Il principio di libera utilizzabilità di quelle raccolte in un diverso giudizio

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|30 settembre 2021| n. 26593.

Il principio di libera utilizzabilità di quelle raccolte in un diverso giudizio.

Il giudice civile, salvi i casi espressamente previsti dalla legge, deve utilizzare per la decisione solo le prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero, sicché il principio di libera utilizzabilità di quelle raccolte in un diverso giudizio tra le stesse o tra altre parti, ivi compresa della sentenza adottata da altro giudice, presuppone comunque che il mezzo istruttorio sia stato ritualmente allegato dalle parti processuali. (Nella specie la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza di appello, che aveva utilizzato per la decisione le risultanze di una decisione pronunciata in altro giudizio ed acquisita direttamente dal collegio in camera di consiglio).

Ordinanza|30 settembre 2021| n. 26593. Il principio di libera utilizzabilità di quelle raccolte in un diverso giudizio

Data udienza 18 giugno 2021

Integrale

Tag/parola chiave: PROVA CIVILE – ASSUNZIONE DEI MEZZI DI PROVA

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente

Dott. MARULLI Marco – Consigliere

Dott. SCALIA Laura – Consigliere

Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso n. 8181/2016 proposto da:
(OMISSIS) S.r.l. in liquidazione, in persona del liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dagli Avvocati (OMISSIS), e (OMISSIS), giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Comune di Napoli, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’Avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3778/2015 della Corte d’appello di Napoli depositata il 25/9/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/6/2021 dal cons. Dott. Alberto Pazzi;
lette le conclusioni scritte del P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Vitiello Mauro, che chiede che la Corte di Cassazione, in camera di consiglio, rigetti il ricorso.

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RILEVATO

che:
1. Il Tribunale di Napoli, con sentenza n. 8883/2013, rigettava l’opposizione a decreto ingiuntivo proposta dal Comune della stessa citta’ avverso il decreto ingiuntivo con cui gli era stato intimato il pagamento di Euro 231.404,58, oltre accessori, in favore di (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione, a saldo di una fattura concernente il servizio di manutenzione di estintori installati presso scuole cittadine e uffici municipali.
2. La Corte d’appello di Napoli riteneva, invece, che (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione non avesse adeguatamente assolto l’onere, su di essa gravante quale attore in senso sostanziale, di dimostrare in maniera rigorosa l’esecuzione delle prestazioni contrattuali; per l’effetto, in riforma della decisione impugnata, accoglieva l’opposizione proposta dal Comune di Napoli avverso il decreto ingiuntivo n. 749/2010.
3. Per la cassazione di questa sentenza, pubblicata in data 25 settembre 2015, ha proposto ricorso (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione prospettando sette motivi di doglianza, ai quali ha resistito con controricorso il Comune di Napoli.
Il Procuratore Generale ha depositato conclusioni scritte sollecitando il rigetto del ricorso.
Parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’articolo 380 bis.1 c.p.c..

 

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CONSIDERATO

che:
4. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell’articolo 342 c.p.c.: la Corte di merito, pur riconoscendo espressamente che l’appello non era “stato redatto in puntuale osservanza del disposto dell’articolo 342 c.p.c. novellato”, avrebbe comunque superato in maniera del tutto apodittica i rilievi mossi dalla difesa dell’appellata, ritenendo che l’atto di impugnazione contenesse una precisa critica alla decisione assunta dal Tribunale; cio’ malgrado l’amministrazione municipale non avesse sollevato alcuna contestazione specifica rispetto alla statuizione gravata, non indicando ne’ le ragioni per cui i titoli giustificanti il provvedimento monitorio non erano sufficienti a documentare il credito, ne’ perche’ il ragionamento logico-giuridico svolto dal primo giudice non fosse condivisibile.
Allo stesso modo l’appello risultava inammissibile – in tesi – laddove il Comune di Napoli aveva omesso di indicare i motivi per cui il provvedimento di rinvio a giudizio dell’amministratore dell’opposta assumeva una qualche efficacia probatoria.
Oltre a cio’, l’amministrazione appellante si era limitata a porre in rilievo l’onere probatorio di controparte, senza pero’ contestare la parte della decisione in cui era stato accertato l’adempimento.
La Corte d’appello avrebbe percio’ omesso di considerare che nessuna censura era stata mossa alla constatazione del primo giudice secondo cui erano documentati per tabulas la fonte negoziale dell’obbligazione e lo svolgimento di prestazioni e forniture dovute, con il conseguente formarsi, sul punto, del giudicato.
5. Il motivo, nel suo complesso, e’ inammissibile.
5.1 La prima parte del mezzo, pur assumendo che l’atto di appello del Comune di Napoli era privo dell’apporto argomentativo reso necessario dall’attuale testo dell’articolo 342 c.p.c., non ne riporta in alcun modo il contenuto.

