Corte di Cassazione, penale, Sentenza|8 gennaio 2021| n. 479.
Il termine di cinque giorni previsto dall’art. 299, comma 3, cod. proc. pen., per la decisione sull’istanza di revoca o sostituzione delle misure coercitive ha natura ordinatoria.
Sentenza|8 gennaio 2021| n. 479
Data udienza 8 ottobre 2020
Integrale
Tag – parola chiave: Misura di custodia cautelare in carcere – Rigetto con la sostituzione degli arresti domiciliari – Associazione mafiosa e associazione dedita al narcotraffico e reati – fine – Condizioni di salute da parte del reo – Nomina del perito da parte del Giudice – Termine di cinque giorni per la decisione – Natura ordinatoria
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. IASILLO Adriano – Presidente
Dott. SARACENO Rosa Anna – Consigliere
Dott. LIUNI Teresa – Consigliere
Dott. CENTOFANTI Francesc – rel. Consigliere
Dott. RENOLDI Carlo – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 17/07/2020 del Tribunale di Lecce;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Francesco Centofanti;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Tampieri Luca, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso;
udito l’avvocato (OMISSIS), che ha chiesto accogliersi il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con l’ordinanza in epigrafe, adottata ai sensi dell’articolo 310 c.p.p., il Tribunale di Lecce confermava l’anteriore provvedimento del locale G.i.p., che aveva rigettato l’istanza di (OMISSIS), tesa alla sostituzione, per ragioni di salute, della vigente misura della custodia cautelare in carcere con gli arresti domiciliari. (OMISSIS) e’ attualmente imputato di associazione di tipo mafioso, di associazione a fini di narcotraffico, e di delitti scopo rientranti nel programma criminoso di quest’ultima, e, all’esito del giudizio abbreviato, ha riportato condanna alla pena principale di quindici anni di reclusione.
Il Tribunale, a sostegno della decisione, richiamava gli esiti della perizia collegiale da esso disposta, da cui emergeva l’esistenza di un’infermita’ di natura fisica (esiti fibrotici ed enfitematosi di empiema pleurico destro, ed epatopatia HCV correlata) non particolarmente grave e, come tale, compatibile con lo stato detentivo, nonche’ l’esistenza di una sindrome ansioso-depressiva su mera base reattiva, senza significativi disturbi comportamentali e relazionali.
L’ordinanza in epigrafe dava atto del diverso parere dei consulenti di parte, che confutava sulla base delle osservazioni svolte in replica dagli stessi periti.
Anche tenuto conto dell’emergenza epidemiologica in atto, non sussistevano dunque, per il Tribunale, le condizioni per l’attenuazione della misura della custodia in carcere, tenuto conto della persistenza di esigenze cautelari “in massimo grado” alla luce della mancata rescissione dei legami con l’organizzazione malavitosa.
2. Ricorre l’imputato per cassazione, per il tramite dei suoi difensori di fiducia, sulla base di tre motivi.
Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione. Il giudice a quo avrebbe richiamato la presunzione assoluta di adeguatezza della sola misura cautelare della custodia in carcere, causa il titolo di reato, senza tenere in considerazione il fatto che – in presenza di uno stato di salute particolarmente grave, come quello dell’imputato – la restrizione carceraria sarebbe in ogni caso ammessa solo a fronte di esigenze di eccezionale rilevanza, nella specie non individuate. Il ricorrente, a sostegno della allegata gravita’ del quadro nosografico, opera quindi una diffusa disamina, anche diacronica, della sua vicenda clinica, dal lato fisico e psicologico, insistendo anche sull’aggravamento del rischio indotto dall’emergenza epidemiologica.
Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione. La perizia sarebbe stata tardivamente disposta.
A norma dell’articolo 299 c.p.p., comma 4-ter, avrebbe dovuto provvedere in tal senso gia’ il G.i.p. di Lecce. L’emergenza epidemiologica non lo dispensava da cio’, ne’ lo autorizzava a violare, ai fini della decisione, il termine legale di cinque giorni (avendo il G.i.p. provveduto a distanza di trentasette giorni).
Con il terzo motivo il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione. Il giudizio di adeguatezza della sola misura cautelare della custodia in carcere, formulato dal giudice a quo, si baserebbe esclusivamente sulla gravita’ delle imputazioni. Esso non terrebbe nel dovuto conto la personalita’ di (OMISSIS) e l’imponenza del quadro clinico.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e’ infondato.
