Il rimedio della revocazione ha natura straordinaria

Consiglio di Stato, Sezione quinta, Sentenza|30 marzo 2020| n. 2165.

La massima estrapolata:

Il rimedio della revocazione ha natura straordinaria e l’errore di fatto idoneo a fondare la domanda di revocazione, ai sensi del combinato disposto degli articoli 106 Cod. proc. amm. e 395, n. 4 Cod. proc. civ., deve rispondere a tre requisiti: a) derivare da una pura e semplice errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, la quale abbia indotto l’organo giudicante a decidere sulla base di un falso presupposto fattuale, ritenendo così un fatto documentale escluso, ovvero inesistente un fatto documentale provato; b) attenere ad un punto non controverso e sul quale la decisione non abbia espressamente motivato; c) essere stato un elemento decisivo della decisione da revocare, necessitando perciò un rapporto di causalità tra l’erronea presupposizione e la pronuncia stessa. Inoltre l’errore revocatorio deve emergere con immediatezza ed essere di semplice rilevabilità, senza necessità di argomentazioni induttive o indagini ermeneutiche.

Sentenza|30 marzo 2020| n. 2165

Data udienza 5 marzo 2020

Tag – parola chiave: Processo amministrativo – Ricorso per revocazione – Natura straordinaria – Errore di fatto rilevante – Caratteristiche – Individuazione – Articoli 106 Cod. proc. amm. e 395, n. 4 Cod. proc. civ. – Applicazione

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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quinta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso per revocazione iscritto al numero di registro generale 7864 del 2018, proposto da
Q.tH. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Al. Bi., Gi. Ca. ed An. Fa., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Ma. Se. in Roma, via (…);
contro
Associazione Italiana per il Wo. Wi. Fu. for Na. onlus ed Associazione It. No., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentate e difese dagli avvocati Si. No., Cl. Ta., Li. Be. e Ma. Ro., con domicilio o eletto presso lo studio del primo in Roma, corso (…);
Associazione Fo. Am., rappresentata e difesa dall’avvocato Cl. Ta., con domicilio digitale come da Pec Registri di giustizia;
Città Metropolitana di Firenze, rappresentata e difesa dall’avvocato St. Gu., con domicilio digitale come da Pec Registri di giustizia;
Ministero della difesa, Ministero dell’interno e Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, in persona dei rispettivi Ministri pro tempore, rappresentati e difesi ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via (…), sono elettivamente domiciliati;
Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Fr. Zu. e Ch. Do., con domicilio digitale come da Pec Registri di giustizia;
Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Ag. Za. Qu., con domicilio digitale come da Pec Registri di giustizia;
per la revocazione
della sentenza del Consiglio di Stato – Sez. V n. 03109/2018, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello ed i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dei Ministeri della difesa, dell’interno e dei beni e delle attività culturali e del turismo, nonché dell’Associazione Italiana per il Wo. Wi. Fu. for Na. onlus, dell’Associazione Am. Fo., della Città Metropolitana di Firenze, del Comune di (omissis) e del Comune di (omissis);
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 5 marzo 2020 il Cons. Valerio Perotti ed udito per le parti l’avvocato dello Stato Pa.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Risulta dagli atti che con deliberazione consiliare n. 22 dell’11 febbraio 2002 la Provincia di Firenze approvava il Piano Provinciale dei rifiuti urbani e assimilati per l’ATO 6, subordinando la realizzazione del termovalorizzatore (e di altri aspetti del piano) agli esiti di approfondimenti appositamente disposti.
Era infatti accaduto che nel corso del procedimento si erano manifestate significative opposizioni alla realizzazione dell’impianto e la Provincia di Firenze aveva pertanto disposto l’effettuazione di una “Valutazione di impatto sanitario” (nel prosieguo “VIS”) circa le condizioni ambientali ed epidemiologiche dell’area interessata, per valutarne l’impatto e l’ulteriore carico aggiuntivo rispetto alle sorgenti inquinanti già esistenti.
L’indagine veniva espletata utilizzando una metodologia basata sulla comparazione tra più ipotesi dall’Agenzia regionale di sanità, dall’Università di Firenze, dal CNR di Pisa e dall’ARPAT, che si articolava in tre fasi di cui una preliminare di screening e si concludeva (nell’anno 2005) con una apposita relazione.
Dopo l’approvazione del Piano provinciale, la Comunità d’ambito ATO 6 adottava ed approvava, con le delibere n. 10 del 2003 e n. 1 del 2004, anche il Piano industriale, nel quale veniva confermata la realizzazione del nuovo impianto.