 

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Il motivo, cosi’ formulato, risulta inammissibile per difetto di autosufficienza, non soddisfacendo l’obbligo previsto dall’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6, di indicare specificamente gli atti processuali e i documenti su cui lo stesso e’ fondato.
Il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione – che trova la propria ragion d’essere nella necessita’ di consentire al giudice di legittimita’ di valutare la fondatezza del motivo senza dover procedere all’esame dei fascicoli di ufficio o di parte – trova, infatti, applicazione anche in relazione ai motivi di appello rispetto ai quali siano contestati errori da parte del giudice di merito; ne discende che, ove il ricorrente denunci la violazione e falsa applicazione dell’articolo 342 c.p.c. in conseguenza della mancata declaratoria di nullita’ dell’atto di appello per la genericita’ dei motivi, deve riportare nel ricorso, nel loro impianto specifico, i predetti motivi formulati dalla controparte.
Difatti, l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimita’ ove sia denunciato un error in procedendo, presuppone comunque l’ammissibilita’ del motivo di censura, onde il ricorrente non e’ dispensato dall’onere di specificare (a pena, appunto, di inammissibilita’) il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando anche specificamente i fatti processuali alla base dell’errore denunciato, e tale specificazione deve essere contenuta nello stesso ricorso per cassazione, proprio per assicurare il rispetto del principio di autosufficienza di tale atto (cfr. Cass. 29495 /2020, Cass. 22880/2017, Cass. 86/2012).
5.2 La ricorrente sostiene poi l’intervenuto passaggio in giudicato, per mancanza di impugnazione, della parte della prima decisione che riteneva dimostrate per tabulas la consistenza e l’adempimento dell’obbligazione.
Ora, ai fini della verifica dell’avvenuta impugnazione, o meno, di una statuizione contenuta nella sentenza di primo grado, questa Corte non e’ vincolata all’interpretazione compiuta dal giudice di appello (la quale, nel caso di specie, ha espressamente registrato che l’appellante aveva dedotto che la presunta creditrice, a fronte dell’eccezione di inadempimento, avrebbe dovuto provare, senza pero’ farlo, di aver esattamente adempiuto le proprie obbligazioni), ma ha il potere-dovere di valutare direttamente gli atti processuali per stabilire se, rispetto alla questione su cui si sarebbe formato il giudicato, la funzione giurisdizionale si sia esaurita per effetto della mancata devoluzione della questione nel giudizio di appello, con conseguente preclusione di ogni esame della stessa; a condizione pero’ che il ricorrente non solo deduca la mancanza di impugnazione, ma – per il principio di autosufficienza – indichi elementi e riferimenti atti ad individuare, nei suoi termini esatti e non genericamente, il contenuto dell’atto di appello a questo preciso proposito, non essendo tale vizio rilevabile ex officio (Cass. 7499/2019).
Cio’ in applicazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione allorquando sia denunciato un error in procedendo di cui si e’ appena discorso.
Parte ricorrente non ha accompagnato la propria doglianza con indicazioni del contenuto dell’atto di impugnazione capaci di dimostrare la mancata devoluzione della questione in parola all’interno del giudizio di appello.
Ne discende l’inammissibilita’ del mezzo, anche sotto questo profilo, per difetto di autosufficienza.
6. Il secondo motivo di ricorso lamenta la violazione del principio di non contestazione di cui all’articolo 115 c.p.c.: a fronte della dettagliata esposizione delle circostanze poste a base della pretesa creditoria (costituite dal rapporto contrattuale inter partes, dall’avvenuta effettuazione delle specifiche prestazioni di cui alla fattura n. (OMISSIS) e dal contenuto dei modelli 143, attestanti le prestazioni compiute e regolarmente sottoscritti dal personale dell’ente), il Comune di Napoli non aveva opposto assume la societa’ ricorrente – alcuna specifica contestazione.
Di conseguenza la Corte d’appello avrebbe dovuto ritenere provati i fatti non specificamente contestati, come l’appellata aveva dedotto in secondo grado, e rigettare l’impugnazione.

