Corte di Cassazione, penale, Sentenza|29 gennaio 2021| n. 3585.
Il riferimento alle circostanze aggravanti ad effetto speciale contenuto nell’art. 649-bis cod. pen., ai fini della procedibilità d’ufficio per i delitti menzionati nella stessa disposizione, comprende anche la recidiva qualificata – aggravata, pluriaggravata e reiterata – di cui all’art. 99, secondo, terzo e quarto comma, cod. pen. (In motivazione, la Corte ha precisato che la valutazione di equivalenza o di subvalenza della recidiva qualificata rispetto alle circostanze attenuanti, nell’ambito del giudizio di bilanciamento previsto dall’art. 69 cod. pen., non ne elide la sussistenza né gli effetti prodotti ai fini del regime di procedibilità, sicché non rende il reato perseguibile a querela di parte, ove questa sia prevista per l’ipotesi non circostanziata).
Sentenza|29 gennaio 2021| n. 3585
Data udienza 24 settembre 2020
Integrale
Tag – parola chiave: Reati contro il patrimonio – Procedibilità d’ufficio – Ricorso di circostanze aggravanti ad effetto speciale – Recidiva – Qualificata – Estensione della procedibilità d’ufficio
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE PENALI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CASSANO Margherita – Presidente
Dott. DI TOMASSI Maria Stefania – Consigliere
Dott. FIDELBO Giorgio – Consigliere
Dott. SARNO Giulio – Consigliere
Dott. DI STEFANO Pierluigi – Consigliere
Dott. VERGA Giovanna – rel. Consigliere
Dott. DI SALVO Emanuele – Consigliere
Dott. ROCCHI Giacomo – Consigliere
Dott. PISTORELLI Luca – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Catanzaro;
nel procedimento a carico di:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 12/03/2019 del Tribunale di Cosenza;
visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Componente Dr. Giovanna Verga;
udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato generale Dr. Gaeta Pietro, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 12 marzo 2019 il Tribunale di Cosenza ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di (OMISSIS), imputato del delitto di appropriazione indebita continuata, aggravata dall’abuso di relazioni di prestazione di opera (articolo 61 c.p., n. 11) e dalla recidiva reiterata specifica ed infraquinquennale, per essere il reato estinto per remissione di querela.
All’imputato si contesta di essersi appropriato, in tempi diversi, della merce di campionario di proprieta’ della s.r.l. (OMISSIS), abusando della sua qualita’ di sub-agente.
Il Tribunale, dopo la costituzione delle parti e l’apertura del dibattimento, rilevato che il delitto contestato all’imputato non era piu’ perseguibile d’ufficio per effetto del nuovo regime di procedibilita’ a querela introdotto dal Decreto Legislativo 10 aprile 2018, n. 36, preso atto che nel fascicolo dibattimentale era presente verbale di remissione di querela, sottoscritto dalla persona offesa, e che la remissione era stata accettata dall’imputato, ha pronunciato sentenza di improcedibilita’ dell’azione penale.
2. Avverso tale decisione ha proposto ricorso immediato per cassazione il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Catanzaro, chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata per violazione degli articoli 646 – 649-bis c.p.. Rileva che il Decreto Legislativo 10 aprile 2018, n. 36, articolo 10 ha effettivamente esteso a tutte le fattispecie di appropriazione indebita il regime di procedibilita’ a querela. L’articolo 11 dello stesso decreto ha, pero’, contestualmente introdotto l’articolo 649-bis c.p., contenente deroghe al regime di procedibilita’ a querela, laddove stabilisce che per i fatti perseguibili a querela previsti dall’articolo 640 c.p., comma 3 e articolo 640-ter c.p., comma 4, e per i fatti di cui all’articolo 646 c.p., comma 2 o aggravati dalle circostanze di cui all’articolo 61 c.p.,, comma 1, n. 11, si procede d’ufficio, qualora ricorrano circostanze aggravanti ad effetto speciale. Nel caso di specie si era proceduto per appropriazione indebita aggravata dall’abuso di prestazioni d’opera e dall’essere l’imputato recidivo reiterato, specifico, infraquinquennale.
Secondo il ricorrente la contestazione di questa forma di recidiva che, secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimita’, e’ una circostanza aggravante speciale e comporta un aumento di pena superiore ad un terzo, determina la procedibilita’ d’ufficio del reato in esame.
3. Con ordinanza del 14 gennaio 2020 la Seconda Sezione penale, cui il ricorso era stato assegnato, lo ha rimesso alle Sezioni Unite, ravvisando la genesi di un contrasto sull’interpretazione dell’articolo 649-bis c.p. e sulla riconducibilita’ della recidiva qualificata (articolo 99 c.p., commi 2, 3 e 4) alla categoria delle aggravanti ad effetto speciale che rendono procedibili d’ufficio taluni reati contro il patrimonio (articolo 640 c.p., comma 3; articolo 640-ter c.p., comma 4; fatti di cui all’articolo 646 c.p., comma 2, o aggravati dalle circostanze di cui all’articolo 61 c.p., comma 1, n. 11).
L’ordinanza osserva che il tema del rapporto tra procedibilita’ e recidiva ha gia’ dato luogo in passato a soluzioni divergenti tanto da rendere necessario l’intervento delle Sezioni Unite che, con la sentenza n. 3152 del 31 gennaio 1987, Paolini, a componimento del contrasto, hanno affermato il principio di diritto che “la recidiva non e’ compresa nelle circostanze aggravanti che rendono il reato di truffa perseguibile d’ufficio, in quanto essa, inerendo esclusivamente alla persona del colpevole, non incide sul fatto-reato”.
