese, secondo la Difesa, dalla circostanza che i prelievi fossero stati indicati nell’attivo della societa’, e, quindi, facendo leva sulla trasparente condotta imprenditoriale del ricorrente la Corte territoriale ha, tuttavia, osservato che, al piu’, il reato avrebbe potuto escludersi ove fosse stata ravvisabile una fattispecie di bancarotta riparata. Tuttavia, essa e’ stata esclusa dai giudici di merito non essendo intervenuta, come richiesto, la integrale reintegrazione del patrimonio sociale, dal momento che il ricorrente si e’ limitato a denunciare, tre giorni dopo il fallimento, i crediti sociali, peraltro gia’ individuati dal curatore, senza restituire alcunche’.
1.2. Le valutazioni della Corte territoriale – peraltro conformi alla decisione del Tribunale, che ha argomentato in modo ampio, puntuale e analitico il proprio convincimento – sono allineate al costante insegnamento di questa Corte – anche richiamato in sentenza – secondo cui, premesso che il distacco del bene dal patrimonio dell’imprenditore poi fallito, in cui si concretizza l’elemento oggettivo del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, puo’ realizzarsi in qualsiasi forma e con qualsiasi modalita’, non avendo incidenza su di esso la natura dell’atto negoziale con cui tale distacco si compie, ne’ la possibilita’ di recupero del bene attraverso l’esperimento delle azioni apprestate a favore degli organi concorsuali, la prova della distrazione o dell’occultamento dei beni della societa’ dichiarata fallita puo’ essere desunta dalla mancata dimostrazione, da parte dell’amministratore, della destinazione dei beni suddetti (Sez. 5 n. 11095 del 13/02/2014, Rv. 262741; Sez. 5 n. 22894 del 17/04/2013, Rv. 255385; Sez. 5 n. 3400/05 del 15/12/2004, Rv. 231411; Sez. 5 n. 7048 del 27/11/2008, Rv. 243295). L’indirizzo si fonda sulla considerazione che, nel nostro ordinamento, l’imprenditore assume una posizione di garanzia nei confronti dei creditori, i quali confidano nel patrimonio dell’impresa per l’adempimento delle obbligazioni sociali. Da qui, la diretta responsabilita’ dell’imprenditore, quale gestore di tale patrimonio, per la sua conservazione ai fini dell’integrita’ della garanzia. La perdita ingiustificata del patrimonio o la elisione della sua consistenza costituisce un vulnus alle aspettative dei creditori e integra, pertanto, l’evento giuridico presidiato dalla fattispecie della bancarotta fraudolenta. Tali considerazioni giustificano la, solo apparente, inversione dell’onere della prova incombente sul fallito, in caso di mancato rinvenimento di beni da parte della procedura e in assenza di giustificazione al riguardo (nel senso di dare conto di spese, perdite o oneri compatibili con il fisiologico andamento della gestione imprenditoriale), poiche’, anche in ragione dell’obbligo di verita’ gravante sul fallito ai sensi dell’articolo 8, comma 3 L.F. con riferimento alla destinazione di beni di impresa al momento in cui viene interpellato da parte del curatore, obbligo presidiato da sanzione penale, si tratta di legittima sollecitazione affinche’ il diretto interessato dia adeguata dimostrazione, in quanto gestore dell’impresa, della destinazione dei beni o del loro ricavato. (Sez. 5, n. 2876 del 10/06/1998 (dep. 1999) Rv. 212606; Sez. 5 n. 7588 del 26/01/2011, Rv. 249715; Sez. 5 -, n. 55805 del 03/10/2018, Rv. 274621).
1.3. Il percorso giustificativo seguito dalla Corte di appello e’ corretto, poiche’ i giudici di merito hanno tratto dal mancato rinvenimento, all’atto della dichiarazione di fallimento, delle somme prelevate dalle casse sociali, e dall’assenza di giustificazioni da parte del fallito, sul quale gravava l’onere dimostrativo, la valida presunzione della loro dolosa distrazione, essendone pacifica la previa disponibilita’, da parte dell’imputato, per come pacificamente accertata nella loro esatta dimensione (Sez. 5, n. 35882 del 17/06/2010 Rv. 248425). La decisione gravata si e’, dunque, conformata ai principi accreditati dalla giurisprudenza prevalente in tema di prova della bancarotta per distrazione, attestati sulla affermazione secondo cui ben puo’ operare il meccanismo della presunzione dalla dolosa distrazione, rilevante, ai sensi dell’articolo 192 c.p.p., al fine di affermare la responsabilita’ dell’imputato, nel caso di un ingiustificato mancato rinvenimento, all’atto della dichiarazione di fallimento, di beni e valori societari a condizione che sia accertata la previa disponibilita’, da parte dell’imputato, di detti beni o attivita’ nella loro esatta dimensione e al di fuori di qualsivoglia presunzione (Rv. 248425 cit.). Il ricorrente, invece, si limita a sostenere la propria buona fede, per avere denunciato il prelievo senza, tuttavia, osservare l’onere dimostrativo su di lui gravante, circa la destinazione (lecita) data alle somme (oltre centomila Euro), invece, sottratte alla garanzia creditoria.