Sulla base delle conclusioni della VIS e della valutazione comparativa tra i siti ivi contenuta, con la delibera consiliare n. 133 del 28 luglio 2006 la Provincia di Firenze modificava il Piano provinciale di gestione dei rifiuti, adottando la variante di spostamento dell’inceneritore da (omissis) a (omissis).
Anche l’ATO 6 con deliberazione n. 4 del 18 luglio 2007 procedeva alle necessarie modifiche e agli aggiornamenti del Piano industriale. In effetti l’indagine della VIS ai fini della individuazione del miglior sito possibile per la localizzazione dell’impianto di termovalorizzazione si era estesa anche ad altri siti, considerati dalla pianificazione equivalenti, (omissis), (omissis) e (omissis) e, stante la criticità della zona di (omissis) (dove la popolazione era già particolarmente esposta ed a più elevato rischio di patologie respiratorie, connesso a fenomeni inquinanti), era stata ritenuta preferibile l’ubicazione dell’impianto in località (omissis) (caratterizzata da migliori condizioni demografiche, correlate al minor numero della popolazione residente, sanitarie ed ambientali), previa raccomandazione di interventi di miglioramento e di compensazione ambientale.
Tale localizzazione veniva confermata dal “Piano Straordinario per i primi affidamenti del servizio” di ATO Toscana Centro, previsto dall’art. 27 della l.r. n. 61 del 2007; le Province di Firenze, Prato e Pistoia approvavano il Piano Interprovinciale (con d.G.R.T. n. 485 del 25 giugno 2013) ed ancora l’ATO Toscana Centro, con la delibera assembleare n. 2 del 7 febbraio 2014, approvava il Piano d’ambito, conseguente al Piano interprovinciale, per la gestione dei servizi e degli impianti relativi ai rifiuti urbani per gli anni 2014-2021.
Con d.P.C.M. del 10 agosto 2016 il termovalorizzatore di (omissis) veniva inoltre annoverato tra le infrastrutture e gli insediamenti strategici di preminente interesse nazionale.
A tal punto l’Associazione Italiana per il Wo. Wi. Fu. for Na. onlus (di seguito “WW.”), con alcun ricorsi straordinari al Capo dello Stato poi trasposti in sede giurisdizionale al Tribunale amministrativo regionale della Toscana, chiedeva l’annullamento dei seguenti atti (tra quelli sopra indicati): la deliberazione del Consiglio Provinciale di Firenze 22 dell’11 febbraio 2002 (ricorso n. r.g. 24/2003); la delibera dell’ATO 6 n. 1 del 2004 (ricorso n. r.g. 619/2005); la deliberazione della Provincia di Firenze n. 133 del 2006 (motivi aggiunti al ricorso n. r.g. 24/2003); la deliberazione dell’Assemblea Consortile dell’ATO 6 n. 4 del 2007 (ricorso n. r.g. 770/2008); le deliberazioni degli ATO 5, 6 e 10 (Ambiti dell’area provinciale di Firenze, Prato e Pistoia) di approvazione del Piano straordinario ex art. 27 l.r. 61 del 2007 (ricorso n. r.g. 2194/2008).
Il Tribunale adito, sez. II, con la sentenza n. 1177 del 3 luglio 2009, riuniti i ricorsi, in parte li dichiarava inammissibili per tardività, in parte li respingeva, ritenendoli infondati nel merito.
Nel frattempo, in attuazione delle previsioni recate dai ricordati atti di pianificazione, nel 2009 la Qu. s.p.a., gestore del servizio integrato di raccolta dei rifiuti, cui era stato affidato il compito di realizzare il termovalorizzatore, indiceva una gara a doppio oggetto per la scelta del socio privato di minoranza con cui costituire una Ne. alla quale affidare la progettazione, realizzazione e gestione del termovalorizzatore di (omissis): detta gara, giusta deliberazione dell’ATO Toscana Centro del data 28 novembre 2011, veniva definitivamente aggiudicata all’Ati tra He. s.p.a. ed He. che costituivano la società Sv. Am. To. per la sottoscrizione di una quota di capitale della Ne. con Qu., ossia Q.tH. s.r.l.
Poiché il progetto per la realizzazione dell’impianto era subordinato alla pronuncia di compatibilità ambientale, ai sensi dell’art. 52 della l.r. n. 10 del 2010 e dell’art. 23 del d.lgs. n. 152 del 2006, nonché all’autorizzazione integrata ambientale (AIA), ai sensi dell’art. 29-ter del d.lgs. n. 152 del 2006 e all’autorizzazione unica (AU) per la realizzazione e l’esercizio di un impianto di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, veniva avviato il relativo procedimento in conferenza dei servizi che, nella riunione dell’8 aprile 2014, esprimeva parere favorevole di compatibilità ambientale, ai sensi dell’art. 52 della l.r. n. 10 del 2010, del progetto definitivo presentato da Q.tH. per la realizzazione del nuovo impianto di smaltimento e recupero di rifiuti non pericolosi in Comune di (omissis), località (omissis), nonché sulla valutazione di incidenza ai sensi della legge regionale 56 del 2000 e del d.P.R. 357 del 1997, imponendo una serie di prescrizioni: a tanto faceva seguito la deliberazione di Giunta provinciale n. 62 del 17 aprile 2014.
