Il rifiuto del difensore di fiducia di accettare la notifica degli atti diretti al proprio assistito

Corte di Cassazione, sezione seconda penale, Sentenza 13 maggio 2020, n. 14888.

Massima estrapolata:

In tema di notificazioni, il rifiuto del difensore di fiducia di accettare la notifica degli atti diretti al proprio assistito ex art. 157, comma 8-bis, cod. proc. pen., per produrre effetti, deve intervenire o contestualmente alla nomina o subito dopo essa e del tutto indipendentemente dalla notifica di un atto.

Sentenza 13 maggio 2020, n. 14888

Data udienza 10 dicembre 2019

Tag – parola chiave: Truffa – Notificazioni all’imputato – Imputato non detenuto – Mancata elezione di domicilio – Notifica al difensore di fiducia – Dichiarazione del difensore di non accettazione – Modalità

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VERGA Giovanna – Presidente

Dott. FILIPPINI Stefano – Consigliere

Dott. PARDO Ignazio – Consigliere

Dott. PAZIENZA Vittorio – rel. Consigliere

Dott. RECCHIONE Sandra – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 08/06/2018 della CORTE APPELLO di LECCE;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. STEFANO FILIPPINI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dr. FODARONI MARIA GIUSEPPINA, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso.

CONSIDERATO IN FATTO

1. La CORTE di APPELLO di LECCE, con sentenza in data 8.6.2018, parzialmente riformando la sentenza pronunciata dal TRIBUNALE di BRINDISI, in data 23.9.2016, nei confronti di (OMISSIS) confermava la condanna in relazione ai reati di cui agli articoli 483, 48 e 480, nonche’ articolo 640 c.p.. Secondo la ricostruzione del fatto concordemente accolta nelle due sentenze di merito, l’imputato, quale legale rappresentante dell’azienda denominata ” (OMISSIS)”, dopo aver falsamente denunciato presso gli uffici del commissariato di P.S. di Ostuni, in data 13.12.2010, lo smarrimento dei certificati di proprieta’ di 22 autovetture intestate alla menzionata ditta (OMISSIS) (certificati che in realta’ erano nella disponibilita’ della (OMISSIS), che li deteneva legittimamente a titolo di garanzia di un finanziamento concesso al Giorni per l’acquisto delle predette autovetture), e dopo aver prodotto all’ufficio provinciale di Brindisi dell’ACI-PRA la falsa denuncia di smarrimento, aveva determinato il pubblico ufficiale a rilasciare i duplicati dei menzionati certificati di proprieta’ di quegli automezzi; a quel punto l’imputato aveva provveduto rapidamente a vendere le auto, ingannando gli acquirenti dei veicoli ai quali consegnava i documenti di circolazione cosi’ illecitamente ottenuti, conseguendo il profitto del prezzo delle compravendite, con grave danno per l’istituto di credito che veniva privato della garanzia costituta dalla detenzione degli originali dei documenti in questione.
1.1. La Corte territoriale riteneva infondato l’appello avente ad oggetto la mancanza degli elementi oggettivi e soggettivi del reato di cui all’articolo 483 c.p., la pretesa inidoneita’ dell’azione rispetto all’ipotizzato inganno del pubblico ufficiale e la sussistenza della truffa; riduceva pero’ la pena e concedeva la non menzione della condanna.
2. Propone ricorso per cassazione l’imputato, tramite difensore, deducendo i seguenti motivi:
– nullita’ della notifica del decreto di citazione in appello per inosservanza dell’articolo 157 c.p.p., comma 8 bis e articolo 161 c.p.p., avendo il difensore, con PEC inviata il 9.5.2018, comunicato alla Corte di appello di Lecce di non accettare la notifica dell’avviso di fissazione di udienza ricevuto in data 8.5.2018; e’ inoltre mancato ogni tentativo di notifica diretta all’imputato in presenza di tempestiva comunicazione da parte. difensore di non accettazione della notifica. predetta.
– violazione di legge con riferimento agli articoli 42 e 43 c.p., atteso il mancato accertamento della consapevolezza, in capo all’imputato, circa il reale oggetto della garanzia concessa alla Banca, che secondo l’imputato riguardava le fatture di acquisto delle vetture e non i certificati di proprieta’ delle stesse; la decisione sul punto e’ fondata sul solo rilievo di una pretesa esperienza acquisita dall’imputato nel settore del commercio di auto usate e nei contratti di anticipazione bancaria garantiti da documenti rappresentativi di beni, ma non si considera adeguatamente che il mancato adempimento dei contratti di fido e’ stato determinato dal sequestro del conto corrente dell’imputato, disposto dall’autorita’ giudiziaria per altre vicende, aspetto che impedisce di ravvisare una preordinata volonta’ di truffare la banca.
– violazione di legge per inosservanza degli articoli 479 e 483 c.p.; la falsita’ contenuta nella denuncia e’ frutto di errore circa l’oggetto della garanzia del contratto di anticipazione bancaria; erronea e’ la qualificazione ai sensi dell’articolo 483 c.p., dovendosi eventualmente ritenere corretta quella ex articolo 479 c.p.; comunque, difetta adeguata dimostrazione della volontaria induzione in errore del pubblico ufficiale.
– violazione di legge in relazione agli articoli 48 e 480 c.p.; difettando la consapevolezza dell’imputato rispetto alla falsita’ della denuncia di smarrimento dei certificati di proprieta’, non puo’ ritenersi dimostrata la sussistenza della consapevole induzione in errore del P.U. che ha curato il rilascio dei duplicati degli stessi.
– violazione di legge in relazione all’articolo 640 c.p.; difetta un elemento costitutivo della truffa, l’inganno ai danni dell’Istituto di credito, posto che la denuncia di smarrimento e’ avvenuta in un momento successivo all’anticipazione delle somme.

