Corte di Cassazione, sezione seconda penale, Sentenza 9 ottobre 2018, n. 45439.
Le massime estrapolate:
Il reato di violenza sessuale commesso mediante abuso della qualita’ e dei poteri del pubblico ufficiale puo’ concorrere formalmente con il reato di concussione, trattandosi di reati che tutelano beni giuridici diversi, posti a salvaguardia di distinti valori costituzionali, rappresentati dal buon andamento della P.A. e dalla liberta’ di autodeterminazione della persona nella sfera sessuale.
Non e’ configurabile il concorso del reato di violenza sessuale commesso mediante costrizione della vittima, previsto dall’articolo 609 bis cod. pen., comma 1 con quello di induzione indebita, previsto dall’articolo 319 quater cod. pen., essendo logicamente incompatibile la condotta di “costrizione”, di cui alla prima fattispecie, con quella di “induzione”, prevista nella seconda
Sentenza 9 ottobre 2018, n. 45439
Data udienza 20 luglio 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CERVADORO Mirella – Presidente
Dott. DE SANTIS Anna Mari – rel. Consigliere
Dott. BELTRANI Sergio – Consigliere
Dott. AIELLI Lucia – Consigliere
Dott. MONACO Marco Maria – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), n. a (OMISSIS),
avverso l’ordinanza resa dal Tribunale del Riesame di Brescia in data 3/4/2018;
– Visti gli atti, l’ordinanza impugnata e il ricorso;
– Udita nell’udienza camerale del 20/7/2018 la relazione fatta dal Consigliere Dott.ssa DE SANTIS Anna Maria;
– Udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, Dott. TOCCI Stefano, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 27/2/2018 la Corte di Cassazione, Sezione Sesta Penale, in accoglimento del ricorso del P.m., annullava parzialmente l’ordinanza del Tribunale del Riesame di Brescia che, decidendo sulla richiesta ex articolo 309 cod. proc. pen. proposta dal difensore del (OMISSIS) avverso il provvedimento cautelare del Gip del Tribunale di Bergamo che aveva applicato nei confronti dell’indagato la misura della custodia cautelare in carcere per i delitti di tentata violenza sessuale, falso ideologico in atto pubblico, concussione consumata e tentata,aveva escluso l’esistenza di gravi indizi di colpevolezza con riguardo agli episodi di tentata violenza sessuale e di tentata concussione ascritti ai capi A) e B) della rubrica provvisoria.
Con l’impugnata ordinanza il Tribunale del Riesame di Brescia, giudicando in sede di rinvio, riteneva la gravita’ indiziaria in ordine ad entrambi gli addebiti e, in parziale riforma del provvedimento genetico, sostituiva la misura inframuraria con quella degli arresti domiciliari.
2. Ha proposto ricorso per Cassazione il difensore dell’indagato, Avv. (OMISSIS), deducendo i seguenti motivi, enunziati nei limiti strettamente necessari ai fini della motivazione, ai sensi dell’articolo 173 disp. att. c.p.p.:
2.1 l’erronea applicazione dell’articolo 273 cod. proc. pen. in ordine ai capi A) e B) della provvisoria incolpazione e difetto di motivazione sul punto. La difesa lamenta che il Collegio cautelare ha ritenuto, in difformita’ dalla precedente valutazione oggetto d’annullamento, che vi sia stato abuso di autorita’ da parte del ricorrente senza chiarirne le ragioni dal momento che le dichiarazioni rese al P.m. in datata 12/1/2018 dalla p.o. (OMISSIS) nulla hanno aggiunto in relazione alle circostanze inerenti l’approccio connesso all’abuso se non la precisazione circa la presunta richiesta rivolta dall’indagato alla p.o. di informazioni su quando avrebbe potuto trovarla sola per la consegna del verbale. Secondo il ricorrente siffatte dichiarazioni risultano fuorvianti e totalmente inattendibili in quanto rese a distanza di sette anni dai fatti e senza che la querelante vi avesse fatto cenno nella denunzia del 4/12/2017. Allo stesso modo la (OMISSIS) non aveva menzionato in quella sede le manovre asseritamente effettuate dal (OMISSIS) con l’autovettura della Asl il giorno dell’appuntamento per la consegna del verbale come espediente per attendere che anche l’ultimo veicolo uscisse dal parcheggio e trovare cosi’ la p.o. sola all’interno del bar.
