Il riconoscimento della responsabilità dell’Amministrazione per il tardivo esercizio della funzione amministrativa

Consiglio di Stato, sezione quinta, Sentenza 10 ottobre 2018, n. 5834.

La massima estrapolata:

Il riconoscimento della responsabilità dell’Amministrazione per il tardivo esercizio della funzione amministrativa richiede, oltre alla constatazione della violazione dei termini del procedimento, l’accertamento che l’inosservanza delle cadenze procedimentali è imputabile a colpa o dolo dell’Amministrazione medesima, che il danno lamentato è conseguenza diretta ed immediata del ritardo dell’Amministrazione, nonché la prova del danno lamentato.

Sentenza 10 ottobre 2018, n. 5834

Data udienza 15 febbraio 2018

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale

Sezione Quinta

ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 4759 del 2017, proposto da:
An. Ru., Ditta individuale Ru. An., in proprio e quale mandataria del costituendo R.T.I. con l’Associazione Ip., rappresentati e difesi dagli avvocati Fa. Pe. e Fr. Pi., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Fr. Pi. in Roma, via (…);
contro
Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Se. Ca., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA, Sez. II bis, n. 03434/2017, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis);
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 15 febbraio 2018 il Cons. Stefano Fantini e uditi per le parti gli avvocati Pi. e Ca.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1.- Il R.T.I con mandataria la ditta individuale Ru. An. ha interposto appello avverso la sentenza 13 marzo 2017, n. 3434 del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sez. II bis, con la quale è stato respinto il suo ricorso finalizzato al risarcimento del danno da ritardo, come pure i motivi aggiunti avverso il provvedimento di revoca della gara e dell’aggiudicazione.
Si tratta della procedura aperta indetta dal Comune di (omissis) per l’affidamento in concessione del suolo pubblico all’interno di un’area verde sita in località (omissis), via (omissis), per la realizzazione di un chiosco e per la “gestione, manutenzione, custodia e sorveglianza dell’intero parco e correlata attività di somministrazione di alimenti e bevande aperta al pubblico”; il compenso è costituito dal diritto di gestire e sfruttare economicamente il chiosco e l’area concessa.
Il R.T.I. ditta Ru. ha partecipato alla procedura avviata nell’aprile 2013 ed è venuto informalmente a conoscenza del fatto che vi era stata solamente la sua offerta; nell’ottobre 2013 ha formulato istanza di accesso agli atti di gara, all’esito del quale ha appreso che era risultato aggiudicatario provvisorio fin dal 3 giugno 2013, con la conseguenza che, in applicazione dell’art. 12, comma 1, del d.lgs. n. 163 del 2006, doveva intendersi ormai aggiudicatario.
Avendo l’Amministrazione comunale opposto l’inerzia sulla diffida dell’appellante a provvedere alla stipulazione del contratto, ha adito il giudice amministrativo al fine di accertare l’illegittimità del silenzio; con sentenza 25 giugno 2015, n. 8695 il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sez. II bis, ha accolto il ricorso del raggruppamento e, per l’effetto, ordinato al Comune di (omissis) di assumere un provvedimento espresso entro novanta giorni.
Con la determina dirigenziale n. 39 del 14 giugno 2016 l’Amministrazione comunale, anziché concludere il procedimento di gara, ha tuttavia disposto la revoca, ai sensi dell’art. 21- quinquies della legge n. 241 del 1990, dell’aggiudicazione e dello stesso bando di gara per sopravvenuti motivi di interesse pubblico, ravvisati nel progetto della nuova Amministrazione, insediatasi nel mese di luglio 2013, volto alla realizzazione di un sottopasso viario nell’area sulla quale era stata prevista la realizzazione del chiosco, precisando altresì l’impossibilità di prendere in considerazione l’eventuale ricollocazione della concessione.
Con il ricorso in primo grado il R.T.I. Ru., oltre all’azione avverso il silenzio, sulla quale è intervenuta la sentenza già ricordata, ha anche chiesto la condanna del Comune di (omissis) a provvedere alla stipulazione del contratto e poi, con motivi aggiunti, ha impugnato il provvedimento di revoca, sopravvenuto a distanza di circa tre anni dall’aggiudicazione, in asserita violazione della sentenza n. 8695 del 2015 del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, chiedendo altresì la condanna del Comune di (omissis) al risarcimento del danno conseguente all’inosservanza dei termini di conclusione del procedimento, alla perdita dell’aggiudicazione ed all’impossibilità di eseguire il contratto a causa dell’illegittimo provvedimento di revoca o comunque a titolo di responsabilità precontrattuale, nonché alla corresponsione dell’indennizzo.
