Il principio del “ne bis in idem”

Corte di Cassazione, penale, Sentenza|2 dicembre 2020| n. 34324.

Il principio del “ne bis in idem” è applicabile in via analogica con riferimento alle ordinanze del giudice dell’esecuzione nei casi in cui esso costituisca l’unico strumento possibile per eliminare uno dei due provvedimenti emessi per lo stesso fatto contro la stessa persona. (Fattispecie in materia di continuazione tra reati già unificati tra loro con precedente ordinanza del giudice della esecuzione divenuta definitiva, in cui la Corte ha escluso che, nel conflitto tra provvedimenti tra loro inconciliabili, possa prevalere quello non definitivo ai sensi dell’art. 669 cod. proc. pen.).

Sentenza|2 dicembre 2020| n. 34324

Data udienza 7 ottobre 2020

Integrale

Tag – parola chiave: Esecuzione – Istanza di continuazione ex art. 671 cpp – Divieto di secondo giudizio ex art. 649 cpp – Applicabile anche in sede di esecuzione – Annullamento senza rinvio

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ZAZA Carlo – Presidente

Dott. SCARLINI Enrico V – rel. Consigliere

Dott. BELMONTE Maria Teresa – Consigliere

Dott. ROMANO Michele – Consigliere

Dott. FRANCOLINI Giovanni – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI TRANI;
nel procedimento a carico di:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 04/11/2019 del TRIBUNALE di TRANI;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. ENRICO VITTORIO STANISLAO SCARLINI;
lette le conclusioni del PG, Dr. Spinaci Sante, che ha chiesto l’annullamento senza rinvio del provvedimento impugnato.