La Conferenza dei servizi si riuniva nuovamente per il procedimento unificato ex art. 12 e 13 l.r. n. 39 del 2005 e il 6 agosto 2015 esprimeva in via definitiva parere favorevole al rilascio dell’Autorizzazione Unica ex artt. 12 e 13 l.r. n. 39 del 2005 e dell’AIA ai sensi degli artt. 29-quater e 29-sexies del d.lgs. 152 del 2006, con l’effetto di variante agli strumenti urbanistici comunali ai sensi del d.lgs. n. 387 del 2003 e del d.lgs. 152 del 2006.
Seguivano l’atto dirigenziale della Città metropolitana di Firenze n. 4688 del 23 novembre 2015, che rilasciava a Q.tH. s.r.l. l’Autorizzazione unica, ai sensi dell’art. 12 del d.lgs. 29 dicembre 2003 n. 387 e della l.r. 24 febbraio 2005, n. 39, nonché l’Autorizzazione unica ambientale di cui all’art. 29-sexies del d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152 per la realizzazione e gestione del nuovo impianto, nonché il permesso di costruire e autorizzazione paesaggistica, avente effetto di variante agli strumenti urbanistici comunali e di dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità e urgenza.
Con deliberazione 23 dicembre 2015, n. 112, il Consiglio metropolitano di Firenze approvava la Convenzione finalizzata al monitoraggio epidemiologico-sanitario nelle aree di ricaduta delle emissioni dell’inceneritore.
Con ricorso al Tribunale amministrativo della Toscana, iscritto al n. r.g. 1310 del 2014 ed integrato da motivi aggiunti, il WW., l’Associazione It. No. e l’Associazione Fo. Am. chiedevano l’annullamento della delibera della Giunta provinciale di Firenze 17 aprile 2014, n. 62, unitamente ai verbali della conferenza dei servizi del 3 settembre 2013, 28 febbraio 2014 ed 8 aprile 2014 ed ai relativi pareri presupposti, ivi compresa la delibera dell’ATO Toscana Centro n. 18 del 28 novembre 2011.
A sua volta, con ricorso iscritto al n. r.g. 143 del 2016, integrato da motivi aggiunti, il WW., l’Associazione It. No. e l’Associazione Fo. Am. chiedevano al Tribunale amministrativo della Toscana l’annullamento della determinazione dirigenziale della Città metropolitana di Firenze n. 4688 del 23 novembre 2015 e di tutti gli atti presupposti, unitamente ai pareri favorevoli espressi dai soggetti coinvolti nel procedimento.
Con ricorso iscritto al n. r.g. 180 del 2016 anche il Comune di (omissis) chiedeva al Tribunale amministrativo della Toscana l’annullamento dell’atto dirigenziale della Città metropolitana di Firenze n. 4688 del 23 novembre 2015, del verbale della Conferenza dei servizi del 6 agosto 2015 e di tutti gli atti presupposti.
Con sentenza n. 1602 del 2016 il giudice adito, riuniti i ricorsi, dichiarava in parte inammissibile per difetto di legittimazione e carenza di interesse ed in parte respingeva il ricorso n. r.g. 1310 del 2014 proposto dalle associazioni ambientaliste; parzialmente accoglieva i ricorsi n. r.g. 143 del 2016 e n. r.g. 180 del 2016, proposti dalle medesime associazioni e dal Comune di (omissis), per l’effetto annullando il provvedimento del Responsabile della qualità ambientale della Città metropolitana di Firenze del 23 novembre 2015, n. 4688, avente ad oggetto il rilascio dell’Autorizzazione unica per la realizzazione e la messa in esercizio del termovalorizzatore in località (omissis).
Avverso tale decisione interponeva appello l’ATO Toscana Centro, deducendone l’erroneità alla luce delle norme di legge vigenti.
Resistevano al gravame la Città Metropolitana di Firenze e la società Q.tH., altresì spiegando appello incidentale.
