Corte di Cassazione, penale, Sentenza|24 gennaio 2022| n. 2520.
Il reato di costruzione abusiva ha natura permanente per tutto il tempo in cui continua l’attività edilizia illecita, ed il suo momento di cessazione va individuato o nella sospensione di lavori, sia essa volontaria o imposta ex auctoritate, o nella ultimazione dei lavori per il completamento dell’opera o, infine, nella sentenza di primo grado ove i lavori siano proseguiti dopo l’accertamento e sino alla data del giudizio. Inoltre, deve ritenersi ultimato solo l’edificio concretamente funzionale che possegga tutti i requisiti di agibilità o abitabilità al punto che anche l’uso effettivo dell’immobile, se pure accompagnato dall’attivazione delle utenze e dalla presenza di persone al suo interno, non è sufficiente al fine di ritenere “ultimato” l’immobile abusivamente realizzato, coincidendo l’ultimazione con la conclusione dei lavori di rifinitura interni ed esterni, quali gli intonaci e gli infissi.
Sentenza|24 gennaio 2022| n. 2520. Il reato di costruzione abusiva ha natura permanente
Data udienza 14 dicembre 2021
Integrale
Tag – parola: EDILIZIA ED URBANISTICA – REATI EDILIZI
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROSI Elisabetta – Presidente
Dott. LIBERATI Giovanni – Consigliere
Dott. DI STASI Antonell – rel. Consigliere
Dott. CORBO Antonio – Consigliere
Dott. MENGONI Enrico – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 10/12/2020 della Corte di appello di Venezia
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Antonella Di Stasi;
lette le richieste scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dtt. BERARDINO Paola, che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilita’ del ricorso;
lette per la parte civile le conclusioni scritte dell’avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile o rigettare il ricorso;
lette per l’imputato le conclusioni scritte dell’avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata.
Il reato di costruzione abusiva ha natura permanente
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 10/12/2020, la Corte di appello di Venezia confermava la sentenza emessa in data 14/05/2019 dal Tribunale di Vicenza, con la quale (OMISSIS) era stato dichiarato responsabile dei reati di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 44, comma 1, lettera c), Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 181, comma 1 e articolo 178, comma 1, lettera a), e condannato alla pena di anni due e mesi quattro di reclusione ed Euro 3.000,00 di multa.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS), a mezzo del difensore di fiducia, articolando cinque motivi di seguito enunciati.
Con il primo motivo di ricorso deduce vizio di motivazione in ordine alla la mancata declaratoria della prescrizione per il reato contestato sub a) e b) dell’imputazione.
Argomenta che la Corte territoriale aveva erroneamente valutato che i lavori edilizi non fossero stati ancora ultimati alla data del luglio 2016, in quanto le risultanze istruttorie comprovavano che i lavori contestati si erano effettivamente conclusi nel mese di giugno del 2015 o, al piu’, nel novembre 2015.
Con il secondo motivo di ricorso deduce erronea applicazione di legge penale con riferimento alla definizione di zona boscata lamentando che la Corte di appello aveva omesso l’accertamento sulla natura boschiva dell’area interessata dalle opere contestate, ritenendola tale sulla sola base dei fotogrammi di Google Hearth, insufficienti a dimostrare la presenza di un bosco, da individuarsi in base al Decreto Legislativo n. 227 del 2001, articolo 2, in mancanza di eventuali norme regionali.
Con il terzo motivo di ricorso deduce vizio di motivazione in ordine alla ritenuta validita’ del vincolo nell’area siccome non caratterizzata dalla presenza di un bosco, lamentando che la Corte di appello non aveva fornito risposta alla censura con la quale si evidenziava che dai fotogrammi esaminati si evinceva una progressiva diminuzione della vegetazione boschiva nella zona e, quindi, il venir meno del relativo vincolo.
Il reato di costruzione abusiva ha natura permanente
Con il quarto motivo di ricorso deduce vizio di motivazione in relazione alla grossolanita’ del falso di cui al reato sub c) dell’imputazione, reato da ritenersi impossibile, sulla base dei materiali, delle tecniche di costruzione e degli elementi esterni.