Questa interpretazione e’ stata avallata da successive pronunce, anche posteriori alle rilevanti modifiche in tema di recidiva apportate dalla L. 5 dicembre 2005, n. 251 (Sez. 2, n. 1876 del 19/11/1999, dep. 2000, Aliberto, Rv. 215400; Sez. 2, n. 26029 del 10/06/2014, Folgori, Rv. 259566; Sez. 2, n. 29529 del 01/07/2015, Di Stefano; Sez. 2, n. 2990 del 01/10/2015, dep. 2016, Saltari; Sez. 2, n. 18311 del 28/01/2016, Dicembre; Sez. 2, n. 38396 del 29/04/2016, Meocci; Sez. 7, n. 42880 del 26/09/2016, Battaglia; Sez. 2, n. 1907 del 20/12/2016, dep. 2017, Camozzi; Sez. 2, n. 47068 del 21/09/2017, Mininni; Sez. 5, n. 30453 del 01/04/2019, Cabello, n. m. e Sez. 6, n. 35880 dell’11/07/2019, Della Rocca, n. m. le ultime due pronunciate in tema di minaccia grave, realizzata da soggetti ai quali era stata contestata ed applicata la recidiva qualificata). Tali decisioni evidenziano la forte connotazione “soggettivistica” della recidiva che, in quanto tale, non incide sul fatto-reato, sulla sua gravita’ oggettiva e, quindi, non rientra tra le circostanze aggravanti che rendono procedibile d’ufficio un delitto che, nella sua forma semplice, e’ procedibile a querela. Osservano, inoltre, che la riforma della recidiva attuata con la L. n. 251 del 2005 ha acuito i connotati personalistici della recidiva, rendendo ancor piu’ peculiare il suo regime e da distinguerlo da quello delle altre circostanze aggravanti sulle quali si radica la ratio della procedibilita’ d’ufficio.
Il Collegio rimettente dubita della perdurante validita’ di tale principio in rapporto al nuovo articolo 649-bis c.p. che fa espresso riferimento, ai fini della procedibilita’ d’ufficio di alcuni reati, alle “circostanze aggravanti ad effetto speciale”, categoria in cui pare debba essere ricompresa la recidiva qualificata dopo la ricca elaborazione di principi enunciati dalla Corte costituzionale e i plurimi interventi delle Sezioni unite che hanno dato luogo ad un vero e proprio “diritto vivente”.
Richiama, inoltre, a sostegno di questa prospettiva esegetica, due recenti decisioni (Sez. 7, n. 11440 del 24/09/2019, dep. 2020, Grillo, n. m.; Sez, 2, n. 17281 del 08/01/2019, Delle Cave, n. m.), che hanno attribuito rilievo alla recidiva qualificata quale circostanza aggravante ad effetto speciale determinante la procedibilita’ d’ufficio, tra l’altro, del reato di appropriazione indebita.
4. Il Presidente Aggiunto, con decreto del 21 aprile 2020, ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite, fissandone per la trattazione l’odierna udienza pubblica.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. La questione di diritto sottoposta alle Sezioni Unite e’ cosi’ riassumibile: “se il riferimento alle aggravanti ad effetto speciale, contenuto nell’articolo 649-bis c.p. ai fini della procedibilita’ d’ufficio per taluni reati contro il patrimonio, vada inteso come riguardante anche la recidiva qualificata di cui all’articolo 99 c.p., commi 2, 3 e 4”.
2. Il Decreto Legislativo 10 aprile 2018, n. 36 ha tradotto in regole operative le direttive fissate dalla legge delega n. 103 del 2017, ponendo mano al comparto dei reati a tutela della persona e del patrimonio previsti dal codice penale, per introdurre il nuovo regime di procedibilita’ a querela in luogo di quello officioso previgente. Accanto alla sfera dei reati contro la persona attinta dalla riforma (Decreto Legislativo cit., articoli 2-6), la tecnica di selezione delle fattispecie perseguibili a querela nell’ambito dei reati contro il patrimonio ha riguardato i delitti di truffa (articolo 640 c.p.), di frode informatica (articolo 640-ter c.p.) e, per quello che piu’ interessa, la fattispecie di appropriazione indebita (articolo 646 c.p.), rispetto alla quale resta ferma la procedibilita’ a querela anche in quelle situazioni che, in passato, determinavano la procedibilita’ d’ufficio, quali la realizzazione del delitto su cose possedute a titolo di deposito necessario (articolo 646 c.p., comma 2) ovvero con abuso di autorita’ o di relazioni domestiche o, ancora, con abuso di relazioni di ufficio, di prestazioni d’opera, di coabitazione o di ospitalita’ (articolo 61 c.p., comma 1, n. 11).
L’area della procedibilita’ a querela subisce, pero’, una rilevante limitazione in presenza di circostanze aggravanti ad effetto speciale. I nuovi articoli 623-ter e 649-bis c.p., introdotti, rispettivamente, del Decreto Legislativo cit., articoli 7 e 11, dispongono la procedibilita’ ex officio in presenza di circostanze aggravanti ad effetto speciale.
Nella Relazione illustrativa del Decreto Legislativo n. 36 del 2018 si legge che l’ampliamento delle ipotesi di procedibilita’ a querela e’ teso a migliorare l’efficienza del sistema penale e “costituisce un punto di equilibrio e di mediazione fra due opposte esigenze: da un lato, quella di evitare che si determinino meccanismi repressivi automatici in ordine a fatti che non rivestono particolare gravita’, tali da ostacolare il buon governo dell’azione penale in riferimento a quelli seriamente offensivi; dall’altro quello di fare emergere e valorizzare l’interesse privato alla punizione del colpevole in un ambito di penalita’ connotato dall’offesa a beni strettamente individuali. In tale ultimo caso, il ricorso alla procedibilita’ a querela dipende principalmente dalla necessita’ di condizionare la repressone penale di un fatto, astrattamente offensivo, alla valutazione in concreto della sua gravita’ da parte della persona offesa. In questi casi, la procedibilita’ a querela funziona come indicatore della concreta intollerabilita’ di singoli episodi conformi alla fattispecie incriminatrice”.
La Relazione aggiunge che, ampliando l’area della procedibilita’ a querela, si puo’ ottenere anche l’effetto aggiuntivo, “parimenti importante in una logica di riduzione dei carichi processuali, di favorire meccanismi conciliativi, che spesso si concludono proprio nelle fasi preliminari del giudizio, quando si avverte piu’ impellente l’esigenza di evitare l’aggravio e il pericolo del processo, prima ancora che della condanna”.
In relazione a reati che gia’ prevedono la procedibilita’ a querela nelle ipotesi base, il legislatore ha provveduto a ridurre il novero delle circostanze aggravanti alla cui ricorrenza e’ collegato l’effetto della procedibilita’ d’ufficio (ad esempio articolo 612 c.p.).
Il medesimo obiettivo di riduzione dei presupposti della procedibilita’ d’ufficio e’ stato perseguito per i reati contro il patrimonio: truffa (articolo 640 c.p.) e frode informatica (articolo 640-ter c.p.).
Quanto al contenuto specifico dei singoli articoli, di particolare importanza, ai fini che qui interessano, e’ l’articolo 10, che estende il regime della procedibilita’ a querela anche alle ipotesi aggravate del reato di appropriazione indebita, relative al fatto commesso su cose possedute a titolo di deposito necessario, con abuso di autorita’ o di relazioni domestiche, ovvero con abuso di relazioni di ufficio, di prestazione d’opera, di coabitazione o di ospitalita’. In tali ipotesi assumono rilevanza interessi e relazioni di carattere strettamente personale per le quali la perseguibilita’ della relativa offesa non puo’ che essere rimessa a una iniziativa del soggetto privato.
