Il registro di protocollo è indiscutibilmente atto pubblico

Consiglio di Stato, Sentenza|22 aprile 2021| n. 3261.

Il registro di protocollo è indiscutibilmente atto pubblico, e di fede privilegiata, in quanto atto con il quale il pubblico ufficiale attesta l’avvenuta ricezione dall’esterno di un documento, la data di tale ricezione e la numerazione progressiva che gli viene attribuita, il relativo timbro apposto materialmente sul documento, riproducente data e numero, non è che la prosecuzione e l’integrazione di detta attività, ond’è che registrazione e riproduzione della stessa sul documento costituiscono una operazione unica e contestuale, questa seconda finalizzata alla materiale individuazione del documento quale ricevuto dall’ufficio.

Sentenza|22 aprile 2021| n. 3261

Data udienza 27 ottobre 2020

Integrale
Tag – parola chiave: Contributi pubblici – POR – Domanda – Timbro di protocollo – Annotazione sul registro del protocollo – Natura – Individuazione

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7787 del 2011, proposto dalla Er. Su. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Lu. Ma. D’A., con domicilio eletto presso lo studio Lu. in Roma, via (…);
contro
la Regione Campania, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Li. Bu., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);
per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sede di Napoli, sezione terza, n. 942/2011, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
visto l’atto di costituzione in giudizio della Regione Campania;
visti tutti gli atti della causa;
relatore, nell’udienza pubblica del giorno 27 ottobre 2020, il consigliere Francesco Frigida e dati per presenti, ai sensi dell’articolo 84, comma 5, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito in legge 24 aprile 2020, n. 27, gli avvocati Lu. Ma. D’A. e Li. Bu.;
ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. La società odierna appellante – proprietaria di una struttura alberghiera nel Comune di (omissis), in località (omissis) – ha proposto il ricorso di primo grado n. 6647 del 2009 dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sede di Napoli, avverso il decreto dirigenziale della Regione Campania n. 375 del 27 luglio 2009, pubblicato sul Bollettino ufficiale del predetto ente n. 50 del 17 agosto 2009, con cui l’amministrazione regionale, nel riesaminare proprie precedenti determinazioni, le ha negato il chiesto contributo a valere sul secondo bando del Progetto operativo regionale (POR) Campania 2000 – 2006, misura 4.5, azione “A” per le piccole imprese a vocazione turistica, a causa della “mancanza o non conformità della D.I.A. o delle concessioni edilizie ovvero della copia della richiesta al Comune (art. 8, comma 2 p. V lett. e del Bando)”, nonostante la precedente inclusione dell’interessata nelle precedenti graduatorie dei progetti ammessi a contributo, approvate dagli organi regionali.
1.1. La Regione Campania si è costituita nel giudizio di primo grado, resistendo al ricorso.
2. Con l’impugnata sentenza n. 942 del 15 febbraio 2011, il T.a.r. per la Campania, sede di Napoli, sezione terza, ha respinto il ricorso e ha condannato la ricorrente al pagamento, in favore dell’amministrazione regionale, delle spese di lite, liquidate in euro 2.000.
3. Con ricorso ritualmente notificato e depositato – rispettivamente in data 27 settembre 2011 e in data 6 ottobre 2011 – la parte privata ha interposto appello avverso la su menzionata sentenza, articolando tre motivi d’impugnazione e riproponendo, riportandoli per esteso, i sei motivi del ricorso di primo grado.
4. La Regione Campania si è costituita in giudizio, chiedendo il rigetto del gravame.
5. La causa è stata trattenuta in decisione all’udienza pubblica del 27 ottobre 2020.
6. L’appello è fondato e deve essere accolto alla stregua delle seguenti considerazioni in fatto e in diritto.
7. Tramite il primo motivo d’impugnazione, l’appellante ha lamentato la violazione del bando, del principio della tutela dell’affidamento, dell’art. 97 della Costituzione, nonché un difetto di motivazione.
Siffatta censura è fondata.
Al riguardo si osserva che, a differenza di quanto ritenuto dal T.a.r., la società interessata ha rispettato le formalità di partecipazione al concorso. In particolare, essa ha allegato alla domanda di partecipazione, tra i vari documenti, il duplicato originale rilasciato da pubblico ufficiale al momento della presentazione all’ufficio del protocollo del Comune della richiesta del titolo edilizio abilitativo (domanda prot. n. 11450 del 23 agosto 2006); su tale duplicato sono stati apposti, in originale, il timbro del Comune, la data e il numero di protocollo.