Quanto alla idoneita’ e non equivocita’ degli atti, la difesa segnala l’esistenza di una rilevante incongruenza tra quanto denunziato dalla (OMISSIS) e quanto riferito al P.m. in data 12/1/2018 allorche’ la dichiarante h precisato che, pur in assenza di esplicite richieste, ella aveva capito di trovarsi di fronte a un invito di natura sessuale “da come si era svolto il fatto e da quello che (l’indagato) aveva detto guardandomi chiaramente in modo lascivo”, operando delle mere deduzioni che non si prestano ad integrare atti idonei a costringere taluno al compimento di atti sessuali e parimenti irrilevante al fine dell’idoneita’ della condotta s’appalesa la manovra di allargamento delle braccia, pretesamente effettuata dall’indagato per impedire alla p.o. di allontanarsi dal locale. Pertanto, secondo il ricorrente deve nella specie ritenersi insussistente l’elemento della costrizione addebitata al prevenuto, non potendo reputarsi in alcun modo compromessa la liberta’ di autodeterminazione della p.o. per effetto di sguardi o gesti privi di capacita’ di contenimento, sebbene incongruamente l’ordinanza impugnata richiami per la prima volta anche una condotta “fisicamente” rilevante a tale fine, mai prima valutata come tale;
2.2 l’erronea applicazione della legge penale in relazione alla mancata qualificazione dei fatti ai sensi dell’articolo 319 quater cod. pen.. Secondo la difesa, il Tribunale del Riesame erra nel ritenere non configurabile la mera induzione indebita in luogo della tentata concussione – con conseguente esclusione del delitto in materia sessuale – a fronte di una condotta comportante una minima compromissione della liberta’ di autodeterminazione, con offerta di ampi margini decisionali alla p.o. dal momento che la stessa, pur in presenza di un asserito abuso di autorita’, ha potuto agevolmente evitare le illecite avances. Ugualmente censurabile sul piano motivazionale e’ il collegamento che il collegio cautelare ha instaurato tra i fatti a giudizio e quelli successivi di concussione, del tutto svincolati da profili di natura sessuale;
2.3 l’erronea applicazione dell’articolo 274 cod. proc. pen. in ordine alla ritenuta attualita’ del pericolo di reiterazione del reato nonche’ l’omessa motivazione sul punto, difettando nella specie il requisito dell’attualita’ del rischio di recidivanza, considerato che gli episodi in questione sono assai risalenti nel tempo e del tutto erronea e’ la pretesa attualizzazione per effetto delle successive condotte consumate nel 2014 e 2017. Inoltre, l’intervenuto licenziamento disciplinare, non impugnato, e’ circostanza che preclude in radice la possibilita’ di abusi da parte del prevenuto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. I primi due motivi di ricorso che revocano in dubbio la sussistenza dell’abuso di qualita’ da parte del (OMISSIS) e la qualificazione giuridica dei fatti contestati possono essere congiuntamente trattati in considerazione della complementarieta’ dei rilievi mossi e s’appalesano inammissibili per manifesta infondatezza. Il Collegio cautelare ha, infatti, ritenuto, dopo ampia disamina dei materiali investigativi, ivi comprese le sopravvenute dichiarazioni della p.o. (OMISSIS), che ricorressero tutti i requisiti per “ritenere integrata la condotta di tentata violenza sessuale mediante abuso di autorita’, condotta che era rivolta a costringere la donna sia fisicamente (stringendola in un angolo) che in considerazione della qualifica pubblicistica rivestita dall’uomo in quello specifico frangente (qualifica per la quale rivendicava un atteggiamento maggiormente accondiscendente della p.o. per il futuro), a subire un’invasione della propria sfera di liberta’ sessuale” (pag. 5).
