Corte di Cassazione, penale,
Sentenza|14 luglio 2021| n. 26796.
Il reato di reimpiego di denaro, beni o utilità di provenienza delittuosa, previsto dall’art. 648-ter cod. pen., è un delitto a forma libera realizzabile attraverso condotte caratterizzate da un tipico effetto dissimulatorio e finalizzate ad ostacolare l’accertamento o l’astratta individuabilità dell’origine delittuosa del denaro, dei beni o delle altre utilità che si intendono occultare.
Sentenza|14 luglio 2021| n. 26796. Il reato di reimpiego di denaro di provenienza delittuosa
Data udienza 10 giugno 2021
Integrale
Tag – parola: Trasferimento fraudolento di valori – Impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita – Intercettazioni – Indagini bancarie – Recidiva reiterata, specifica e infraquinquennale – Incidenza sul computo del termine di prescrizione – Dolo specifico di eludere le disposizioni di legge in materia di prevenzione – Rilevanza della costituzione formale di una società intestata a un terzo – Congruità della motivazione – Rigetto
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GALLO Domenico – Presidente
Dott. BORSELLINO Maria Daniela – Consigliere
Dott. PARDO Ignazio – Consigliere
Dott. COSCIONI Giuseppe – Consigliere
Dott. DI PISA Fabio – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 08/02/2019 della CORTE APPELLO di BOLOGNA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. FABIO DI PISA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. TAMPIERI Luca, che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) e la declaratoria di inammissibilta’ dei ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS);
udito l’Avvocato (OMISSIS), in difesa di (OMISSIS) il quale ha concluso per l’accoglimento dei motivi di ricorso;
udito l’Avvocato (OMISSIS), in difesa di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) il quale ha concluso insistendo per l’accoglimento dei motivi dei ricorsi e dei motivi aggiunti;
udito l’Avvocato (OMISSIS), in difesa di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) il quale ha concluso per l’accoglimento dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di Appello di Bologna, con sentenza in data 08/02/2019, confermava la sentenza del Tribunale di Bologna emessa in data 15/09/2016 nei confronti di (OMISSIS) condannato per i reati Decreto Legge n. 306 del 1992, ex articolo 12-quinquies convertito in L. n. 356 del 1992, di cui ai capi A), B1), C), C2, D) – con la sola esclusione dell’intestazione dell’appartamento di (OMISSIS) – ed F) nonche’ nei confronti di: (OMISSIS) condannato per il reato ex articoli 81 cpv e 648 ter c.p. di cui al capo C1), (OMISSIS) condannata per i reati ex articoli 81 cpv e 648 ter c.p. di cui ai capi Al), B) e C1) ed ancora per il reato Decreto Legge n. 306 del 1992, ex articolo 12-quinquies convertito in L. n. 356 del 1992, di cui al capo D) con la sola esclusione della intestazione dell’appartamento di (OMISSIS), (OMISSIS) condannata per il reato Decreto Legge n. 306 del 1992, ex articolo 12-quinquies convertito in L. n. 356 del 1992, di cui al capo F); in parziale riforma della suddetta sentenza confermava l’affermazione della penale responsabilita’ di (OMISSIS) per il reato ex articoli 81 cpv e 648 ter c.p. di cui al capo C1) ed esclusa la sussistenza della recidiva reiterata, specifica ed infraquinquennale contestata rideterminava il trattamento sanzionatorio a suo carico ed, ancora, confermava la condanna alla pena di giustizia a carico di (OMISSIS) per il reato Decreto Legge n. 306 del 1992, ex articolo 12-quinquies convertito in L. n. 356 del 1992, di cui al capo F) revocando la confisca a suo carico e disponendo la restituzione in favore di quest’ ultima dell’immobile sito in (OMISSIS).
I giudici di appello, nel confermare la complessiva ricostruzione operata dai giudici di primo grado, ritenevano comprovato, sulla scorta delle complessive emergenze processuali, che (OMISSIS), definitivamente condannato per associazione a delinquere di stampo mafioso ed estorsioni, stabilmente insediatosi nel territorio della provincia di Reggio Emilia ove gestiva imprese di autotrasporti, si era reso responsabile dell’intestazione fittizia di beni acquistati con il ricavato di tali attivita’ delittuose ed, al contempo, che i suoi stretti congiunti ovvero altri soggetti vicini alla cerchia parentale, estranei al delitto presupposto, dovevano rispondere, sussistendone i presupposti oggettivi e soggettivi, di concorso nel delitto Decreto Legge n. 306 del 1992, ex articolo 12-quinquies convertito in L. n. 356 del 1992 ed, in caso il reimpiego in attivita’ economiche, della commissione del reato di cui all’articolo 648 ter c.p.
2. Contro detta sentenza propongono ricorsi per cassazione, a mezzo dei rispettivi difensori di fiducia, (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS).
2.1. (OMISSIS) formula quattro motivi.
2.1.1. Con i primi due motivi, fra loro connessi, deduce inosservanza degli articoli 24 e 111 Cost., articoli 420 ter, 420 quater, 178, 179 e 125 c.p.p.; mancanza di concreta e logica motivazione in punto di rigetto dell’eccezione di nullita’ della sentenza del Tribunale di Bologna in data 15/09/2016.
Lamenta che, in modo erroneo, la corte d’appello aveva escluso la nullita’ del processo celebratosi in assenza dell’imputato assumendo che questi, detenuto per altra causa, dopo aver formalmente rinunciato a comparire alla prima udienza non aveva piu’ espresso alcuna volonta’ in senso contrario ne’ posto in essere comportamenti interpretabili in tal senso.
Assume che i giudici di merito avrebbero dovuto considerare che l’imputato, dopo una prima rinunzia a presenziare in aula per l’udienza, mai aveva rinnovato tale volonta’ per le successive udienze ne’ tantomeno l’aveva manifestata in relazione all’intera durata del procedimento, con la conseguenza che lo stesso non poteva essere celebrato senza disporre la traduzione dell’imputato in vinculis, con conseguente nullita’ del processo tempestivamente eccepita e che erroneamente lo stesso era stato qualificato, anche in sentenza, come soggetto rinunciante a comparire.
2.1.2. Con il terzo ed il quarto motivo, fra loro connessi, lamenta violazione degli articoli 125, 192 e 530 c.p.p nonche’ del Decreto Legge n. 306 del 1992, articolo 12-quinquies convertito in L. n. 356 del 1992; mancanza e manifesta illogicita’ della motivazione in punto di conferma della penale responsabilita’ del ricorrente con riferimento ai capi di imputazione sub. A), B1), C), C2, D) ed F).
Rileva che la corte d’appello, eludendo l’esame dei motivi di impugnazione, aveva motivato in modo del tutto generico circa i profili di responsabilita’ dell’imputato, trattando unitariamente tutti i capi di imputazione e senza affrontare le questioni sollevate dall’appellante con riferimento ai singoli fatti contestati.
Con particolare riferimento al capo di imputazione sub A) – con cui era stato contestato al ricorrente che lo stesso, quale reale dominus della (OMISSIS) s.r.l., avrebbe attribuito fittiziamente alle societa’ ed ad altre persone indicate nel capo di imputazione la disponibilita’ giuridica e di fatto di taluni mezzi al fine di eludere l’applicazione di misure di prevenzione patrimoniale nei suoi confronti e di consentire la commissione dei reati ex articoli 648 bis e 648 ter c.p.p. deduce che i giudici territoriali non avevano tenuto conto della specifica contestazione secondo cui l’imputato era stato catturato nella notte fra il (OMISSIS) e non avrebbe potuto, pertanto, partecipare in alcun modo alla ideazione ed all’esecuzione della presunta simulata attivita’ negoziale che, secondo la stessa ricostruzione della Corte Appello di Bologna, sarebbe stata posta in essere in data (OMISSIS), vale a dire il giorno successivo all’esecuzione del provvedimento di sequestro preventivo dei beni, essendo stato precisato che i contratti locazione degli automezzi industriali erano stati formati il 26 novembre, data di registrazione ed unica data certa, retrodatati di un giorno rispetto alla data di esecuzione del sequestro.
Deduce che, rispetto a tale dato oggettivo evidenziato dalla la difesa, la corte d’appello nulla aveva argomentato, pervenendo a conclusioni meramente apodittiche.
Analogamente del tutto carente e viziata era la motivazione quanto agli ulteriori capi di imputazione non avendo la corte di merito considerato che a carico del (OMISSIS) non risultava avanzata alcuna richiesta di applicazione di misure di prevenzione ne’ personale ne’ patrimoniale.
Assume, ancora, che posto che era stato esclusa la configurabilita’ dell’aggravante di cui al Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 7 (convertito con L. n. 203 del 1991), essendo stato chiarito che successivamente al novembre 2009 solamente (OMISSIS) ed suoi familiari erano stati gli unici beneficiari dell’attivita’ economica svolta in Emilia-Romagna, non era dato comprendere la ragione per cui se le societa’, asseritamente facenti capo al ricorrente per tutto il corso del tempo delle rispettive operativita’, non avevano condiviso alcunche’ con la cosca mafiosa di riferimento, era possibile sostenere che l’origine delle sostanze utilizzate per costituire la societa’ stesse e le relative aziende andava ricercata in presunti illeciti provenienti dalla cosca medesima, profilo anch’esso del tutto trascurato dalla corte d’appello.
