l principio del favor rei

Corte di Cassazione, sezione seconda penale, Sentenza 24 giugno 2019, n. 27816.

La massima estrapolata:

Il principio del favor rei va applicato specificatamente al caso concreto nel bilanciamento di attenuanti e aggravanti tenendo conto del risultato finale e non della previsione della norma astrattamente più favorevole. Pertanto, il giudice penale prima di irrogare la sanzione deve analizzare se le varie condotte che costituiscono un reato complesso siano più o meno gravi rispetto alle singole ipotesi di reato per l’imputato.

Sentenza 24 giugno 2019, n. 27816

Data udienza 22 marzo 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CERVADORO Mirella – Presidente

Dott. IMPERIALI Luciano – Consigliere

Dott. CIANFROCCA Pierluig – rel. Consigliere

Dott. PACILLI Giuseppina – Consigliere

Dott. PERROTTI Massimo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
contro la sentenza della Corte di Appello di Ancona dell’8.7.2016;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Pierluigi Cianfrocca;
udito il PM, nella persona del sostituto procuratore generale Dott. Spinaci Sante, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
udito l’Avv. (OMISSIS), in sostituzione dell’Avv. (OMISSIS), in difesa di (OMISSIS), che ha concluso riportandosi al ricorso di cui ha chiesto l’accoglimento.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di Appello di Ancona, con sentenza dell’8.7.2016 ha confermato quella con cui il Tribunale di Pesaro aveva riconosciuto (OMISSIS) responsabile dei reati di violazione di domicilio pluriaggravata ed estorsione aggravata in concorso sicche’, esclusa la ipotesi di cui all’articolo 116 c.p., ritenute altresi’ le circostanze attenuanti generiche giudicate equivalenti alle contestate aggravanti ed il vincolo della continuazione tra le varie ipotesi di reato, lo aveva condannato alla pena finale di anni 5 e mesi 9 di reclusione ed Euro 800 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali; aveva inoltre applicato le pene accessorie di legge e revocato l’indulto concesso in data 19.7.2007 dalla Corte di Appello di Roma ed in data 14.2.2007 dal Tribunale di Milano;
2. ricorre per Cassazione il (OMISSIS) con ricorso sottoscritto dall’Avv. (OMISSIS) lamentando:
2.1 violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento agli articoli 210 e 530 c.p.p.: rileva come i coimputati per i fatti del 2.8.2009 in danno di (OMISSIS) risultano giudicati in separato procedimento nel quale, in conseguenza di una sua denuncia, rispondono anche di fatti di estorsione ai suoi danni; segnala, quindi, come le dichiarazioni di costoro, acquisite ai sensi dell’articolo 210 c.p.p., fossero in realta’ prive di alcuna effettiva valenza riproponendo, in questa, sede la propria versione dei fatti secondo cui egli sarebbe stato in realta’ vittima di una “tranello” ordito da costoro per “incastrarlo” e ricattarlo essendo egli del tutto ignaro delle reali intenzioni con cui i malviventi si erano con lui recati presso l’ (OMISSIS) dove avevano agito in maniera cosi’ repentina da non consentirgli alcuna reazione; segnala che la Corte di Appello, pur avendo sostanzialmente condiviso questa ricostruzione, ha tuttavia, in maniera evidentemente illogica, avallato e confermato la decisione del Tribunale;
2.2 violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento agli articoli 393 e 629 c.p.: richiama, sul punto, le censure difensive articolate con l’atto di appello in merito alla affermazione del Tribunale secondo cui egli non poteva vantare alcun diritto nei confronti dell’ (OMISSIS) aggiungendo che la Corte territoriale ha preferito escludere il reato di cui all’articolo 393 c.p. sotto altro e diverso profilo rispetto a quanto ritenuto dal Tribunale; richiama, a tal fine, la deposizione dell’ (OMISSIS) e la ricostruzione della vicenda contrattuale intervenuta tra costui e la ditta (OMISSIS), il cui legale rappresentante e’ il di lui figlio, con la promessa di vendita rimasta inadempiuta dalla persona offesa sicche’ la riconsegna dell’immobile non poteva in alcun modo essere considerato un ingiusto profitto corrispondendo, invece, al pieno diritto di esso ricorrente; ribadisce, ancora, l’insussistenza del delitto di estorsione sotto il profilo dell’elemento psicologico che aveva animato la sua condotta, finalizzata semplicemente al soddisfacimento ed alla realizzazione di un proprio preciso diritto;