Con il quinto motivo di ricorso deduce violazione dell’articolo 133 c.p., e vizio di motivazione in relazione alla dosimetria della pena, lamentando che erroneamente ed illogicamente la Corte di appello aveva dato rilievo alle dimensioni dell’opera edilizia ed all’intensita’ del dolo desunta alla finalita’ di sfruttamento economico dell’opera ed alla personalita’ dell’imputato.
Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata.
3. Si e’ proceduto in Camera di consiglio senza l’intervento del Procuratore generale e dei difensori delle parti, in base al disposto del Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8, conv. in L. n. 176 del 2020.
Il reato di costruzione abusiva ha natura permanente
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo e’ inammissibile.
Va ricordato che il reato di costruzione abusiva ha natura permanente per tutto il tempo in cui continua l’attivita’ edilizia illecita, ed il suo momento di cessazione va individuato o nella sospensione di lavori, sia essa volontaria o imposta ex auctoritate, o nella ultimazione dei lavori per il completamento dell’opera o, infine, nella sentenza di primo grado ove i lavori siano proseguiti dopo l’accertamento e sino alla data del giudizio (Sez. U., n. 17178 del 27/02/2002, Rv. 221399; Sez. 3, n. 38136 del 25/09/2001, Rv. 220351; Sez. 3, n. 29974 del 06/05/2014, Rv. 260498).
Questa Corte ha, inoltre, affermato che deve ritenersi ultimato solo l’edificio concretamente funzionale che possegga tutti i requisiti di agibilita’ o abitabilita’ (Sez. 3, n. 40033 del 18/10/2011, Cappello, Rv. 250826) al punto che anche l’uso effettivo dell’immobile, se pure accompagnato dall’attivazione delle utenze e dalla presenza di persone al suo interno, non e’ sufficiente al fine di ritenere “ultimato” l’immobile abusivamente realizzato, coincidendo l’ultimazione con la conclusione dei lavori di rifinitura interni ed esterni, quali gli intonaci e gli infissi (Sez. 3, n. 39733 del 18/10/2011, Ventura, Rv. 251424; Sez. 3, n. 48002 del 17/09/2014, Rv. 261153).
Si tratta di un principio affermato anche con riferimento al reato previsto dal Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, articolo 181, comma 1, qualora la fattispecie sia realizzata, come nella specie, attraverso una condotta che si protragga nel tempo, come nel caso di realizzazione di opere edilizie in zona sottoposta a vincolo, trattandosi di reato che ha natura permanente e che si consuma con l’esaurimento totale dell’attivita’ o con la cessazione della condotta per qualsiasi motivo (Sez. 3, n. 28934 del 26/03/2013, Borsani, Rv. 256897; Sez. 3, n. 24690 del 18/02/2015, Rv. 263926).
La Corte di appello, facendo buon governo del principio di diritto suesposto, ha evidenziato con motivazione congrua e logica che si sottrae al sindacato di legittimita’ (cfr. pag. 12 e 13 della sentenza impugnata), come le convergenti risultanze istruttorie comprovano che alla data del 20.7.2016 le opere abusive erano ancora in corso(risultando, conseguentemente, contraddetta dalle risultanze istruttorie la diversa allegazione difensiva che collocava la data di ultimazione delle opere nel giugno del 2015 o, al piu’, nel novembre 2015) e che da tale data decorreva il termine prescrizionale quinquennale che, con tutta evidenza, non era ancora maturato al momento della pronuncia della sentenza di appello.
Il ricorrente si limita sostanzialmente a proporre una lettura alternativa del materiale probatorio, dilungandosi in considerazioni in punto di fatto, che non possono trovare ingresso nel giudizio di legittimita’, non essendo demandato alla Corte di cassazione un riesame critico delle risultanze istruttorie.
2. Il secondo motivo ed il terzo motivo, che si trattano congiuntamente perche’ oggettivamente connessi, sono inammissibili.
La Corte territoriale, in aderenza alle complessive risultanze istruttorie (dichiarazioni testimoniali e prove documentali) ha confermato la valutazione del primo giudice e ritenuto che l’area interessata dalle opere abusive era in precedenza ricoperta da bosco e che l’attivita’ illecita dell’imputato aveva portato ad un progressivo disboscamento della stessa (cfr. pag. 14, 15, 16 della sentenza impugnata).