RITENUTO IN DIRITTO

Il ricorso e’ inammissibile perche’ incentrato su motivi manifestamente infondati o comunque non consentiti.
1. Quanto al primo motivo, si osserva come del tutto legittimamente la Corte territoriale ha respinto la doglianza gia’ in quella sede sollevata al proposito, ritenendo corretta, nei confronti dell’imputato, l’avvenuta notifica al difensore di fiducia dell’avviso di fissazione dell’udienza, ai sensi dell’articolo 157 c.p.p., comma 8 bis.
Tale forma di notificazione, introdotta dal Decreto Legge 21 febbraio 2005, n. 17, articolo 2, comma 1, convertito nella L. 22 aprile 2005, n. 60, prevede che le notificazioni all’imputato non detenuto, successive alla prima, siano eseguite mediante consegna al difensore di fiducia e prevalgano su ogni altro tipo di notificazione, a meno che il difensore non abbia dichiarato preventivamente all’autorita’ procedente di non accettare la notificazione per conto del suo assistito. Dichiarazione, tuttavia, che deve precedere, per evidenti ragioni di logica, l’esecuzione dell’attivita’ di notifica, non potendo essere ad essa contestuale (Sez. 6, 9.3.2006, n. 19267, Casilli) o successiva.
Nella specie, il difensore non ha preventivamente dichiarato la non accettazione delle notifiche per conto dell’assistito, ma ha formalizzato tale dichiarazione di rifiuto solo dopo aver ricevuto la notifica della citazione in appello, per cui deve ritenersi legittima la notificazione eseguita a norma del citato articolo 157 c.p.p., comma 8 bis.
Come detto, la giurisprudenza di legittimita’ ha piu’ volte affermato che il rifiuto del difensore, per essere valido, deve essere enunciato o contestualmente all’atto di nomina o, con comunicazione diretta all’autorita’ procedente, subito dopo, ma sempre prima della notifica di un atto (Sez. 3, 20 settembre 2007 n. 41063, rv. 237640; Sez. 6, 2 aprile 2007 n. 21341, rv. 236874; Sez. 6, 9 marzo 2006 n. 19267, rv. 234499).
Nello stesso senso, Sez. 1, n. 6068 del 30/01/2008 Rv. 238921, secondo la quale il rifiuto del difensore di fiducia di accettare la notificazione degli atti diretti al proprio assistito deve essere enunciato, per produrre gli effetti previsti, almeno immediatamente dopo l’atto di nomina e indipendentemente dalla notifica di un qualche atto (conforme, Sez. 1, n. 16615 del 27/02/2013, Rv. 255319).
Infatti, l’aspettare la prima notifica per verificare la volonta’ o meno del difensore di fiducia di accettare le notifiche per conto del proprio assistito sarebbe certamente foriero di ritardi e dilazioni incompatibili con l’avverbio “immediatamente” utilizzato dalla norma.
Con la conseguenza che, se anche non e’ necessario che tale rifiuto sia contestuale alla. nomina, deve pero’ intervenire subito. dopo questa, e del tutto indipendentemente dalla notifica di un qualche atto.
E nella specie, come gia’ detto, il rifiuto e’ stato comunicato alla corte territoriale solo dopo la notifica del decreto di citazione in appello, mentre la nomina del difensore era avvenuta gia’ nel corso del primo grado di giudizio; evidente e’ la manifesta infondatezza del motivo e la legittimita’ del giudizio di tardivita’ del rifiuto di cui si discute.
2. Con riferimento ai motivi attinenti alla affermazione di penale responsabilita’, giova ricordare che, secondo il costante insegnamento di questa Suprema Corte, esula dai poteri della Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione e’, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimita’ la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente piu’ adeguata, valutazione delle risultanze processuali (per tutte: S.U., 30/4-2/7/1997, n. 6402, Dessimone, Rv. 207944; Sez. 4, n. 4842 del 02/12/2003 – 06/02/2004, Elia, Rv. 229369). Ed invece, i motivi sulla penale responsabilita’ tendono, nel ricorso in esame, ad ottenere una inammissibile ricostruzione dei fatti mediante criteri di valutazione diversi da quelli adottati dal giudice di merito, il quale, con motivazione esente da vizi logici e giuridici, ha esplicitato le ragioni del suo convincimento.