2.3 violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento agli articoli 116 e 629 c.p.: ribadisce come la stessa ricostruzione offerta dai coimputati (con particolare riferimento alle dichiarazioni di (OMISSIS)) conferma che la spedizione punitiva nei confronti dell’ (OMISSIS) era stata organizzata da costoro al fine di poterlo successivamente ricattare e che egli non era certamente consapevole ne’ si era prefigurato quale fosse la loro effettiva intenzione, sussistendo pertanto tutte le condizioni per riconoscere l’attenuante di cui all’articolo 116 c.p. sollecitata dallo stesso Pubblico Ministero anche al fine di adeguare la pena alla effettiva gravita’ del fatto;
2.4 violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento agli articoli 629 e 614 c.p.: sottolinea che la condotta di violazione di domicilio, esprimendo la natura minatoria e violenta del fatto di cui al capo b), doveva necessariamente ritenersi assorbita in quest’ultimo.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I fatti sono stati ricostruiti dalle due sentenze di merito con valutazione conforme delle medesime emergenze processuali e sull’impulso offerto dalla denuncia dello stesso odierno ricorrente.
2. Il ricorso e’ in gran parte (ovvero relativamente ai primi tre motivi) inammissibile perche’ del tutto generico in quanto le censure ivi articolate riproducono e reiterano (in termini persino letterali) gli argomenti gia’ prospettati nell’atto di appello, ai quali la Corte territoriale ha dato adeguate e argomentate risposte, esaustive in fatto e corrette in diritto, che il ricorrente tuttavia non ha in alcun modo considerato e di cui non ha in sostanza tenuto conto al fine di confrontarsi criticamente con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato limitandosi, in maniera per l’appunto inammissibilmente generica, a lamentare una presunta ma inesistente carenza o illogicita’ della motivazione (cfr., per la inammissibilita’ del ricorso in quanto genericamente riproduttivo delle doglianze spese in appello, Cass. Pen., 3, 18.7.2014 n. 44.882, Cariolo; Cass. Pen., 2, 29.1.2014 n. 11.951, Lavorato; Cass. Pen., 6, 11.3.2009 n. 20.377, Arnone).
2.1 Quanto al primo ed al terzo motivo, infatti, la Corte (cfr., pagg. 9-10 della sentenza in verifica) ha risposto all’omologa censura articolata con l’atto di appello richiamando, da un lato, le dichiarazioni dei coimputati ma, per altro verso, e soprattutto, gli esiti della attivita’ di captazione delle conversazioni intercorse tra costoro e che sono state ritenute – nel loro contenuto pienamente in grado di corroborare la ipotesi ricostruttiva formulata dalla pubblica accusa con riguardo al ruolo ricoperto, alla iniziativa assunta ed alle finalita’ perseguite dall’odierno ricorrente.
Il ricorso, dal canto suo, si e’ del tutto disinteressato della motivazione offerta dalla Corte con riguardo a questo profilo, essendosi la difesa limitata a ribadire la illogicita’ delle conclusioni cui i giudici di appello erano pervenuti partendo dalle dichiarazioni rese dai coimputati e di cui si e’ dedotta la inattendibilita’ senza, in realta’, tener conto del fatto che la verifica sul punto, imposta comunque dall’articolo 192 c.p.p., comma 3, era stata correttamente operata dai giudici di secondo grado che, a tal fine, avevano valorizzato proprio il dato desunto dalla attivita’ di intercettazione del quale, tuttavia, il ricorso si e’ completamente disinteressato.