La motivazione e’ congrua e logica ed insindacabile in sede di legittimita’ e la nozione di bosco posta a fondamento della decisione impugnata e’ in linea con il principio di diritto, secondo cui, in tema di tutela del paesaggio, dopo l’entrata in vigore del Decreto Legislativo 18 maggio 2001, n. 227, deve qualificarsi come bosco meritevole di protezione ai sensi del Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, articolo 181, ogni terreno coperto da vegetazione forestale arborea associata o meno a quella arbustiva, da castagneti, sughereti o da macchia mediterranea, purche’ aventi un’estensione non inferiore a mq. duemila, con larghezza media non inferiore a metri venti e copertura non inferiore al 20 per cento (Sez. 3, n. 32807 del 23/04/2013, Rv. 255904 – 01).
A fronte di tale adeguata e corretta motivazione, il ricorrente svolge in sostanza inammissibili rilievi in fatto senza neppure confrontarsi con l’articolato percorso argomentativo della sentenza impugnata.
3. Del pari inammissibile e’ il quarto motivo.
La Corte territoriale ha disatteso con argomentazioni congrue e logiche, non sindacabili in questa sede, la deduzione difensiva con la quale si prospettava la grossolanita’ del falso architettonico, rimarcando come la natura e la consistenza dell’opera realizzata nonche’ le modalita’ della sua pubblicizzazione erano idonee a trarre in inganno una persona comune senza peculiari nozioni storico artistiche.
Il ricorrente ripropone la stessa doglianza motivatamente disattesa dai Giudici di appello dilungandosi, anche su tale questione, in considerazioni in punto di fatto, che non possono trovare ingresso nel giudizio di legittimita’, non essendo demandato alla Corte di cassazione un riesame critico delle risultanze istruttorie.
4. Il quinto motivo e’ manifestamente infondato.
La sentenza impugnata ha fatto corretto uso dei criteri di cui all’articolo 133 c.p., ritenuti sufficienti dalla Giurisprudenza di legittimita’, per la congrua motivazione in termini di determinazione della pena; la Corte territoriale riguardo alla pena ha richiamato le dimensioni dell’opera ed il relativo impatto sul territorio nonche’ la particolare intensita’ del dolo desunta dalla finalita’ di sfruttamento economico dell’opera realizzata ed alla personalita’ dell’imputato desunta dalle modalita’ della condotta, cosi’ che la pena irrogata e’ stata ritenuta adeguata ai fatti accertati.
Va ricordato che, ai fini del trattamento sanzionatorio, e’ sufficiente che il giudice di merito prenda in esame, tra gli elementi indicati dall’articolo 133 c.p., quello (o quelli) che ritiene prevalente e atto a consigliare la determinazione della pena; e il relativo apprezzamento discrezionale, laddove supportato da una motivazione idonea a far emergere in misura sufficiente il pensiero dello stesso giudice circa l’adeguamento della pena concreta alla gravita’ effettiva del reato e alla personalita’ del reo, non e’ censurabile in sede di legittimita’ se congruamente motivato. Cio’ vale, a fortiori, anche per il giudice d’appello, il quale, pur non dovendo trascurare le argomentazioni difensive dell’appellante, non e’ tenuto a un’analitica valutazione di tutti gli elementi, favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti, ma, in una visione globale di ogni particolarita’ del caso, deve indicare quelli ritenuti rilevanti e decisivi ai fini della concessione o del diniego, rimanendo implicitamente disattesi e superati tutti gli altri, pur in carenza di stretta contestazione (Sez. 2, n. 19907 del 19/02/2009, Rv. 244880; Sez. 4, 4 luglio 2006, n. 32290).
5. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’articolo 616 c.p.p., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’ (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue anche quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.
6. Il ricorrente va, inoltre, condannato, in base al disposto dell’articolo 541 c.p.p., alla rifusione delle spese del grado sostenute dalla parte civile che, avuto riguardo ai parametri di cui alle tabelle allegate al Decreto Ministeriale n. 55 del 2014, come aggiornate sulla base del Decreto Ministeriale n. 37 del 2018, all’impegno profuso, all’oggetto e alla natura del processo, si ritiene di dover liquidare nella misura di cui al dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difese sostenute nel presente giudizio dalla parte civile che liquida in complessivi Euro tremilacinquecento, oltre spese generali ed accessori di legge.
Motivazione semplificata.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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