Q.tThermo s.r.l., in particolare, censurava la parte di sentenza che – relativamente al ricorso n. r.g. 180 del 2016 – aveva respinto le eccezioni preliminari in rito sollevate in primo grado ed accolto il terzo ed il quarto motivo di impugnazione, deducendo:
1) Violazione e falsa applicazione degli artt. 35 e 40, D. lgs. 104/2010. Dell’art. 100 c.p.c. – Errata motivazione illogicità manifesta e contraddittorietà ;
2) Violazione e falsa applicazione dell’art. 12, d.lgs. 387/2003, dell’art. 13, L.R. 39/2005 e dell’art. 29 sexies d.lgs. 152/2006, nonché dell’art. 8, comma 4, l.r. 39/2005 e dell’art. 41, l.r. 65/2014. Violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 117 della Costituzione. Illogicità e contraddittorietà della motivazione. Travisamento dei presupposti di fatto e di diritto. Ingiustizia manifesta.
3) Violazione e falsa applicazione degli artt. 35 e 40, d.lgs. 104/2010 e dell’art. 100 c.p.c. – Omessa motivazione, illogicità manifesta e contraddittorietà ;
4) Violazione e falsa applicazione dell’art. 26, comma 2, l.r. 39/2005. Violazione del principio di legalità e tassatività degli atti amministrativi, violazione dell’art. 97 Cost. e dell’art. 1, comma 1 bis, l. n. 241/90. Errata o omessa motivazione. Illogicità e contraddittorietà della motivazione. Travisamento dei presupposti di fatto e di diritto. Ingiustizia manifesta.
Altresì spiegavano appello incidentale le Associazioni WW., It. No. e Fo. Am..
Successivamente si costituivano in giudizio i Comuni di (omissis) e di (omissis).
Con sentenza 24 maggio 2018, n. 3109, la V Sezione del Consiglio di Stato respingeva l’appello principale e quelli incidentali, confermando la sentenza di primo grado.
Avverso tale decisione la società Q.tH. s.r.l. proponeva ricorso per revocazione, deducendo i seguenti motivi di impugnazione:
1) Errore di fatto revocatorio ex artt. 106 c.p.a. e 395, comma 1, n. 4 c.p.c. in reazione alla ricollocazione dei c.d. (omissis).
2) Ulteriore e conseguenziale profilo di errore revocatorio ex artt. 106 c.p.a. e 395, comma 1 n. 4 c.p.c. in relazione alle prescrizioni da inserire necessariamente nell’AU.
Si costituiva in giudizio la Città metropolitana di Firenze, chiedendo l’accoglimento del ricorso per revocazione.
Anche il Comune di (omissis) si costituiva, deducendo invece l’inammissibilità del ricorso per difetto dei presupposti della revocazione. Analogamente concludevano il Comune di (omissis) e l’Associazione Fo. Am., successivamente costituitesi.
Infine, pure il WW. e l’Associazione It. No. concludevano per l’inammissibilità del gravame, a loro volta tuzioristicamente proponendo ricorso per revocazione incidentale.
Successivamente le parti ulteriormente ribadivano, con apposite memorie, le proprie rispettive tesi difensive ed all’udienza del 5 marzo 2020, dopo la rituale discussione, la causa veniva trattenuta in decisione.
Ad un complessivo esame delle risultanze di causa, ritiene il Collegio di soprassedere dall’esame della preliminare eccezione di improcedibilità dell’appello per sopravvenuta carenza di interesse della ricorrente, avendo la stessa, nelle more, proposto domanda di ottemperanza della sentenza di primo grado (confermata in appello) innanzi al Tribunale amministrativo della Toscana, stante l’evidente inammissibilità del ricorso.
Con il primo motivo la società Q.tH. s.r.l. evidenzia come la sentenza impugnata, nell’esaminare il secondo motivo di appello dell’ATO, al punto 21.3 conferma la sentenza di primo grado nella sola parte in cui aveva ritenuto illegittimo il decreto di AU poiché privo di prescrizioni in ordine ai c.d. (omissis) (la cui piantumazione avrebbe dovuto essere prodromica alla costruzione del termovalorizzatore, secondo quanto previsto nel Protocollo di intesa del 2005 e nell’Accordo di programma del 2009).
Al successivo paragrafo 21.3.3 il giudice d’appello però precisa che “della questione dell’epoca di realizzazione delle misure ambientali in questione e della loro concreta esecuzione si può anche “prescindere”, ma quello che “non può revocarsi in dubbio” è “che l’autorizzazione impugnata non le contempla affatto, né prima né dopo la costruzione dell’impianto””.
La svista in cui sarebbe incorso il giudice d’appello emergerebbe però in modi lampante al p.to 21.3.8 della sentenza, laddove si afferma che “non può, infatti, ritenersi – e tale è il punto dirimente dell’intera questione – che tale condizione, consistente nella realizzazione delle dette misure compensative prima del progettato intervento, sia soddisfatta dalla – peraltro, allo stato, solo eventuale – realizzazione di dette misure di mitigazione e riqualificazione ambientale da parte del concessionario aeroportuale”.