Evidenzia che, in generale, le risultanze istruttorie non avevano consentito di accertare, al di la’ di ogni ragionevole dubbio, la fondatezza dell’ipotesi accusa, non risultando comprovati i presupposti oggettivi e soggettivi dei reati di cui alla norma richiamata.
2.1.3. La difesa dell’imputato ha depositato memoria in data 20 Gennaio 2021, contenente motivi nuovi, rilevando che con riferimento ad alcune delle condotte contestate, operando il termine prescrizionale di anni nove tenuto conto della contestata recidiva, era maturata la prescrizione: in particolare le condotte di cui al capo A) in data (OMISSIS) si erano prescritte il (OMISSIS); quelle in data (OMISSIS) al (OMISSIS); quelle di cui al capo B1) in data (OMISSIS) alla data del (OMISSIS) e quelle di cui al capo D) in data (OMISSIS) il (OMISSIS).
2.2. (OMISSIS), sostanzialmente con un unico motivo articolato in piu’ censure, lamenta violazione degli articoli 125, 192 e 530 c.p.p nonche’ dell’articolo 648 ter c.p; mancanza e manifesta illogicita’ della motivazione in punto di conferma della penale responsabilita’ del ricorrente con riferimento al reato di cui al capo C1) contestato.
Osserva che, contrariamente a quanto ritenuto dai giudici di merito, difettava ogni prova che il ricorrente avesse fattivamente contribuito alla gestione delle attivita’ di impresa in questione e, quindi, al reimpiego dei profitti natura illecita, divenendo l’esecutore delle volonta’ del fratello (OMISSIS) e che mancava ogni prova che egli, con coscienza e volonta’, avesse effettivamente posto in essere una qualunque attivita’ volta al reimpiego di sostanze provenienti dal reato associativo ovvero dai reati-fine in quanto non risultava in alcun modo dimostrato, contrariamente a quanto ritenuto dalla corte territoriale, che lo stesso avesse provveduto ad attivare le tessere VIACARD per conto di (OMISSIS) ne’ tantomeno che avesse provveduto a far effettuare la revisione contabile delle societa’, asseritamente facenti capo al fratello.
Evidenzia che la ricostruzione dei giudici di merito si basava su mere congetture che scaturivano dall’ascolto di conversazioni telefoniche intercettate e che la corte di appello si era limitata a riproporre pedissequamente gli stessi passaggi argomentativi dei giudici di primo grado senza confrontarsi con le censure formulate e non tenendo conto del fatto che l’imputato, nell’ambito del processo c.d. Pandora, era stato prosciolto risultando del tutto estraneo rispetto ai fatti contestati.
Deduce che la corte di appello, nella sostanza, non aveva fatto altro che riportare in motivazione brani di conversazioni telefoniche intercettate, considerando come fatti riscontrati i comportamenti oggetto di conversazione senza neppure preoccuparsi di verificare se quegli stessi fatti avessero una reale attuazione e che non aveva considerato che, nella specie, l’imputato si era limitato ad un’attivita’ di collaborazione in un contesto di supporto ed ausilio ad un proprio familiare, non sussistendo una condotta concreta inquadrabile nel paradigma di cui all’articolo 648 ter c.p.
2.2.1 Il difensore di (OMISSIS) ha depositato motivi nuovi in data 20 Gennaio 2021 ulteriormente argomentando in ordine ai vizi di violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla affermazione della penale responsabilita’ dell’imputato in ordine al capo C1).
2.3. (OMISSIS) propone due motivi.
2.3.1. Con il primo lamenta violazione del Decreto Legge n. 306 del 1992, articolo 12-quinquies mancanza, contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione in punto di conferma della affermazione della penale responsabilita’ della ricorrente con riferimento al reato di cui al capo F).
Premesso che alla stessa, unitamente alla sorella di (OMISSIS), (OMISSIS) era contestato di essersi fittiziamente intestata la titolarita’ della societa’ (OMISSIS) s.r.l. al fine di eludere il sequestro, la cui reale disponibilita’ era, nei fatti, in capo a (OMISSIS) coinvolto nell’indagine afferente la partecipazione all’associazione mafiosa dei (OMISSIS) dell’isola di Capo Rizzuto, rileva che nel caso in esame non poteva ritenersi integrato il reato contestato in quanto la societa’ in questione non aveva mai operato e non era stato, neppure, versato il capitale sociale.
Rileva che, a parte la formale fittizia intestazione, trattandosi di reato di pericolo, occorreva una concretizzazione di un tale pericolo non verificatosi nella specie in quanto la mera costituzione della suddetta societa’ assurgeva ad atto preparatorio, che non superava la soglia di punibilita’.
Deduce, ancora, che i giudici di merito non avevano considerato che dal compendio delle intercettazioni si poteva percepire l’intenzione due coimputati (OMISSIS) e (OMISSIS) di far confluire le due societa’ ” (OMISSIS)” e ” (OMISSIS)” nell’ (OMISSIS) s.r.l. ma non era dato ravvisare, da alcuna delle intercettazioni, il consenso di (OMISSIS) e dell’imputata ne’ era emersa la prova l’effettivo utilizzo della societa’.
Osserva, altresi’, che andava tenuta nella debita considerazione la circostanza che l’odierna ricorrente non era divenuta intestataria di quote sociali di societa’ gia’ esistente ma aveva costituito, unitamente alla sorella del (OMISSIS), una societa’ ex novo che, di fatto, non aveva mai avuto alcuna concreta operativita’ sicche’ la condotta delittuosa contestata non poteva ritenersi integrata a fronte di una societa’ inattiva.
Sotto altro profilo osserva come la paventata interposizione fittizia della (OMISSIS) s.r.l. non era, di per se’, idonea a produrre alcun effetto elusorio in quanto le misure di prevenzione patrimoniale, specialmente quelle che attengono ad una pericolosita’ specifica derivante dall’appartenenza di un soggetto a consessi mafiosi, vengono solitamente applicate anche nei confronti di membri della famiglia d’origine e non solo del proposto, non risultando, quindi, assolutamente comprovato la finalita’ di eludere le norme in materia di prevenzione patrimoniale e, conseguentemente, il dolo specifico richiesto dalla fattispecie incriminatrice.
In tal senso proprio la confessione immediata dell’imputata quanto alla reale disponibilita’ del bene in capo al (OMISSIS) rendeva lampante come le ragioni di tale intestazione non fossero da ricercare nella volonta’ di eludere le norme in materia di prevenzione.
2.3.2. Con il secondo motivo lamenta violazione dell’articolo 62 bis c.p. nonche’ mancanza, contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione in punto di diniego delle circostanze attenuanti generiche.
Rileva che, sul punto, la corte d’appello aveva adottato una motivazione apodittica e non conforme ai criteri di cui all’articolo 133 c.p. non considerando il ruolo marginale svolto dalla ricorrente nella vicenda in esame.
2.4. (OMISSIS) formula tre motivi.
2.4.1. Con il primo motivo deduce violazione e falsa applicazione dell’articolo 603 c.p.p. nonche’ mancanza, contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione quanto al rigetto della richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale invocata dalla difesa con i motivi di appello.
Evidenzia che, del tutto erroneamente, la corte d’appello aveva disatteso la richiesta di procedere ad una perizia calligrafica al fine di verificare se la firma apposta dall’imputata in calce alla scrittura privata del (OMISSIS) fosse o meno autentica, non considerando che, a fronte di una contestazione ex articolo 648 ter c.p.p., appariva assolutamente necessario e dirimente accertare l’effettiva riconducibilita’ della cessione all’imputata.
2.4.2. Con il secondo motivo deduce violazione dell’articolo 648 ter c.p. in relazione ai capi A1), B) e C) della rubrica; mancanza contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione in punto di affermazione della penale responsabilita’ dell’imputata per i reati in questione.
Assume che posto che la corte d’appello, cosi’ come il tribunale, avevano accertato che la ricorrente non aveva mai preso parte attivamente ad un qualsiasi atto di gestione delle risorse della societa’ e che, peraltro, sussistevano anche dubbi sulla genuinita’ della sottoscrizione del contratto, dalla mera intestazione fittizia non potevano discendere automaticamente anche il concorso della stessa in un materiale reimpiego dei beni societari, non potendo, di per se’, la carica sociale assurgere a contributo causale e, quindi, a fondare un sua responsabilita’ concorsuale.
Sotto ulteriore profilo contesta che la corte di merito non aveva considerato che difettava, quanto ai reati de quibus, l’elemento materiale, risultando evidente la contraddizione interna in cui era incorsa la corte d’appello che, da un lato, aveva ritenuto appurata la condotta delittuosa di reimpiego di beni utilita’ di provenienza illecita direttamente discendenti dal delitto di quell’articolo 416 bis c.p. commesso da (OMISSIS) e dall’altro aveva ritenuto di escludere la connessione tra le societa’ riferibile al coimputato e la sua partecipazione all’associazione mafiosa, escludendo l’aggravante di cui al Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 7 (convertito con L. n. 203 del 1991).