L’articolo 11 prevede la conservazione della procedibilita’ d’ufficio nei casi in cui ricorrono circostanze aggravanti ad effetto speciale “tra cui, la finalita’ di terrorismo e di eversione di cui al Decreto Legge n. 625 del 1979, articolo 1, di mafia di cui al Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 7 o di discriminazione razziale, etnica e religiosa di cui al Decreto Legge n. 122 del 1993, articolo 3” (cfr. in tal senso la Relazione illustrativa).
3. L’ordinanza di rimessione nel suo sviluppo argomentativo mostra di condividere l’assunto da cui muove il ricorso. L’appropriazione qualificata da aggravante ad effetto speciale e’ perseguibile d’ufficio. La recidiva qualificata, prevista nelle ipotesi di cui ai articolo 99 c.p., commi 2, 3 e 4 e’ una circostanza aggravante ad effetto speciale, in quanto comporta un aumento della pena superiore ad un terzo (articolo 63 c.p., comma 3), come peraltro espressamente affermato dalle Sezioni unite nella sentenza n. 20798 del 24.2.2011, Indelicato.
Il Collegio rimettente rileva, pero’, che nella giurisprudenza di legittimita’ formatasi dopo l’entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 36 del 2018 la questione proposta non risulta essere stata risolta con una motivazione che si sia fatta carico di affrontare tutti i nodi problematici della questione e che dal panorama delle pronunce di legittimita’ possono evincersi due differenti linee interpretative, che scaturiscono da diverse concezioni in ordine alla natura giuridica della recidiva ed ai peculiari meccanismi accertativi e valutativi ad essa sottesi.
3.1 Un primo filone giurisprudenziale trova espressione in una pronuncia delle Sezioni unite (Sez. U, n. 3152 del 31/01/1097, Paolini, cit.) che ha affermato il principio secondo il quale la recidiva non e’ compresa nelle circostanze aggravanti che rendono il reato di truffa perseguibile d’ufficio, perche’, inerendo esclusivamente alla persona del colpevole, non incide sul fatto-reato.
L’ordito motivazionale che sorregge l’enunciazione di tale principio di diritto muove dalla modifica dell’articolo 640 c.p., introdotta dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, articolo 98, che aveva aggiunto il seguente comma: “Il delitto e’ punibile a querela della persona offesa, salvo che ricorra taluna delle circostanze previste dal capoverso precedente o un’altra circostanza aggravante”. Sin dalle prime applicazioni del suddetto comma, la giurisprudenza di legittimita’ aveva assunto due opposti orientamenti in ordine alla inclusione della recidiva fra le circostanze aggravanti indicate nella nuova disposizione. Il problema, come indicato nella citata sentenza Paolini, era quello di qualificare o meno la recidiva, al fine della perseguibilita’ di ufficio del reato di truffa, quale “circostanza aggravante”.
Sul punto Sez. U. Paolini rilevano che il codice penale si occupa della recidiva non nella parte che riguarda il reato, ma in quella che si riferisce al reo e, precisamente, nel Capo secondo del Titolo quarto del Libro primo, dedicato anche alla abitualita’ e alla professionalita’ nel reato, ossia a quelle condizioni personali alle quali piu’ si avvicina la condizione del recidivo. Il che, ad avviso delle Sez. U, e’ coerente con il rilievo che, “la recidiva qualifica il soggetto, ma resta del tutto estranea alla fattispecie legale, comunque circostanziata, del reato. Essa, infatti, a differenza di altre condizioni personali che incidono sulla tipicita’ del reato (ad esempio: la qualifica di pubblico ufficiale per i reati di concussione, abuso innominato di ufficio, ecc.), incide esclusivamente sulla quantita’ della pena da infliggere in concreto, alla stessa stregua delle condizioni economiche previste dall’articolo 133-bis c.p.”. Della diversita’ della recidiva rispetto alle altre circostanze, comuni e speciali, si annota nella predetta sentenza, e’ stato ben consapevole il legislatore del 1930, che ha escluso la recidiva dal giudizio di bilanciamento ex articolo 69 c.p. in base alla considerazione (cfr. Relazione al progetto definitivo del codice penale) che le circostanze inerenti alla persona del colpevole, ossia l’imputabilita’ e la recidiva, “escono, per cosi’ dire, fuori dal quadro della equivalenza o della prevalenza, essendo del tutto eterogenee rispetto alle altre circostanze comuni e speciali” e che “le regole sulla prevalenza e sulla equivalenza sono applicabili soltanto in quanto si rimanga nel campo delle vere e proprie circostanze che modificano esclusivamente la quantita’ del reato, rappresentandone una accidentalita’, una modalita’, una causalita’”. E coerentemente, anche in tema di concorso di persone nel reato, il legislatore ha riservato alle circostanze inerenti alla persona del colpevole una valutazione diversa rispetto alle altre circostanze soggettive (articolo 118 c.p. nel testo ratione temporis vigente).
Secondo le Sez. U Paolini, la riforma del 1974 non ha smentito il fondamento della originaria distinzione operata dal legislatore, avendo semplicemente eliminato l’evidente antinomia tra il fine del giudizio di bilanciamento, rivolto all’individualizzazione del trattamento punitivo tenendo anche conto “della particolare personalita’ del reo considerata sotto ogni aspetto sintomatico”, e la rigida limitazione di tale giudizio ad una valutazione complessiva del disvalore materiale del fatto.
Sulla base di tali considerazioni la sentenza giunge alla conclusione che la recidiva “e’ una “circostanza aggravante” sui generis, che ha rilevanza solo quando sia presa in considerazione la misura della pena, mentre non produce alcun effetto sulla quantita’ del fatto-reato, al quale resta estranea”.