Rileva al riguardo la società ricorrente che tra i documenti prodotti in giudizio vi era (“e lo stesso Consiglio di Stato ne dà atto”) “il parere del Ministero dell’ambiente sul Master Plan dell’aeroporto, dove si evidenziava che la c.d. “alternativa 3″, cioè il progetto del nuovo aeroporto superava definitivamente l’originaria previsione dei (omissis) prevista nell’ambito del progetto di realizzazione del termovalorizzatore”; per l’effetto, secondo Q.tH. s.r.l., “così argomentando il Giudice di Appello ha dimostrato di aver visionato la documentazione acquisita al giudizio, che attesta il definitivo superamento del Protocollo di intesa e dall’Accordo di programma rispetto al tema dei c.d. (omissis), prevedendo la realizzazione degli interventi di rimboschimento di cui si tratta nel Master Plan dell’aeroporto.
Sennonché, codesto Ecc.mo Consiglio di Stato, per confermare la sentenza di primo grado, ha disatteso le risultanze del nuovo Master Plan e della nuova collocazione dei (omissis) ed ha argomentato come se esse non esistessero”.
In estrema sintesi, deduce l’appellante, “Il tenore letterale dei passaggi […] dimostra come il Giudice di Appello, pur avendo visto i documenti acquisiti al procedimento, ha poi deciso il caso, ignorando il contenuto degli atti amministrativi e, in particolare, quanto stabilito nel parere del Ministero dell’Ambiente sul Master Plan dell’Aeroporto in relazione alla ricollocazione dei c.d. (omissis)”; in pratica, il giudice d’appello si sarebbe espresso avendo a riferimento una situazione autorizzativa che non risultava dai documenti acquisiti al giudizio, per effetto di una “semplice errata percezione del contenuto materiale della documentazione acquisita al giudizio ed in specie di quanto prevedeva prima il PIT ed ora prevede il Master Plan”.
Da qui l’errore revocatorio contestato.
Il motivo non può trovare accoglimento.
Il rimedio della revocazione ha natura straordinaria e, per consolidata giurisprudenza (ex multis, Cons. Stato, V, 5 maggio 2016, n. 1824), l’errore di fatto idoneo a fondare la domanda di revocazione, ai sensi del combinato disposto degli articoli 106 Cod. proc. amm. e 395, n. 4 Cod. proc. civ., deve rispondere a tre requisiti:
a) derivare da una pura e semplice errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, la quale abbia indotto l’organo giudicante a decidere sulla base di un falso presupposto fattuale, ritenendo così un fatto documentale escluso, ovvero inesistente un fatto documentale provato;
b) attenere ad un punto non controverso e sul quale la decisione non abbia espressamente motivato;
c) essere stato un elemento decisivo della decisione da revocare, necessitando perciò un rapporto di causalità tra l’erronea presupposizione e la pronuncia stessa (cfr. Cons. Stato, IV, 14 maggio 2015, n. 2431).
Inoltre l’errore revocatorio deve emergere con immediatezza ed essere di semplice rilevabilità, senza necessità di argomentazioni induttive o indagini ermeneutiche (Cons. Stato, IV, 13 dicembre 2013, n. 6006). Esso è configurabile nell’attività preliminare del giudice, relativa alla lettura ed alla percezione degli atti acquisiti al processo quanto alla loro esistenza ed al loro significato letterale, ma non coinvolge la successiva attività d’interpretazione e di valutazione del contenuto delle domande e delle eccezioni, ai fini della formazione del convincimento.
Insomma, l’errore di fatto, eccezionalmente idoneo a fondare una domanda di revocazione, è configurabile solo riguardo all’attività ricognitiva di lettura e di percezione degli atti acquisiti al processo, quanto alla loro esistenza e al loro significato letterale, per modo che del fatto vi siano due divergenti rappresentazioni, quella emergente dalla sentenza e quella emergente dagli atti e dai documenti processuali; ma non coinvolge la successiva attività di ragionamento e apprezzamento, cioè di interpretazione e di valutazione del contenuto delle domande, delle eccezioni e del materiale probatorio, ai fini della formazione del convincimento del giudice (Cons. Stato, V, 7 aprile 2017, n. 1640).
Così, si versa nell’errore di fatto di cui all’art. 395, n. 4 Cod. proc. civ. allorché il giudice, per svista sulla percezione delle risultanze materiali del processo, sia incorso in omissione di pronunzia o abbia esteso la decisione a domande o ad eccezioni non rinvenibili negli atti del processo (Cons. Stato, III, 24 maggio 2012, n. 3053); ma se ne esula allorché si contesti l’erroneo, inesatto o incompleto apprezzamento delle risultanze processuali o di anomalia del procedimento logico di interpretazione del materiale probatorio, ovvero quando la questione controversa sia stata risolta sulla base di specifici canoni ermeneutici o di un esame critico della documentazione acquisita.