Questo tipo di duplicato, rilasciato dal pubblico ufficiale addetto al protocollo contestualmente alla protocollazione della domanda, è, a tutti gli effetti, un atto originale, come quello in possesso del Comune; ed invero, il pubblico ufficiale, nello svolgere la propria attività di protocollazione, dopo aver controllato l’integrale corrispondenza tra gli atti (sostanzialmente due originali presentati dalla parte privata), effettua l’operazione di registrazione e di apposizione dei timbri su ambedue gli atti identici, entrambi compilati in originale e firmati, di cui uno resta all’amministrazione e l’altro all’istante, che nel caso di specie lo ha poi prodotto in allegato alla domanda di partecipazione al bando regionale.
L’atto de quo è di per sé un atto avente fede privilegiata, promanante dall’attività di annotazione sul registro del protocollo, sicché non era necessaria la produzione di una copia conforme.
In proposito va sottolineato che la giurisprudenza ha affermato che il timbro del protocollo ha natura di atto pubblico, così come l’annotazione sul registro del protocollo, trattandosi di un’unica inscindibile operazione; segnatamente “il registro di protocollo è indiscutibilmente atto pubblico, e di fede privilegiata, in quanto atto con il quale il pubblico ufficiale attesta l’avvenuta ricezione dall’esterno di un documento, la data di tale ricezione e la numerazione progressiva che gli viene attribuita (v. tra le altre Sez. III, 21.9.1966, Stipo, rv 102491), il relativo timbro apposto materialmente sul documento, riproducente data e numero, (…) non è che la prosecuzione e l’integrazione di detta attività, ond’è che registrazione e riproduzione della stessa sul documento costituiscono una operazione unica e contestuale, questa seconda finalizzata alla materiale individuazione del documento quale ricevuto dall’ufficio” (Corte di cassazione, sezione II penale, sentenza 12 marzo 1997, n. 9209).
Ne discende che l’odierna appellante ha rispettato le formalità imposte dal bando, non avendo prodotto una semplice copia fotostatica o copia informale della richiesta del titolo edilizio, bensì tale richiesta in duplicato originale.
Ad ogni modo, qualora la Regione Campania avesse avuto dubbi sulla genuinità del documento (il che in concreto non è mai stato né asserito, né adombrato dall’amministrazione), avrebbe dovuto richiedere un’integrazione (a fortiori dopo aver positivamente valutato ripetutamente la domanda dell’interessata attraverso l’approvazione delle varie graduatorie), in ossequio al principio del soccorso istruttorio di cui all’art. 6 della legge n. 241/1990 oppure avrebbe dovuto richiedere il permesso di costruire n. 51 del 26 giugno 2009, rilasciato medio tempore dal Comune di (omissis) in accoglimento della già citata domanda prot. n. 11450 del 23 agosto 2006, di cui la società interessata aveva prodotto duplicato originale protocollato.
7.1. L’accoglimento del primo motivo di gravame assorbe ogni ulteriore motivo e questione.
8. In conclusione l’appello va accolto e, pertanto, in riforma della sentenza impugnata, va accolto il ricorso di primo grado, con conseguente annullamento del decreto dirigenziale della Regione Campania n. 375 del 27 luglio 2009.
9. In applicazione del principio della soccombenza, all’accogliento dell’appello segue la condanna dell’appellata Regione Campania al pagamento, in favore dell’appellante, delle spese di lite di ambedue i gradi di giudizio, che, tenuto conto dei parametri stabiliti dal D.M. 10 marzo 2014, n. 55 e dall’art. 26, comma 1, del codice del processo amministrativo, si liquidano in euro 3.000 (tremila), oltre agli accessori di legge (I.V.A., C.P.A. e 15% a titolo di rimborso di spese generali).

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione seconda, definitivamente pronunciando sul ricorso n. 7787 del 2011, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado e conseguentemente annulla il decreto dirigenziale della Regione Campania n. 375 del 27 luglio 2009; condanna la Regione Campania al pagamento, in favore dell’appellante, delle spese di lite di entrambi i gradi di giudizio, liquidate in euro 3.000 (tremila), oltre agli accessori di legge (I.V.A., C.P.A. e 15% a titolo di rimborso di spese generali).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 27 ottobre 2020, con l’intervento dei magistrati:
Giulio Castriota Scanderbeg – Presidente
Francesco Frigida – Consigliere, Estensore
Cecilia Altavista – Consigliere
Francesco Guarracino – Consigliere
Roberto Politi – Consigliere

 

 

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