La sentenza percorre anche un ulteriore e convergente itinerario argomentativo, individuando la ratio della perseguibilita’ a querela del reato di truffa nei suoi sottostanti aspetti civilistici, che divengono recessivi rispetto agli interessi pubblicistici nel caso in cui ricorra una circostanza aggravante. Osserva che le ragioni della procedibilita’ a querela del reato di truffa, introdotta dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, articolo 98, sono state puntualmente evidenziate dalla Corte costituzionale nella ordinanza n. 294 del 1987, nella quale si e’ sottolineato che la L. n. 689 del 1981 non soltanto ha tenuto conto della non rilevante gravita’ degli illeciti per i quali si e’ introdotto il regime della perseguibilita’ a querela, ma ha dato rilievo decisivo alla finalita’ di conseguire, anche per questa via, una significativa deflazione dei carichi giudiziali, ritenuta necessaria per l’effettiva funzionalita’ della giustizia penale. A tale esigenza si affianca, come si legge nella Relazione di accompagnamento alla legge, quella “di evitare che l’azione penale venga iniziata o proseguita, senza o addirittura contro la volonta’ di coloro che per essere i titolari degli interessi meritevoli di maggiore protezione sono abilitati a chiedere l’intervento del giudice penale”. Proprio in tale prospettiva, Sez. U Paolini evidenzia che il legislatore ha, comunque, voluto escludere dalla punibilita’ a querela anzitutto il reato di truffa aggravato ai sensi del capoverso dell’articolo 640 e, cioe’, il caso in cui il fatto assuma la tipicita’ descritta dalla norma stessa, equiparandovi poi, in seconda battuta, anche le altre circostanze aggravanti. “La rimarcata equiparazione”, afferma la sentenza Paolini, “deve fare ritenere che il legislatore abbia voluto includere solo le circostanze che, come quelle previste dal capoverso dell’articolo 640, incidono sulla quantita’ del fatto”, ritenendo, per contro, “indifferente la misura della pena” derivante dall’applicazione delle circostanze stesse”.
A queste considerazioni logico-giuridiche, ritenute decisive, Sez. U Paolini ne aggiunge altre, tutte conducenti alla medesima conclusione.
Non si riscontrano precedenti ipotesi di perseguibilita’ d’ufficio per effetto della sola aggravante della recidiva.
Sarebbe contraddittorio ritenere che il legislatore abbia voluto attribuire tale effetto alla recidiva nel momento stesso in cui ha ampliato il campo della procedibilita’ dell’azione penale a querela della persona offesa proprio in relazione al reato di truffa “che, nella forma semplice, il legislatore ha voluto escludere dalla punibilita’ d’ufficio in considerazione dei suoi aspetti civilistici, i quali non vengono certo alterati dalle condizioni personali del reo”.
Il principio della estensione della querela a tutti i concorrenti, affermato dall’articolo 123 c.p., “postula che il reato debba essere individuato sulla base della sua astratta struttura oggettiva, sia in relazione agli elementi costitutivi sia in relazione a quelli accidentali, con nessuno dei quali puo’ identificarsi la condizione personale di recidivo di un singolo compartecipe”.
Infine, sarebbe assurdo sottrarre la perseguibilita’ penale al potere dispositivo della persona offesa in base ad una mera presunzione di maggiore capacita’ a delinquere del recidivo, la quale puo’ essere esclusa, in concreto, dal giudice del dibattimento.
3.2. Il principio affermato dalla Corte di Cassazione nella sentenza citata e’ stato espressamente richiamato e condiviso da altre e piu’ recenti pronunce di seguito indicate, che, ad eccezione della prima di esse, sono successive alle rilevanti modifiche in tema di recidiva apportate dalla L. 5 dicembre 2005, n. 251 e a due decisioni delle Sezioni unite (Sez. U, n. 35738 del 27/05/2010, Calibe’; Sez. U, n. 20798 del 24/2/2011, Indelicato).
La Seconda Sezione penale, con la sentenza n. 1876 del 19/11/1999, dep. 2000, Aliberto, nel ribadire l’orientamento espresso da Sez. U Paolini, ha affermato che la recidiva e’ un’aggravante che inerisce esclusivamente alla persona autrice del fatto e non puo’ comunicarsi agli altri compartecipi, poiche’ non incide sul fatto-reato, sulla sua natura e sulla sua gravita’ oggettiva. Pertanto, non assume rilievo ai fini del regime di procedibilita’.
Una seconda e piu’ recente pronuncia (Sez. 2, n. 26029 del 10/06/2014, Folgori), nel fare proprio il principio di diritto espresso dalle Sez. U Paolini, osserva che la ratio del particolare regime di procedibilita’ prescelto dal legislatore per il delitto di truffa deve essere ricercata anche nella rilevanza degli aspetti civilistici sottesi a tale reato, i quali, pero’, in presenza di circostanze aggravanti, non possono prevalere sugli interessi pubblicistici. In tale contesto ha aggiunto che la truffa e’ un reato che ha valenza meramente intersoggettiva, lesivo di un interesse prevalentemente privato. Da qui la logica della avulsione di una aggravante sui generis, come la recidiva, dal novero di quelle per le quali si giustificherebbe il regime di procedibilita’ ex officio. La decisione argomenta che tale approdo interpretativo e’ da “condividere e ribadire anche alla luce delle piu’ recenti disposizioni dettate dalla L. n. 251 del 2005 le quali hanno acuito i connotati “personalistici della recidiva”, rendendone ancor piu’ peculiare il relativo regime”. La recidiva – si legge nella citata sentenza – e’ una “circostanza senz’altro “speciale” rispetto a quelle che “ordinariamente” sono chiamate a qualificare in termini di maggior disvalore il fatto-reato”. D’altra parte, si aggiunge, “il carattere ordinariamente “facoltativo” della recidiva che continua a contraddistinguere la recidiva (…) e che impone al giudice di verificare in concreto se la reiterazione dell’illecito sia effettivo sintomo di riprovevolezza della condotta e di pericolosita’ del suo autore e di escludere l’aumento di pena, con adeguata motivazione sul punto, ove non ritenga che dal nuovo delitto possa desumersi una maggiore capacita’ delinquenziale, induce a concludere nel senso che una siffatta “circostanza” mal si presti a “giustificare” (sul piano non soltanto logico ma anche sistematico) la trasformazione della procedibilita’ in quella officiosa”.
Questa interpretazione e’ stata seguita da altre pronunce (Sez. 2, n. 29529 del 01/07/2015, Di Stefano; Sez. 2, n. 2990 del 01/10/2015, dep. 2016, Saltari; Sez. 2, n. 18311 del 28/01/2016, Dicembre; Sez. 2, n. 38396 del 29/04/2016, Meocci; Sez. 7, n. 42880 del 26/09/2016, Battaglia; Sez. 2, n. 1907 del 20/12/2016, dep. 2017, Camozzi; Sez. 2, n. 47068 del 21/09/2017, Mininni).