1.4. Anche l’indagine sull’elemento soggettivo e’ stata condotta adeguatamente, ponendosi in evidenza come il ricorrente, per il ruolo predominante svolto all’interno della ditta, abbia agito con la piena consapevolezza della grave situazione imprenditoriale e patrimoniale (manifestatasi fin dalla sua costituzione) e della sottrazione, mediante prelievi effettuati anche in prossimita’ del fallimento, di risorse all’attivo fallimentare. E’ stato, infatti, richiamato, in entrambe le sentenze di merito, l’insegnamento di questa Corte secondo cui, nel delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale, esso e’ costituito dal dolo generico; pertanto, e’ sufficiente che la condotta di colui che pone in essere o concorre nell’attivita’ distrattiva sia assistita dalla consapevolezza che le operazioni che si compiono sul patrimonio sociale siano idonee a cagionare un danno ai creditori, senza che sia necessaria l’intenzione dai causarlo (Sez. 5 n. 51715 del 05/11/2014, Rv. 261739). Oggetto del reato in tale fattispecie non e’ la consapevolezza del dissesto o la sua prevedibilita’ in concreto, quanto la rappresentazione del pericolo che la condotta costituisce per la conservazione della garanzia patrimoniale e per la conseguente tutela degli interessi creditori (Sez. 5 n. 40981 del 15/05/2014, Rv. 261367). In relazione a tali fatti, sul dolo non incide ne’ la finalita’ perseguita in via contingente dall’agente, che e’ elemento estraneo alla struttura della fattispecie, ne’ il recupero o la possibilita’ di recupero del bene distaccato, attraverso specifiche azioni esperibili; la norma incriminatrice punisce, in analogia alla disciplina dei reati che offendono comunque il patrimonio, il fatto della sottrazione, che costituisce, ontologicamente, il proprium di ogni distrazione.
Sottrazione che si perfeziona nel momento del distacco dei beni dal patrimonio societario anche se il reato viene a esistere giuridicamente con la dichiarazione di fallimento. Coerentemente con la natura di reato di pericolo della bancarotta patrimoniale, non si richiede lo specifico intento di recare pregiudizio ai creditori, essendo sufficiente la consapevolezza della mera possibilita’ di danno potenzialmente derivante alle ragioni creditorie, e, infatti, si e’ ripetutamente affermato che il dolo puo’ essere diretto, ma anche indiretto o eventuale, quando il soggetto agisca anche a costo, a rischio di subire una perita altamente probabile se non certa (Sez 5 n. 42568 del 19/06/2018, Rv. 273825; Sez. 5 n. 14783 del 09/03/2018, Rv. 272614; Sez. 5 n. 51715 del 05/11/2014, Rv. 261739; Sez. 5 n. 10941 del 20/12/1996, Rv. 206542).
2. Neppure il secondo motivo e’ fondato. Come premesso, la Difesa si duole della revoca della sospensione condizionale precedentemente riconosciuta, con riguardo a fatto giudicato con sentenza del 31/10/2007, irrevocabile il 21/12/2007, sostenendo che trattasi di pena per la quale sarebbe maturata la prescrizione minima decennale di cui all’articolo 172 c.p., e, dunque, sarebbe stata disposta la revoca di una pena non piu’ eseguibile perche’ estinta.
2.1. Le cose, pero’, non stanno cosi’, poiche’ il termine di prescrizione della pena, nel caso in cui la sua esecuzione sia sospesa condizionalmente, resta sospeso anch’esso, cominciando a decorrere dal momento di verificazione del presupposto per la revoca, ovvero al momento in cui interviene la nuova condanna per fatto commesso nel quinquennio, evenienza che rende nuovamente eseguibile la pena. Correttamente, dunque, la sentenza gravata ha escluso che si fosse perfezionato detto termine.
2.2. Piuttosto, nella giurisprudenza, si e’ posto il problema della individuazione del dies a quo da computarsi ai fini dell’estinzione della pena, ex articolo 172 c.p., comma 5, questione in ordine alla quale sono intervenute le Sezioni Unite “Maiorella” che, pronunciandosi con specifico riferimento a un caso di revoca dell’indulto, hanno risolto il contrasto interpretativo formatosi nelle Sezioni della Corte.