In tutti questi casi non è possibile censurare la decisione tramite il rimedio – di per sé eccezionale – della revocazione, che altrimenti verrebbe a dar vita ad un ulteriore grado del giudizio, non previsto dall’ordinamento (ex multis, Cons. Stato, IV, 8 marzo 2017, n. 1088; V, 11 dicembre 2015, n. 5657; IV, 26 agosto 2015, n. 3993; III, 8 ottobre 2012, n. 5212; IV, 28 ottobre 2013, n. 5187).
Peraltro, affinché possa ritenersi sussistente l’errore di fatto revocatorio nell’attività preliminare del giudice relativa alla lettura ed alla percezione degli atti, è necessario che “nella pronuncia impugnata si affermi espressamente che una certa domanda o eccezione o vizio – motivo non sia stato proposto o al contrario sia stato proposto” (Cons. Stato, V, 4 gennaio 2017, n. 8); inoltre, ricorre l’errore revocatorio in ipotesi di mancata pronuncia su di una censura sollevata dal ricorrente “purché risulti evidente dalla lettura della sentenza che in nessun modo il giudice ha preso in esame la censura medesima; si deve trattare, in altri termini, di una totale mancanza di esame o di valutazione del motivo e non di un difetto di motivazione della decisione, non censurabile in sede di revocazione” (Cons. Stato, VI, 22 agosto 2017, n. 4055).
Sempre in termini, Cons. Stato, V, 12 maggio 2017, n. 2229, secondo cui “L’errore revocatorio è […] configurabile in ipotesi di omessa pronuncia su una censura sollevata dal ricorrente purché risulti evidente dalla lettura della sentenza che in nessun modo il giudice ha preso in esame la censura medesima; si deve trattare, in altri termini, di una totale mancanza di esame e/o valutazione del motivo e non di un difetto di motivazione della decisione (cfr., Cons. Stato, Sez. V, 5/4/2016, n. 1331; 22/1/2015, n. 264; Sez. IV, 1/9/2015, n. 4099)”.
Va aggiunto che non sussiste errore revocatorio per il mero “fatto” che alcuni documenti o atti siano stati non esplicitamente esaminati o valorizzati in sentenza, giacché non sussiste alcun obbligo di motivare sulla corretta lettura di ciascun documento di causa, essendo sufficiente rispondere al motivo proposto, dando atto naturalmente di averlo rettamente inteso nella sua reale portata giuridica in ragione dei fatti a cui esso fa riferimento (Cons. Stato, V, 29 aprile 2019, n. 2733; Cons. Stato, V, 4 gennaio 2017, n. 8).
Ancora “si può affermare che, laddove una sentenza menzioni nella parte descrittiva in fatto un motivo di doglianza, pur se ometta di pronunciarsi espressamente su di esso nella parte motiva, ciò non configura un vizio di omessa pronuncia, dovendosi considerare la pronuncia sul punto implicita nella statuizione complessiva della sentenza” (Cons. Stato, V, 19 ottobre 2017, n. 4842).
Alla stregua del delineato quadro giurisprudenziale, non si rinvengono nella fattispecie in esame i presupposti del vizio revocatorio.
E’ infatti la stessa società ricorrente a dare atto di come la questione su cui si fonda il motivo revocatorio sia stata oggetto di contestazione processuale e, soprattutto, come il giudice d’appello abbia “visionato la documentazione acquisita al giudizio, che attesta il definitivo superamento del Protocollo di intesa e dall’Accordo di programma rispetto al tema dei c.d. (omissis)”, salvo poi giungere ad una decisione apparentemente – sempre ad avviso della ricorrente – inconciliabile con il contenuto testuale di tale documentazione.
Del resto, detta documentazione ha formato oggetto approfondito di tutti gli appelli svolti avverso la sentenza di primo grado nonché delle difese delle associazioni ambientaliste e dei Comuni di (omissis) e (omissis), tanto da essere stata dichiaratamente considerata dallo stesso giudice “il punto dirimente dell’intera questione”.