 

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7. Il motivo e’ inammissibile.
In vero il motivo di ricorso per cassazione con il quale si intenda denunciare l’omessa considerazione, nella sentenza impugnata, della prova derivante dall’assenza di contestazioni della controparte su una determinata circostanza deve indicare specificamente il contenuto della comparsa di risposta avversaria, evidenziando in modo puntuale la genericita’ o l’eventuale totale assenza di contestazioni sul punto (Cass. 12840/2017).
Nessuna indicazione in tal senso e’ contenuta all’interno della censura in esame.
Per di piu’, l’odierna ricorrente assume, ma non dimostra, che la questione – in alcun modo affrontata all’interno della decisione impugnata – sia effettivamente stata posta alla Corte di merito.
Ne discende l’inammissibilita’, per altro verso, della doglianza, dato che i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilita’, questioni che siano gia’ comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimita’ questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase del merito ne’ rilevabili d’ufficio (Cass. 1377/2003).
8. Il quarto motivo di ricorso prospetta la violazione degli articoli 115 e 116 c.p.c., in quanto la Corte distrettuale, nell’assumere di sua iniziativa risultanze probatorie emerse in altro giudizio, sarebbe giunta all’accoglimento dell’appello sulla scorta di circostanze di fatto non sottoposte dalle parti al suo vaglio e, per di piu’, erroneamente valutate, dato che i due giudizi si riferivano a prestazioni e lassi di tempo differenti.
9. Il motivo e’ fondato.
La Corte territoriale “ha acquisito nella camera di consiglio in sede di decisione, come elemento di valutazione”, i “contenuti” di un’altra sentenza pronunciata pochi mesi prima (avente ad oggetto, asserita mente, “la tematica, derivante dal medesimo contratto”, relativa a “la fornitura e la manutenzione di estintori nei locali destinati a uffici e scuole”) e ne ha tratto argomenti di prova “in considerazione della sostanziale identita’ e sovrapponibilita’ delle controversie”.
Una simile condotta si pone – all’evidenza – in contrasto con il disposto dell’articolo 115 c.p.c., a mente del quale, “salvi i casi previsti dalla legge, il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero, nonche’ i fatti non specificamente contestati dalla parte costituita”.
Il che significa che il potere del giudice di ordinare ex officio l’acquisizione di prove al giudizio – comportando una deroga al principio dispositivo in senso processuale (o di disponibilita’ delle prove), giacche’ introduce nel processo civile prove non fornite dalle parti – non ha affatto carattere generale e discrezionale, ma deve essere inteso in senso rigoroso e ricorre soltanto – come sottolinea l’esordio della norma – nei casi espressamente previsti dal codice di rito civile o da altre fonti normative (come ad esempio nei casi previsti, rispetto a giudizi di impugnazione, dall’articolo 437 c.p.c., comma 2, per l’appello nelle controversie in materia di lavoro o dalla L.Fall., articolo 18, comma 10, per il giudizio di reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento).
Nessuna norma nel caso di specie legittimava il collegio dell’impugnazione ad acquisire agli atti del giudizio la propria precedente decisione (per di piu’ in camera di consiglio, introducendo cosi’ nel materiale istruttorio fatti non vagliati ne’ controllati dalle parti), dato che il principio secondo cui la conoscenza dei propri precedenti costituisce un dovere istituzionale della Corte di Cassazione, nell’adempimento della funzione nomofilattica di cui all’articolo 65 dell’ordinamento giudiziario (Cass., Sez. U., 26482/2007), non si applica alla Corte d’appello.
Una simile legittimazione non puo’ neppure essere trovata nel principio, piu’ volte affermato da questa Corte, secondo cui il giudice civile, in mancanza di uno specifico divieto, puo’ liberamente utilizzare le prove, anche atipiche, raccolte in un diverso giudizio tra le stesse o tra altre parti, ivi compresa la sentenza adottata da un diverso giudice, e trarre da esse, senza esserne vincolato, elementi di giudizio, purche’ fornisca un’adeguata motivazione del loro utilizzo, procedendo a una diretta e autonoma valutazione delle stesse e dando conto di avere esaminato le censure proposte dalle parti (si vedano in questo senso, ex multis, Cass. 20719/2018, Cass. 25067/2018).
Questo principio, infatti, involge l’ammissibilita’ all’interno del processo civile di simili prove, ma non la disponibilita’ delle stesse, che, “salvi i casi previsti dalla legge”, devono comunque essere introdotte nel giudizio ad iniziativa di parte e nel rispetto delle regole generali sull’acquisizione del materiale istruttorio.
L’acquisizione stabilita dalla Corte territoriale viola, dunque, il disposto dell’articolo 115 c.p.c., perche’ pone a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma assunte dal giudice di sua iniziativa al di fuori dei poteri officiosi riconosciutigli.
10. Rimane di conseguenza assorbito il terzo motivo di ricorso, con cui la ricorrente ha lamentato la violazione dell’articolo 111 Cost. e articolo 24 Cost. e articolo 101 c.p.c., comma 2, perche’ l’acquisizione probatoria disposta dal giudice era avvenuta senza garantire alle parti il contraddittorio e il diritto di difesa.