2. – La sentenza appellata, come esposto, ha respinto il ricorso, limitatamente alla pretesa risarcitoria ed i motivi aggiunti. Quanto alla domanda di risarcimento per danno da ritardo, la sentenza l’ha ritenuto non provata; con riguardo ai motivi aggiunti, ha ritenuto legittima la revoca ed escluso la configurabilità di una responsabilità precontrattuale, come pure del diritto all’indennizzo, vertendosi al cospetto di un’aggiudicazione provvisoria.
3. – L’appello censura la sentenza insistendo sulla domanda di risarcimento del danno da ritardo e reiterando i motivi aggiunti di primo grado.
4. – Si è costituito in resistenza il Comune di (omissis) chiedendo la reiezione dell’appello.
5. – All’udienza pubblica del 15 febbraio 2018 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1.- Il primo motivo di gravame censura la statuizione di rigetto della domanda di risarcimento del danno da ritardo formulata nell’atto introduttivo e reiterata nei motivi aggiunti, motivata nella considerazione del mancato assolvimento dell’onere della prova sia con riguardo ai presupposti di carattere oggettivo che all’elemento soggettivo.
Assume l’appellante che la violazione del termine finale del procedimento fa presumere la colpa dell’Amministrazione, la quale è eventualmente tenuta alla dimostrazione dell’esistenza di un errore scusabile; aggiunge inoltre che il danno da ritardo prescinde dalla fondatezza o meno della pretesa sostanziale e si sostanzia anzitutto nel pregiudizio derivante dalla mancata restituzione del deposito cauzionale provvisorio, per un ammontare di euro 6.237,00, cui vanno aggiunti gli interessi dal giugno del 2013.
Il motivo è infondato.
La pretesa finalizzata al risarcimento del danno da ritardo non è sostenuta dalla prova del danno subito, di cui è chiesta una liquidazione in via equitativa, circostanza che assume di per sé portata assorbente.
Secondo il prevalente indirizzo giurisprudenziale nel sistema attualmente vigente il risarcimento del danno da ritardo, relativo ad un interesse legittimo pretensivo, non può essere avulso da una valutazione concernente la spettanza del bene della vita ed è subordinato, tra l’altro, anche alla dimostrazione che l’aspirazione al provvedimento sia destinata ad esito favorevole e quindi alla dimostrazione della spettanza definitiva del bene della vita collegato a tale interesse; ciò in quanto l’entrata in vigore dell’art. 2-bis della legge n 241 del 1990 non ha elevato a bene della vita, suscettibile di autonoma protezione mediante il risarcimento del danno, l’interesse procedimentale al rispetto dei termini dell’azione amministrativa avulso da ogni riferimento alla spettanza dell’interesse sostanziale, al cui conseguimento il procedimento stesso è finalizzato; sotto altro profilo deve altresì ricordarsi che il riconoscimento della responsabilità dell’Amministrazione per il tardivo esercizio della funzione amministrativa richiede, oltre alla constatazione della violazione dei termini del procedimento, l’accertamento che l’inosservanza delle cadenze procedimentali è imputabile a colpa o dolo dell’Amministrazione medesima, che il danno lamentato è conseguenza diretta ed immediata del ritardo dell’Amministrazione, nonché la prova del danno lamentato (in termini, tra le tante, Cons. Stato, IV, 23 giugno 2017, n. 3068; IV, 2 novembre 2016, n. 4580; IV, 6 aprile 2016, n. 1371).
La sentenza appellata, pur ritenendo, in ciò discostandosi dal già richiamato indirizzo prevalente, superata la logica della spettanza, ha comunque condivisibilmente accertato l’assenza di prova in ordine al danno ed anche all’elemento soggettivo della colpa.