Il terzo motivo e’ egualmente reiterativo di argomentazioni gia’ spese con l’atto di appello e sulle quali, ancora una volta, la Corte di Appello ha motivato in maniera esaustiva e coerente con le emergenze fattuali di cui ha dato puntualmente conto laddove il ricorso si e’ nuovamente limitato a riproporre la tesi difensiva senza tener conto in alcun modo delle considerazioni svolte nella sentenza impugnata.
2.2 In merito al secondo motivo non e’ inutile richiamare l’orientamento tuttora prevalente nella giurisprudenza di questa Corte secondo cui il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alla persona e quello di estorsione si distinguono non per la materialita’ del fatto, che puo’ essere identica, ma per l’elemento intenzionale che, qualunque sia stata l’intensita’ e la gravita’ della violenza o della minaccia, integra la fattispecie estorsiva soltanto quando abbia di mira l’attuazione di una pretesa non tutelabile davanti all’autorita’ giudiziaria (cfr., Cass. Pen., 2, 20.12.2016 n. 1.901, Di Giovanni; Cass. Pen., 2, 8.5.2017 n. 24.478, Salute;, secondo cui integra il delitto di estorsione, e non quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, l’azione violenta o minacciosa che, indipendentemente dall’intensita’ e dalla gravita’ della violenza o della minaccia, abbia di mira l’attuazione di una pretesa non tutelabile davanti all’autorita’ giudiziaria; Cass. Pen., 2, 28.6.2016 n. 46.288, Musa; Cass. Pen., 2, 15.5.2015 n. 23.765, PM in proc. Pellicori; Cass. Pen., 2, 25.9.2014 n. 42.940, Conte).
A fronte di tale ricostruzione vi e’, poi, l’indirizzo che ritiene di poter distinguere le due figure di reato in relazione alla condotta tenuta dall’agente sostenendo che finisce con l’integrare il delitto di estorsione, e non quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, la condotta minacciosa che si estrinsechi in forme di tale forza intimidatoria da andare al di la’ di ogni ragionevole intento di far valere un preteso diritto, con la conseguenza che la coartazione dell’altrui volonta’ assume di per se’ i caratteri dell’ingiustizia, trasformandosi in una condotta estorsiva (cfr., Cass. Pen., 2, 8.6.2017 n. 33.712, Michelini; Cass. Pen., 6, 7.2.2017 n. 11.823, PM in proc. Maisto; Cass. Pen., 2, 21.10.2016 n. 51.013, Arcidiacono, secondo cui integra il delitto di estorsione, e non quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, la condotta minacciosa che si estrinsechi in forme di tale forza intimidatoria da andare al di la’ di ogni ragionevole intento di far valere un preteso diritto, con la conseguenza che la coartazione dell’altrui volonta’ assume di per se i caratteri dell’ingiustizia, trasformandosi in una condotta estorsiva; Cass. Pen., 19.7.2016 n. 41.452, Stillitano; Cass. Pen., 2, 27.4.2016 n. 41.433, Bifulco).
Non e’ questa la sede ne’ l’occasione per approfondire il problema e di sottolineare come, in realta’, le diverse soluzioni sopra indicate siano conseguenza, spesso, della diversita’ della fattispecie concreta esaminata; nel caso di specie, infatti, mentre il Tribunale aveva privilegiato la prima tesi, la Corte di Appello ha insistito sulla impossibilita’ di ricondurre l’azione violenta posta in essere in danno dell’ (OMISSIS), alla luce delle sue modalita’ e caratteristiche estrinseche, all’esercizio di un diritto.
Trattandosi di questioni di diritto concernenti la interpretazione della norma incriminatrice, la Corte di Cassazione, come e’ desumibile dal disposto di cui all’articolo 619 c.p.p., comma 1 (su cui cfr., Cass. SS.UU., 24.6.1998 n. 9.973, Kremi), ha senz’altro la possibilita’ di adottare una soluzione anche diversa da quella privilegiata nella motivazione della sentenza sottoposta al suo vaglio purche’ siano tenuti fermi i presupposti fattuali accertati dai giudici di merito.
