L’inizio dei lavori idoneo ad impedire la decadenza del titolo edilizio

Consiglio di Stato, Sentenza|9 dicembre 2020| n. 7827.

L’inizio dei lavori idoneo ad impedire la decadenza del titolo edilizio non può ritenersi sussistente con il semplice sbancamento del terreno e la predisposizione degli strumenti e materiali da costruzione ovvero l’inizio dei lavori non è configurabile per effetto della sola esecuzione dei lavori di scavo di sbancamento e senza che sia manifestamente messa a punto l’organizzazione del cantiere o sussistendo altri indizi che dimostrino il reale proposito di proseguire i lavori sino alla loro ultimazione.

Sentenza|9 dicembre 2020| n. 7827

Data udienza 27 ottobre 2020

Integrale

Tag – parola chiave: Concessione edilizia – Decadenza – Piano per gli insediamenti produttivi – Assegnazione lotto – Autorizzata realizzazione di lavori per la recinzione – Inizio lavori irrilevante – Decadenza titolo edilizio – Risoluzione di diritto convenzione

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7543 del 2011, proposto dal
signor Vi. Ma. Ab., rappresentato e difeso dall’avvocato Lu. Pa., con domicilio eletto presso lo studio Pl. in Roma, via (…);
contro
Comune di (omissis) non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Sezione Seconda n. 2476/2010, resa tra le parti, concernente decadenza della concessione edilizia
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 27 ottobre 2020 il Cons. Cecilia Altavista e udito per la parte appellante l’avvocato Lu. Pa.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

