Il solo caso in cui può essere disposta la condanna alle spese della parte non soccombente

Consiglio di Stato, sezione quinta, Sentenza 21 ottobre 2019, n. 7131.

La massima estrapolata:

Nel processo amministrativo il solo caso in cui può essere disposta la condanna alle spese della parte non soccombente è quello in cui la parte medesima non si è attenuta al dovere di comportarsi in giudizio secondo lealtà e probità.

Sentenza 21 ottobre 2019, n. 7131

Data udienza 26 settembre 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quinta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8458 del 2010, proposto da
Comune di Roma, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Ro. Mu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto in Roma, via (…);
contro
Ater – Azienda Territoriale Edilizia Pubblica del Comune di Roma, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Mi. Va., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto in Roma, via (…);
Roma Capitale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Gu. Fr., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio Sezione Seconda n. 3169 del 2010, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ater – Azienda Territoriale Edilizia Pubblica del Comune di Roma, e di Roma Capitale;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 26 settembre 2019 il Cons. Elena Quadri e udito per le parti l’avvocato Gu. Fr.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

ATER impugnava il ricevuto avviso di accertamento emesso dal Dirigente del Primo Municipio di Roma il 30 giugno 2009 per mancato pagamento di somme dovute per transennamento posto a salvaguardia della pubblica incolumità, relativo ad immobili di proprietà dell’ATER stessa.
Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, con sentenza n. 3169 del 2010, dichiarava il difetto di giurisdizione a favore del giudice ordinario, ma disponeva la condanna del Comune di Roma al pagamento delle spese di lite, liquidandole nella somma di euro 800, ai sensi degli artt. 91 e 92 Cod. proc. civ., così come successivamente modificati, in ragione dell’errata indicazione sull’atto impugnato della possibilità di ricorrere al giudice amministrativo.
Il Comune di Roma ha proposto appello contro la sentenza, affidandolo al seguente motivo di diritto:
I) violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. nonché contraddittorietà e illogicità della motivazione.
Si sono costituiti Ater, per resistere all’appello, e Roma Capitale, in adesione all’appello.
All’udienza pubblica del 26 settembre 2019 l’appello è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

Giunge in decisione l’appello del Comune di Roma contro la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio n. 3169 del 2010, che, pur dichiarando il difetto di giurisdizione a favore del giudice ordinario sul ricorso proposto da ATER contro il Comune di Roma per l’annullamento di un avviso di accertamento per mancato pagamento di somme dovute per transennamento posto a salvaguardia della pubblica incolumità relativo ad immobili di proprietà dell’ATER, ha condannato il Comune di Roma al pagamento delle spese di lite, ai sensi degli artt. 91 e 92 Cod. proc. civ., in ragione dell’errata indicazione sugli atti impugnati della possibilità di ricorrere al giudice amministrativo.
Nel frattempo l’impugnato avviso di accertamento è stato annullato in via di autotutela, perché la proprietà degli immobili è risultata, in realtà, del Comune di Roma e non dell’ATER.
L’autotutela, in ogni caso, non incide sulla permanenza dell’interesse all’appello, essendo stato appellato solo il capo di sentenza relativo alle spese.
La decisione appellata ha statuito che: “la richiesta di pagamento di somme attraverso lo strumento dell’avviso di accertamento debba qualificarsi come una richiesta tipicamente riconducibile all’ambito civilistico. Ne deriva che la questione contenziosa, che scaturisce dal suindicato atto, non può che essere conosciuta dal giudice ordinario avendo ad oggetto, per l’appunto, una mera richiesta di pagamento di somme di denaro”. Tuttavia: “La circostanza che il Comune abbia indicato nel provvedimento qui impugnato, erroneamente in ragione del titolo in ordine al quale si procedeva in esecuzione, la giurisdizione di questo Giudice amministrativo depone – pur in assenza di costituzione in giudizio dell’Amministrazione resistente e tenuto conto della nuova formulazione degli artt. 91 e 92 c.p. c. – per la condanna del predetto Comune al pagamento delle spese di giudizio che si liquidano nella misura complessiva di Euro 800, 00 (euro ottocento)”.
Il Comune contesta il solo capo della sentenza relativo alla condanna alle spese, assumendone l’erroneità alla luce del principio di soccombenza e deducendo, altresì, la violazione degli artt. 91 e 92, che, anche dopo le modifiche apportate dalla legge 18 giugno 2009, n. 69 (“Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile”), al massimo avrebbero potuto portare alla compensazione tra le parti delle spese di giudizio.
ATER, invece, resiste all’appello, invocando l’errore scusabile.
L’appello è fondato.
L’art. 91 Cod. proc. civ. prevede che: “Il giudice, con la sentenza che chiude il processo davanti a lui, condanna la parte soccombente al rimborso delle spese a favore dell’altra parte…”.
Per il successivo art. 92, invece: “Il giudice, nel pronunciare la condanna di cui all’articolo precedente, può escludere la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice, se le ritiene eccessive o superflue; e può, indipendentemente dalla soccombenza, condannare una parte al rimborso delle spese, anche non ripetibili, che, per trasgressione al dovere di cui all’articolo 88, essa ha causato all’altra parte.
Se vi è soccombenza reciproca ovvero nel caso di assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti, il giudice può compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero….”.
L’art. 88, infine, dispone che: “Le parti e i loro difensori hanno il dovere di comportarsi in giudizio con lealtà e probità “.
Dal combinato disposto delle norme succitate si evince che, alla luce del principio di soccombenza, la responsabilità per le spese del processo deve essere ordinariamente posta a carico della parte soccombente e a favore della parte vittoriosa.
Invero il giudice, in omaggio a tale principio, condanna alle spese la parte soccombente, cioè quella le cui domande non sono state accolte, ovvero quella nei cui confronti sono state accolte le domande della controparte, ma non può condannare la parte vittoriosa (cfr. Cassaz. civ., Sez. I, n. 8540 del 2005).
Il solo caso in cui può essere disposta la condanna alle spese della parte non soccombente è quello in cui la parte medesima non si è attenuta al dovere di comportarsi in giudizio secondo lealtà e probità .
Il giudice può, inoltre, compensare le spese di giudizio se vi è soccombenza reciproca o nel caso di assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti, oppure, in seguito alla sentenza della Corte costituzionale 7 marzo-19 aprile 2018, n. 77, qualora sussistano altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni.
Nel caso di specie, la declaratoria di difetto di giurisdizione ha determinato la soccombenza dell’ATER che ha introdotto il giudizio.
Né l’errore nell’indicazione dell’autorità a cui proporre ricorso poteva giustificare la condanna alle spese del Comune di Roma, atteso che tale errore, che, peraltro, per giurisprudenza costante, non incide sulla legittimità dell’atto, non costituiva di certo un comportamento processuale contrario al dovere di lealtà e probità, potendo, al massimo, giustificare una compensazione delle spese di giudizio.
Alla luce delle suesposte considerazioni l’appello va accolto, e, per l’effetto, la sentenza va riformata con riferimento al solo capo gravato.
Sussistono giusti motivi, in relazione alle peculiarità della presente vertenza, per disporre l’integrale compensazione fra le parti delle spese del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie, nei sensi di cui in motivazione.
Spese del doppio grado di giudizio compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 settembre 2019 con l’intervento dei magistrati:
Giuseppe Severini – Presidente
Valerio Perotti – Consigliere
Alberto Urso – Consigliere
Giuseppina Luciana Barreca – Consigliere
Elena Quadri – Consigliere, Estensore

 

 

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