Principi analoghi sono stati espressi da due pronunce relative al regime di procedibilita’ del delitto di cui all’articolo 612 c.p. (Sez. 5, n. 30453 del 01/04/2019, Cabello, n. m. e Sez. 6, n. 35880 dell’11/07/2019, Della Rocca, n. m.) commesso da soggetti ai quali era stata contestata ed applicata la recidiva qualificata. Tali decisioni, preso atto della nuova procedibilita’ a querela anche per il reato di minaccia grave, hanno ritenuto che la contestazione della recidiva qualificata non precluda l’applicabilita’ della nuova disciplina in tema di procedibilita’ del suddetto reato.
3.3. Pur nell’assenza di decisioni che abbiano specificamente sviluppato argomentazioni a sostegno della contrapposta tesi favorevole alla incidenza della recidiva qualificata sulla procedibilita’ d’ufficio dei reati interessati dalla riforma introdotta dal Decreto Legislativo n. 36 del 2018, la genesi di un diverso orientamento puo’ trarsi da due decisioni che, in presenza della contestazione della recidiva qualificata, ritenuta sussistente dal giudice, hanno ritenuto che tale circostanze aggravante ad effetto speciale determina la procedibilita’ d’ufficio del reato di appropriazione indebita (Sez. 7, ord. n. 11440 del 24/09/2019, dep. 2020, Grillo, n. m.) e di truffa (Sez. 2, n. 17281 del 08/01/2019, Delle Cave).
4. L’orientamento contrario all’incidenza della recidiva sulla procedibilita’ d’ufficio si fonda sulla natura giuridica della recidiva intesa come aggravante “speciale” che non incide sulla gravita’ del fatto-reato a differenza di quelle che, “ordinariamente”, sono chiamate a qualificarlo in termini di maggior disvalore.
Deve, pero’. rilevarsi che una ricostruzione sensibilmente differente della natura giuridica della recidiva e’ stata oggetto di particolare valutazione da parte di altre e piu’ recenti decisioni delle Sezioni Unite di questa Corte dalle quali possono trarsi indicazioni utili anche sullo specifico versante della sua rilevanza sulla procedibilita’ del reato.
In linea con l’interpretazione elaborata dalla giurisprudenza costituzionale, la natura di circostanza aggravante inerente alla persona del colpevole ed il carattere discrezionale della recidiva, anche qualificata, sono stati ribaditi con chiarezza dalla giurisprudenza di legittimita’, tanto che puo’ ritenersi ormai consolidato l’orientamento secondo il quale non puo’ ritenersi conforme ai principi fondamentali in tema di ragionevolezza, proporzione e funzione rieducativa della pena enunciati dalla Costituzione una concezione della recidiva quale status soggettivo desumibile dal certificato penale che formi oggetto di mero riconoscimento da parte del giudice, chiamato soltanto a verificare la correttezza della sua contestazione.
Nel 2010 le Sezioni Unite hanno precisato che, in presenza di contestazione della recidiva a norma di uno dei primi quattro commi dell’articolo 99 c.p., e’ compito del giudice quello di verificare in concreto se la reiterazione dell’illecito sia sintomo effettivo di riprovevolezza della condotta e di pericolosita’ del suo autore, avuto riguardo alla natura dei reati, al tipo di devianza di cui essi sono il segno, alla qualita’ e al grado di offensivita’ dei comportamenti, alla distanza temporale tra i fatti e al livello di omogeneita’ esistente tra loro, all’eventuale occasionalita’ della ricaduta e ad ogni altro parametro individualizzante significativo della personalita’ del reo e del grado di colpevolezza, al di la’ del mero e indifferenziato riscontro formale dell’esistenza di precedenti penali. E hanno ritenuto che solo qualora la recidiva venga apprezzata come indice di maggiore colpevolezza e pericolosita’ essa produce tutti i suoi effetti. In tali ipotesi, infatti, essa, oltre che “accertata” nei presupposti (sulla base dell’esame del certificato del casellario), e’ anche “ritenuta” dal giudice ed “applicata” (Sez. U, n. 35738 del 27/05/2010, Calibe’).
Una successiva decisione delle Sezioni unite (Sez. U, n. 20798 del 24/02/2011, Indelicato) ha ricondotto la recidiva qualificata alla categoria delle circostanze aggravanti ad effetto speciale, atteso che le ipotesi previste all’articolo 99 c.p., commi 2, 3 e 4 comportano un aumento della pena superiore ad un terzo. Ha, inoltre, confutato la concezione dell’istituto come status formale del soggetto, in base al rilievo che la recidiva produce effetti unicamente ove il giudice non solo verifichi l’esistenza del presupposto formale desumibile dai precedenti penali, ma proceda anche al riscontro sostanziale della “piu’ accentuata colpevolezza” e della “maggiore pericolosita’”.
La citata sentenza muove dalla premessa che le circostanze costituiscono lo strumento giuridico attraverso il quale il legislatore provvede ad adeguare la risposta sanzionatoria alla variabile gravita’ di fatti criminosi gia’ tipici, correlata alla sussistenza di ulteriori elementi, predeterminati in via generale ed astratta attraverso la previsione legale delle singole e molteplici situazioni circostanziali.
Richiama, quindi, la partizione fra circostanze soggettive ed oggettive e quella fra circostanze definite, caratterizzate dalla descrizione legislativa della situazione circostanziante, e circostanze indefinite che, in assenza di tale compiuta indicazione, affidano al giudice la concreta valutazione degli elementi rilevanti ai fini della variazione della pena (cfr., ad esempio, l’articolo 62-bis c.p.), nonche’ l’ulteriore distinzione fra circostanze discrezionali ed obbligatorie, le quali ultime, a fronte della realizzazione della fattispecie circostanziata, comportano inevitabilmente la variazione di pena.
Infine, sotto il profilo degli effetti applicativi, menziona la classificazione, delineata dall’articolo 63 c.p., tra circostanze che comportano una variazione della pena stabilita per il reato di tipo frazionario, in misura non superiore a un terzo, e circostanze per le quali la legge stabilisce una pena di “specie diversa” (v. articolo 17 c.p.) da quella ordinaria del reato o “ad effetto speciale”, intendendosi con tale ultima definizione quelle che comportano un aumento o una diminuzione di pena in misura superiore ad un terzo.