Quanto al profilo assorbente del danno, non può non rilevarsi l’improprio e peraltro indimostrato riferimento alla mancata restituzione della cauzione provvisoria, atteso che, in caso di revoca dell’aggiudicazione da parte della stazione appaltante, va presunta la restituzione all’aggiudicatario della cauzione provvisoria (ed eventualmente anche di quella definitiva, ove versata), che deve essere richiesta e le cui pertinenti voci non possono dunque essere conteggiate in sede di risarcimento del danno, neppure a titolo di responsabilità precontrattuale (in termini Cons. Stato, VI, 19 giugno 2009, n. 4138; Ad. plen., 5 settembre 2005, n. 6). Merita aggiungere come la sentenza di prime cure abbia, con riguardo al deposito cauzionale, evidenziato che si tratterebbe comunque di un importo sprovvisto di un valido nesso di derivazione con la condotta omissiva (rispetto all’obbligo di provvedere entro un termine finale predeterminato) lamentata.
Nessun’altra voce di danno risulta allegata e tanto meno documentata dall’appellante.
2. – Con il secondo motivo di appello, riproduttivo del primo motivo aggiunto in primo grado, il R.T.I. Ru. critica la sentenza per non avere ritenuto configurabile una violazione della precedente sentenza n. 8695 del 2015, che non si sarebbe limitata ad accertare l’obbligo, gravante sull’Amministrazione, di provvedere portando a compimento la procedura di gara, ma di stipulare il contratto ovvero fornire le ragioni per cui la gara non era stata conclusa; di conseguenza sarebbe elusivo del giudicato, e dunque nullo, l’impugnato provvedimento di revoca, che viene a reiterare, con sviamento di potere, l’inadempimento già accertato dal primo giudice con la sentenza resa sull’azione avverso il silenzio.
Anche tale motivo è infondato.
Condivisibilmente la sentenza appellata ha ritenuto che con la prima sentenza (la n. 8695 del 2015) il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio ha riconosciuto l’illegittimità dell’inerzia opposta dall’Amministrazione, ritenendo “indubitabile che -a fronte delle richieste dei ricorrenti- si configura un obbligo di provvedere da parte dell’Amministrazione intimata quanto meno nei limiti dell’obbligo di fornire una risposta espressa agli stessi in ordine alla mancata conclusione della procedura di gara in questione”, coerentemente ordinando, per l’effetto, al Comune di (omissis) di assumere un provvedimento espresso sulle istanze dei ricorrenti entro novanta giorni. Tale statuizione, in relazione ai suoi propri limiti oggettivi, non ha in alcun modo limitato l’ambito della discrezionalità dell’Amministrazione stessa in ordine al quid, con la conseguenza che non era preclusa la possibilità di adottare un provvedimento di revoca (dell’aggiudicazione e del bando), espressione del potere di riesame proprio dell’Amministrazione.
3. – Il terzo motivo di appello critica la sentenza per non avere rilevato i profili di illegittimità del provvedimento di revoca, nella prospettiva della mancata instaurazione del contraddittorio procedimentale, in violazione dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990, idonei ad escludere un’ipotesi di provvedimento il cui contenuto non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto assunto, rilevante ai sensi dell’art. 21- octies, comma 2, della stessa legge.
Il motivo è infondato, in quanto, seppure il carattere discrezionale della revoca non consente, di per sé, di applicare la regola conservativa sancita dall’art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241 del 1990 in merito alla natura non invalidante delle violazioni formali e procedurali non influenti sull’esito finale del procedimento, occorre riconoscere come nella fattispecie in esame sia stata revocata un’aggiudicazione provvisoria, per la quale non è richiesta la comunicazione di avvio del procedimento.
Infatti la possibilità che all’aggiudicazione provvisoria della gara non faccia seguito quella definitiva è evento del tutto fisiologico, che esclude qualsivoglia affidamento tutelabile; pertanto la revoca (come pure l’annullamento) dell’aggiudicazione provvisoria non richiede la previa comunicazione di avvio del procedimento, trattandosi di atto endoprocedimentale che si inserisce nell’ambito del procedimento di scelta del contraente come momento necessario, ma non decisivo; solamente l’aggiudicazione definitiva attribuisce, in modo stabile, il bene della vita ed è pertanto idonea ad ingenerare un affidamento in capo all’aggiudicatario, sì da imporre l’instaurazione del contraddittorio procedimentale (in termini, tra le tante, Cons. Stato, V, 4 dicembre 2017, n. 5689).