3.1 La pronunzia rescindente aveva richiamato all’attenzione del Tribunale del riesame in sede di rinvio il consolidato principio della giurisprudenza di legittimita’ alla cui stregua, in tema di violenza sessuale, l’espressione “abuso di autorita’” che costituisce, unitamente alla “violenza” o alla “minaccia”, una delle modalita’ di consumazione del reato previsto dall’articolo 609bis cod. pen., ricomprende qualsiasi forma di “supremazia” (sia essa pubblica o privata), di cui l’agente abusi per costringere il soggetto passivo a compiere o a subire atti sessuali (Sez. 3, n. 33042 del 08/03/2016, P.G. in proc. F, Rv. 267453; n. 19419 del 19/04/2012, I., Rv. 252768).
A prescindere dalla questione circa la rilevanza o meno in via esclusiva della posizione autoritativa di tipo formale e pubblicistico (nella specie pacificamente ricorrente, attesa la qualifica di p.u. del prevenuto), e’, dunque, necessario che il soggetto passivo venga a trovarsi per effetto dell’azione funzionalmente qualificata dell’agente in una situazione di oggettiva costrizione rispetto al compimento di atti sessuali nei suoi confronti.
La giurisprudenza di legittimita’ ha altresi’ chiarito, in relazione alla pluralita’ di fattispecie che siffatta modalita’ postulano, che la costrizione non deve necessariamente estrinsecarsi con mezzi fisici, dovendosi ritenere sufficiente alla sua integrazione anche una coazione di tipo psicologico, tale, in relazione alle particolari circostanze del caso, da privare la vittima della capacita’ di determinarsi ed agire secondo la propria autonoma ed indipendente volonta’ (Sez. 1, n. 46566 del 21/02/2017, M e altri, Rv. 271229 in materia di sequestro di persona) e deve essere ravvisata nel comportamento del pubblico ufficiale che, abusando delle sue funzioni o dei suoi poteri, agisca con modalita’ o con forme di pressione tali da compromettere gravemente la liberta’ di autodeterminazione del destinatario della pretesa illecita.
Di detti principi l’ordinanza impugnata ha fatto corretta applicazione, dando conto con una motivazione priva di profili di illogicita’ manifesta delle ragioni che hanno portato a ritenere la gravita’ indiziaria per gli addebiti sub A) e B) della rubrica provvisoria, evidenziando come il (OMISSIS), che, all’epoca dei fatti svolgeva le funzioni di ispettore della Asl, dopo aver effettuato un superficiale controllo presso il bar gestito dalla p.o., mentre si trovavano nel locale destinato a servizi aveva allargato le braccia, stringendo la (OMISSIS) in un angolo, ostacolandone l’uscita e volgendo la sua attenzione ai seni della donna in maniera allusiva. Dopo che la p.o. era riuscita a sottrarsi alle attenzioni dell’indagato, svicolando sotto le sue braccia,il (OMISSIS) le comunicava che sarebbe ripassato per consegnare il verbale, auspicando che fosse “piu’ carina” e si trovasse da sola. Siffatta condotta, come ampiamente illustrato dal Tribunale del Riesame, rende palese che la finalita’ dell’azione era quella di costringere la p.o. ad essere sessualmente compiacente e risulta dotata dei requisiti della idoneita’ e non equivocita’ che valgono a tipizzarla ex articolo 56 cod. pen..
3.2 Il Tribunale cautelare ha dato, altresi’, conto del fatto che la condotta di tentata violenza sessuale concorre con quella di tentata concussione senza possibilita’ di riqualificazione di quest’ultima ai sensi dell’articolo 319 quater cod. pen. in considerazione del ritenuto, discriminante elemento costrittivo. Trattasi di valutazione coerente con le emergenze investigative acquisite e congruamente giustificata in aderenza agli indirizzi ermeneutici di legittimita’.