Evidenzia, poi, che la circostanza che il reimpiego delle somme in questione aveva riguardato solo esclusivamente i profitti personali di (OMISSIS) ma, comunque, derivanti dalla sua appartenenza al clan mafioso non aveva trovato alcun riscontro probatorio, non essendo emersa la prova che i beni ed il denaro oggetto di reimpiego di riciclaggio erano oggettivamente entrati nella disponibilita’ del predetto attraverso l’attivita’ della cosca mentre la sentenza avrebbe dovuto motivare in ordine alla materiale concreta derivazione dei beni, presuntivamente oggetto di reimpiego ed dei proventi illeciti accumulati da (OMISSIS), non potendo a cio’ sostituirsi una mera presunzione ricavabile da una connessione fra le due condotte.
2.4.3. Con il terzo motivo lamenta violazione del Decreto Legge n. 306 del 1992, articolo 12-quinquies convertito in L. n. 356 del 1992; mancanza e manifesta illogicita’ della motivazione in punto di conferma della penale responsabilita’ della ricorrente con riferimento al capo di imputazione sub D).
Rileva che i giudici di merito non avevano considerato come, trattandosi di beni intestati ad una sorella di (OMISSIS), la paventata interposizione fittizia non era, di per se’, idonea a produrre alcun effetto elusorio in quanto le misure di prevenzione patrimoniale, specialmente quelle che attengono ad una pericolosita’ specifica derivante dall’appartenenza soggetto a consessi mafiosi, vengono solitamente applicate anche nei confronti di membri della famiglia d’origine e non solo del proposto, non risultando, quindi, assolutamente comprovato la finalita’ di eludere le norme in materia di prevenzione patrimoniale e, conseguentemente, il dolo specifico richiesto dalla fattispecie incriminatrice, in tal senso formulando una censura analoga a quella proposta da (OMISSIS).
5. (OMISSIS) propone due motivi.
5.1. Con il primo motivo lamenta mancanza di motivazione quanto alla affermazione della responsabilita’ dell’imputato per il reato di cui al capo C 1).
Osserva che la motivazione della sentenza impugnata era totalmente carente non avendo i giudici esaminato le doglianze espresse con i motivi d’appello e atteso che la corte territoriale si era limitata a richiamare le argomentazioni (ed in particolare il contenuto delle intercettazioni telefoniche) riguardanti la diversa posizione di (OMISSIS).
Assume che non erano stati evidenziati i presupposti oggettivi e soggettivi del reato contestato con particolare riferimento alla posizione dell’imputato quanto alla ritenuta illiceita’ di tutti i beni sociali delle societa’ (OMISSIS) e (OMISSIS), doglianza specificamente espressa con i motivi d’appello laddove si era rilevato che occorreva la prova che il complesso dei beni aziendali delle societa’ acquistate dal (OMISSIS) provenisse dal delitto presupposto di cui all’ipotesi di accusa, dato questo smentito dagli atti processuali ed, in particolare, dalla nota RONI c.c. di Bologna nel 28/09/2012 agli atti, totalmente obliterata dalla corte.
5.2. Con il secondo motivo deduce mancanza di motivazione in relazione al diniego delle circostanze attenuanti generiche escluse sulla base di una motivazione del tutto apodittica e sganciata da criteri di riferimento di cui all’articolo 133 c.p.
6. (OMISSIS), con un unico motivo, lamenta mancanza di motivazione quanto all’affermazione della responsabilita’ dell’imputata per il reato di cui al capo F).
Osserva che la motivazione della sentenza impugnata era totalmente carente non avendo i giudici territoriali esaminato le doglianze formulate i motivi d’appello e atteso che la corte di merito si era limitata a richiamare il contenuto delle intercettazioni telefoniche intercorse fa (OMISSIS) ed il di lei compagno (OMISSIS) mentre difettava la prova di elementi concreti idonei a fondare la responsabilita’ dell’imputata, non essendo sufficiente la mera fittizia attribuzione della titolarita’ del bene.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso di (OMISSIS) va rigettato.
1.1. I primi due motivi, da esaminare congiuntamente in quanto fra loro connessi, sono infondati.
La difesa lamenta, come detto, che i giudici di merito avevano omesso di considerare che l’imputato, dopo una prima rinunzia a presenziare in aula per l’udienza, non aveva mai rinnovato tale volonta’ per le successive udienze ne’ l’aveva manifestata in relazione all’intera durata del procedimento, con la conseguenza che il processo non poteva essere celebrato senza disporre la traduzione dell’imputato in vinculis, con conseguente nullita’ dell’intero giudizio tempestivamente eccepita.
Tali censure non colgono nel segno.
Va, invero, rilevato che la corte di appello, nell’escludere correttamente, l’eccezione di nullita’ – ex articoli 420 ter, 420 quater, 178 e 179 c.p.p. – del processo celebratosi in assenza dell’imputato dal momento che questi, detenuto per altra causa, dopo aver formalmente rinunciato a comparire alla prima udienza non aveva piu’ espresso alcuna volonta’ in senso contrario ne’ posto in essere comportamenti interpretabili in tal senso si e’, infatti, conformata al condivisibile orientamento secondo cui la rinuncia a comparire all’udienza da parte del detenuto – a seguito della quale l’imputato e’ legittimamente considerato assente e, come tale, rappresentato dal difensore – ha effetto non solo per l’udienza in relazione alla quale essa e’ formulata ma anche per quelle successive, tanto in caso di costante restrizione in esecuzione del medesimo titolo quanto nel caso in cui tra le due udienze intervenga una nuova forma di restrizione per altra causa. (Sez. 4 -, Sentenza n. 50444 del 10/12/2019 Ud. (dep. 13/12/2019) Rv. 277950 – 01).
Il principio di diritto in questione, come evidenziato dai primi giudici, e’ stato pure richiamato in parte motiva da Sez. U, Sentenza n. 10251 del 17/10/2006 Ud. (dep. 09/03/2007), Michaeler.
Non puo’ sottacersi che il ricorso e’, per altro verso, carente sotto il profilo dell’autosufficienza in quanto l’imputato non chiarisce se la questione relativa al diritto a presenziare al processo dell’imputato sia stata riproposta nel corso delle successive udienze indicate del 11/02/2016, 21/04/2016 e di “quelle a seguire compresa quella finale del 15.09.2016” e quale fosse il suo status all’epoca.
Va, infatti, rilevato che l’imputato sottoposto agli arresti domiciliari per altra causa che intende comparire in udienza, ha l’onere di farne tempestiva richiesta al giudice competente, non essendo configurabile un obbligo dell’autorita’ giudiziaria procedente di disporne la traduzione. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di merito aveva dichiarato l’assenza dell’imputato, detenuto agli arresti domiciliari per altra causa, in mancanza della prospettazione di detto “status” quale legittimo impedimento e della richiesta di traduzione). (Sez. 4 -, Sentenza n. 3905 del 21/01/2020 Ud. (dep. 30/01/2020) Rv. 278289 – 01, sicche’ nessuna nullita’ del giudizio di primo grado potrebbe, in ogni caso, essere configurata alla luce di tale principio.
1.1.2 Gli ulteriori motivi sono, in parte, generici ed aspecifici ed in parte manifestamente infondati.
La corte territoriale, con argomentazioni che non appaiono ne’ carenti ne’ illogiche ne’ contraddittorie, ha condivisibilmente ritenuto integrati i presupposti oggettivi e soggetti della condotte di intestazione fittizia contestate ai capi A), B1), C), C2, D) ed F).
La corte di appello ha rilevato che, come era dato desumere dal tenore delle intercettazioni telefoniche e dalla indagini bancarie richiamate nella sentenza di primo grado alle pagg. 7-12 (non oggetto di specifica censura da parte dell’imputato), era emersa la prova che il (OMISSIS), impossibilitato a svolgere in prima persona l’attivita’ di autotrasporto stante la sua detenzione cautelare, aveva la necessita’ per continuare ad impiegare, in un circuito apparentemente lecito, i proventi delle pregresse attivita’ delinquenziali e continuare a percepire gli utili di dette societa’, precisando che tali intestazioni fittizie dei beni a familiari o terzi non era stata nemmeno contestata dall’imputato che, tuttavia, senza chiarire alcunche’ al riguardo, le aveva giustificate in relazione e non meglio precisate ragioni di elusione fiscale.
Va osservato che e’ pacifico che il reato previsto dal Decreto Legge 8 giugno 1992, n. 306, articolo 12-quinquies del convertito nella L. 7 agosto 1992, n. 356, (oggi articolo 512 bis c.p.) si atteggi alla stregua di fattispecie a forma libera, che si concretizza nella attribuzione fittizia della titolarita’ o disponibilita’ di denaro o altra utilita’ realizzata attraverso le piu’ varie modalita’, giacche’ l’in se’ della fattispecie consiste semplicemente nella dolosa determinazione di una situazione di apparenza giuridica e formale o anche solo materiale della titolarita’ o disponibilita’ del bene, difforme dalla realta’, al fine di eludere misure di prevenzione o agevolare la commissione di reati relativi alla circolazione di mezzi economici di illecita provenienza; circostanza, quella appena accennata, che produce evidenti conseguenze sul piano della ricostruzione delle condotte punibili.