All’odierno appellante era stato assegnato un lotto (n. 65) all’interno del Piano per gli insediamenti produttivi del Comune di (omissis) con delibera della Giunta comunale n. 687 del 15 luglio 1993 e successiva stipula della convenzione di assegnazione il 30 maggio 1994.
Con provvedimento n. 66 del 1 settembre 1994 è stata autorizzata la realizzazione di lavori per la recinzione del lotto.
Con provvedimento del 12 febbraio 1998 è stata rilasciata la concessione edilizia per la realizzazione di un opificio industriale, per cui è stata richiesta una variante concessa con provvedimento del 18 maggio 2001, ritirata dall’interessato il 25 giugno 2001.
Con nota del 25 giugno 2002 il signor Ab. comunicava l’avvenuto inizio dei lavori.
Peraltro, i tecnici del Comune effettuavano un sopralluogo il 24 ottobre 2002 rilevando l’avvenuta realizzazione solo di un muretto di recinzione del lotto in calcestruzzo.
Pertanto, con provvedimento prot. 20676 del 19 novembre 2002, è stata dichiarata la decadenza della concessione del 12 febbraio 1998 e della variante del 18 maggio 2001, per mancato per inizio dei lavori nel termine annuale. A seguito di richiesta di riesame la decadenza della concessione è stata confermata con la nota del 5 dicembre 2002.
Il provvedimento di decadenza e il rigetto della richiesta di riesame sono stati impugnati davanti al Tribunale amministrativo regionale della Puglia, sede di Bari, per i seguenti motivi:
-violazione ed erronea applicazione dell’art. 4 L. 10/77 con riferimento all’art. 15 e all’art. 136 comma 2 D.P.R. 6380/01, eccesso di potere per erronea presupposizione, difetto di istruttoria e motivazione, contestando la circostanza del mancato avvio dei lavori, deducendo che il termine annuale sarebbe decorso dalla data di ritiro della concessione e che le opere realizzate avrebbero dovuto essere considerate come un inizio dei lavori, essendo stati già effettuati la previa rimozione della macerie da area di cantiere, lavori di scavo in sezione ristretta, misurazioni e tracciamento dei livelli di quota del piano campagna e tracciamento delle strutture di fondazione, come risulterebbe altresì dalla perizia tecnica depositata in giudizio;
-eccesso di potere per difetto assoluto di istruttoria e motivazione, per non aver il Comune tenuto in conto delle opere già realizzate;
-violazione dell’art. 7 della L. 241/90, per non essere stato comunicato al ricorrente l’avvio del procedimento per la declaratoria della decadenza della concessione edilizia.
I tecnici comunali effettuavano un nuovo sopralluogo il 20 febbraio 2003 rilevando nuovamente l’avvenuta realizzazione del solo muro di recinzione del lotto in calcestruzzo.
Con ordinanza n. 191 del 27 febbraio 2003 il Tribunale amministrativo ha respinto la domanda cautelare di sospensione del provvedimento impugnato.
Con provvedimento della Giunta comunale del 24 settembre 2003 è stata revocata l’assegnazione del lotto.
Tale atto è stato impugnato con ricorso straordinario al Capo dello Stato, accolto con decreto del 25 giugno 2009 per la incompetenza della Giunta ad adottare il provvedimento di revoca, essendo la competenza appartenente ai dirigenti comunali.
Successivamente, il 5 gennaio 2010, è stata presentata la domanda per un nuovo permesso di costruire, dichiarata improponibile con provvedimento prot. n. 272 del 7 gennaio 2010, in quanto la decadenza dal permesso di costruire aveva comportato la risoluzione della convenzione di assegnazione, con conseguente perdita della disponibilità del lotto.
Avverso tale provvedimento sono stati proposti motivi aggiunti di violazione dell’art. 11 Preleggi, violazione ed erronea applicazione dell’art. 4 L. 10/77 nonché dell’art. 31 L. 1150/42 in relazione agli artt. 15 e 136 comma 2 D.P.R. 380/01, eccesso di potere per erronea presupposizione, difetto di istruttoria e di motivazione, contestando il presupposto della avvenuta decadenza della concessione edilizia, in quanto se ne era dedotta la illegittimità con il ricorso introduttivo del giudizio; è stato poi dedotto che, alla data di rilascio del titolo il 18 maggio 2001, si sarebbe dovuta applicare la disciplina previgente all’art 15 del D.P.R. 380 del 2001, ovvero l’art. 31 L. 1150/42, che avrebbe fatto riferimento alla effettiva conoscenza del titolo per la decorrenza del termine annuale per l’inizio dei lavori e quindi, alla data del 25 giugno 2001, in cui la concessione in variante era stata ritirata.
Con provvedimento del Dirigente del Servizio attività produttive del Comune n. 111 del 23 febbraio 2010 è stata nuovamente revocata l’assegnazione del lotto n. 65 del P.I.P. del 30 maggio 1994.
Avverso tale atto è stato presentato un ulteriore atto di motivi aggiunti per la violazione dell’art. 21 quinquies e nonies della legge 7 agosto 1990 n. 241 e dei principi generali in materia di autotutela amministrativa, censurando il difetto di motivazione del provvedimento, in relazione al trascorrere del tempo dal momento dell’assegnazione del lotto; si è dedotta, poi, la violazione dell’art. 8 della convenzione che aveva previsto la procedura arbitrale per la risoluzione della cessione.
Il giudice di primo grado ha respinto tutte le censure ritenendo provato il mancato inizio dei lavori; ha, pertanto, respinto i primi motivi aggiunti sulla base della legittimità del provvedimento di decadenza della concessione; ha respinto, altresì, i motivi aggiunti avverso l’atto di revoca della concessione basato sulla decadenza della concessione, trattandosi dell’esercizio di un potere derivante dal contratto, non inquadrabile quindi nell’autotutela.
Con l’atto di appello sono state sostanzialmente riproposte le censure del ricorso e dei motivi aggiunti proposti in primo grado, lamentando la erroneità della argomentazioni del giudice di primo grado, in particolare contestando la circostanza di fatto del mancato inizio dei lavori.
Il Comune di (omissis) non si è costituito in giudizio.
Per la udienza pubblica la difesa appellante ha presentato memoria insistendo nelle proprie argomentazioni difensive.
All’udienza pubblica del 27 ottobre 2020 l’appello è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