Peraltro, nella fattispecie si e’ in presenza di cosiddetta “doppia conforme” di condanna, sicche’ il vizio del travisamento della prova (per utilizzazione di un’informazione inesistente nel materiale processuale o per omessa valutazione di una prova decisiva), puo’ essere dedotto con il ricorso per cassazione quando la decisione impugnata abbia riformato quella di primo grado, non potendo, nel caso di cosiddetta “doppia conforme”, essere superato il limite costituito dal devolutum con recuperi in sede di legittimita’, salvo il caso in cui il giudice d’appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice (Sez. 4, n. 19710 del 03/02/2009, P.C. in proc. Buraschi, Rv. 243636; Sez. 2, n. 47035 del 03/10/2013, Giugliano, Rv. 257499; Sez. 4, n. 4060 del 12/12/2013 – 29/01/2014, Capuzzi, Rv. 258438); ipotesi che non ricorre nei casi in esame.
Tanto premesso, in relazione alle specifiche questioni di causa, dalla disamina delle due sentenze di merito emerge che i giudici del fatto hanno offerto motivazione effettiva e non certo illogica a sostegno della ricostruzione accolta, valorizzando:
– quanto al tema della accertata consapevolezza, in capo all’imputato, della sussistenza del pegno irregolare in favore della banca e del suo reale oggetto (i certificati di proprieta’), le deposizioni del direttore dell’istituto di credito e del maresciallo che ha svolto le indagini; e’ risultata cosi’ accertata la professionalita’ del Giorni nel settore della compravendita di autovetture, la sua consolidata esperienza nel contratto di anticipazione bancaria finalizzata a consentire l’acquisto di autovetture da rivendere, la risalenza nel tempo del rapporto con la banca finanziatrice, la funzione di garanzia svolta dalla custodia, da parte del soggetto finanziatore, dei documenti in parola, la cui restituzione al commerciante di auto poteva avvenire solo a fronte del rientro della somma mutuata. Logica e’ dunque la deduzione della necessaria consapevolezza, in capo all’imputato, esperto commerciante di auto, della falsita’ della denuncia di smarrimento di quei certificati, posto che egli stesso li aveva consegnati alla banca; logica e’ la valutazione di inverosimiglianza del preteso errore, in capo all’imputato, sull’oggetto del pegno (costituito dai certificati in parola, non gia’ dalle sole fatture di acquisto), posto che questi ultimi documenti contabili non svolgono alcuna funzione di garanzia per il credito bancario (non potendo impedire una commercializzazione del bene offerto in garanzia), come ben sa chiunque commerci professionalmente in auto.
– quanto alla finalizzazione della falsa denuncia di smarrimento dei documenti rispetto alla induzione in errore del pubblico ufficiale preposto al rilascio dei duplicati dei medesimi, ancora eloquenti risultano le dichiarazioni del direttore dell’istituto di credito truffato, che ha ben spiegato la necessarieta’ degli atti in parola al fine della effettuazione della vendita delle auto, altrimenti impossibile. Del tutto logica, quindi, e’ la deduzione della strumentalita’ della falsa denuncia rispetto alla immissione in commercio di quelle auto il cui acquisto, da parte del commerciante, era stato finanziato dalla banca; ricostruzione rispetto alla quale il dedotto dissesto economico dell’imprenditore, in concomitanza degli eventi in esame, non fa che rendere ancor piu’ attendibile la ricostruzione accolta dai giudici del merito, trattandosi di condotta evidentemente funzionale rispetto ad un disperato tentativo di recupero di liquidita’.
– quanto alla inconfigurabilita’, nella specie, del c.d. reato impossibile, nitida e’ la risposta contenuta a pag. 4 della sentenza di appello, non puntualmente censurata in questa sede. Evidente e’ quindi la mancanza di vizi motivazionali capaci di aprire spazio a censure in sede di legittimita’.