Né può sostenersi che il lungo tempo trascorso tra l’aggiudicazione e la revoca della stessa, nonché dell’intera gara abbia mutato la natura giuridica di atto provvisorio, ad effetti instabili, dell’aggiudicazione provvisoria, atteso che il termine di trenta giorni stabilito dall’art. 12 del d.lgs. n. 163 del 2006 comporta solamente che l’aggiudicazione si consideri, nel silenzio dell’Amministrazione, approvata, ma non che essa determini l’aggiudicazione definitiva, la quale resta sempre sottoposta alla verifica del possesso dei requisiti in capo all’aggiudicataria.
4.- Le considerazioni ora esposte inducono alla reiezione anche del quarto motivo, incentrato sull’illegittimità del provvedimento di revoca, in quanto asseritamente non assistito dai presupposti di cui all’art. 21- quinquies della legge n. 241 del 1990, non accompagnato da una motivazione rafforzata che tenga conto anche del lungo tempo decorso, specie con riguardo alla compatibilità della concessione (eventualmente ricollocata) con il progetto di sottopasso, ed in assenza dell’indennizzo prescritto dall’art. 21-quinquies della legge n. 241 del 1990.
La revoca dell’aggiudicazione provvisoria non richiede infatti l’assolvimento di un particolare obbligo motivazionale.
In ogni caso la determina n. 39 del 2016 dà adeguatamente conto delle ragioni della revoca dell’aggiudicazione provvisoria e del bando di gara, ravvisandole nei sopravvenuti motivi di interesse pubblico, non previsti al momento dell’aggiudicazione stessa e consistenti nella realizzazione, decisa dalla nuova Amministrazione comunale, di un sottopasso viario (invero in fase ancora di progettazione) proprio in corrispondenza dell’area adiacente alla Villa Guglielmi sulla quale era stata prevista la realizzazione del chiosco, ed al contempo della impossibilità di una ricollocazione della concessione in ragione dell’insistenza sulle aree adiacenti della riserva naturale statale del litorale romano, di cui al d.m. 29 marzo 1996, contenente restrittive misure provvisorie di salvaguardia.
5. – Con il quinto motivo viene poi censurata la sentenza per avere disatteso la domanda di risarcimento del danno a titolo di responsabilità precontrattuale e non avere riconosciuto il diritto all’indennizzo di cui all’art. 21- quinquies della legge n. 241 del 1990.
Anche tale motivo deve essere respinto.
L’indennizzo non spetta in caso di aggiudicazione provvisoria, trattandosi, come già osservato, di provvedimento avente per sua natura efficacia destinata ad essere superata con l’emanazione del provvedimento conclusivo del procedimento, mentre l’art. 21- quinquies della legge n. 241 del 1990 correla detto indennizzo ai soli provvedimenti amministrativi “ad effetti durevoli” (così Cons. Stato, V, 21 aprile 2016, n. 1600; III, 7 luglio 2017, n. 3359), locuzione nella quale non rientrano l’aggiudicazione non definitiva e gli atti propedeutici, quale il bando di gara.
Con riguardo alla domanda finalizzata ad ottenere il risarcimento a titolo di responsabilità precontrattuale, osserva la Sezione che si tratta di pretesa sfornita della prova del danno sia in ordine all’an che al quantum.
E’ vero che la responsabilità precontrattuale può coesistere con un provvedimento legittimo, ponendosi in funzione del comportamento scorretto, melius contrario ai canoni della buona fede e correttezza (così Cons. Stato, Ad. plen., 4 maggio 2018, n. 5; IV, 16 maggio 2018, n. 2907), ma ciò non toglie che sia onere della parte provare, anche in via presuntiva, ma sulla base di allegazioni di fatto certe e precise, il pregiudizio subito, nei limiti dell’interesse negativo, e cioè il danno-evento (la lesione della libertà di autodeterminazione negoziale) ed il danno conseguenza (le perdite economiche subite a causa delle scelte negoziali illecitamente condizionate), nonchè i relativi rapporti di causalità tra tali danni e la condotta scorretta che si imputa all’Amministrazione.
6. – In conclusione, alla stregua di quanto esposto, l’appello deve essere respinto.
La peculiarità e complessità della controversia integra le ragioni che per legge consentono la compensazione tra le parti delle spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Compensa tra le parti le spese di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 febbraio 2018 con l’intervento dei magistrati:
Carlo Saltelli – Presidente
Roberto Giovagnoli – Consigliere
Fabio Franconiero – Consigliere
Raffaele Prosperi – Consigliere
Stefano Fantini – Consigliere, Estensore

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