L’appello è infondato.
Con riferimento al ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, si deve ritenere la legittimità del provvedimento di decadenza e la infondatezza delle censure, risultando agli atti del giudizio il mancato avvio dei lavori accertato nel sopralluogo del 24 ottobre 2002 e confermato anche nel successivo sopralluogo del 20 febbraio 2003. Nel corso di tali sopralluoghi è stata accertata solo la avvenuta realizzazione di un muretto di recinzione.
Tale circostanza è confermata dalla stessa difesa appellante che, nel giudizio di primo grado, aveva depositato una perizia tecnica, datata 16 gennaio 2002, con allegate fotografie, da cui risulta il medesimo stato dei luoghi accertato dai tecnici comunali; nella perizia si dichiara che erano state realizzate opere di “approntamento del cantiere mediante pulizia dalle macerie ivi depositate abusivamente”; “realizzazione della recinzione del lotto mediante parete in cemento armato”; “opere di scavo in sezione ristretta”; “misurazione e tracciamento dei livelli di quota del piano campagna”; “tracciamento delle strutture di fondazione”.
La perizia tecnica, quindi, sostanzialmente conferma la situazione dei luoghi oggetto dell’accertamento dei tecnici comunali, in quanto le opere che si afferma siano state realizzate non possono che essere considerate attività come meramente preparatorie all’avvio dei lavori e non denotano alcuna concreta realizzazione del manufatto.
Se, quindi, anche nel gennaio 2002, erano state eseguite solo tali attività propedeutiche all’apertura del cantiere, deve escludersi che, alla data del 25 giugno 2002, potesse ritenersi rispettato il termine di un anno dall’avvio dei lavori.
La giurisprudenza consolidata di questo Consiglio, da cui il Collegio non ritiene di discostarsi, ritiene che l’inizio dei lavori sia idoneo ad impedire la decadenza del permesso di costruire quando le opere intraprese siano tali da evidenziare l’effettiva volontà di realizzare il manufatto (Consiglio di Stato IV, 18 maggio 2012 n. 2915; id., sez. IV, 15 aprile 2013, n. 2027).
L’effettivo inizio dei lavori deve essere valutato non in via generale ed astratta, ma con specifico e puntuale riferimento all’entità ed alle dimensioni dell’intervento edilizio così come programmato e autorizzato, e ciò al ben evidente scopo di evitare che il termine per l’avvio dell’edificazione possa essere eluso con ricorso a lavori fittizi e simbolici, e quindi non oggettivamente significativi di un effettivo intendimento del titolare della concessione stessa di procedere alla costruzione. Pertanto, l’inizio dei lavori idoneo ad impedire la decadenza del titolo edilizio non può ritenersi sussistente con il semplice sbancamento del terreno e la predisposizione degli strumenti e materiali da costruzione ovvero l’inizio dei lavori non è configurabile per effetto della sola esecuzione dei lavori di scavo di sbancamento e senza che sia manifestamente messa a punto l’organizzazione del cantiere o sussistendo altri indizi che dimostrino il reale proposito di proseguire i lavori sino alla loro ultimazione; con la conseguenza che la declaratoria di decadenza del titolo edilizio per mancato inizio dei lavori entro il termine fissato è illegittima solo se siano stati eseguiti lo scavo ed il riempimento in conglomerato cementizio delle fondazioni perimetrali fino alla quota del piano di campagna entro il termine di legge o se lo sbancamento realizzato si estenda in un’area di vaste dimensioni (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV 30 settembre 2013 n. 4855; Sez. V, 15 luglio 2013 n. 3823).
L’inizio dei lavori previsto dall’art. 15 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, e dall’art. 31 della legge 17 agosto 1942 n. 1150 fanno riferimento a concreti lavori edilizi, ovvero i lavori devono ritenersi iniziati quando consistano nel concentramento di mezzi e di uomini, cioè nell’impianto del cantiere, nell’innalzamento di elementi portanti, nell’elevazione di muri e nella esecuzione di scavi coordinati al gettito delle fondazioni del costruendo edificio (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV 6 agosto 2014 n. 4201, per cui rilevano la posa di elementi portanti, la costruzione di muri e gli scavi per le fondazioni).
Applicando tali principi giurisprudenziali al caso di specie deve ritenersi legittimo il provvedimento di decadenza, sulla base dello stato dei luoghi esistente anche successivamente alla scadenza del termine di un anno dall’inizio dei lavori, che configurava ampiamente il presupposto del mancato inizio dei lavori per la pronuncia di decadenza della concessione.