 

Il principio di libera utilizzabilità di quelle raccolte in un diverso giudizio

11. Il quinto motivo di ricorso denuncia la violazione dell’articolo 169 c.p.c. e articolo 77 disp. att. c.p.c., in quanto la Corte d’appello ha ritenuto non provato l’adempimento in conseguenza del mancato rinvenimento, all’interno del fascicolo di parte appellata, dei modelli 143 comprovanti l’esecuzione delle prestazioni dovute.
La Corte di merito, anziche’ reputare che questi documenti fossero stati ritirati e non piu’ riprodotti, avrebbe invece dovuto constatare sostiene la ricorrente – da una parte che il foliario atti allegato alla produzione depositata in appello, recante regolare timbro di depositato apposto dalla cancelleria, certificava l’avvenuto deposito in sede di appello del fascicolo di primo grado, contenente anche i modelli 143, dall’altra che nessuna richiesta di ritiro del fascicolo di parte era mai stata avanzata e autorizzata.
A fronte di una simile situazione la Corte distrettuale avrebbe quindi dovuto rimettere la causa sul ruolo, per disporre eventuali ricerche e richiedere lumi alle parti in ordine al mancato rinvenimento dei documenti posti dall’appellato a sostegno delle proprie ragioni, in considerazione del fatto che la loro assenza non era il frutto di una scelta processuale estrinsecatasi attraverso un formale ritiro opportunamente certificato.
12. Il motivo e’ fondato.
La Corte di merito ha ripetutamente dato atto che non v’era traccia in atti (“essendo vuota (e accuratamente spillata) la copertina che avrebbe dovuto trattenerli”) dei “modelli 143 per l’intero periodo”, sebbene il foliario della produzione in primo grado di parte opposta recasse una simile dicitura, e ne ha tratto la convinzione che (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione avesse ritirato e non piu’ depositato questi documenti.
Ora, il mancato rinvenimento nel fascicolo di parte, al momento della decisione della causa, di documenti che la parte invoca comporta per il giudice l’obbligo di disporre la ricerca di essi con i mezzi a sua disposizione ed eventualmente l’attivita’ ricostruttiva del contenuto dei medesimi, a condizione tuttavia che gli atti e i documenti siano stati prodotti ritualmente in giudizio e che l’omesso inserimento di essi nel fascicolo non debba essere attribuito alla condotta volontaria della parte (Cass. 10598/2001; negli stessi termini Cass. 22972/2013, Cass. 21938/2006, Cass. 8720/2005).
E’ stato altresi’ precisato (Cass. 10598/2001, Cass. 12974/1992) che il mancato rinvenimento nel fascicolo di parte di parte dei documenti ritualmente prodotti deve presumersi espressione, in mancanza di denunzia di altri eventi, di un atto volontario della parte, che e’ libera di ritirare il proprio fascicolo al momento della rimessione della causa per la decisione e di omettere la restituzione di parte dei documenti; con la conseguenza che, in presenza dello specifico onere che ha la parte di restituire il fascicolo che ha ritirato con l’intera produzione, la mancata restituzione comporta che il giudice potra’ decidere a prescindere dalle risultanze e dai documenti ivi contenuti, senza che cio’ possa configurare vizio di motivazione su un punto decisivo della controversia.
Un conto percio’ e’ l’omessa restituzione di parte dei documenti depositati, che si presume volontaria e non impedisce al giudice la decisione, un altro e’ l’assenza di atti prodotti ritualmente e il cui mancato rinvenimento non sia attribuibile alla volonta’ della parte.
L’assenza in atti dei modelli in discorso della causa non consentiva, di per se’, ipotesi ricorresse.
A tal fine la Corte distrettuale doveva fascicolo di parte di primo grado integralmente depositato in appello e al momento della decisione di stabilire quale delle due innanzitutto verificare se il risultasse ritualmente e fosse stato eventualmente ritirato nel corso del giudizio di impugnazione; ove fosse emersa l’incolpevole mancanza di tali atti, perche’ prodotti in giudizio e mai ritirati, era tenuta poi a disporre – ai sensi del combinato disposto dell’articolo 359 c.p.c. e articolo 183 c.p.c., comma 4, e articolo 87 disp. att. c.p.c. – la ricerca dei modelli mancanti con i mezzi a sua disposizione, dando la possibilita’ alla parte di ottenere di depositarli nuovamente ovvero di ricostruirne il contenuto, se erano stati ritualmente prodotti (Cass. 11352/2010).