2.2.1. Alcune pronunce, piu’ risalenti, ritenevano, infatti, nel caso di subordinazione dell’esecuzione della pena alla scadenza di un termine o al verificarsi di una condizione, che il termine decorresse dal giorno in cui e’ divenuta definitiva la decisione (sentenza o ordinanza emessa in sede di esecuzione ex articolo 674 c.p.p.) che ha accertato la causa della revoca, disponendo quest’ultima (in tema di sospensione condizionale della pena, Sez. 1, n. 13414 del 21/02/2013, Strusi, Rv. 255647 aveva affermato che il dies a quo da cui decorre il termine di prescrizione della pena, oggetto di sospensione condizionale poi revocata, deve essere individuato nel giorno di passaggio in giudicato della decisione che ha disposto la revoca del beneficio, e non dal momento in cui e’ stato commesso il reato che ha dato luogo alla revoca medesima, e sebbene da cio’ possa scaturire un danno al condannato, derivante dall’eventuale ritardo con cui e’ possibile venga accertata la causa della revoca, questa soluzione appare comunque quella da preferirsi, essendo necessario che a prevalere sia il generale interesse alla certezza dei rapporti giuridici). Tale orientamento, sempre in tema di prescrizione della pena in relazione alla revoca della sospensione condizionale della stessa, era stato ribadito anche piu’ recentemente (Sez. 1, n. 39565 del 13/06/2014, Venosa, n. m.).
2.2.2. Secondo l’altro indirizzo, consolidatosi piu’ recentemente, il termine di prescrizione della pena decorre dal momento in cui si sono verificati i presupposti per la revoca del beneficio precedentemente concesso, ovvero e’ divenuta definitiva la sentenza di condanna determinante la causa della revoca del beneficio stesso. In sostanza, per questa opzione ermeneutica, ai fini dell’individuazione del dies a quo per il decorso della prescrizione della pena, in caso di revoca di benefici, si deve fare riferimento al momento in cui siano per legge maturate le condizioni che abbiano portato alla revoca stessa, e non a quello in cui viene adottato il provvedimento di revoca del beneficio. In tema di sospensione condizionale della pena, Sez. 6, n. 1465 del 02/06/1983, Marziani, Rv. 160523 e Sez. 1, n. 17346 del 11/04/2006, Petrella, Rv. 233882, nello stabilire che il termine di prescrizione della pena, nel caso in cui sussistano le condizioni per revocare la sospensione condizionale, decorre dal momento in cui si sono verificate dette condizioni e non da quello in cui e’ adottato il provvedimento di revoca del beneficio, hanno fatto leva sia sul dettato letterale dell’articolo 172 c.p., comma 5, che sulla ratio della disciplina della prescrizione, la quale, poiche’ ispirata all’esigenza di certezza delle situazioni giuridiche, non puo’ dipendere dalle contingenti determinazioni dell’autorita’ giudiziaria. Secondo tale orientamento, l’unico momento in cui possono invece considerarsi perfezionati i presupposti “di fatto e di diritto” per la revoca, e da cui puo’ validamente (in base al principio contra non valentem agere non currit praescriptio) decorrere il termine di prescrizione, e’ percio’ quello dell’accertamento giudiziale definitivo della commissione del reato da cui consegue la revoca.
2.2.3.E’ a quest’ultimo orientamento che le Sezioni Unite hanno prestato adesione e affermato il principio che “il termine di prescrizione della pena decorre dalla data d’irrevocabilita’ della sentenza di condanna, quale presupposto della revoca del beneficio” (Sez. U, n. 2 del 30/10/2014, Maiorella, Rv. 261399), al quale, per le considerazione che sono state svolte, in termini generali, nella motivazione della sentenza, deve ispirarsi anche lâEuroËœesegesi riguardante la decorrenza del termine di prescrizione della pena condizionalmente sospesa.
2.4. Del resto, a tale indirizzo si e’ conformata anche la successiva giurisprudenza di questa Corte (Sez. 1, n. 11156 del 02/12/2015 (dep. 2016) Rv. 266343), che ha ribadito argomenti spesi nell’arresto delle sezioni unite, che hanno richiamato “il dato testuale, quello logico e quello sistematico, anche in una lettura che sia, doverosamente, costituzionalmente e convenzionalmente orientata” come elementi conducenti univocamente al quell’approdo interpretativo, considerando che l’anticipazione del tempo dell’esecuzione della pena al momento certo dell’avveramento della condizione risolutiva (e non a quello, variabile, della successiva declaratoria di revoca), oltre che conseguenza ineludibile del correlato disposto normativo, e’ coerente con i parametri costituzionali di cui all’articolo 3 Cost., articolo 27 Cost., comma 2 e articolo 111 Cost. e con i principi convenzionali di ragionevole durata, sollecita definizione e minor sacrificio esigibile, evincibili dalle norme degli articoli 5 e 6 CEDU (Sez. 1, n. 11156 del 02/12/2015 (dep. 2016) Rv. 266343).
2.5. La valutazione effettuata, sul punto, dalla Corte di appello si rivela, come premesso, corretta, e la pretesa difensiva palesemente infondata, dal momento che, in assenza della irrevocabilita’ della sentenza di condanna per il fatto commesso nel quinquennio, ai sensi dell’articolo 168 c.p., comma 1, n. 1, non decorre affatto il termine di prescrizione di cui all’articolo 172 c.p..
3. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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