Inoltre, rispetto alla situazione accertata nell’ottobre 2002 è del tutto irrilevante che il termine di decorrenza dell’anno per l’inizio dei lavori si individuasse al 18 giugno 2001 o al 25 giugno 2001, data di ritiro della concessione, in quanto anche nel termine di un anno dal 25 giugno 2001 (e neppure successivamente fino al gennaio e al febbraio 2003) i lavori non potevano dirsi concretamente iniziati, secondo i principi giurisprudenziali sopra richiamati.
Con ulteriore motivo si lamenta la mancata comunicazione dell’avvio del procedimento di decadenza della concessione edilizia e della relativa variante.
Sul punto è sufficiente richiamare il consolidato orientamento giurisprudenziale, da cui il Collegio non intende discostarsi nel caso di specie, per cui il provvedimento di decadenza è un provvedimento a contenuto vincolato, di carattere ricognitivo di un effetto decadenziale, che si produce automaticamente in relazione al mero decorso del tempo (Consiglio di Stato sez. IV, 20 dicembre 2013, n. 6151; id., 18 maggio 2012, n. 2915), che non necessita di una previa comunicazione di avvio del procedimento (Consiglio di stato, sez. IV, 6 agosto 2014 n. 4201).
Inoltre, trattandosi di attività vincolata è comunque applicabile il dettato dell’art. 21- octies della legge 241 del 1990 per cui “non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato” (Consiglio di Stato, Sez. IV, 30 settembre 2013, n. 4855).
La reiezione dei motivi di ricorso di primo grado comporta la infondatezza, altresì, dei motivi aggiunti con cui è stato impugnato il provvedimento prot. n. 272 del 7 gennaio 2010 – con cui è stata dichiarata improponibile la domanda per un nuovo permesso di costruire, sulla base della intervenuta risoluzione della convenzione a seguito della decadenza della concessione-, in quanto l’appellante ha contestato tale provvedimento solo in relazione alla illegittimità della decadenza.
Quanto all’ulteriore censura proposta con i motivi aggiunti relativi alla decorrenza del termine annuale dal 25 giugno 2001, si tratta, come sopra già evidenziato, di circostanza del tutto irrilevante rispetto alla presente vicenda, essendo stato il provvedimento di decadenza adottato ben oltre il termine annuale dall’inizio dei lavori.
Con il secondo atto di motivi aggiunti è stato impugnato il provvedimento del 23 febbraio 2010, di revoca dell’assegnazione del lotto, adottato dal Dirigente del Servizio attività produttive del Comune di (omissis), a seguito dell’annullamento, con decreto del Presidente della Repubblica del 25 giugno 2009, del precedente provvedimento – emanato dalla Giunta comunale il 24 settembre 2003 – per la incompetenza della Giunta ad adottare il provvedimento di revoca.
Avverso tale atto l’appellante ha riproposto le censure dei motivi aggiunti in primo grado, relative alla violazione degli articoli 21 quinquies e nonies della legge n. 241 del 1990, in quanto il Comune non avrebbe operato alcuna valutazione dell’interesse pubblico attuale al provvedimento di autotutela; inoltre l’annullamento d’ufficio sarebbe stato disposto dopo un lungo lasso temporale dall’assegnazione, in violazione del limite del “termine ragionevole” di cui all’art. 21 nonies.
Il Collegio non condivide la ricostruzione della difesa appellante per cui la revoca dell’assegnazione dovrebbe essere configurata come un provvedimento di autotutela.
Come correttamente rilevato dal giudice di primo grado, si tratta di un atto di natura negoziale, in quanto deve essere considerato un atto adottato in esecuzione delle previsioni della convenzione.
Infatti, gli articoli 4 e 6 della Convenzione, citati dalla stessa difesa appellante, prevedevano espressamente la risoluzione della convenzione in caso di mancato rispetto dei termini inizio e fine lavori indicati nella concessione.
Pertanto, al di là del riferimento nominalistico alla “revoca”, si tratta dell’esercizio di un potere negoziale attribuito dalla convenzione, in particolare quello di avvalersi di una ipotesi di risoluzione di diritto, dovendo ritenersi apposta alla convenzione una clausola risolutiva espressa (cfr. Cons. Stato Sez. VI, 9 settembre 2008, n. 4303, n. 4304, che hanno qualificato come clausola risolutiva espressa una clausola apposta ad un accordo di programma sui termini di inizio dei lavori, “pena l’effetto risolutivo dell’accordo stesso”).
Ne deriva che il Comune non avesse alcun obbligo di motivazione, se non la indicazione dei presupposti di fatto- verificatisi con la decadenza della concessione edilizia- per dar corso alla risoluzione.
Sotto il profilo dell’inquadramento del potere esercitato, non ha alcuna rilevanza la decisione del ricorso straordinario, che ha affermato solo la incompetenza della Giunta comunale, essendo competente il Dirigente, in relazione alla generale competenza di carattere gestionale dei dirigenti, in base al d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, Testo Unico degli Enti locali.