Con riferimento agli aspetti piu’ specifici relativi alla configurabilita’ del delitto in questione va osservato che priva di rilievo e’ la circostanza per cui nei confronti del (OMISSIS) non e’ stata mai avanzata alcuna richiesta di applicazione di misura di prevenzione ne’ personale ne’ tantomeno patrimoniale.
La corte di merito, con argomentazioni congrue e priva di aporie logico giuridiche, ha evidenziato il (OMISSIS), gia’ condannato per il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso con condotte a partire dal (OMISSIS), aveva posto in essere tali atti successivamente “ed in conseguenza” dell’esecuzione dell’ordinanza cautelare e del sequestro d’urgenza disposti nell’ambito dell’indagine “(OMISSIS)” allorquando “era prevedibile ed imminente che sarebbe stato seguito il procedimento di prevenzione”, accertando come condotta del ricorrente tutta incentrata sull’intestazione a familiari ovvero a terzi fiduciari appariva significativa della duplice finalita’, contestata dei capi di imputazione, di eludere l’applicazione di misure di prevenzione di natura patrimoniale e di agevolare la commissione del reato ex articolo 648-ter c.p.
Va, del resto, rilevato che il dolo specifico del reato previsto dalla norma citata consistente nel fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione, ben puo’ configurarsi non solo quando sia gia’ in atto la procedura di prevenzione, ma anche prima che la detta procedura sia intrapresa, quando l’interessato possa fondatamente presumerne l’inizio, tanto piu’ in considerazione del fatto che l’essere indagato, ed ancor piu’ rinviato a giudizio per il delitto di cui all’articolo 416-bis c.p., puo’ al tempo stesso integrare il presupposto soggettivo di cui al Decreto Legislativo 6 settembre 2011, n. 159, articolo 4, comma 1, lettera a), rendendo facilmente prevedibile il prossimo inizio del procedimento di prevenzione. (Sez. 6, Sentenza n. 24379 del 04/02/2015 Ud. (dep. 08/06/2015) Rv. 264178 – 01. (vedi anche Sez. 2, Sentenza n. 2483 del 21/10/2014 Cc. (dep. 20/01/2015) Rv. 261980 – 01).
Il fatto, poi, che le societa’ riconducibili al ricorrente, per tutto il corso del tempo delle rispettive operativita’, non avrebbero condiviso alcunche’ con la cosca (OMISSIS) non inficia in ragionamento dei giudici di merito non impedendo di ritenere che il (OMISSIS) abbia parallelamente agito, ai detti scopi elusivi, per un fine egoistico, gestendo cosi’, in proprio, i proventi della sua preventiva attivita’ criminale (vedi sent. ff. 9 e segg.), ossia senza riversare all’interno del sodalizio i profitti che poteva trarre da tali attivita’ solo apparentemente lecite.
I giudici di appello hanno, pure, chiarito, con congrua valutazione in fatto non sindacabile in questa sede, che in considerazione dell’esiguo reddito dichiarato dal (OMISSIS) e da suoi familiari negli anni di riferimento doveva ritenersi comprovato che la (OMISSIS) s.r.l. e la (OMISSIS) s.r.l. (le prime societa’ della c.d. “filiera emiliana”) avevano certamente beneficiato dei proventi ricavati dai reati presupposto, in particolare per l’acquisto dei “numerosi e costosi mezzi industriali nella disponibilita’ delle societa’”, ragionamento a fronte del quale la difesa non ha offerto, in seno al ricorso, alcun elemento utile ad incrinarlo.
La Corte di Appello di Bologna ha, ancora, posto in evidenza, con argomentazioni tutt’altro che illogiche e/o contraddittorie, come la circostanza che l’imputato era stato catturato e posto in stato di isolamento il giorno prima rispetto alla formazione dei contratti de quibus, sotto un profilo logico, non impediva in alcun modo di considerare la sua compartecipazione agli accadimenti in questione a livello di ideazione e volizione, ponendosi la successiva registrazione e datazione del contratto un atto meramente formale ed esecutivo, ricostruzione a fronte della quale il ricorrente finisce per sollecitare una ricostruzione alternativa dei fatti, preclusa in questa sede.
Ritiene, poi, questa Corte che non coglie in alcun modo nel segno la censura secondo cui la corte di appello avrebbe motivato in modo del tutto generico circa i profili di responsabilita’ dell’imputato, trattando unitariamente tutti i capi di imputazione e senza affrontare le questioni sollevate dall’appellante con riferimento ai singoli fatti contestati.
In ordine alla asserita genericita’ ed elusivita’ della motivazione con riferimento ai motivi posti all’attenzione della corte territoriale in sede di appello va, pervero, osservato che nella motivazione della sentenza il giudice del gravame di merito non e’ tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una loro valutazione globale, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo. Ne consegue che in tal caso debbono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata. (Sez. 6, n. 49970 del 19/10/2012 – dep. 28/12/2012, Muia’ e altri, Rv. 25410701).
Deve, peraltro, rilevarsi che, contrariamente a quanto lamentato dal ricorrente, la corte territoriale ha effettuato una compiuta ed adeguata disamina dei profili di responsabilita’ dell’imputato in relazione alle varie ipotesi di intestazione fittizia contestate, ancorche’ oggetto di valutazione congiunta ed unitaria e del resto il vizio di motivazione per superare il vaglio di ammissibilita’ non deve essere diretto a censurare genericamente la valutazione di colpevolezza, ma deve, invece, essere idoneo ad individuare un preciso difetto del percorso logico argomentativo offerto dalla corte di merito, sia esso identificabile come illogicita’ manifesta della motivazione, sia esso inquadrabile come carenza od omissione argomentativa; quest’ultima declinabile sia nella mancata presa in carico degli argomenti difensivi, sia nella carente analisi delle prove a sostegno delle componenti oggettive e soggettive del reato contestato.
In conclusione deve osservarsi come le censure formulate quanto ai profili di responsabilita’ del (OMISSIS) o sono prospettate in termini del tutto generici ovvero risultano, sostanzialmente, avanzate per sollecitare una inammissibile rilettura delle emergenze processuali delle quali i giudici di merito, con un ragionamento congruo, adeguato immune da vizi di manifesta illogicita’, percio’ non censurabile in sede di legittimita’, hanno tratto conferma della fondatezza dell’ipotesi accusatoria in ordine alle condotte delittuose contestate al predetto imputato.
1.2.3. I motivi aggiunti, con i quali parte ricorrente ha sollevato la questione della maturata prescrizione di alcune condotte, sono privi di valenza alcuna in quanto la difesa non tiene conto dei tempi di prescrizione in ragione della contestata e riconosciuta recidiva specifica.
Ed, infatti, in tema di prescrizione, per determinare la durata del termine nel caso in cui sia stata contestata ed applicata la recidiva specifica bisogna fare riferimento all’aumento massimo di pena previsto dall’articolo 99, commi 2, 3 e 4 con il limite, pero’, fissato dall’articolo 99 c.p., comma 6, (Sez. 5 -, Sentenza n. 44099 del 24/09/2019 Ud. (dep. 29/10/2019) Rv. 277607 – 01).
Occorre pure considerare che la recidiva reiterata, specifica e infraquinquennale, in quanto circostanza aggravante ad effetto speciale, incide sia sul computo del termine-base di prescrizione ai sensi dell’articolo 157 c.p., comma 2, sia sull’entita’ della proroga di suddetto termine in presenza di atti interruttivi, ai sensi dell’articolo 161 c.p., comma 2, (Sez. 2 -, Sentenza n. 57755 del 12/10/2018 Ud. (dep. 20/12/2018) Rv. 274721 – 01).
Invero l’articolo 157 c.p., comma 2 stabilisce testualmente che, per determinare il tempo necessario a prescrivere, si ha riguardo alla pena stabilita dalla legge per il reato (consumato o tentato), tenendo conto del solo aumento per le circostanze aggravanti per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinarla e per quelle ad effetto speciale. Circostanze aggravanti “ad effetto speciale” sono, ai sensi dell’articolo 63 c.p., comma 3, u.p., “quelle che importano un aumento (…) della pena superiore ad un terzo”.
La contestata recidiva puo’ comportare, ai sensi dell’articolo 99, comma 2, un aumento di pena pari alla meta’: cio’ ne evidenzia la natura di circostanza aggravante ad effetto speciale, peraltro pacificamente riconosciutale dal Supremo collegio (Sez. un., sentenza n. 20798 del 24 febbraio 2011, P.G. in proc. Indelicato, CED Cass. n. 249664: “La recidiva e’ circostanza aggravante ad effetto speciale quando comporta un aumento di pena superiore a un terzo”).