Infatti, pacificamente il reato di violenza sessuale commesso mediante abuso della qualita’ e dei poteri del pubblico ufficiale puo’ concorrere formalmente con il reato di concussione, trattandosi di reati che tutelano beni giuridici diversi, posti a salvaguardia di distinti valori costituzionali, rappresentati dal buon andamento della P.A. e dalla liberta’ di autodeterminazione della persona nella sfera sessuale (Sez. 6, n. 8894 del 04/11/2010, G., Rv. 249652; Sez. 3, n. 1815 del 20/11/2007, Rizza, Rv. 238568).
Nondimeno, la giurisprudenza di questa Corte ha precisato che non e’ configurabile il concorso del reato di violenza sessuale commesso mediante costrizione della vittima, previsto dall’articolo 609 bis cod. pen., comma 1 con quello di induzione indebita, previsto dall’articolo 319 quater cod. pen., essendo logicamente incompatibile la condotta di “costrizione”, di cui alla prima fattispecie, con quella di “induzione”, prevista nella seconda (Sez. 3, n. 6741 del 14/12/2017, L, Rv. 272099; Sez. 3, n. 33049 del 17/05/2016, B, Rv. 267400). Nella specie, come gia’ sottolineato, l’apprezzamento dell’ordinanza impugnata in punto di abuso costrittivo non presta il fianco a censure sotto il profilo della completezza argomentativa e della congruenza logica sicche’ la doglianza difensiva e’ votata all’irricevibilita’.
4. Destituita di pregio e’ anche la conclusiva censura in punto di esigenze cautelari, avendo l’ordinanza impugnata evidenziato, con motivazione priva di distorsioni giustificative, che le condotte in esame appaiono strettamente correlate agli analoghi episodi risalenti agli anni 2014 e 2017, richiamando all’uopo le valutazioni espresse nell’ordinanza del riesame del dicembre 2017 e proiettando all’attualita’ il rischio di concrete ricadute.
La tesi difensiva secondo cui si tratterebbe di episodi distinti, non accomunabili nella prognosi, non puo’ trovare concordi in quanto la protrazione nel tempo delle condotte abusive addebitate al (OMISSIS) ai danni della (OMISSIS) e’ espressiva di una peculiare persistenza ed intensita’ del dolo e l’intervenuto licenziamento, con conseguente perdita della qualifica del P.u., non comporta in via automatica il venir meno del rischio di recidivanza. Infatti, come acutamente argomentato dalla prima ordinanza di riesame, la violenza sessuale e’ realizzabile anche con modalita’ che prescindono dalla qualifica e gli stessi fatti concussivi in assenza di vincolo funzionale sono reiterabili alla stregua di reati contro il patrimonio. Pertanto, l’intervenuto licenziamento dell’indagato se incide in prospettiva sulle occasioni e la qualita’ relazionale dei rapporti del prevenuto non e’, tuttavia, suscettibile di elidere il pericolo di reiterazione di condotte della stessa indole.
Non appare, dunque, censurabile il Tribunale del riesame laddove ha ritenuto la persistenza dell’esigenza ex articolo 274 c.p.p., lettera c) alla luce di un complessivo apprezzamento della vicenda cautelare, di cui le condotte a giudizio costituiscono l’originario segmento, ravvisando nelle modalita’ esecutive e nella loro periodica emersione i segni di un concreto e attuale rischio di ricaduta in illeciti di comune indole rispetto a quelli per cui si procede, di spessore tale da giustificare la misura autodetentiva applicata.
5. Alla declaratoria di inammissibilita’ consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento a favore della Cassa delle Ammende della ulteriore somma prevista dall’articolo 616 cod. proc. pen. precisata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita’ e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52, in quanto disposto d’ufficio e/o imposto dalla legge.