Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 17 gennaio 2020, n. 1733
Massima estrapolata:
Integra in ogni caso il reato previsto dall’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori (legge 20 maggio 1970, n. 300) l’installazione di un sistema di videosorveglianza, la cui attivazione, che, in mancanza di accordo con le rappresentanze sindacali aziendali, sia stata preventivamente autorizzata da tutti i dipendenti.
Sentenza 17 gennaio 2020, n. 1733
Data udienza 6 novembre 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RAMACCI Luca – Presidente
Dott. ANDREAZZA Gastone – Consigliere
Dott. LIBERATI Giovanni – Consigliere
Dott. REYNAUD Gianni Filippo – Consigliere
Dott. MENGONI Enrico – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del Tribunale di Lanciano del 30/4/2019;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
sentita la relazione svolta dal consigliere Dott. Enrico Mengoni;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. BARBERINI Roberta Maria, che ha concluso chiedendo dichiarare inammissibile il ricorso;
udite le conclusioni del difensore del ricorrente, Avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 30/4/2019, il Tribunale di Lanciano dichiarava (OMISSIS) colpevole della contravvenzione di cui alla L. 20 maggio 1970, n. 300, articolo 4, e lo condannava alla pena di tremila Euro di ammenda; allo stesso, quale datore di lavoro, era contestato di aver installato un sistema di videosorveglianza, idoneo a controllare l’attivita’ dei dipendenti, in difetto di accordo con le rappresentanze sindacali.
2. Propone ricorso per cassazione il (OMISSIS), a mezzo del proprio difensore, deducendo – con unico motivo – la mancanza di motivazione nel provvedimento impugnato. Il Tribunale si sarebbe limitato ad una formale ed astratta affermazione di principi giurisprudenziali, senza esaminare la vicenda concreta e, in particolare, la documentazione versata in atti (nello specifico: l’accordo formale sottoscritto dal ricorrente ed i dipendenti nel luglio 2014; l’istanza di annullamento in autotutela del verbale di accertamento e prescrizione del dicembre 2014; le trascrizioni delle deposizioni rese dalle dipendenti nel corso del giudizio di primo grado). Questa censura concernerebbe anche il profilo soggettivo del reato, da escludere in ragione della piena condivisione – con i dipendenti, all’epoca – dell’installazione dell’impianto, volto soltanto a prevenire furti nel negozio; come confermato, peraltro, dalle dichiarazioni rese dagli stessi collaboratori ed allegate all’impugnazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso risulta infondato.
Occorre premettere che la vicenda e’ emersa nel giudizio con caratteri del tutto pacifici, richiamati nella sentenza e non contestati dall’imputato; e’ acclarato, quindi, che il (OMISSIS) – datore di lavoro e titolare di un negozio – nel 2014 aveva installato un impianto di videosorveglianza in difetto delle condizioni di cui alla L. n. 300 del 1970, articolo 4, ma previo accordo scritto con i dipendenti.
4. Ebbene, come correttamente affermato dal Tribunale, tale accordo non costituisce esimente della responsabilita’ penale, dovendosi al riguardo richiamare il prevalente e piu’ recente indirizzo di legittimita’ che ritiene che la fattispecie incriminatrice di cui all’articolo 4 in esame sia integrata (con l’installazione di un sistema di videosorveglianza potenzialmente in grado di controllare a distanza l’attivita’ dei lavoratori, come nel caso di specie) anche quando, in mancanza di accordo con le rappresentanze sindacali aziendali e di provvedimento autorizzativo dell’autorita’ amministrativa, la stessa sia stata preventivamente autorizzata per iscritto da tutti i dipendenti (tra le altre, Sez. 3, n. 38882 del 10/4/2018, D., Rv. 274195; Sez. 3, n. 22148 del 31/01/2017, Zamponi, RV. 270507).
5. In particolare, secondo quanto prescritto dalla L. n. 300 del 1970, articolo 4, l’installazione di apparecchiature (da impiegare esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale ma dalle quali derivi anche la possibilita’ di controllo a distanza dell’attivita’ dei lavoratori) deve essere sempre preceduta da una forma di codeterminazione (accordo) tra il datore di lavoro e le rappresentanze sindacali dei lavoratori, con la conseguenza che se l’accordo (collettivo) non e’ raggiunto, il datore di lavoro deve far precedere l’installazione dalla richiesta di un provvedimento autorizzativo da parte dell’autorita’ amministrativa (Direzione territoriale del lavoro) che faccia luogo del mancato accordo con le rappresentanze sindacali dei lavoratori, cosicche’, in mancanza di accordo o del provvedimento alternativo di autorizzazione, l’installazione dell’apparecchiatura e’ illegittima e penalmente sanzionata. Questa procedura – frutto della scelta specifica di affidare l’assetto della regolamentazione di tali interessi alle rappresentanze sindacali o, in ultima analisi, ad un organo pubblico, con esclusione della possibilita’ che i lavoratori, uti singuli, possano autonomamente provvedere al riguardo – trova la sua ratio nella considerazione dei lavoratori come soggetti deboli del rapporto di lavoro subordinato. La diseguaglianza di fatto, e quindi l’indiscutibile e maggiore forza economico-sociale dell’imprenditore, rispetto a quella del lavoratore, rappresenta la ragione per la quale la procedura codeterminativa sia da ritenersi inderogabile (a differenza di quanto ritenuto invece dalla Sez. 3, n. 22611 del 17/04/2012), potendo essere sostituita dall’autorizzazione della direzione territoriale del lavoro solo nel solo di mancato accordo tra datore di lavoro e rappresentanze sindacali, non gia’ dal consenso dei singoli lavoratori, poiche’, a conferma della sproporzione esistente tra le rispettive posizioni, basterebbe al datore di lavoro fare firmare a costoro, all’atto dell’assunzione, una dichiarazione con cui accettano l’introduzione di qualsiasi tecnologia di controllo per ottenere un consenso viziato, perche’ ritenuto dal lavoratore stesso, a torto o a ragione, in qualche modo condizionante l’assunzione.
6. Si’ da concludersi, quindi, che il consenso del lavoratore all’installazione di un’apparecchiatura di videosorveglianza, in qualsiasi forma prestato (anche scritta, come nel caso di specie), non vale a scriminare la condotta del datore di lavoro che abbia installato i predetti impianti in violazione delle prescrizioni dettate dalla fattispecie incriminatrice; la doglianza del ricorrente sul punto, pertanto, risulta infondata.
7. Quanto precede, peraltro, senza che possa accedersi alla tesi difensiva in ragione della quale il Tribunale non avrebbe esaminato la documentazione prodotta dal (OMISSIS), limitandosi ad una astratta affermazione di principio; dalla lettura della sentenza, infatti, risulta che il preventivo accordo scritto tra datore di lavoro e dipendenti – confermato da questi ultimi in dibattimento e fulcro del ricorso – era stato ben valutato dal Giudice (al pari dell’istanza di annullamento in autotutela del verbale di accertamento), il quale, tuttavia, lo aveva correttamente ritenuto irrilevante nell’ottica di cui alla rubrica, proprio in ragione delle considerazioni appena sopra espresse, qui da confermare.
8. L’impugnazione, pertanto, deve essere dichiarata rigettata, ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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