La sentenza non disconosce che l’istituto della recidiva e’ connotato da una marcata ambivalenza, desumibile dalla stessa sistematica del codice penale, ma, nel ripercorrere la complessa ed articolata elaborazione giurisprudenziale maturata dopo l’entrata in vigore della L. n. 251 del 2005, afferma che non e’ conforme ai principi generali di un moderno diritto penale, espressivo dei valori costituzionali, una concezione della recidiva quale status soggettivo correlato al solo e semplice dato formale della ricaduta nel reato dopo una previa condanna passata in giudicato, che formi oggetto di mero riconoscimento da parte del giudice, chiamato soltanto a verificare la correttezza della sua contestazione. Evidenzia che la recidiva, al pari di altri elementi la cui natura circostanziale non e’ posta in discussione, “esplica un’efficacia extraedittale”, permettendo di fissare la sanzione finale oltre i limiti propri della comminatoria edittale, e, al contempo, “assolve alla funzione di commisurazione della pena”, adeguando la sanzione al fatto, considerato sia nel suo obiettivo disvalore, sia nella relazione qualificata con il suo autore.
Sulla base di tali rilievi giunge alla conclusione che la recidiva e’ una circostanza pertinente al reato “che richiede un accertamento, nel caso concreto, della relazione qualificata tra lo status e il fatto che deve risultare sintomatico, in relazione alla tipologia dei reati pregressi e all’epoca della loro consumazione, sia sul piano della colpevolezza che su quello della pericolosita’ sociale”.
Supera, pertanto, definitivamente l’orientamento interpretativo espresso dalle Sezioni Unite Paolini che, pronunziandosi in tema di procedibilita’ d’ufficio del delitto di truffa, avevano qualificato la recidiva come circostanza aggravante sui generis, osservando che la stessa connota il soggetto, ma resta del tutto estranea alla fattispecie, comunque circostanziata, del reato, e “non produce alcun effetto sulla quantita’ del fatto-reato”, assumendo rilevanza “solo quando sia presa in considerazione la misura della pena”.
Secondo Sez. U Indelicato l’orientamento fatto proprio dalla precedente decisione del 1987, “dilatando il richiamo alla personalita’ dell’agente oltre i limiti di immediata e diretta rilevanza per la valutazione dello specifico episodio, mal si concilia con un diritto penale del fatto, rispettoso del principio di colpevolezza fondato sulla valutazione della condotta posta in essere dal soggetto nella sua correlazione con l’autore di essa. Il giudizio sulla recidiva non riguarda l’astratta pericolosita’ del soggetto o un suo status personale svincolato dal fatto reato. Il riconoscimento e l’applicazione della recidiva quale circostanza aggravante postulano, piuttosto, la valutazione della gravita’ dell’illecito commisurata alla maggiore attitudine a delinquere manifestata dal soggetto agente, idonea ad incidere sulla risposta punitiva – sia in termini retributivi che in termini di prevenzione speciale – quale aspetto della colpevolezza e della capacita’ di realizzazione di nuovi reati, soltanto nell’ambito di una relazione qualificata tra i precedenti del reo e il nuovo illecito da questo commesso, che deve essere concretamente” espressivo di una maggiore colpevolezza e di una maggiore pericolosita’ dell’autore del fatto.
Chiarita la natura della recidiva quale circostanza aggravante, Sez. U Indelicato osservano che l’articolo 69 c.p., nel regolare il concorso fra circostanze aggravanti ed attenuanti ai fini del trattamento sanzionatorio, annoverano chiaramente la recidiva tra le circostanze ai fini del giudizio di bilanciamento.
Tale approdo esegetico e’ stato condiviso da una successiva decisione delle Sezioni Unite la quale ha ribadito che la recidiva costituisce “una circostanza aggravante del reato, inerente alla persona del colpevole, che non differisce nei suoi meccanismi applicativi dalle ulteriori circostanze del reato, se non per quegli aspetti che risultano esplicitamente regolati in modo peculiare dal legislatore” (Sez. U, n. 20808 del 25/10/2018, dep. 2019, Schettino).
Anche la Corte costituzionale piu’ volte intervenuta, a seguito della novella del 2005, in relazione al nuovo regime della recidiva, nel ricostruire i principi sottesi all’istituto, ne ha individuato il fondamento nella piu’ accentuata colpevolezza e nella maggiore pericolosita’ del reo. “Conformemente ai criteri di corrente adozione in tema di recidiva facoltativa, il giudice applichera’ l’aumento di pena previsto per la recidiva reiterata solo qualora ritenga il nuovo episodio delittuoso concretamente significativo – in rapporto alla natura ed al tempo di commissione dei precedenti, ed avuto riguardo ai parametri indicati dall’articolo 133 c.p. sotto il profilo della piu’ accentuata colpevolezza e della maggiore pericolosita’ del reo” (sentenza n. 192 del 2007). Tale orientamento ha trovato seguito in successive pronunce (ordinanze n. 409 del 2007, nonche’ n. 33, 90, 193 e 257 del 2008, e n. 171 del 2009) con le quali si e’ definitivamente esclusa la conformita’ ai principi costituzionali di una lettura dell’articolo 99 c.p. basata su qualsiasi forma di automatismo tale da elidere la discrezionalita’ del giudice.
5. L’adesione alla concezione della recidiva quale circostanza aggravante comporta il riconoscimento che essa e’ produttiva di effetti unicamente se il giudice ne accerta i requisiti costitutivi e la dichiara, verificando non solo l’esistenza del presupposto formale rappresentato dalla previa condanna, ma anche del presupposto sostanziale, costituito dalla maggiore colpevolezza e dalla piu’ elevata capacita’ a delinquere del reo da accertarsi discrezionalmente, con obbligo specifico di motivazione sia nel caso che venga riconosciuta sia nell’ipotesi che venga esclusa (Sez. U, n. 5859 del 27/10/2011, dep. 2012, Marciano’, Sez. U, n. 31669 del 23/06/2016, Filosofi).
La recidiva deve ritenersi, oltre che riconosciuta, anche applicata, non solo quando esplica il suo effetto tipico di aggravamento della pena, ma anche quando produca, nel bilanciamento tra circostanze aggravanti e attenuanti di cui all’articolo 69 c.p., un altro degli effetti che le sono propri, cioe’ quello di paralizzare un’attenuante, impedendo a questa di svolgere la sua funzione di concreto alleviamento della pena da irrogare (Sez. U, n. 17 del 18/06/1991, Grassi, Sez. U, n. 35738 del 27/05/2010, Calibe’). Una norma puo’ dirsi applicata “se concretamente ed effettivamente utilizzata in senso funzionale ai suoi scopi, facendole esercitare uno qualsiasi degli effetti che le sono propri e da essa dipendano con nesso di causalita’ giuridica necessaria, in modo che senza di essa non possono derivare quegli effetti che il giudice riconosce nel farne uso” Sez. U, n. 17 del 18/06/1991, Grassi, cit.).