3. E, quanto ai profili delle supposte violazioni di legge, evidente e’ la correttezza della qualificazione giuridica ritenuta in relazione alla falsa denuncia, come gia’ ripetutamente affermato da questa Corte. Secondo Sez. 5, n. 8058 del 26/01/2006, Rv. 233412, integra il reato di falso ideologico commesso dal privato in atto pubblico (articolo 483 c.p.) la falsa denuncia di smarrimento del certificato di proprieta’ di un’autovettura, effettuata all’autorita’ di P.S., in quanto tale denuncia e’ destinata a comprovare la verita’ del fatto dello smarrimento, che costituisce il necessario presupposto del procedimento amministrativo di rilascio di un duplicato ( Decreto Ministeriale n. 514 del 1992, articolo 13, commi 1 e 2). Massime precedenti conformi: n. 18587 del 2004 Rv. 229117, n. 46823 del 2004 Rv. 231089, n. 36643 del 2005 Rv. 232378.
Ne’ e’ dato cogliere l’interesse difensivo sotteso alla prospettata riqualificazione della condotta ai sensi dell’articolo 479 c.p., fattispecie sanzionata ben piu’ severamente di quella ex articolo 483 c.p..
4. Analogamente, in relazione alla correttezza della qualificazione giuridica della fattispecie sub b), secondo i condivisi insegnamenti di Sez. 6, n. 9850 del 27/04/1981, Rv. 150818, la differenza tra i documenti cui si riferisce l’articolo 479 c.p. (falsita’ ideologica in atti pubblici) e quelli cui si riferisce l’articolo 480 c.p. (falsita’ ideologica in certificati o autorizzazioni amministrative) risiede in cio’: che nei primi i fatti sono attestati come avvenuti alla presenza del pubblico ufficiale, mentre tale particolarita’ non ricorre nei secondi in cui, come e’ stato nella fattispecie, i fatti sono stati attestati come conosciuti, ma non de visu ed auditu ex propriis sensibus, dal pubblico ufficiale che ne e’ l’autore.
5. Manifestamente infondato e’ anche l’ultimo motivo, atteso che la condotta truffaldina contestata, come emerge nitidamente dal capo di imputazione, non e’ incentrata sulla fase della erogazione del credito, bensi’ in quella successiva della eliminazione fraudolenta delle garanzie (i certificati di proprieta’) di cui la banca era munita.
Del tutto irrilevante e’ quindi il rilievo che la falsa denuncia di smarrimento sia avvenuta. successivamente alla concessione delle anticipazioni bancarie, dal momento che gli artifici (falsa denuncia, ottenimento dei duplicati e silenzio sul punto nei confronti della banca) hanno avuto ad oggetto la fase esecutiva del contratto di finanziamento.
Invero, nell’ipotesi di truffa contrattuale di specie, il momento consumativo del reato non e’ coinciso con la stipula del finanziamento, ma con il successivo inadempimento dell’imputato – nella fase esecutiva del contratto- mediante l’artificiosa eliminazione della garanzia a cui e’ conseguita la perdita patrimoniale per il soggetto passivo.
Consolidato, invero, e’ l’insegnamento giurisprudenziale (cfr., tra le tante, Sez. 2, n. 9323 del 20/01/1988, Rv. 179203) secondo il quale, in tema di truffa contrattuale, il reato e’ configurabile non soltanto nella fase di conclusione del contratto, ma anche in quella della esecuzione allorche’ una delle parti, nel contesto di un rapporto lecito, induca in errore l’altra parte con artifizi e raggiri, conseguendo un ingiusto profitto con altrui danno.
Del pari ripetuto e’ l’insegnamento (cfr. Sez. 6, n. 13411 del 05/03/2019, Rv. 275463) secondo il quale, in tema di truffa contrattuale, anche il silenzio, maliziosamente serbato su circostanze rilevanti ai fini della valutazione delle reciproche prestazioni da parte di colui che abbia il dovere di farle conoscere, integra l’elemento del raggiro, idoneo ad influire sulla volonta’ negoziale del soggetto passivo. (massime precedenti conformi: n. 5579 del 1998 Rv. 210613 – 01, n. 28791 del 2015 Rv. 264400 – 01).
6. L’inammissibilita’ del ricorso preclude il rilievo della prescrizione eventualmente maturata successivamente alla sentenza di appello.
7. Alla inammissibilita’ del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonche’, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’ emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che si ritiene equa, di Euro duemila a favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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