Di essa deve, pertanto, tenersi conto, dell’ex articolo 157 c.p., comma 2, ai fini della determinazione del tempo necessario a prescrivere. Nel caso di specie, per i reati puniti con pena edittale massima pari ad anni sei di reclusione, la contestata recidiva comporta l’applicabilita’ di una pena massima pari ad anni nove di reclusione: ai sensi dell’articolo 157 c.p., comma 1, tale e’ il tempo necessario a prescrivere, oltre aumenti per il sopravvenire di eventi interruttivi.
L’articolo 161 c.p., comma 2, stabilisce che, con riguardo ai reati per i quali attualmente si procede, in nessun caso l’interruzione della prescrizione (disciplinata, quanto agli eventi processuali interruttivi, dall’articolo 160 c.p.) puo’ comportare l’aumento di piu’ del tempo necessario a prescrivere nel caso di cui all’articolo 99 c.p., comma 2.
Questa disciplina e’ stata tradizionalmente interpretata nel senso che la recidiva de qua incida due volte sulla determinazione del termine di prescrizione, dapprima quanto al computo del termine-base in riferimento alla pena edittale massima, poi quanto all’entita’ della proroga del predetto termine in presenza di eventi interruttivi (per tutte, Sez. 5, sentenza n. 35852 del 7 giugno 2010, CED Cass. n. 240502, e conformi ivi citate). E’, peraltro, noto al collegio l’isolato orientamento della Corte di Cassazione (Sez. 4, n. 47269 del 9.9.2015, CED Cass. n. 265518), a parere del quale, in tema di prescrizione, e’ possibile tener conto della recidiva reiterata al fine dell’individuazione del termine prescrizionale-base, ai sensi dell’articolo 157 c.p., comma 2, o del termine massimo, ai sensi dell’articolo 161, comma 2, ma non contemporaneamente per tali fini, altrimenti ponendosi a carico del reo lo stesso elemento, in violazione del principio del ne bis in idem sostanziale (in applicazione del principio, la Corte ha ritenuto in concreto applicabile il solo aumento di due terzi l’ex articolo 99 c.p., comma 4, in considerazione della pluralita’ degli atti interruttivi), orientamento che, tuttavia, non puo’ in alcun modo essere condiviso
Tale arresto, preso atto di quanto testualmente disposto dall’articolo 161 c.p., comma 2, e pur convenendo, in motivazione, sulla natura di circostanza ad effetto speciale della recidiva reiterata (che come tale “puo’ certamente essere presa in considerazione ai fini del calcolo del termine prescrizionale – base”), in dichiarata applicazione del principio del ne bis in idem sostanziale (asseritamente costituente “principio immanente all’ordinamento e di portata generale”, “enucleabile da una fitta trama di dati legislativi”), rimette all’interprete – in difetto di espliciti riferimenti normativi – la determinazione della rilevanza da attribuire alla predetta forma di recidiva caso per caso; e, nel caso di specie, le attribuisce rilevanza soltanto all’ex articolo 161 c.p., comma 2, “in considerazione della pluralita’ di atti interruttivi”. L’orientamento suindicato non considera, peraltro, che in tutti i casi esemplificativamente menzionati quali applicazioni dell’enunciato principio generale (articoli 15, 61, 62, 68, e 301 c.p., articolo 581 c.p., comma 2) e’ il legislatore che lungi dal rimettere la relativa opzione all’assoluto arbitrio dell’interprete – indica i criteri in applicazione dei quali desumere la specifica rilevanza da attribuire in concreto all’elemento in astratto suscettibile di assumere doppia valenza; il che, in tema di prescrizione, non accade, a riprova dell’inapplicabilita’ del principio.
Deve aggiungersi che, secondo il canone interpretativo ormai consolidato della giurisprudenza costituzionale, tra piu’ possibili interpretazioni di una norma, si deve scegliere quella conforme a Costituzione (per tutte, Corte Cost., ord. n. 459 del 1991, e plurime successive conformi): nel caso di specie, rimettere, in tema di prescrizione, all’assoluto arbitrio dell’interprete la rilevanza della recidiva specifica quanto alla sola determinazione del solo termine-base (ex articolo 157 c.p., comma 2), oppure alla sola determinazione dell’entita’ della proroga del predetto termine-base in presenza di eventi interruttivi (ex articolo 161 c.p., comma 2), esporrebbe la complessiva disciplina della prescrizione che ne risulterebbe ad intuibili, e fondate, censure di costituzionalita’ per difetto di tassativita’.
E’ di tutta evidenza che tenuto conto del tempus commissi delicti (quale risulta dai capi di imputazione) e dei tempi di prescrizione calcolati tenuto conto della recidiva contestata non risulta maturata alcuna prescrizione (la prescrizione piu’ breve e’ al 24 Maggio 2023).
2. Il ricorso di (OMISSIS) e’ inammissibile.
2.1. Tutte le censure proposte, da esaminare congiuntamente in quanto fra loro connesse, sono generiche, aspecifiche e, comunque, manifestamente infondate.
La corte di appello, con argomentazioni che non appaiono ne’ carenti ne’ illogiche ne’ contraddittorie, valorizzando le complessive emergenze costituite da numerose ed inequivoche captazioni telefoniche (richiamate in modo specifico), dalle citate indagini bancarie nonche’ dalla accertata partecipazione del ricorrente all’incontro dell’8 aprile 2011 a Isola di Capo Rizzuto per rendere conto della gestione delle societa’ cui l’attivita’ di autotrasporto era stata trasferita, ha chiarito come risultava dimostrato che (OMISSIS), per conto del fratello (OMISSIS), aveva compiuto atti di gestione della societa’ (OMISSIS) s.r.l. e della (OMISSIS) s.r.l. (possidenze illecite provenienti dal reato associativo e dai reati-fine commessi dal predetto (OMISSIS)) fra i quali l’attivazione di tessere Viacard, la revisione dei conti aziendali e la trattativa per la vendita di mezzi industriali.
Non coglie, quindi, nel segno la generica contestazione – finalizzata, peraltro ad una diversa lettura dei dati processuali – secondo cui nella specie mancherebbe la prova dell’impiego di capitali illeciti e, comunque, difetterebbe l’elemento del dolo emergendo che l’imputato era intervenuto “soltanto occasionalmente in un contesto di aiuto ad un proprio familiare”.
Occorre, invero, rilevare che il reato di reimpiego di denaro, beni o utilita’ di provenienza delittuosa, previsto dall’articolo 648 ter c.p., e’ un delitto a forma libera realizzabile attraverso condotte caratterizzate da un tipico effetto dissimulatorio e finalizzate ad ostacolare l’accertamento o l’astratta individuabilita’ dell’origine delittuosa del denaro, dei beni o delle altre utilita’ che si intendono occultare. (Sez. 2, Sentenza n. 33076 del 14/07/2016 Cc. (dep. 28/07/2016) Rv. 267691 – 01, ipotesi certamente verificatasi nella fattispecie de qua alla luce di quanto riscontrato dai giudici di merito con argomentazioni congrue e prive di aporie logico-giuridiche.
Per quanto concerne le contestazioni avanzate dal ricorrente, circa la valenza delle intercettazioni in questione, a parte l’estrema genericita’ delle censura formulata (dato questo che gia’ di per se’ rende la stessa priva di valenza alcuna in quanto totalmente aspecifica) sul punto va richiamato l’orientamento secondo cui “in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimita’” (cfr., Cass. SS.UU. n. 22471 del 26.02.2015 – dep. 28.05.2015, Sebbar, Rv. 26371501).
Appare, dunque, del tutto infondata la deduzione dell’imputato secondo cui la corte di appello si sarebbe limitata a riportare “brani” di conversazioni telefoniche “considerando avvenuti fatti e comportamenti oggetto di contestazione”.
Va, invero, rilevato che secondo il diritto vivente, e’ preclusa alla Corte di cassazione “la possibilita’ di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch’essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o comunque di attendibilita’ delle fonti di prova” (cosi’ Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Ferri, Rv. 273217; in senso conforme, ex plurimis, v. Sez. 5, n. 15041 del 24/10/2018, dep. 2019, Battaglia, Rv. 275100, in motivazione; Sez. 4, n. 1219 del 14/09/2017, dep. 2018, Colomberotto, Rv. 271702; Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv. 269217; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482; da ultimo cfr. Sez. 2, n. 23338 del 07/07/2020, Saccenti, non mass.).
La valutazione dei dati probatori, il giudizio sull’attendibilita’ dei testi e sulla credibilita’ di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute piu’ idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento (Sez. 5, n. 8188 del 04/12/2017, dep. 2018, Grancini, Rv. 272406, in motivazione; Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, D’Ippedico, Rv. 271623; Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, Cammarota, Rv. 262575; Sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011, Tosto, Rv. 25036.
A fronte della ricostruzione delle condotte delittuose in esame appare, quindi, di tutta evidenza che la tesi difensiva non e’ diretta a contestare la logicita’ dell’impianto argomentativo delineato nella motivazione della decisione impugnata, ma si risolve nella contrapposizione, a fronte del giudizio espresso dai giudici di merito, di una alternativa ricostruzione dei fatti, evidentemente sottratta alla delibazione di questa Suprema Corte in ragione dei limiti posti alla cognizione di legittimita’ dall’articolo 606 c.p.p..