In tale prospettiva, all’atto del giudizio di comparazione, l’applicazione della recidiva si e’ gia’ verificata, perche’ altrimenti il bilanciamento non sarebbe stato necessario (Sez. U. n. 31669 del 23/06/2016, Filosofi, cit.). La recidiva ha esplicato i suoi effetti nel giudizio comparativo, sebbene gli stessi siano stati ritenuti dal giudice equivalenti rispetto alle circostanze attenuanti concorrenti, in assenza delle quali la recidiva avrebbe comportato l’aumento di pena (Sez. U., n. 17 del 18/06/1991, Grassi, cit.).
I principi enunciati da Sez. U Grassi, Calibe’, Filosofi sono stati ulteriormente sviluppati da Sez. U n. 20808 del 25/10/2018, dep. 2019, Schettino, in relazione all’ipotesi di subvalenza della recidiva rispetto ad una o piu’ circostanze attenuanti all’esito del giudizio di comparazione ex articolo 69 c.p..
La citata decisione ribadisce che la recidiva costituisce una circostanza aggravante del reato che non differisce nei suoi meccanismi applicativi dalle ulteriori circostanze del reato, se non per quegli aspetti che risultano esplicitamente regolati in modo peculiare dal legislatore, tanto sul piano normativo che su quello logico. Il fatto stesso di aver operato il giudizio di bilanciamento presuppone il riconoscimento della recidiva; diversamente, mancando addirittura uno dei termini da comparare, non sussisterebbe quel concorso di circostanze eterogenee che e’ all’origine delle regole poste dall’articolo 69 c.p. Quest’ultima disposizione indica chiaramente che esito del giudizio di bilanciamento non e’ la dissolvenza della circostanza subvalente – che in quanto fatto compiuto non puo’ piu’ essere negato – ma la paralisi del suo effetto piu’ tipico, quello di produrre una escursione della misura della pena (Sez. U, n. 31669 del 23/06/2016, Filosofi, cit.).
Le considerazioni sinora svolte consentono di giungere alle seguenti conclusioni.
L’articolo 649-bis c.p., ai fini della procedibilita’ d’ufficio, attribuisce specifico rilievo alle “circostanze aggravanti ad effetto speciale.” L’articolo 12 preleggi, nel dettare le principali regole di interpretazione, dispone che nell’applicare la legge “non si puo’ ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore”. Costituisce, ormai, un vero e proprio diritto vivente l’affermazione che la recidiva costituisce una circostanza aggravante del reato, inerente alla persona del colpevole, che non differisce nei suoi meccanismi applicativi dalle ulteriori circostanze del reato e che la stessa, nella sua espressione “qualificata”, e’ una circostanza aggravante ad effetto speciale.
La recidiva, ove ritenuta sussistente dal giudice, rientra, in quanto circostanza aggravante, nel giudizio di bilanciamento tra circostanze aggravanti e attenuanti previsto dall’articolo 69 c.p. Il giudizio di equivalenza o di subvalenza della recidiva rispetto alle circostanze attenuanti nell’ambito del giudizio di bilanciamento ai sensi dell’articolo 69 c.p. non elide la sussistenza della recidiva stessa e gli effetti da essa prodotti ai fini del regime di procedibilita’ e non rende il reato perseguibile a querela di parte, ove questa sia prevista per l’ipotesi non circostanziata (Sez. 2, n. 37482 del 06/06/2019, Torre; Sez. 5, n. 14648 del 12/02/2019, Mercadante; Sez. 5, n. 10363 del 06/02/2019, Gennaro; Sez. 2, n. 24754 del 09/03/2015, Massarelli).
6. Rimane da verificare se la discrezionalita’ della valutazione giudiziale circa la sussistenza dei presupposti (sostanziali) della recidiva possa determinare ricadute negative sulla individuazione del regime di procedibilita’ e possa conciliarsi con le esigenze deflattive perseguite dal legislatore.
Una parte della dottrina, pur riconoscendo la natura circostanziale della recidiva, argomenta che essa non puo’ incidere sul regime di procedibilita’, dovendo le deroghe all’obbligatorieta’ dell’azione penale fondarsi su dati certi e di tempestiva riscontrabilita’. La concreta possibilita’ di verificare la sussistenza del fondamento reale dell’aggravante ex articolo 99 c.p. solo in una fase avanzata del processo rischia di introdurre una sorta di procedibilita’ d’ufficio “provvisoria” e sub iudice, finendo inevitabilmente per affidare lo stesso esercizio dell’azione penale a criteri incerti e di natura sostanzialmente valutativo-prognostica. A titolo esemplificativo si osserva che il pubblico ministero, prima di scegliere se dare avvio al procedimento, dovrebbe pronosticare se l’esistenza di precedenti penali, di cui non e’ sufficiente la mera formale ricorrenza, possa essere ritenuta, in sede giudiziale, indice di maggiore colpevolezza e di piu’ accentuata pericolosita’. Tutto questo viene ritenuto incompatibile con il carattere di obbligatorieta’ dell’azione penale ex articolo 112 Cost..
E’ stato altresi’ evidenziato che, qualora la valutazione giudiziale abbia esito negativo, il risultato non potra’ che essere quello di dichiarare “non doversi procedere” per l’eventuale mancanza della querela, ma solo a processo pressoche’ ultimato, con frustrazione delle stesse finalita’ di deflazione dei carichi processuali che ha ispirato l’estensione dei casi di procedibilita’ a querela da parte del legislatore del 2017-2018, non dissimilmente da quello del 1981.
Altri Autori rilevano, poi, che un effetto potenzialmente pregiudizievole per l’autore del reato, qual e’ la procedibilita’ di ufficio rispetto alla perseguibilita’ a querela, “non puo’ farsi dipendere dalla previa contestazione” – pur necessaria “del solo presupposto formale” dato dalle (o dalla) precedenti condanne e che non appare plausibile che tale contestazione dia luogo ad una procedibilita’ d’ufficio provvisoria, suscettibile di lasciare eventualmente il passo, a giudizio del tutto (o pressoche’) ultimato, ad una riemergente perseguibilita’ a querela. Esiste una sostanziale incommensurabilita’ tra il giudizio discrezionale su cui si fonda l’accertamento della recidiva e quello – preventivo ed astratto, a carattere legale e non giudiziale – riguardante la gravita’ “tipizzata” del reato che deve fondare il regime di procedibilita’.
