Il silenzio assenso su istanza di sanatoria edilizia

Consiglio di Stato, Sentenza|9 dicembre 2020| n. 7805.

Il silenzio assenso su istanza di sanatoria edilizia si forma solo se la relativa domanda è completa e ricorrono i presupposti per accoglierla, in particolare il pagamento delle somme dovute a titolo di oblazione e di acconto sugli oneri concessori, rispetto al quale la prova deve essere data dall’interessato.

Sentenza|9 dicembre 2020| n. 7805

Data udienza 27 novembre 2020

Integrale

Tag – parola chiave: Abusi edilizi – DIA – Interventi di ristrutturazione edilizia – Difformità- Ordinanza di demolizione – Accertamento inottemperanza – Impugnazione – Inammissibilità motivi diretti contro atti presupposti – Domanda di sanatoria – Esclusa formazione silenzio assenso – Domanda incompleta – Non provato pagamento oblazione e oneri – Aumento di volumetria – Necessario permesso di costruire

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3537 del 2014, proposto dalla società Du. Si. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Pa. Po., con domicilio eletto presso lo studio del difensore in Roma, via (…);
contro
Roma Capitale, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Lu. D’O., con domicilio eletto presso la sede dell’Avvocatura capitolina, in Roma, via (…);
per l’annullamento ovvero la riforma
della sentenza TAR Lazio, sede di Roma, sez. I quater 2 ottobre 2013 n. 8539, che ha dichiarato in parte inammissibile e in parte infondato il ricorso n. 7467/2013, proposto per l’annullamento della determinazione 13 maggio 2013 n. 1140 e prot. n. 63127, notificata il giorno 21 maggio 2013, con la quale il Dirigente dell’Unità organizzativa tecnica del Municipio VIII di Roma Capitale ha ingiunto la rimozione o demolizione di ufficio degli interventi di ristrutturazione edilizia eseguiti senza titolo sul fabbricato sito a Roma, in via (omissis) in difformità dalla denuncia di inizio attività – DIA 26 giugno 2006 prot. n. 44591;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza smaltimento del giorno 27 novembre 2020 il Cons. Francesco Gambato Spisani e dato atto che l’udienza si svolge ai sensi dell’art. 4, comma 1 30 aprile 2020 n. 28 e dell’art. 25, co.2 d.l. 28 ottobre 2020 n. 137 attraverso videoconferenza con l’utilizzo di piattaforma “Microsoft Teams” come previsto della circolare n. 6305 del 13 marzo 2020 del Segretario Generale della giustizia Amministrativa.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Con ordinanza 15 gennaio 2013 n. 74, Roma Capitale, intimata appellata, ha ingiunto alla ricorrente appellante, quale proprietaria, di rimuovere o demolire gli interventi di ristrutturazione edilizia ovvero di cambio di destinazione d’uso abusivamente realizzati sull’immobile che si trova a Roma, in via (omissis), descritti nella motivazione dell’ordinanza stessa.
1.1 In particolare l’ordinanza ravvisa in primo luogo una “difformità degli elaborati grafici dalla DIA di manutenzione straordinaria prot. CH 44591 del 26 giugno 2007 rispetto alla planimetria catastale propedeutica al rilascio della concessione in sanatoria prot. n. 287984 del 5 novembre 2002, in quanto le dimensioni dei locali ex scuderie risultano di mt. 9×36 (stato dei luoghi ed elaborati della DIA) anziché di mt. 8×36 come rappresentato nella suddetta documentazione catastale, determinando una modifica della sagoma con relativo aumento di volumetria”.
1.2 L’ordinanza afferma poi che i locali interessati dagli abusi si presenterebbero ancora “allo stato grezzo” nonostante la comunicazione di fine lavori, e che la struttura complessiva, compresi i muri perimetrali, sarebbe composta da nuovi materiali, ovvero da struttura di cemento armato e muratura in laterizio.