2. Tale deve giudicarsi, anzitutto, il secondo motivo, incentrato su questioni di ordine processuale e da esaminare pertanto in via pregiudiziale.
Vero e’ che – come autorevolmente ritenuto da Sez. U, n. 3 del 17/02/1999, Femia, Rv. 212755-01 – il giudice della cautela, ove non ritenga di accogliere, sulla base degli atti, la richiesta di revoca o di sostituzione della misura della custodia in carcere, basata sulla prospettazione di condizioni di salute incompatibili con lo stato di detenzione, o comunque tali da non consentire adeguate cure inframurarie, e’ tenuto a disporre gli accertamenti medici del caso nominando un perito secondo quanto disposto dall’articolo 299 c.p.p., comma 4-ter, essendogli solo consentito, a tal fine, di delibare sull’ammissibilita’ della richiesta, ossia di verificare che una situazione di salute della specie prevista dall’articolo 275, comma 4, sia stata effettivamente prospettata, senza alcuna possibilita’ di compiere, in questa fase istruttoria, valutazioni anticipate di merito).
La violazione di tale precetto, rilevata dal Tribunale in sede di appello cautelare, impone tuttavia a quest’ultimo di disporre esso stesso l’accertamento peritale omesso. La disposizione dell’articolo 299 c.p.p., comma 4-ter, difatti, addossa esplicitamente tale dovere al giudice “in ogni stato e grado del procedimento, quando non e’ in grado di decidere allo stato degli atti (…)” (Sez. U., n. 3 del 1999, citata; Sez. 1, n. 2088 del 01/04/1996, Nuvoletta, Rv. 20493901).
Nessuna censura e’ dunque sul punto ravvisabile, nella presente vicenda processuale, nell’operato del Tribunale di Lecce.
Quanto al termine di cinque giorni, assegnato al giudice per evadere le istanze di sostituzione di misura cautelare di cui all’articolo 299 c.p.p., esso riveste pacificamente natura ordinatoria (Sez. 6, n. 44092 del 14/10/2014, Manzo, Rv.:260719-01; Sez. 6, n. 7319 del 11/02/2009, Albanese, Rv. 242925-01; Sez. 1, n. 587 del 05/03/1990, Sortino, Rv. 183740-01) e nessuna invalidita’ processuale, sanzionabile in questa sede, puo’ derivare dalla sua inosservanza.
3. Manifestamente infondati appaiono, invece, i motivi primo e terzo, connessi e congiuntamente esaminabili.
Il Tribunale di Lecce ha nella specie ritenuto, contrariamente a quanto assume il ricorrente, l’esistenza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza (avendo il giudice espressamente descritto le esigenze medesime come di “massimo grado”), ineccepibilmente desumendole non gia’ dal mero titolo astratto di reato, ma dalla concreta gravita’ delle imputazioni, dalla elevata misura della pena inflitta e – profilo quest’ultimo dal ricorrente neppure direttamente confutato – dalla mancata rescissione dei legami con la cosca di appartenenza.
A fronte di esigenze cosi’ connotate, il Tribunale ha correttamente ritenuto recessivo il quadro clinico del detenuto (cfr. Sez. 6, n. 12754 del 23/02/2017, Gattuso, Rv. 269386-01, e Sez. 6, n. 14571 del 18/03/2011, Ngedere, Rv. 250036-01), dopo aver adeguatamente argomentato, sulla, base di esaustive risultanze, che riflettono gli esiti del disposto accertamento peritale, l’inesistenza di condizioni di salute propriamente riconducibili al paradigma di cui all’articolo 275 c.p.p., comma 4-bis, nonche’ l’assenza di rischi di ingravescenza legati, di per se’, al quadro epidemiologico attuale.
Le censure del ricorrente, riguardo ai profili di ordine sanitario, s’infrangono contro la logica e ponderata valutazione dell’ordinanza impugnata. Tali censure non oltrepassano l’ambito del puro merito, non sindacabile ad opera di questa Corte.
4. Segue la reiezione del ricorso.
A norma dell’articolo 616 c.p.p., il ricorrente e’ condannato al pagamento delle spese processuali.
La cancelleria curera’ l’adempimento di cui all’articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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