Partendo da questa premessa, e’ pacifico, allora, che l’iniziativa nei confronti dell’ (OMISSIS) fosse stata adottata da chi, ovvero l’odierno ricorrente, non era in alcun modo titolare del diritto derivante dal contratto preliminare sottoscritto con la persona offesa e che, infatti, era stato concluso con la societa’ di cui, peraltro, il (OMISSIS) non era nemmeno legale rappresentante e, per quel che consta, socio.
Questa Corte ha avuto allora modo di chiarire che il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni rientra, diversamente da quello di estorsione, tra i cosiddetti reati propri esclusivi o di mano propria, per questa ragione configurabili soltanto laddove la condotta tipica sia stata posta in essere da colui che ha la titolarita’ del preteso diritto (cfr., in tal senso, Cass. Pen., 2, 28.6.2016 n. 46.288, Musa).
Vero che la Corte di Appello ha privilegiato il secondo orientamento: vero che, anche in tal caso, il ricorso ha omesso totalmente di confrontarsi con la argomentazione dei giudici di merito preferendo insistere sulla tesi della esistenza e titolarita’ del preteso diritto, certamente infondata essendo emerso, in maniera peraltro incontroversa, che il diritto vantato era riferibile ad un soggetto “terzo” e che mai egli avrebbe avuto la possibilita’, come tale, di farlo valere personalmente in giudizio.
2.3 Il quarto motivo, che denuncia violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento agli articoli 629 e 614 c.p. e’ invece giuridicamente fondato; la difesa, infatti, sottolinea che la condotta di violazione di domicilio, esprimendo la natura minatoria e violenta propria delle modalita’ di commissione del fatto autonomamente ascritto al capo b), doveva per questa ragione ritenersi assorbita in quest’ultimo.
E’ opportuno allora ricordare che il (OMISSIS) era stato rinviato a giudizio per rispondere, al capo a), del delitto di cui all’articolo 614 c.p. in quanto, in concorso con (OMISSIS) ed altri, si sarebbe introdotto clandestinamente nella abitazione di (OMISSIS) trattenendovisi contro la volonta’ di chi aveva il diritto di escluderlo ed utilizzando violenza fisica e verbale nei confronti del predetto (OMISSIS) cosi’ realizzando il fatto di reato di estorsione autonomamente contestato al capo b).
Come e’ noto, con la L. 94 del 2009, il legislatore ha inserito, nell’articolo 628 c.p., comma 3, il n. 3 bis) che definisce e descrive la aggravante (speciale ed ad effetto speciale) dell’aver commesso il fatto nei luoghi di cui all’articolo 624 bis c.p., ovvero nei luoghi di privata dimora qual’e’, indubbiamente, quello nel quale si e’ consumata la condotta estorsiva contestata al ricorrente.
E’ pacifico, inoltre, che il rinvio operato dall’articolo 629 c.p., comma 2, all’articolo 628 c.p., u.c., quanto alle circostanze aggravanti applicabili al delitto di estorsione, deve qualificarsi di natura formale o “dinamica”, e deve intendersi riferito, dopo le modifiche apportate dalla L. 15 luglio 2009, n. 94, all’attuale comma 3 della disposizione normativa prevista per il delitto di rapina (cfr., Cass. Pen., 5, 23.10.2013 n. 2.907, Cammarota; cfr., anche, Cass. Pen., 2, 23.3.2016 n. 13.239, Ciancimino; Cass. Pen., 2, 17.1.2014 n. 18.742, Zubcic) nella formulazione conseguente all’intervento del 2009 e, dunque, anche alla aggravante di cui all’articolo 628 c.p., comma 3, n. 3 bis.