Alla luce di tali rilievi, lungi dall’integrare un errore “fattuale”, quello contestato è in realtà un errore di diritto, concernente l’esatta interpretazione da attribuire a ben precise risultanze documentali, con conseguente inammissibilità della questione dedotta; né può sostenersi che la censura attenga ad un errore sul contenuto materiale del documento (ossia il dato meramente testuale dello stesso), atteso che – come è la stessa ricorrente ad evidenziare, quest’ultimo era ben chiaro al giudice d’appello, come si legge nelle motivazioni (pp. 54ss.) della sentenza impugnata: “[…] l’appellante principale ha evidenziato come l’obbligazione assunta dalla Provincia di Firenze con i precedenti atti è venuta meno ed è superata da nuovi provvedimenti […] quali […] il parere del Ministero dell’Ambiente sul Master Plan dell’Aeroporto, dove si evidenzia che la c.d. “alternativa 3″, cioè il progetto del nuovo aeroporto supera definitivamente l’originaria previsione dei (omissis) prevista nell’ambito del progetto di realizzazione del termovalorizzatore; ed ancora (pag. 56) dove si dà atto che il nuovo progetto interferisce con l’area destinata al progetto (omissis) nell’ambito della realizzazione del termovalorizzatore, prevedendo come il nuovo parco peri-urbano di (omissis) comprende la realizzazione dei (omissis)”.
A fronte di ciò, peraltro, la sentenza proseguiva evidenziando le ragioni per cui il contenuto di tali produzioni documentali non poteva dirsi decisivo ai fini della decisione: “In disparte ogni questione circa la eccepita tardività della produzione di tale documentazione, non può non rilevarsi come eventuali interferenze tra i due progetti non potevano determinare il venir meno dell’obbligo, assunto dalla Provincia di Firenze in virtù degli atti e degli accordi vincolanti sottoscritti dalle altre Amministrazioni.
La realizzazione del termovalorizzatore e l’ampliamento dell’aeroporto costituiscono progetti differenti e afferiscono a procedimenti amministrativi autonomi e distinti, sicché le misure di mitigazione previste nell’ambito del procedimento per la realizzazione del termovalorizzatore non potevano sovrapporsi con quelle concernenti il progettato ampliamento dell’aeroporto, non potendo negarsi logicamente, ancor prima che giuridicamente, che in tale modo l’efficacia di tali misure sarebbe stata notevolmente depotenziata e incapace di raggiungere quegli stessi obiettivi per i quali erano state previste.
A ciò si aggiunga che il T.a.r. Toscana con sentenza n. 1310 del 2016 ha annullato, tra l’altro, la Delibera del Consiglio regionale n. 61 del 16 luglio 2014 proprio con riferimento alla realizzazione della pista aeroportuale, il che introduce un ulteriore elemento di aleatorietà e di incertezza circa l’effettiva realizzazione delle prescritte misure di mitigazione, a fronte del rilascio di un provvedimento autorizzatorio che abilita il proponente non solo a realizzare, ma anche a metterlo in esercizio.
Si può del resto osservare che ogni eventuale decisione sulla misure di mitigazione anche per la nuova evenienza determinata dal progetto aeroportuale avrebbe imposto una complessiva rivalutazione della situazione ambientale e sanitaria della (omissis) […]”.
Non è quindi pertinente – sotto il profilo revocatorio – l’appunto secondo cui il giudice di appello non si sarebbe avveduto del fatto che le misure di mitigazione sarebbero state sì, in un primo tempo, effettivamente sovrapposte al progetto aeroportuale, ma successivamente spostate in altra sede (con la nuova collocazione dei c.d. (omissis)) e dunque mai eliminate, svista per effetto della quale sarebbe stata confermata la sentenza di primo grado “laddove ha dichiarato illegittimo il provvedimento di AU perché carente di prescrizioni in merito alla realizzazione dei c.d. (omissis), previsti dal protocollo di intesa del 2005 e dall’accordo di programma del 2009”, atteso che “le prescrizioni in ordine ai (omissis) non dovevano più essere contenute nell’AU del termovalorizzatore dal momento che i (omissis), nel frattempo, avevano trovato collocazione all’interno del perimetro regolato dal Master Plan aeroportuale”.
Nel caso di specie non può dirsi sussistente il presupposto revocatorio dell’errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa: vi è infatti un tale errore – come già anticipato – quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell’uno, quanto nell’altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare (Cons. Stato, V, 10 giugno 2019, n. 3880). Ancora, occorre considerare che l’istituto della revocazione è un rimedio eccezionale, che non può convertirsi in un terzo grado di giudizio, per cui, come sancito dalla stessa lettera dell’art. 395, quarto comma, Cod. proc. civ., non sussiste il vizio revocatorio se la dedotta erronea percezione degli atti di causa ha costituito un punto controverso e, comunque, ha formato oggetto di decisione nella sentenza revocanda, ossia è il frutto dell’apprezzamento, della valutazione e dell’interpretazione delle risultanze processuali da parte del giudice.