1.3 L’ordinanza afferma infine che vi sarebbe una ulteriore difformità rispetto agli elaborati grafici di cui alla DIA citata, costituita da alcune aperture sulle pareti perimetrali divisorie, le quali rendono alcune unità immobiliari comunicanti, riducendone il numero a quattro, dalle originarie otto (per tutto ciò, doc. 3 in I grado ricorrente appellante, ordinanza citata).
2. Il ricorso presentato dalla società proprietaria contro tale ordinanza è stato dichiarato inammissibile, con sentenza TAR Lazio Roma sez. I quater 9 maggio 2013 n. 5580, che non consta impugnata.
3. Poiché l’ordinanza 74/2013 di cui sopra non è stata ottemperata, l’amministrazione ha emesso il provvedimento di cui meglio in epigrafe, 13 maggio 2013, nel quale, dato atto dell’ordinanza stessa e del verbale di inottemperanza 2 aprile 2013 prot. n. 43928, dispone la rimozione ovvero demolizione d’ufficio dei medesimi abusi.
4. La società proprietaria ha impugnato quest’ultimo provvedimento con il ricorso di I grado, fondato su quattro motivi:
– con il primo di essi, deduce violazione degli artt. 32 comma 1 del T.U. 6 giugno 2001 n. 380 e propriamente dell’art. 35 comma 13 della l. 28 febbraio 1985 n. 47. In fatto premette che l’allora proprietaria dell’immobile aveva presentato una domanda di sanatoria edilizia ai sensi della l. 47/1985, atto 10 dicembre 2004 prot. n. 186363, corredata di una nuova planimetria, descrittiva dello stato dell’immobile come modificato dagli abusi da condonare (doc. 6 in I grado ricorrente appellante). Ciò posto, sostiene che su tale domanda si sarebbe formato il silenzio assenso, in base all’art. 38 della legge citato, e che quindi l’amministrazione nell’accertare le difformità avrebbe dovuto riferirsi alla nuova planimetria di cui si è detto, e non a quella citata nell’atto impugnato;
– con il secondo motivo, deduce eccesso di potere, propriamente per falso presupposto, sostenendo che comunque le planimetrie cui l’amministrazione fa riferimento nell’accertare l’abuso sarebbero inidonee allo scopo, perché non abbastanza precise, né dettagliate;
– con il terzo motivo, deduce un’ulteriore violazione dell’art. 32 della l. 47/1985, nel senso che a suo avviso l’accorpamento di più unità immobiliari descritto nell’atto impugnato non costituirebbe un abuso passibile di demolizione, ma soltanto una parziale difformità rispetto al progetto;
– con il quarto motivo, deduce infine violazione dell’art. 31 del T.U 380/2001, nel senso che i beni oggetto di rimozione o demolizione non sarebbero identificati.
5. Con la sentenza meglio indicata in epigrafe, il TAR, dato atto dell’inoppugnabilità dell’ordinanza 74/2013 di cui si è detto, ha dichiarato il ricorso inammissibile “per quei profili di censura già dedotti” (motivazione, p. 4 quinta riga dal basso) contro di essa, ed invece infondato per gli ulteriori profili; a tale ultimo proposito, ha respinto tutti i motivi sopra dedotti, con due ordini di argomentazioni. In primo luogo, ha osservato che il silenzio assenso di cui all’art. 38 della l. 47/1985 si forma solo se consta che la domanda è completa, il che nella specie non risulta dimostrato; in secondo luogo, ha ritenuto che le opere realizzate, in quanto modifica della sagoma dell’edificio, richiedessero il permesso di costruire.
6. Contro questa sentenza, la ricorrente ha proposto impugnazione, con appello che contiene un unico motivo, di falsa applicazione dell’art. 35 l. 47/1985, e di sostanziale riproposizione dei primi tre motivi dedotti in I grado e respinti in quella sede.
7. L’amministrazione ha resistito, con atto 6 maggio 2014 e memoria 11 febbraio 2020, in cui chiede che l’appello sia dichiarato inammissibile, perché volto di fatto a contestare i contenuti dell’ordinanza 74/2013, divenuta come si è detto inoppugnabile (memoria 11 febbraio 2020, p. 6); ha poi sostenuto la correttezza della sentenza impugnata anche nella parte in cui ha respinto nel merito i motivi proposti.