Da tale decisione non discende quindi alcun accertamento in ordine alla natura pubblicistica dell’atto.
Quanto al decorso del tempo dalla data di decadenza della concessione, si deve rilevare che la revoca era stata già disposta con l’atto del 24 settembre 2003, oggetto del ricorso straordinario deciso con il decreto del 25 giugno 2009.
La successiva determina dirigenziale del 23 febbraio 2010 deve, quindi, ritenersi tempestiva, trattandosi della rinnovazione dell’atto da parte dell’organo competente a seguito dell’annullamento con il decreto presidenziale del 25 giugno 2009; con ciò escludendo anche una eventuale violazione degli obblighi di buona fede di natura privatistica, peraltro neppure dedotti nel caso di specie.
L’attribuzione di un potere di risoluzione di diritto tramite la clausola risolutiva espressa prevista nella convenzione comporta la infondatezza altresì dell’ulteriore motivo di censura relativo alla previsione della clausola arbitrale nella detta convenzione.
Infatti – in disparte ogni valutazione sulla legittimità di detta clausola nella concessione di assegnazione del lotto- la clausola compromissoria apposta alla convenzione non può che riferirsi alla risoluzione per inadempimento, come emerge dal tenore letterale della clausola e dal richiamo alla previa diffida ad adempiere, con la conseguenza che per la ipotesi di risoluzione di diritto non può considerarsi prevista dalla convenzione alcuna competenza arbitrale.
Poiché la clausola compromissoria prevede una eccezione alla ordinaria competenza giurisdizionale, non può che essere interpretata restrittivamente, dovendo dunque essere riferita solo ad una eventuale domanda di risoluzione per inadempimento.
Per giurisprudenza costante, le due azioni sono considerate radicalmente differenti sia quanto al petitum che alla causa petendi, riguardando diversi fatti costitutivi (Cass. civ. Sez. III, 15 marzo 2018, n. 6386; 9 giugno 2015, n. 11864). Inoltre, nel caso della azione di adempimento o di risoluzione viene pronunciata una sentenza costitutiva, mentre nelle ipotesi di risoluzione di diritto la risoluzione opera ex lege e la eventuale sentenza ha effetto solo dichiarativo (cfr Cass. civ. Sez. II, 16 novembre 2018, n. 29654), in quanto la risoluzione si determina mediante la semplice dichiarazione del creditore (Cass. civ. Sez. III, 15 marzo 2018, n. 6386).
Pertanto, trattandosi dell’esercizio di un potere di risoluzione di diritto attribuito dalla clausola risolutiva espressa, nel caso di specie, l’effetto risolutivo si era già verificato al momento in cui il Comune ha dichiarato di volersi avvalere della clausola con il primo provvedimento di “revoca” dell’assegnazione del 24 settembre 2003, poi annullato con il D.P.R. del 25 giugno 2009, e successivamente con il provvedimento prot. n. 272 del 7 gennaio 2010 di improponibilità della domanda di un nuovo permesso di costruire, essendo stata già in tale momento espressa la volontà comunale di avvalersi della clausola risolutiva espressa; infine con il provvedimento del 23 febbraio 2010, con cui è stata nuovamente revocata l’assegnazione.
In ogni caso, anche a ritenere operante, anche per la ipotesi di risoluzione di diritto, la clausola compromissoria con competenza degli arbitri, era se mai l’odierno appellante a dover ricorrere alla procedura arbitrale per contestare i presupposti della risoluzione di diritto, ma non certo il Comune a dovere azionare la procedura arbitrale, non avendo alcuna necessità di una pronuncia giudiziaria di risoluzione della convenzione.
Peraltro, correttamente il giudice di primo grado ha anche rilevato che la convenzione contenente la clausola compromissoria avrebbe dovuto essere depositata in giudizio, conformemente ai principi generali dell’onere della prova, per cui chi eccepisce i fatti estintivi o modificativi di un diritto deve provare i fatti su cui l’eccezione si fonda (art. 2697 comma 2 c.c.), in quanto la eccezione di compromesso è per giurisprudenza consolidata una eccezione di merito in senso stretto (cfr. per tutte di recente Cass. civ. Sez. I, Ord. 22 settembre 2020, n. 19823).
In conclusione l’appello è infondato e deve essere respinto.
In considerazione della mancata costituzione del Comune appellato non si procede alla liquidazione delle spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Nulla spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 ottobre 2020 con l’intervento dei magistrati:
Giulio Castriota Scanderbeg – Presidente
Francesco Frigida – Consigliere
Cecilia Altavista – Consigliere, Estensore
Francesco Guarracino – Consigliere
Roberto Politi – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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