Sono infatti vizi logici – e, quindi, errori di diritto, quelli consistenti nella dedotta erronea interpretazione e valutazione dei fatti o nel mancato approfondimento di una circostanza risolutiva ai fini della decisione (ex multis Cons. Stato, III, 24 ottobre 2018, n. 6061; Cons. Stato, IV, 12 settembre 2018, n. 5347; Cons. Stato, IV, 4 gennaio 2018, n. 35; Cons. Stato, V, 21 ottobre 2010, n. 7599). L’errore di fatto revocatorio deve cioè consistere in un travisamento di fatto costitutivo di “quell’abbaglio dei sensi” che cade su un punto decisivo ma non espressamente controverso della causa (da ultimo, Cons. Stato, IV, 24 giugno 2019, n. 4298).
Fanno altresì difetto, nel caso di specie, gli presupposti dell’invocato rimedio processuale, che non può essere accolto laddove le doglianze del ricorrente si sostanzino non nell’addebito di una falsa percezione della realtà processuale, bensì nell’attribuzione di un errore di valutazione delle risultanze processuali, specificamente riguardo alla portata della sentenza di primo grado, all’estensione ed all’oggetto dell’atto di appello, alla sussistenza di un giudicato interno; in tal caso, infatti, il ricorso per revocazione è finalizzato, sostanzialmente, a conseguire un inammissibile nuovo grado di giudizio (da ultimo Cons. Stato, V, 13 novembre 2019, n. 7794).
Nel caso di specie, invero, si è in presenza di una riproposizione di valutazioni già dedotte nei precedenti gradi del giudizio di merito, che per di più la ricorrente effettua sulla base di fatti e documenti che anche il giudice di appello ha già apprezzato nella loro contenuto oggettivo, all’atto pratico per contestare la valutazione di quest’ultimo, rivelatasi non conforme alle difese di parte ricorrente.
Con il secondo motivo di ricorso viene poi ribadito che “la circostanza della sopravvenuta presenza degli interventi di rimboschimento nella vicenda relativa all’ampliamento dell’aeroporto di Firenze, ignorata ai fini decisionali dal Giudice di appello, costituisce un dato di fatto conosciuto ed espressamente ammesso dallo stesso Giudice” e sarebbe altresì alla base di un ulteriore passaggio della sentenza impugnata: in particolare, si tratterebbe del passaggio nel quale viene ritenuta “corretta e convincente la sentenza impugnata secondo cui le opere di rinaturalizzazione dovevano essere eseguite prima della realizzazione e messa in esercizio dell’impianto”, in quanto tale conclusione “oltre che conforme alla lettera delle prescrizioni del Protocollo, è logico, ragionevole e coerente, in quanto, diversamente opinando, sarebbe frustrata la finalità stessa delle misure di rinaturalizzazione […].
Ne consegue che, al fine di consentire l’avvio dei lavori di realizzazione dell’impianto, gli interventi di miglioramento ambientale avrebbero dovuto essere contemplati ed istruiti all’interno del medesimo procedimento amministrativo […]”.
Secondo la ricorrente invece, sul presupposto che costituisca un dato acquisito e comprovato in sede di giudizio quello secondo cui il Master Plan aeroportuale contempla la realizzazione e la ricollocazione dei c.d. (omissis), “non era legittimo che detta prescrizione potesse essere inserita nell'”autonomo e distinto” provvedimento di AU del termovalorizzatore e che questo potesse essere annullato per una ragione completamente estrinseca al procedimento di rilascio dell’AU”.
Anche in questo caso, però, i vizi denunciati dalla ricorrente attengono in realtà alle valutazioni giuridiche operate dal giudice d’appello sulle risultanze di causa e di fatto mirano ad ottenere un inammissibile terzo grado di giudizio.
In ragione delle considerazioni che precedono, il ricorso va dunque dichiarato inammissibile.
Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza. Vanno però compensate relativamente alla posizione dell’appellata Città metropolitana di Firenze, avendo questa a suo tempo concluso per l’accoglimento dei motivi di ricorso.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sul ricorso per revocazione, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore delle parti appellate Comune di (omissis), Comune di (omissis) ed Associazione Fo. Am., nonché (quale unica parte) WW. ed Associazione It. No., delle spese di lite del giudizio, che liquida in euro 5.000,00 (cinquemila/00) complessivi per ciascuna di esse, oltre Iva e Cpa se dovute.
Compensa tra le parti le spese di lite del giudizio revocatorio relativamente alla Città metropolitana di Firenze.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5 marzo 2020 con l’intervento dei magistrati:
Giuseppe Severini – Presidente
Raffaele Prosperi – Consigliere
Valerio Perotti – Consigliere, Estensore
Stefano Fantini – Consigliere
Anna Bottiglieri – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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