 

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13. Il sesto motivo di ricorso si duole della violazione dell’articolo 27 Cost. e articolo 115 c.p.c., in quanto la Corte d’appello avrebbe ritenuto non sufficientemente provate le prestazioni eseguite da (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione sulla scorta di un mero provvedimento di rinvio a giudizio e non di una sentenza passata in giudicato.
La Corte di merito, inoltre, avrebbe reputato non contestate le risultanze dell’indagine amministrativa condotta dal Comune di Napoli malgrado l’opposta avesse sollevato contestazioni a questo riguardo fin dalla propria costituzione in giudizio, rilevando che l’indagine era stata svolta unilateralmente dall’amministrazione, in assenza di contraddittorio e non nell’esercizio di poteri pubblici.
14. Il motivo e’ fondato.
14.1 La Corte d’appello ha ritenuto che l’eccezione di inadempimento traesse “sostanza e alimento dagli esiti dell’indagine penale relativa proprio al contratto di fornitura e manutenzione degli estintori, essendo emerso l’avvenuto rinvio a giudizio del Legge Regionale della societa’ per i fatti di falsificazione dei mod. 143”.
Una simile terminologia induce a ritenere che gli esiti dell’indagine penale siano. stati valutati alla stregua di una prova diretta e non quali elementi indiziari idonei alla dimostrazione di un fatto determinato.
Il che, tuttavia, non corrisponde ai principi fissati da questa Corte, che ha gia’ avuto modo di precisare che il giudice di merito, in mancanza di qualsiasi divieto di legge, puo’ si’ avvalersi anche delle risultanze derivanti da atti di indagini preliminari svolte in sede penale, le quali pero’ debbono considerarsi quali semplici indizi idonei a fornire utili e concorrenti elementi di giudizio, la cui concreta efficacia sintomatica dei singoli fatti noti deve essere valutata – in conformita’ con la regola dettata in tema di prova per presunzioni non solo analiticamente, ma anche nella loro convergenza globale, accertandone la pregnanza conclusiva (v. Cass. 19521/2019, Cass. 15181/2003, Cass. 16069/2001).
14.2 La Corte d’appello ha ripetutamente rilevato che le risultanze dell’indagine amministrativa – e riguardanti la falsificazione dei modelli 143 e delle indicazioni relative al numero degli estintori installati e mantenuti – non erano state contestate dalla compagine opposta.
La constatazione, operata ai sensi dell’articolo 115 c.p.c., comma 1, al fine di porre a base della decisione le risultanze fattuali di tale indagine, risulta tuttavia incoerente con il contenuto della comparsa di costituzione dell’opposta, che, al contrario (alle pagg. L. e 7), ha espressamente contestato la valenza probatoria di una simile attivita’ e le conclusioni a cui la stessa era giunta, risultando cosi’ valorizzata una condotta processuale che non era affatto idonea ad escludere dal thema probandum gli assunti di parte opponente.
15. Rimane infine assorbito il settimo motivo di ricorso, concernente la valutazione delle prove, dato che l’accoglimento del ricorso, nei limiti in precedenza indicati, impone comunque una nuova rivalutazione complessiva della congerie istruttoria disponibile.
16. La sentenza impugnata andra’ dunque cassata nei limiti in precedenza indicati, con rinvio della causa alla Corte distrettuale, la quale, nel procedere al suo nuovo esame, si atterra’ ai principi sopra illustrati, avendo cura anche di provvedere sulle spese del giudizio di legittimita’.

P.Q.M.

La Corte accoglie il quarto, il quinto e il sesto motivo di ricorso, dichiara inammissibili il primo e il secondo motivo e assorbiti il terzo e il settimo motivo, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte di Appello di Napoli in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimita’.

 

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