8. La ricorrente appellante, con replica 20 febbraio 2020, ha contestato quanto sopra, sostenendo che in questo giudizio sarebbero stati dedotti profili di illegittimità diversi da quelli proposti nel ricorso contro l’ordinanza 74/2013; ha poi sostenuto che se il Comune avesse voluto contestare tale aspetto, avrebbe dovuto impugnare la sentenza di I grado nella parte in cui respinge il ricorso anche nel merito, allo scopo di ottenere una pronuncia di totale inammissibilità .
9. All’udienza del 27 novembre 2020, fissata su rinvio della precedente del giorno 13 marzo 2020, la Sezione ha quindi trattenuto il ricorso in decisione.
10. L’appello è infondato e va respinto, e ne consegue la dichiarazione di inammissibilità del ricorso di I grado, il tutto come da dispositivo.
11. I motivi di appello proposti sono tutti infondati nel merito, per le stesse ragioni evidenziate dal Giudice di I grado.
11.1 Il primo motivo, centrato sulla presunta formazione del silenzio assenso su una domanda di sanatoria, è infondato, perché, come già affermato appunto dal Giudice di I grado, il silenzio in tale fattispecie si forma solo se la relativa domanda è completa e ricorrono i presupposti per accoglierla, in particolare il pagamento delle somme dovute a titolo di oblazione e di acconto sugli oneri concessori, rispetto al quale la prova deve essere data dall’interessato: così per tutte C.d.S. sez. II 27 agosto 2020 n. 5247 e sez. VI 18 settembre 2018 n. 5455, nonché sull’ultimo punto sez. VI 30 dicembre 2014 n. 6423. Nel caso di specie, la prova è mancata, quindi il silenzio assenso non si è formato.
11.2 Sono infondati anche il secondo ed il terzo motivo, perché a prescindere dalle modifiche della distribuzione interna l’abuso, così come descritto, ha comportato un aumento di volumetria dell’immobile, e quindi secondo logica una modifica della sagoma, per cui è necessario il permesso di costruire e in mancanza va disposta la demolizione: per tutte, C.d.S. sez. VI 4 ottobre 2019 n. 6720.
12. Il Collegio deve comunque rilevare, per completezza, che il ricorso di I grado si sarebbe dovuto dichiarare senz’altro inammissibile, e non respingere in parte nel merito, come fatto invece dalla sentenza di I grado. Infatti i motivi dedotti in quel grado e qui riproposti, fermo che sono infondati nel merito come si è detto, non fanno valere vizi propri dell’atto qui impugnato, che è un accertamento di inottemperanza, e come tali si sarebbero dovuti far valere contro l’originaria ordinanza di demolizione; di conseguenza, si sarebbero dovuti dichiarare senz’altro inammissibili.
13. Per pronunciare questa dichiarazione, contrariamente a quanto afferma la difesa della ricorrente appellante, non era e non è necessaria alcuna impugnazione da parte del Comune intimato, in quanto le cause di inammissibilità – escluso il difetto di giurisdizione, disciplinato dalla norma speciale dell’art. 9 c.p.a.- sono rilevabili anche d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento: così per tutte C.d.S. sez. II 12 giugno 2020 n. 3746 e 7 novembre 2017 n. 5138.
14. La particolarità della controversia è giusto motivo per compensare le spese.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta definitivamente pronunciando sull’appello come in epigrafe proposto (ricorso n. 3537/2014), lo respinge.
Spese dell’intero giudizio compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 novembre 2020 con l’intervento dei magistrati:
Sergio Santoro – Presidente
Oreste Mario Caputo – Consigliere
Francesco Gambato Spisani – Consigliere, Estensore
Giovanni Sabbato – Consigliere
Davide Ponte – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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