Ebbene, con riferimento al delitto di rapina, questa Corte ha in piu’ occasioni avuto modo di chiarire che la realizzazione della condotta incriminata all’interno di un edificio o di un altro luogo destinato a privata dimora configura, dopo l’introduzione dell’articolo 628 c.p., comma 3, n. 3 bis, un “reato complesso”, nel quale rimane assorbito il delitto di violazione di domicilio, che costituisce reato – mezzo, legato da nesso di strumentalita’ a quello di rapina (cfr., Cass. Pen., 2, 17.7.2014 n. 40.382, Farfaglia; conf., Cass. Pen., 2, 28.3.2018 n. 17.147, Audolina che ha osservato come analoga questione era stata affrontata con riguardo al furto aggravato nel periodo antecedente l’introduzione della specifica ipotesi di cui all’articolo 624 bis c.p. segnalando che “… questa Corte ha avuto modo di statuire che il delitto di violazione di domicilio e’ assorbito nell’aggravante del furto ex articolo 625 c.p., n. 1 (Sez. 2, n. 7089 del 18/03/1988 Rv. 178620); che il furto aggravato dall’introduzione in edificio abitativo e’ reato complesso, unificandosi in esso, quale circostanza aggravante, la violazione di domicilio consumata, poiche’ questa costituisce reato-mezzo, legato da nesso di strumentalita’ a quello di furto (Sez. 2, n. 8790 del 15/05/1987 Rv. 176473)…”; nella medesima decisione si e’ spiegato che “su questa scia, ricorrendo la eadem ratio, deve ritenersi che, dopo l’introduzione, ad opera della L. n. 94 del 2009, dell’apposita aggravante di cui all’articolo 628 c.p., comma 3, n. 3 bis la commissione di una rapina nei luoghi di cui all’articolo 624 bis c.p. (edificio o altro luogo destinato a privatadimora), quando la introduzione in tali luoghi abbia avuto il fine esclusivo di impossessarsi con violenza o minaccia della cosa mobile altrui, dia luogo ad un “reato complesso” (articolo 84 c.p.), quale deve ritenersi il delitto di cui all’articolo 628 c.p., comma 1 e comma 3, n. 3-bis, ossia ad una figura criminosa nella quale convergono gli elementi costituitivi di altri reati” ovvero che “… si verifica un concorso apparente di norme, per cui piu’ sono le fattispecie criminose che sembrano applicabili, ma una soltanto di esse e’ in realta’ applicabile, perche’ gli elementi costitutivi di una o piu’ fattispecie criminose vanno a convergere nella fattispecie del reato complesso sotto forma di elemento costitutivo o di circostanza aggravante”; in definitiva, si e’ detto, “… in questi casi, come stabilisce l’articolo 84 c.p., non si applicano le norme sul concorso dei reati, col conseguente cumulo delle pene, ma si applica la sola pena prevista per il reato complesso (Sez. 2, 40382/2014, rv. 260322)”.
Alla stessa conclusione, dunque, sarebbe necessario pervenire con riguardo al delitto di estorsione laddove, come nel caso di specie, la condotta sia stata consumata nei luoghi predetti, circostanza che, per l’appunto, aveva giustificato la contestazione della autonoma ipotesi di reato di cui al capo a) della rubrica, ovvero del reato di violazione di domicilio aggravata.
Se non che’, si deve prendere atto della circostanza secondo cui i fatti di cui si discute risalgono e sono stati commessi il (OMISSIS), ovvero in data antecedente la entrata in vigore della L. n. 94 del 2009, pubblicata in G.U. in data 27.7.2009 ed entrata in vigore il successivo 8.8.2009.
Si pone, allora, il problema della individuazione della normativa applicabile al caso di specie, se quella vigente al momento del fatto ovvero quella sopravvenuta, alla luce del principio generale di cui all’articolo 2 c.p., comma 4, dovendo a tal fine previamente essere individuata la disciplina piu’ favorevole per l’imputato.
A tal proposito, allora, non e’ allora inutile ribadire che, in caso di successione di leggi nel tempo, l’individuazione del regime di maggior favore per il reo ai sensi dell’articolo 2 c.p. deve essere operata in concreto, comparando le diverse discipline sostanziali succedutesi nel tempo (cfr., cosi’, ad esempio, Cass. Pen., 24.10.2014 n. 50.047, Ferrante che ha riaffermato tale principio in materia di norme sugli stupefacenti spiegando che, in relazione alla fattispecie di lieve entita’ di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 73, comma 5, trasformata da circostanza attenuante a reato autonomo dal Decreto Legge 23 dicembre 2013, n. 146, articolo 2, convertito con