RITENUTO IN FATTO

1. Con provvedimento del 4 novembre 2019, il Tribunale di Trani, decidendo quale giudice dell’esecuzione in sede di rinvio a seguito della pronuncia di annullamento di questa Corte del 23 aprile 2019, in accoglimento dell’istanza avanzata da (OMISSIS) ai sensi dell’articolo 671 c.p.p., riconosceva il vincolo della continuazione fra i fatti per i quali il medesimo aveva patito cinque diverse condanne, determinando la pena complessiva in anni uno, mesi otto di reclusione ed Euro 1,100 di multa.
1.1. Questa Corte, nella ricordata sentenza di annullamento, aveva rilevato come la precedente ordinanza mostrasse evidenti discrasie motivazionali, in particolare laddove si era negato l’invocato vincolo fra gli episodi di ricettazione di assegni bancari consumati nel 2001 e nel 2002, dovendosi invece rilevare come, in una delle pronunce interessate dalla richiesta del condannato, si fosse riconosciuto lo stesso in riferimento ad analoghe condotte commesse in un ancor piu’ ampio lasso di tempo, fra la fine del (OMISSIS).
2. Propone ricorso il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Trani deducendo, con l’unico motivo, la violazione dell’articolo 649 c.p.p., comma 2 e articolo 650 c.p.p., in quanto la questione del vincolo della continuazione fra le citate cinque sentenze era gia’ stata affrontata e risolta con il provvedimento pronunciato dallo stesso Tribunale di Trani l’8 luglio 2019 ad esito di una nuova istanza del difensore del condannato che ricomprendeva le medesime, cinque, pronunce oggetto della prima richiesta ed altre tre sentenze di condanna a carico del (OMISSIS), provvedimento che era, nel frattempo, divenuto definitivo e che, come tale, era stato posto in esecuzione il 17 luglio 2019.
Un principio, quello del ne bis in idem, che, aggiunge il ricorrente, deve trovare applicazione anche nel processo di esecuzione, come aveva precisato la giurisprudenza di legittimita’ (Cass. nn. 45556/2015, 29983/2013, 50005/2014, 25345/2014).
3. Il difensore del (OMISSIS) ha presentato memoria con la quale chiede venga rigettato il ricorso della pubblica accusa.
La prima istanza avanzata dal (OMISSIS), infatti, era quella che era stata decisa con il provvedimento impugnato dal Tribunale di Trani in sede di giudizio di rinvio perche’ depositata il 20 aprile 2018.
Nelle more di tale procedimento, il pubblico ministero aveva presentato una richiesta di revoca della sospensione condizionale di pene ulteriori rispetto alle cinque oggetto della prima richiesta.
Cosi’ che (OMISSIS), il 4 febbraio 2019, aveva avanzato nuova istanza ai sensi dell’articolo 671 c.p.p. anche in relazione a tali condanne, oltre che alle cinque gia’ citate.
Si doveva allora considerare che l’istanza, ora in discussione, non era ne’ successiva ne’ meramente reiterativa dell’istanza la cui decisione avrebbe dovuto impedire, secondo la pubblica accusa, la pronuncia del provvedimento ora impugnato.
E, comunque, in caso di emissione di provvedimenti inconciliabili il rimedio avrebbe dovuto essere quello previsto dall’articolo 669 c.p.p. con la revoca del provvedimento che risulti piu’ sfavorevole al condannato (cosi’ Cass. n. 18318/2019).
4. Il Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte, nella persona del sostituto Dr. Spinaci Sante, ha chiesto l’annullamento senza rinvio del provvedimento impugnato considerando che lo stesso doveva ritenersi superato dalla piu’ ampia decisione presa dal Tribunale di Trani sul medesimo oggetto ed in particolare sulla sussistenza del vincolo della continuazione fra le cinque sentenze oggetto della prima richiesta e le altre tre alla cui esecuzione doveva provvedersi, provvedimento che era divenuto nel frattempo irrevocabile.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso presentato dalla pubblica accusa merita accoglimento.
1. Come si e’ rilevato nel ricorso della pubblica accusa, questa Corte ha gia’ avuto modo di affermare che il divieto di un secondo giudizio, sancito dall’articolo 649 c.p.p., esprime un principio generale dell’ordinamento cosi’ da doversi applicare anche nella fase esecutiva, e, quindi, alle ordinanze pronunciate, come nell’odierna fattispecie, dal giudice dell’esecuzione (cosi’ Sez. 1, n. 45556 del 15/09/2015, Turchetti, Rv. 265234 e Sez. 1, n. 1285 del 20/11/2008, dep. 15/01/2009, Linfeng, Rv. 242750).
Se cosi’ e’, deve rilevarsi come l’articolo 649 preveda il divieto di un “secondo giudizio”, rispetto ad un primo giudizio che sia gia’ divenuto definitivo (“L’imputato prosciolto o condannato con sentenza o decreto penale divenuti irrevocabili non puo’ essere di nuovo sottoposto a procedimento penale per il medesimo fatto”, e “se cio’ nonostante viene di nuovo iniziato procedimento penale, il giudice in ogni stato e grado del processo pronuncia sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere”).
Un principio che, invero, la giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto applicabile anche quando entrambi i procedimenti siano ancora in corso (cosi’ la pronuncia delle Sezioni unite n. 34655 del 28/06/2005, Donati, Rv. 231800 e la successiva Sez. 4, n. 25640 del 21/05/2008, Marella, Rv. 240783).
Ma, nell’odierno caso concreto, l’unica decisione divenuta gia’ definitiva e’ quella non oggetto del presente ricorso, che deve pertanto considerarsi preclusiva alla definizione dello stesso, visto che ne comprende l’oggetto, la decisione sul vincolo della continuazione in relazione alle prime cinque sentenze pronunciate a carico del (OMISSIS).
Cosi’ che l’applicazione del divieto di un secondo giudizio (deducibile anche per la prima volta davanti a questa Corte posto che non comporta la necessita’ di alcun accertamento di fatto, essendo incontestata dalle parti l’identita’ del fatto giudicato: Sez. 2, n. 21462 del 20/03/2019, Manco, Rv. 276532) non puo’ che condurre all’annullamento senza rinvio del provvedimento oggi impugnato dalla pubblica accusa.
2. Una conclusione, quella appena raggiunta, che non trova smentita nell’invocato, dalla difesa dell’imputato, articolo 669 c.p.p. – in cui si dispone che “se piu’ sentenze di condanna divenute irrevocabili sono state pronunciate contro la stessa persona per il medesimo fatto, il giudice ordina l’esecuzione della sentenza con cui si pronuncio’ la condanna meno grave, revocando le altre” ed anch’esso espressione di un principio piu’ generale, cosi’ da doversi applicare anche per i provvedimenti, tra loro inconciliabili, adottati dal giudice dell’esecuzione, nei confronti del medesimo condannato e con il medesimo oggetto (Sez. 5, n. 18318 del 04/04/2019, Pmp, Rv. 275917; Sez. 1, n. 26031 del 05/07/2005, Celli, Rv. 231932; Sez. 1, n. 28581 del 26/06/2008, Gasparro, Rv. 240482; Sez. 1, n. 14823 del 03/02/2009, Fusco, Rv. 243737) dal momento che la norma in oggetto e’ destinata a risolvere il conflitto creatosi fra sentenze (o provvedimenti) gia’ tutti divenuti definitivi, imponendo al giudice che deve applicarli di individuare quello piu’ favorevole al reo, e non all’eventuale conflitto tra un provvedimento definitivo ed uno non divenuto ancora tale, come ricorre nell’odierno caso concreto, conflitto che trova soluzione nella diversa regola posta dall’articolo 649.
Peraltro, la maggiore ampiezza del provvedimento gia’ divenuto definitivo, ricomprendendo ulteriori condanne poste a carico del prevenuto, non ne consentirebbe l’integrale eliminazione ai sensi dell’articolo 669, cosi’ da determinare la coesistenza di due diversi provvedimenti di esecuzione di pene concorrenti, che ne verrebbero a formare, di fatto, un terzo, non adottato pero’ da alcuna autorita’ giudiziaria.
3. L’annullamento dell’ordinanza oggi impugnata, peraltro, non determina alcun sacrificio del diritto di difesa del condannato posto che la litispendenza dei due diversi procedimenti di esecuzione non era dipesa dall’iniziativa della pubblica accusa, come si presuppone in tema di applicazione dell’articolo 649 c.p.p., ma dalla stessa istanza della difesa che aveva scelto di non attendere l’esaurirsi del procedimento relativo alle prime cinque sentenze, limitandosi ad avanzare una nuova istanza relativa alle residue tre condanne, ma aveva deciso, invece, di ricomprendere nella nuova richiesta tutte le otto condanne.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio il provvedimento impugnato.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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