Con riguardo alle sollevate perplessita’ merita ricordare che la Corte costituzionale ha piu’ volte affermato, con specifico riguardo alla perseguibilita’ a querela costituente, nel nostro ordinamento, una deroga alla obbligatorieta’ dell’azione penale, che la scelta delle forme di procedibilita’ coinvolge la politica legislativa e deve, quindi, rimanere affidata a valutazioni discrezionali del legislatore, presupponendo bilanciamenti di interessi e opzioni di politica criminale spesso assai complessi, sindacabili in sede di giudizio di legittimita’ costituzionale solo per vizio di manifesta irrazionalita’ (cfr., ex plurimis, ord. n. 324 del 2013; n. 91 del 2001; n. 354 del 1999; n. 204 del 1988; n. 294 del 1987; sent. n. 274 del 1997; n. 7 del 1987; n. 216 del 1974).
La Corte costituzionale ha, inoltre, osservato che la scelta legislativa di escludere l’influenza del giudizio di comparazione tra le circostanze sul regime di procedibilita’ del reato, operata nell’ambito della disciplina generale che regola il regime di valutazione delle circostanze, non e’ da considerare arbitraria (ord. n. 354 del 1999).
La natura della recidiva quale circostanza del reato rende, inoltre, evidente che, in presenza della sua contestazione, il giudice, chiamato a valutarne la sussistenza, compie un giudizio ontologicamente identico a quello che effettua in rapporto ad altre circostanze del reato e, in quanto investito di un potere discrezionale, ha l’obbligo di spiegare la sua scelta fornendo adeguata motivazione.
La giurisprudenza di legittimita’, sia pure con riguardo all’istituto della prescrizione, ha avuto modo di escludere potenziali aspetti di frizione fra la previsione di un regime differenziato per il soggetto recidivo ed i principi desumibili dalla Costituzione in considerazione del maggior allarme sociale provocato dal comportamento di chi, rendendosi autore di reiterate condotte criminose, mette maggiormente a rischio la sicurezza pubblica (Sez. 2, n. 31811 del 02/07/2015, Angileri; Sez. 5, n. 31064 del 02/11/2016, dep. 2017, Conte; Sez. 5, n. 57694 del 05/07/2017, Panza; Sez. F, n. 38806 del 27/07/2017, Mari).
All’obiezione che la necessaria certezza processuale verrebbe a dipendere da una provvisoria contestazione, su base meramente formale, della recidiva, destinata magari in seguito a venire meno in ragione della valutazione del giudice e’ possibile rispondere che la questione coinvolge non solo la recidiva, contestata dal pubblico ministero e successivamente ritenuta insussistente dal giudice, ma, allo stesso modo, qualsiasi altra aggravante che abbia incidenza sulla procedibilita’.
Tali situazioni trovano una risposta fisiologica in sede processuale, ove l’articolo 129 c.p.p., impone, in ogni stato e grado del procedimento, l’obbligo della immediata declaratoria di determinate cause di non punibilita’, fra le quali rientra anche la mancanza di una condizione di procedibilita’.
In ordine alla ventilata frustrazione delle finalita’ deflattive non puo’ che richiamarsi la Relazione illustrativa del Decreto Legislativo n. 36 del 2018, in cui viene affermato che l’articolo 11 prevede la conservazione della procedibilita’ d’ufficio per i reati contro il patrimonio oggetto dell’intervento normativo nei casi in cui ricorrano “circostanze aggravanti ad effetto speciale”, categoria questa che ricomprende indubbiamente la recidiva qualificata.
7. L’obiezione che la rilevanza della recidiva qualificata ai fini della procedibilita’ del reato verrebbe ad incidere sulle posizioni dei coimputati, i quali si troverebbero ad essere assoggettati a un diverso regime di procedibilita’ per un fatto a loro totalmente estraneo, e’ del tutto superata alla luce della riformulazione dell’articolo 118 c.p., secondo cui le circostanze inerenti alla persona del colpevole sono valutate soltanto riguardo alla persona a cui si riferiscono. Ne consegue che la perseguibilita’ d’ufficio opererebbe solo nei confronti dei coimputati recidivi, considerato che essa e’ una circostanza aggravante attinente alle condizioni e qualita’ personali del colpevole. Una disciplina diversificata della procedibilita’ rispetto a coimputati del medesimo reato non e’ peraltro estranea al sistema penale: si pensi, ad esempio, alle ipotesi disciplinate dall’articolo 649 c.p., comma 2, (perseguibilita’ del reato a querela nei confronti dei congiunti ivi indicati e d’ufficio nei confronti dei concorrenti estranei).
Puo’, quindi, affermarsi che il riconoscimento giudiziale, con specifica motivazione, della sussistenza di una circostanza aggravante ad effetto speciale quale la recidiva qualificata determina la procedibilita’ d’ufficio per i reati indicati nell’articolo 649-bis c.p..
8. Deve dunque enunciarsi il seguente principio di diritto: “il riferimento alle aggravanti ad effetto speciale contenuto nell’articolo 649-bis c.p., ai fini della procedibilita’ d’ufficio, per i delitti menzionati nello stesso articolo, comprende anche la recidiva qualificata – aggravata, pluriaggravata e reiterata – di cui all’articolo 99 c.p., commi 2, 3 e 4”.
9. Venendo all’esame del ricorso, va rilevato come lo stesso, sulla scorta delle superiori premesse, risulta fondato.
Il Tribunale di Cosenza ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di (OMISSIS) con riguardo al delitto di appropriazione indebita continuata aggravata dall’abuso di relazioni di prestazione di opera (articolo 61 c.p., n. 11), per essere il reato estinto per remissione di querela, senza considerare la contestazione della recidiva reiterata, specifica ed infraquinquennale che, qualora ritenuta sussistente, avrebbe determinato la procedibilita’ d’ufficio del reato, ai sensi dell’articolo 649-bis c.p..
Il Tribunale ha omesso, sul punto, qualsiasi motivazione.
La sentenza in oggetto deve essere, pertanto, annullata con rinvio alla Corte d’appello di Catanzaro, ai sensi dell’articolo 569 c.p.p., comma 4, essendo stata impugnata dal pubblico ministero direttamente con ricorso per cassazione, c.d. per saltum, ex articolo 569 c.p.p., comma 1.
Il giudice del rinvio dovra’ valutare la sussistenza o meno della recidiva contestata, direttamente incidente sul regime di procedibilita’ del delitto di appropriazione indebita di cui (OMISSIS) e’ stato chiamato a rispondere.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio alla Corte di appello di Catanzaro.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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