2.2. In ragione della inammissibilita’ del ricorso principale non vanno esaminati i motivi nuovi di cui alla memoria depositata in data 20 Gennaio 2021, ai sensi dell’articolo 585 comma 4 c.p.p.
3. Il ricorso di (OMISSIS) e’ inammissibile.
3.1. Il primo motivo di impugnazione risulta proposto per motivi non consentiti e, comunque, manifestamente infondati.
Giova premettere, in sintesi, che la ricorrente contesta la sentenza impugnata nella parte in cui e’ stata confermata la affermazione della sua responsabilita’ per il reato di intestazione fittizia di cui al capo f) dell’imputazione riguardante la societa’ (OMISSIS) s.r.l. il cui reale dominus e’ risultato essere (OMISSIS), in particolare, osservando come non possa configurare il delitto in questione la costituzione meramente formale di una societa’, intestata a un terzo, ma nella disponibilita’ di un altro soggetto, assurgendo detta intestazione a mero atto preparatorio che non supera la soglia di punibilita’, difettando ogni concretizzazione di un pericolo, non verificatosi nella specie.
Rileva, poi, che motivazione della sentenza impugnata, in punto di configurabilita’ ne(caso di specie dell’elemento soggettivo di detto delitto, risultava fortemente contraddittoria in quanto se la ditta di autotrasporti era riferibile anche familiari del (OMISSIS), tanto da beneficiare dei proventi la stessa, l’intestazione non poteva ritenersi, di per se’, fittizia ed aggiunge che nel caso in questione nessuna valutazione era stata compiuta sia con riguardo alla data di costituzione della societa’ in questione rispetto alla condizione soggettiva del (OMISSIS) e sia soprattutto riguardo al compimento del negozio giuridico elusivo cui l’odierna ricorrente avrebbe prestato il consenso, posto che la stessa non si era fatta intestataria di quote sociali di una societa’ gia’ esistente, ma avrebbe costituito, unitamente alla sorella di (OMISSIS) ( (OMISSIS)), una societa’ ex novo che, di fatto, non aveva avuto mai alcuna concreta operativita’ e non aveva avuto nessun valore economico.
Osserva, ancora, che nessuna finalita’ specifica era da ritenere ascrivibile alla condotta della ricorrente tenuto conto che sia (OMISSIS) che l’imputata avevano affermato, nell’immediatezza dei fatti, che le societa’ erano nella disponibilita’ del primo e che erano state in effetti fittiziamente intestate alla ricorrente, non risultando, quindi, dimostrata la finalita’ elusiva e, conseguentemente, il dolo specifico richiesto dalla fattispecie incriminatrice.
Tutte le censure formulate sono da ritenere del tutto generiche, in fatto e, comunque, manifestamente infondate.
Va, invero, rilevato che ai fini della configurabilita’ del reato di trasferimento fraudolento di valori, previsto dalla L. n. 356 del 1992, articolo 12-quinquies e’ sufficiente l’accertamento dell’attribuzione fittizia ad altri della titolarita’ o della disponibilita’ di denaro, beni o altre utilita’, senza che al giudice sia anche richiesto l’apprezzamento della concreta capacita’ elusiva dell’operazione patrimoniale accertata, trattandosi di situazione estranea agli elementi costitutivi del fatto incriminato. (Sez. 5, Sentenza n. 40278 del 06/04/2016 Ud. (dep. 28/09/2016) Rv. 268200 – 01).
Si e’, poi, osservato che il delitto di trasferimento fraudolento di valori (gia’ previsto dal Decreto Legge 8 giugno 1992, n. 306, articolo 12-quinquies conv. in L. 7 agosto 1992, n. 356 e ora dall’articolo 512-bis c.p.) integra un’ipotesi di reato a forma libera, istantaneo con effetti permanenti, che si consuma nel momento in cui viene realizzata consapevolmente la difformita’ tra titolarita’ formale e apparente e titolarita’ di fatto dei beni, con il dolo specifico di eludere le disposizioni di legge in materia di prevenzione o di agevolare la commissione di uno dei delitti di cui agli articoli 648, 648-bis e 648-ter c.p. (Sez. 3 -, Sentenza n. 23097 del 08/05/2019 Ud. (dep. 24/05/2019) Rv. 276199 – 01).
E’ stato, pure, condivisibilmente chiarito che il delitto di trasferimento fraudolento di valori di cui al Decreto Legge 8 giugno 1992, articolo 12 quinquies e’ un reato di pericolo astratto, essendo sufficiente, per la sua commissione, che l’agente, sottoposto o sottoponibile ad una misura di prevenzione, compia un qualsiasi negozio giuridico al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniali; ne consegue che la valutazione circa il pericolo di elusione della misura va compiuta “ex ante”, su base parziale, ovvero, alla stregua delle circostanze che, al momento della condotta, erano conosciute o conoscibili da un uomo medio in quella determinata situazione spazio – temporale. (Fattispecie relativa ad intestazione di quote fiduciarie alla figlia dell’imputato, nella quale la S.C. ha annullato la decisione della corte territoriale per difetto di motivazione in ordine al pericolo, non essendo stati indicati gli elementi di fatto idonei a far temere all’imputato di essere sottoposto a misura di prevenzione, avuto riguardo al carattere risalente dei precedenti, per i quali era in parte intervenuta la riabilitazione, ed alla sentenza di assoluzione pronunciata). (Sez. 2, Sentenza n. 12871 del 09/03/2016 Ud. (dep. 30/03/2016) Rv. 266661 – 01.
Dunque, non e’ in alcun modo sostenibile, non trovando alcuno appiglio nella normativa richiamata come pacificamente interpretata dalla Suprema Corte, la tesi difensiva per cui la costituzione meramente formale di una societa’ intestata a un terzo, ma nella disponibilita’ di un altro soggetto integri mero atto preparatorio non punibile, essendo, come detto, invece sufficiente per la configurazione del delitto in questione un qualsiasi negozio giuridico, non rilevando la immediata effettiva e concreta capacita’ elusiva dell’operazione patrimoniale accertata.
Muovendo da tali considerazioni sono del tutto ininfluenti le questioni prospettate circa l’omesso versamento del capitale sociale e l’inattivita’ della societa’, elementi questi che non mutano i termini della questione.
Il legislatore non ha inteso formalizzare i meccanismi, i quali possono essere i piu’ disparati, attraverso i quali puo’ realizzarsi una “attribuzione fittizia” ne’ ha inteso ricondurre la definizione di “titolarita’” o “disponibilita’” entro schemi tipizzati di carattere civilistico; la disciplina intende, infatti, lasciare libero il giudice del merito di procedere a tutti gli accertamenti necessari e pervenire – senza vincoli di carattere formale – ad un giudizio concreto degli elementi logici e fattuali sulla cui falsariga pervenire all’accertamento del “fatto storico” apparente, rispetto a quello reale, e dello scopo specifico che ha qualificato siffatta condotta, altrimenti penalmente neutra.
Da un lato, pertanto, i termini titolarita’ e disponibilita’ impongono di comprendere nella previsione normativa non solamente le situazioni del proprietario e del possessore, ma anche quelle nelle quali il soggetto venga, comunque, a trovarsi in un rapporto di signoria col bene; dall’altro lato, impongono, altresi’, di considerare ogni meccanismo che realizzi la fittizia attribuzione, consentendo al soggetto incriminato di mantenere il proprio rapporto con il bene (vedi, fra le altre, Cass., Sez. 1, 26 aprile 207, n. 30165, Di Cataldo; Cass., Sez. 2, 9 luglio 2004, n. 38733, P.M. in proc. Casillo).
Si e’ condivisibilmente rimarcato come la creazione, da una originaria societa’, di ulteriori e nuove societa’ fittizie, cosi’ pure le plurime intestazioni fittizie di quote di societa’ possono realizzare, attraverso un reticolo di operazioni simulate, un assetto che rende oltremodo difficile se non impossibile, l’individuazione della reale proprieta’ dei beni in questione, agevolandone la sottrazione alle legittime pretese dello Stato” (Cass., Sez. 6, 11 dicembre 2008, n. 10024, P.M. in proc. Noviello). Deve, invero, ritenersi che integra il reato di trasferimento fraudolento di valori la fittizia costituzione di una nuova societa’ commerciale volta ad eludere le disposizioni di legge in materia di prevenzione patrimoniale, attraverso l’intestazione delle quote a soggetti utilizzati come prestanome dei reali proprietari. Specie, dunque, nei casi in cui, come nella vicenda in esame, la condotta di attribuzione fittizia della titolarita’ o disponibilita’ dei beni si realizzi attraverso lo schermo sociale, mediante operazioni che ne trasformino l’assetto e le relative attivita’, i singoli fatti non possono essere atomisticamente apprezzati, ma devono necessariamente inquadrarsi nell’ambito di una concatenata – e logicamente inscindibile – serie di condotte, tutte causalmente orientate al raggiungimento dell’obiettivo dissimulatorio che la norma in questione intende scongiurare e punire.