modificazioni dalla L. 21 febbraio 2014, n. 10, novellato con riguardo al trattamento sanzionatorio dal Decreto Legge 20 marzo 2014, n. 36, convertito con modificazioni dalla L. 16 maggio 2014, n. 79, per le droghe pesanti risulta di maggior favore la precedente disciplina, laddove la circostanza attenuante di cui al citato comma 5 sia stata giudicata prevalente rispetto ad una circostanza ad effetto speciale che comporti un aumento di pena in misura superiore alla meta’ come la recidiva reiterata aggravata di cui all’articolo 99 c.p., comma 4, secondo periodo; conf., Cass. Pen., 3, 17.11.2016 n. 3.385, A.).
Il principio espresso da queste pronunce e’ dunque quello secondo cui, nel caso in cui una ipotesi di reato autonoma sia “trasformata” (ovvero, come nel caso di specie, “assorbita” da una circostanza aggravante) ovvero, all’opposto, quando una aggravante sia “trasformata” in reato autonomo, la individuazione della normativa piu’ favorevole debba avvenire “in concreto”, ovvero sulla scorta della soluzione che, nella fattispecie specifica, il giudice di merito abbia ritenuto di dover perseguire nel giudizio di bilanciamento.
In via di principio, infatti, la qualificazione del “fatto” (nel caso che ci occupa l’aver consumato la condotta estorsiva introducendosi, contro la volonta’ dell’avente diritto, in un luogo di privata dimora) in termini di circostanza aggravante consente se non altro di operare il giudizio di bilanciamento e, dunque, di “annullarne” la ricaduta sanzionatoria.
Per altro verso, pero’, soprattutto nella ipotesi, quale quella che ci occupa, di aggravanti speciali o ad effetto speciale, potra’ accadere che l’inquadramento normativo del “fatto” in una circostanza aggravante, laddove questa non venga “annullata” in conseguenza dell’esito del giudizio di bilanciamento, possa sortire un effetto addirittura piu’ penalizzante, in termini sanzionatori, di quello conseguente alla applicazione dell’aumento operato ex articolo 81 c.p. per il concorso formale.
In definitiva, quindi, e’ corretta la impostazione che si ritrae dalle decisioni sopra richiamate secondo cui la individuazione della disciplina piu’ favorevole va fatta “in concreto”, ovvero in conseguenza dell’esito del giudizio di bilanciamento poiche’ soltanto laddove il giudice di merito ritenga, nella sua discrezionalita’, di dover “bilanciare” la aggravante (che, si badi, e’ ad effetto speciale, comportando un aumento di pena ben superiore al terzo) con le concorrenti circostanze attenuanti, la disciplina sopravvenuta potra’ essere in effetti giudicata “concretamente” piu’ favorevole.
Si tratta, pero’, di una valutazione, quella di “bilanciare” o meno la aggravante, che e’ all’evidenza riservata al giudice di merito il quale, pertanto, dovra’ per l’appunto, alla luce del risultato del giudizio di bilanciamento, verificare quale disciplina sia nel caso di specie piu’ favorevole all’imputato, se quella vigente al momento del fatto ovvero quella sopravvenuta in quanto entrata in vigore qualche giorno dopo.
L’accoglimento del quarto motivo comporta allora l’annullamento della sentenza con esclusivo riguardo al profilo del trattamento sanzionatorio (nel quale, evidentemente, e’ compreso quello dell'”assorbimento” del delitto di violazione di domicilio aggravata nella estorsione aggravata ai sensi dell’articolo 628 c.p., comma 3, n. 3 bis).
Indipendentemente dalla soluzione che sara’ adottata dal giudice del rinvio, resta comunque definitivamente accertata la responsabilita’ dell’imputato quanto ai “fatti” di estorsione commessi in luogo di privata dimora.

P.Q.M.

annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio e rinvia per nuovo giudizio sul punto alla Corte di Appello di Perugia; dichiara inammissibile il ricorso nel resto.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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