In tale ambito, dunque, il reato si atteggia alla stregua di una fattispecie a condotta plurima o frazionata, in ordine alla quale una serie di atti trasformativi concatenata realizza una azione unitaria che si esaurisce e si qualifica – sul piano della individuazione del relativo momento consumativo – con il raggiungimento dell’assetto stabile e definitivo della nuova “apparenza” della compagine sociale.
Ebbene, di tali principi i giudici del merito hanno fatto puntuale applicazione mettendo in luce l’intera gamma delle “operazioni” poste in essere ai detti fini dal (OMISSIS) – d’ intesa con i prestanome odierni imputati fra cui la (OMISSIS) – autore della “vorticosa creazione di una serie di societa’ con ulteriori frequenti volturazioni dei mezzi industriali ed altrettanto frequenti mutamenti della composizione ed anche della ragione sociale, che nessuna ragione avevano di finalita’ di elusione di recuperi fiscali” sino alla costituzione della (OMISSIS) s.r.l. intestata alla ricorrente (OMISSIS) (madre) ed a (OMISSIS) (sorella), operazione questa che, sulla scorta dei principi sopra richiamati, va sicuramente inquadrata nel meccanismo fraudolento contestato.
Pure la censura sulla asserita insussistenza dell’elemento soggettivo del reato non coglie in alcun modo nel segno avendo la corte di merito dato puntuale spiegazione (anche mediante rinvio alle posizioni di altri coimputati) delle ragioni per cui ha ritenuto comprovata la consapevolezza, in capo alla ricorrente, della finalita’ di elusione dell’applicazione di misure di prevenzione del negozio giuridico in esame, argomentazioni a fronte delle quali la ricorrente sollecita una diversa lettura in fatto degli accadimenti prospettando, ad esempio, come dalla intercettazioni non sarebbe emerso il suo consenso a tale operazione.
Priva di pregio alcuno e’, poi, la contestazione secondo cui nel caso in esame difetterebbe ogni “effetto elusorio” delle misure patrimoniali previste dalla normativa antimafia trattandosi di intestazioni dei beni alla madre di (OMISSIS) e posto che le misure di prevenzione patrimoniali, in ipotesi di pericolosita’ specifica derivante dell’appartenenza di un soggetto a consessi mafiosi vengono “solitamente applicate anche nei confronti dei membri della famiglia d’origine (in qualita’ di terzi e non solo del proposto)”.
Va, invero, rilevato che l’applicabilita’ del Decreto Legislativo 6 settembre 2011, n. 159, articolo 26, comma 2, – che prevede presunzioni d’interposizione fittizia destinate a favorire l’applicazione di misure di prevenzione patrimoniali antimafia – non impedisce di configurare il delitto di cui alla L. 7 agosto 1992, n. 356, articolo 12 quinquies. (Sez. U, Sentenza n. 12621 del 22/12/2016 Cc. (dep. 16/03/2017) Rv. 270087 – 01.
Le S.U., nella parte motiva della citata sentenza, hanno avuto modo di rilevare come vi sia “sovrapposizione fra la condotta incriminata – il cui disvalore si esaurisce mediante l’utilizzazione di meccanismi interpositori in grado di determinare la (solo) formale attribuzione (Sez. U., n. 8 del 28 febbraio 2001, Ferrarese, in motivazione) – ed il meccanismo delle presunzioni di fittizieta’ destinate ad agevolare le misure di prevenzione patrimoniale, poiche’ l’applicabilita’ del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 26, comma 2 (e nel previgente sistema della L. n. 575 del 1965, articolo 2-ter, u.c.) non esclude la possibilita’ di configurare, eventualmente anche a titolo di concorso, nei confronti dei soggetti che partecipano alle operazioni di trasferimento o di intestazione fittizia, il reato di trasferimento di valori di cui all’articolo 12-quinquies, trattandosi di norme relative a situazioni aventi presupposti operativi ed effetti completamente differenti (Sez. 2, n. 5595 del 27/10/2011, dep. 2012, Cuscina’, Rv. 252696; Sez. 6, n. 20769 del 06/05/2014, Barresi, Rv. 259609; Sez. 6, n. 37375 del 06/05/2014, Filardo, Rv. 261656; Sez. 2, n. 13915 del 09/12/2015, dep. 2016, Scriva e altri, Rv. 266386.
3.2. Il secondo motivo e’, anch’ esso, manifestamente infondato.
Va premesso che la sussistenza di circostanze attenuanti rilevanti ai sensi dell’articolo 62-bis c.p. e’ oggetto di un giudizio di fatto e puo’ essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, di talche’ la stessa motivazione, purche’ congrua e non contraddittoria, non puo’ essere sindacata in cassazione neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato (Cass. 28535/2014, rv. 259899; Cass. 34364/2010, rv. 248244; Cass. 42688/2008, rv 242419).
Il giudice, nell’esercizio del suo potere discrezionale deve quindi motivare nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente la sua valutazione circa l’adeguamento della pena concreta alla gravita’ effettiva del reato ed alla personalita’ del reo. Pertanto il diniego delle circostanze attenuanti generiche puo’ essere legittimamente fondato anche sull’apprezzamento di un solo dato negativo, oggettivo o soggettivo, che sia ritenuto prevalente rispetto ad altri, disattesi o superati da tale valutazione. E’ pertanto sufficiente il diniego anche soltanto in base ai precedenti penali dell’imputato, perche’ in tal modo viene formulato comunque, sia pure implicitamente, un giudizio di disvalore sulla sua personalita’ (Cass. 3896/2016, rv. 265826; Cass. 3609/2011, rv. 249163; Cass. 41365/2010, rv. 248737).
Nella specie la corte territoriale ha chiarito le ragioni per le quali non potevano concedersi le chieste attenuanti generiche in considerazione dei precedenti penali dell’imputata, della gravita’ dei fatti contestati e della mancata allegazioni di significativi di segno positivo e, conseguentemente, essendo stato correttamente esercitato il potere discrezionale spettante al giudice di merito in ordine al trattamento sanzionatorio considerato in generale, ivi compresa la questione della concedibilita’ delle attenuanti generiche, il relativo esercizio si sottrae ad ogni censura di legittimita’.
4. Il ricorso di (OMISSIS) e’ inammissibile.
4.1. Il primo motivo, riguardante la richiesta di rinnovazione dell’istruttoria in secondo grado a mezzo di perizia calligrafia al fine di accertare la autenticita’ della scrittura privata del 24 Novembre 2019, e’ manifestamente infondato attesa la presunzione di completezza dell’istruttoria espletata in primo grado e il carattere eccezionale dell’istituto della rinnovazione dell’istruttoria nel giudizio di appello (per tutte: Cass., sez. un., 25 marzo 2016, n. 12602, rv. 266820).
La corte territoriale, con una motivazione congrua e corretta in diritto, ha, del resto, chiarito le ragioni della superfluita’ di tale istanza istruttoria ponendo correttamente l’accento che fatto che la firma apposta in calce a detta scrittura (OMISSIS) non era mai stata formalmente disconosciuta dalla diretta interessata “pure sottopostasi ad esame gia’ nel corso delle indagini preliminari” e che la relativa questione, circa il carattere apocrifo della scrittura, era stata sollevata per la prima volta dalla difesa in primo grado in sede di discussione, precisando che la richiesta in questione aveva carattere esplorativo e si basava su mere congetture.
Trattasi di motivazione congrua e corretta in diritto tale da resistere alle censure dell’imputata.
4.2. Il secondo motivo e’ manifestamente infondato.
Infatti il reato di reimpiego di denaro, beni o utilita’ di provenienza delittuosa, previsto dall’articolo 648 ter c.p., e’ un delitto a forma libera, potendo l’impiego delle risorse di illecita provenienza in attivita’ economiche o finanziarie essere realizzata in qualsiasi modo; il termine “impiego” rimanda a nozioni volutamente non tecniche, dovendosi intendere per tale qualsiasi tipo e qualsiasi forma di “utilizzazione” e/o di “investimento” dei capitali illeciti, con l’unica specificazione e limitazione che si tratti di un impiego in attivita’ economiche o finanziarie.
Quanto al profilo soggettivo risulta, poi, sufficiente la mera consapevolezza da parte di cui impiega il denaro, i beni o altre utilita’ della loro provenienza da delitto.
Nel caso in esame la corte di appello, con motivazione adeguata e priva di aporie logico-giuridiche, ha ricostruito le vicende oggetto di imputazione chiarendo come l’imputata, la quale aveva riconosciuto anche di essere una mera prestanome del fratello (sia pure per asserite mere finalita’ di natura fiscale, peraltro solo genericamente prospettate), consapevole del fatto che (OMISSIS) era un autorevole componente di una associazione di stampo mafioso dedito ad attivita’ illecite e gia’ condannato per il reato di cui all’articolo 416 bis c.p., nella qualita’ di legale rappresentante della (OMISSIS) s.r.l. aveva ratificato qualunque atto gestorio o dispositivo della societa’ nella consapevolezza che tutto veniva deciso dal congiunto, ponendo, di fatto, in essere attivita’ negoziali necessarie per reimpiegare i proventi illeciti di quest’ ultimo, valorizzando in chiave logica la tempistica degli atti dispositivi incriminati.
Parte ricorrente enfatizza eccessivamente il dato, in se’ irrilevante, relativo all’esclusione della circostanza aggravante Decreto Legge n. 152 del 1991, ex articolo 7 (convertito con L. n. 203 del 1991) “per avere commesso il fatto allo scopo di favorire l’associazione di stampo mafioso cui risultava appartenere (OMISSIS)”.
Assume che dal momento che stato chiarito che successivamente al novembre 2009 solamente (OMISSIS) ed suoi familiari erano stati gli unici beneficiari dell’attivita’ economica svolta in Emilia-Romagna, non era dato comprendere la ragione per cui se le societa’, asseritamente facenti capo al ricorrente per tutto il corso del tempo delle rispettive operativita’, non avevano condiviso alcunche’ con la cosca mafiosa di riferimento, era possibile sostenere che l’origine delle sostanze utilizzate per costituire la societa’ stesse e le relative aziende andava ricercata in presunti illeciti provenienti dalla cosca medesima, profilo a suo dire del tutto trascurato dalla corte di appello.
Tuttavia deve replicarsi che la predetta imputata finisce per trascurare del tutto la circostanza che, secondo la conforme ricostruzione operata dai giudici di merito, il reimpiego in questione ha riguardato i profitti personali di (OMISSIS) ma, comunque, derivanti dalla sua appartenenza al clan mafioso e di origine delittuosa (vedi pag. 10 ove si evidenzia, con congrue argomentazioni, che i provenenti utilizzati nell’ambito della citate societa’ provenivano dai reati.
Orbene a fronte di tutto quanto esposto dai giudici di merito la ricorrente, nel rilevare carenze motivazionali e l’assenza di adeguati dati probatori, contrappone unicamente contestazioni in fatto con le quali propone solo una non consentita – in questa sede di legittimita’ – diversa lettura degli elementi valutati dai giudici di merito, senza evidenziare alcuna manifesta illogicita’; l’imputata tenta, in realta’, di far leva sulla asserita autonomia dei singoli elementi indiziari e, quindi, di frazionare l’insieme del quadro probatorio al fine di meglio confutarlo.
Per contro, come ha ripetutamente ritenuto la Suprema Corte, la rilevanza dei singoli dati non puo’ essere accertata estrapolandoli dal contesto in cui essi sono inseriti, ma devono essere posti a confronto con il complesso probatorio, dal momento che soltanto una valutazione globale e una visione di insieme permettono di verificare se essi rivestano realmente consistenza decisiva oppure se risultino inidonei a scuotere la compattezza logica dell’impianto argomentativo, dovendo intendersi, in quest’ultimo caso, implicitamente confutati.
4.3. Il terzo motivo, sostanzialmente sovrapponibile a quello proposto da (OMISSIS), risulta proposto per motivi non consentiti ed e’ da ritenere manifestamente infondato per le ragioni gia’ indicate al § 3.1. del “considerato in diritto” che qui devono intendersi integralmente richiamate al fine di confutare la tesi difensiva.
5. Il ricorso di (OMISSIS) e’ inammissibile.
5.1. Il primo motivo e’ generico, aspecifico e, comunque, manifestamente infondato.
Le censure risultano avanzate per sollecitare un’inammissibile rilettura delle emergenze processuali dalle quali i giudici di merito, con un ragionamento immune da vizi di manifesta illogicita’, percio’ non censurabile in sede di legittimita’, hanno tratto conferma della fondatezza dell’ipotesi accusatoria.
La corte di appello ha esaminato e puntualmente disatteso la diversa ricostruzione prospettata dalla difesa in punto di accertamento degli elementi costitutivi della penale responsabilita’ dell’imputato in ordine all’attivita’ di illecito reimpiego contestata di cui al capo C1), ponendo in evidenza, attraverso il richiamo ai passaggi motivazionali gia’ esaustivamente delineati nella prima decisione, i dirimenti elementi di fatto idonei a dimostrare la responsabilita’ del predetto, quale vero e proprio prestanome del (OMISSIS).
I giudici territoriali hanno rilevato come l’ingente materiale captativo era univoco nel senso di smentire la tesi dell’imputato di essere il reale proprietario della (OMISSIS); che risultava che l’imputato, marito di una sorella di (OMISSIS), aveva rilevato le quote della (OMISSIS) s.r.l. (gia’ (OMISSIS) s.r.l.”) dalla (OMISSIS) che per sua stessa ammissione era una mera prestanome del fratello (OMISSIS); che il (OMISSIS) (titolare di un reddito pari ad Euro 10.000,00 per l’anno 2007 e di un reddito pari a zero per gli anni successivi) non aveva alcuna disponibilita’ finanziaria per procedere all’acquisto delle quote societarie e degli automezzi in questione.
Non puo’, sottacersi, come il (OMISSIS) non si confronta in alcun modo con l’inequivoco contenuto delle intercettazioni a lui riferibili citate nella sentenza di primo grado ai ff. 32-33 da cui emergeva lo stato di “subordinazione” dell’imputato a (OMISSIS) (in particolare la conversazione dell’8 Giugno 2011 nel corso della quale l’imputato non esita ad esclamare: ” (OMISSIS) qua e’ il padrone”).
Il motivo proposto, invero, non evidenzia aporie logiche evidenti ne’ violazioni di regole inferenziali, ma si limita a segnalare soltanto possibili difformi valutazioni degli elementi probatori raccolti (peraltro richiamati del tutto genericamente e solo in parte) il che costituisce compito precipuo del giudice del merito, non di quello di legittimita’, che non puo’ prendere in considerazione quale ipotetica illogicita’ argomentativa la mera possibilita’ di un’ipotesi alternativa rispetto a quella ritenuta in sentenza.
Deve precisarsi che censura dell’imputato secondo cui difettava la prova che il complesso dei beni aziendali delle societa’ acquistate dal ricorrente provenisse dal delitto presupposto di cui all’ipotesi di accusa, essendo tale dato” smentito dagli atti processuali ed, in particolare, dalla nota RONI c.c. di Bologna nel 28/09/2012 agli atti, totalmente obliterata dalla corte” e’ totalmente inammissibile in quanto carente sotto il profilo dell’autosufficienza, non avendo l’imputato ne’ prodotto tale atto ne’ integralmente richiamo il relativo contenuto.
5.1. La motivazione in punto di conferma del diniego delle circostanze attenuanti generiche, in ragione della “callida e spregiudicata condotta in concreto serbata” dall’imputato ed in considerazione della totale assenza di elementi di segno positivo e’ da ritenere immune da censure, sulla scorta di principi di diritto gia’ richiamati al § 3.2. del “considerato in diritto”.
6. Il ricorso di (OMISSIS) e’ inammissibile.
6.1. Rileva la Corte che la ricorrente, condannata per il reato Decreto Legge n. 306 del 1992, ex articolo 12-quinquies convertito in L. n. 356 del 1992, di cui al capo F) riguardate la intestazione fittizia della (OMISSIS) s.r.l., solo formalmente ha indicato vizi della motivazione della decisione gravata, ma non ha, invero, prospettato alcuna reale contraddizione logica, intesa come implausibilita’ delle premesse dell’argomentazione, irrazionalita’ delle regole di inferenza, ovvero manifesto ed insanabile contrasto tra quelle premesse e le conclusioni ne’ e’ stata lamentata, come pure sarebbe stato astrattamente possibile, una incompleta descrizione degli elementi di prova rilevanti per la decisione, intesa come incompletezza dei dati informativi desumibili dagli atti del procedimento, non confrontandosi in alcun modo con le ampie argomentazioni delle sentenza di merito in punto di affermazione della responsabilita’ della stessa (v. sent. primo grado ff. 45-46 e sent. appello ff. 18-19).
In relazione a tale circostanza deve rilevarsi la chiara inammissibilita’ delle censure perche’ la ricorrente muove censure totalmente aspecifiche e, come detto, non si confronta con gli effettivi argomenti utilizzati in sede di motivazione del provvedimento impugnato in ordine alla affermazione della sua responsabilita’ per il reato in questione.
La mancanza di specificita’ del motivo, infatti, deve essere apprezzata non solo per la sua genericita’, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificita’ conducente, a mente dell’articolo 591 c.p.p., comma 1, lettera c), all’inammissibilita’ (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, Rv. 268823; Sez. 2, Sentenza n. 11951 del 29/01/2014 Rv. 259425, Lavorato; Sez. 4, 29/03/2000, n. 5191, Barone, Rv. 216473; Sez. 1, 30/09/2004, n. 39598, Burzotta, Rv. 230634; Sez. 4, 03/07/2007, n. 34270, Scicchitano, Rv. 236945; Sez. 3, 06/07/2007, n. 35492, Tasca, Rv. 237596).
7. In conclusione il ricorso di (OMISSIS) deve essere rigettato con condanna del predetto al pagamento delle spese processuali.
Va, infine, dichiarata l’inammissibilita’ dei ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) che vanno condannati al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
rigetta il ricorso di (OMISSIS) che condanna al pagamento delle spese processuali. Dichiara inammissibili i ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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